“…Quel tipo di letterato, avversario intellettuale di cui il Risorgimento deve
trionfare non si riduce però a quell’immagine di frivolezza retorica, spirito
servile e cortigiano che il termine sembra evocare. Nella sua figura c’è grandezza
e miseria, in riscontro esatto con la storia italiana di quei secoli”.
A. Del Noce
1. Il confronto con Gentile
Da un’attenta lettura degli scritti di e su Augusto Del Noce e della sua produzione filosofica emerge che l’interesse manifestato dal pensatore pistoiese nei riguardi di tematiche e di contenuti propri dell’età rinascimentale s’inserisce in un contesto piú ampio di studia, relativi alle discussioni sulle origini della modernità. Il problema è rilevante: se la sensibilità moderna rintraccia le proprie radici nella tradizione umanistico-rinascimentale, quali aspetti critici della cultura dei secoli XV e XVI devono essere tenuti in considerazione, per comprendere le matrici speculative da cui discende la sensibilità contemporanea? È da questo approccio morfo-genetico che muovono le meditazioni di Del Noce tanto sull’età rinascimentale propriamente detta, quanto sul suo referente principale in quest’ordine di studi: Giovanni Gentile, studioso e critico del Rinascimento(1). Il presente saggio vuol essere un primo tentativo di analisi delle riflessioni elaborate da Del Noce sul problema filosofico del Rinascimento, nella prospettiva di fornire qualche osservazione sul contributo apportato dalla lettura delnociana alla storiografia filosofica in questo campo di studi.
Quando si tenta di definire l’orizzonte critico, entro il quale si situa e matura la riflessione e la concezione storiografica di Del Noce sul Rinascimento e ci s’interroga sul rilievo, che tale lettura ha assunto nello sviluppo del suo pensiero, non si può fare a meno di prendere come punto di movenza le ricerche e le prospettive teoriche contenute in una delle opere piú significative, quella su Giovanni Gentile(2). Cosí, si avrà modo, in forma indiretta, di fare il punto sul giudizio espresso da Del Noce intorno all’epoca rinascimentale.
Per Gentile – scrive Del Noce – “l’opera […] dell’Umanesimo è consistita […] nello spiantare dagli animi quel concetto del trascendente, che era stato il fulcro di ogni filosofia medievale ed era il presupposto essenziale della dottrina cristiana cattolica…”(3). L’Umanesimo, demolendo, al pari della sofistica, antiche certezze, distruggendo sistemi tradizionali e schemi fissi del pensiero, ha sviluppato la tendenza e l’atteggiamento all’”indifferentismo religioso” e all’”insensibilità verso il divino, che resterà una nota caratteristica predominante della vita spirituale italiana”(4).
Risulta chiaro come il problema, che alimenta la “disputa” Del Noce-Gentile, verta su uno dei leitmotiv caratterizzanti la controversia sul Rinascimento, la quaestio intorno alla presenza di convinzioni o di tendenze religiose o irreligiose, di istanze pagane o anticristiane, di atteggiamenti di indifferenza religiosa o, come afferma Kristeller, “di adesione meramente nominale alle dottrine della chiesa”(5). I termini, intorno ai quali si svolge la querelle, sono l’ateismo, il panteismo, la religione naturale, il concetto di trascendenza, quello di immanenza.
Ciò rinvia al delicato problema, innanzitutto, di individuare e di interpretare dal punto di vista storiografico il significato attribuito dalla cultura rinascimentale a questo concetto, di contestualizzarne la prospettiva e di comprenderne le connessioni con questo àmbito culturale. In secondo luogo induce a riflettere sul ruolo svolto dall’ateismo nel pensiero di Del Noce e consente di confrontare questa posizione con l’interpretazione gentiliana, al fine di chiarire a quali esiti e risultati è pervenuto il “dibattito” storiografico Del Noce-Gentile, anche sul tema dell’ateismo.
Kristeller, in uno dei suoi preziosi studi sulla cultura rinascimentale, sottolinea che il termine ateismo assume una distinzione ed un significato chiaro e preciso soltanto a partire dalle polemiche del tardo XVI secolo e quello di panteismo dal XVIII secolo. Durante il Rinascimento, osserva Kristeller, “non vi furono probabilmente veri atei e solo pochi panteisti”(6) e l’affermarsi di esperienze intellettuali considerate religiose o irreligiose sono espressione di una società che, talvolta, nella vita pubblica o privata, contravveniva ai dogmi della dottrina cristiana. Senza entrare nel merito della questione particolare, è sufficiente ricordare che la parola ateismo non è presente prima del tardo Cinquecento e che si tratta di un concetto invalso nella storiografia moderna.
Sulla base di queste premesse, occorre soffermarsi sull’idea di ateismo maturata da Del Noce, facendo riferimento, in particolare, a due studi significativi, meritevoli di aver tracciato un profilo della questione e di aver dato l’avvio all’”incontro” fra Del Noce e Gentile, quello sull’ateismo(7) e quello già citato su Giovanni Gentile.
Sono gli anni in cui il dibattito filosofico in Italia è in fermento per l’intreccio di diverse componenti e ricostruirne le sue dinamiche risulta assai complesso. Un forte impulso al determinarsi delle vicende intellettuali del periodo proviene dall’influenza e dai condizionamenti del Regime fascista, dal tentativo di conciliare lo spirito del Regime con le esigenze della chiesa cattolica, dall’emergere di nuove correnti filosofiche o di vecchie scuole di pensiero “riformate”, dall’affermarsi dell’ideologia marxista. Su questo scenario si vedono schierati intellettuali cattolici e laici e si profilano orientamenti assai diversi e approcci originali ai problemi della filosofia, non riducibili ad un’unica posizione, né a sintesi omogenee.
Nel clima culturale dell’epoca si avverte la necessità di rintracciare una tradizione filosofica tipicamente italiana nell’àmbito della storiografia idealistica, di cui Gentile è protagonista. Ha scritto a tal proposito Pietro Rossi: “Il pensiero filosofico italiano […] si richiamava al mito di un’antica sapienza italica che dal Rinascimento giunge – attraverso il Vico del De antiquissima Italorum sapientia – fino all’Ottocento…”(8). In contrapposizione a questo “mito”(9), convergono opposte tendenze di matrice cattolica che, ricuperando la tradizione filosofica del Medioevo, la filosofia Scolastica, spostavano il loro interesse sul carattere cattolico del pensiero italiano(10).
Proprio dall’area cattolica provengono spinte innovative e suggestioni originali rintracciabili nel pensiero e nell’opera di Augusto Del Noce, assertore, in antitesi al percorso storico-critico maturato da Gentile, della philosophia perennis, le cui radici andavano ricercate nelle dottrine della Scolastica. Egli da intellettuale cattolico rifiuta l’ideologia dominante e s’impone sulla scena, portando avanti una critica contro il marxismo, polemizzando soprattutto contro quanti accarezzavano l’idea di una conciliazione fra cristianesimo e marxismo, promuovendo un nuovo atteggiamento nell’àmbito del cristianesimo volto verso il ricupero dell’ateismo e del marxismo. Sono questi i presupposti filosofici sui quali Del Noce fonda la sua interpretazione del marxismo in chiave ateistica.
Con Del Noce, osserva Rossi, sopravvive quel filone del pensiero italiano che, riallacciando la filosofia italiana a quella francese, riporta la tradizione cattolica ottocentesca a Malebranche ed ad altri pensatori della Restaurazione. A giudizio dell’autore, nel pensiero di Del Noce si può ravvisare un orientamento speculativo opposto alla tendenza “immanentistica” dell’idealismo tedesco e contrapposto al razionalismo e all’Illuminismo. Per lo studioso pistoiese non il Rinascimento, bensì il “contro-rinascimento” era strettamente connesso con la riforma cattolica e le sue istanze religiose con la metafisica cartesiana, alla quale egli attinge, traendo originali spunti di riflessione(11). Lungo queste coordinate si snoda la sua vicenda teoretica che, rivendicando il peso della dimensione cattolica nella filosofia della nostra Penisola, individuava una linea di sviluppo e di continuità, che dal Rinascimento, con la sua riforma religiosa, culminava in Cartesio(12), Malebranche(13), Vico e Rosmini e connetteva le correnti religiose rinascimentali con la filosofia del Seicento e con un Vico rinnovato, o meglio “riformato” dal punto di vista religioso. Ridisegnando e ripercorrendo la storia del pensiero “italico” in chiave cattolica, Del Noce attua una revisione critica, attingendo agli schemi storiografici adottati da Gentile, dai quali, poi, prende le distanze, per sottolineare e rimarcare la componente religiosa della filosofia italiana rispetto alla storia del pensiero d’oltralpe. Egli condivide con Gentile la dottrina dell’attualismo concepito come il termine conclusivo dell’immanentismo, sebbene dimostri e comprovi l’insuccesso dell’attualismo e dell’immanentismo stesso(14).
Come è stato, già, sottolineato, l’interesse e l’approfondimento di Del Noce per il Rinascimento si inquadra in una prospettiva piú ampia, che è quella della riflessione sul modernismo, sulle dottrine del pensiero moderno(15), in particolare, su quelle del cartesianesimo e sulla “riforma cattolica” attuata da Cartesio(16). Il pensiero del XVI secolo costituisce una delle fonti per arrivare a comprendere lo sviluppo e il carattere della “modernità”, stimolando e sollecitando l’autore ad indagare la filosofia in piú direzioni(17). Per una contestualizzazione storica del cartesianesimo e per un’esatta comprensione dei suoi sviluppi è opportuno collegarlo all’antiRinascimento di tipo cattolico(18).
Nella sua disamina sul concetto di “moderno” egli scandaglia le matrici culturali di questa categoria, individua la sua aurora nei termini della rottura con “il passato e la storia”(19) e non nella matrice umanistica considerata come elemento di incontro con l’antico, coglie nel rapporto fra religione e politica un contrasto irrimediabile, contrappone al cattolicesimo l’ateismo e non piú lo spirito eretico, ritiene, infine, che le “moderne” filosofie, soprattutto, il cartesianesimo, siano minate dall’ateismo, pur essendo profondamente influenzate da esso.
Il punto centrale, intorno al quale ruota il filone della sua ricerca, è quello dell’ateismo20), che induce il pensatore a riflettere sul problema della religio, nella sua duplice accezione di laica e di cattolica e della irreligio(21).
In una delle pagine de Il problema dell’ateismo Del Noce scrive che “l’ateismo è il termine conclusivo a cui deve necessariamente pervenire il razionalismo al punto estremo della sua coerenza, che è anche il punto della sua crisi: del trapasso, cioè, dal razionalismo metafisico al razionalismo scettico o al razionalismo storicista o all’irrazionalismo”(22). Esistono diverse forme di ateismo, quello negativo o nichilistico, una forma di ateismo positivo o politico e, infine, l’ateismo tragico. Mutando lo scenario e i paradigmi filosofici, alle soglie del XX secolo, l’ateismo trasforma la sua condizione da una forma scientista ad una forma postulatoria, sicché esso diventa espressione, nel suo divenire storico, di un orientamento filosofico noto come razionalismo. Del Noce, interrogandosi sul fenomeno, lo problematizza e la questione assume particolare rilievo, perché tale prospettiva modifica le categorie, attraverso le quali è possibile leggere la storia della filosofia ed interpretarne le tensioni e le crisi. È emblematico il fatto che, al di là di ogni confessione religiosa e di ogni concezione metafisica o antimetafisica, nella storia del pensiero dei secoli precedenti esisteva una profonda unità morale ed etica, oggi completamente sgretolata e messa in crisi anche dal sorgere dei molteplici modelli filosofici, che via, via, si andavano affermando. Un orientamento, questo, che si configura completamente mutato e che impone allo storico della filosofia di riflettere in termini problematici sul fenomeno dell’ateismo nella storia del pensiero contemporaneo, perché tutto ciò suggerisce un nuovo modo di approccio alla ricerca filosofica e orienta l’indagine verso La storia della filosofia come problema(23).
Per Del Noce, l’ateismo contemporaneo può essere accostato a quello di Cartesio – che scrive la sua prima opera contro gli atei, le Meditationes – per il quale ateismo è sinonimo di scetticismo, che nega non soltanto la religione, ma anche la scienza e la morale e ateo è negatore della scienza, del mondo esterno e dell’esistenza dell’io. La filosofia moderna, invece, intende ricuperare e salvare la scienza e la morale e lo stesso concetto di razionalismo, al quale approda l’ateismo nel pensiero contemporaneo, risente molto dell’eco del razionalismo cartesiano. Il razionalismo, cosí inteso, si fonda su una religione razionale, che confida assolutamente nei poteri della ragione, che nega la trascendenza, che rivendica il concetto di immanenza, che esclude dal proprio àmbito l’elemento soprannaturale(24).
Precedono la composizione di tale opera, oltre agli studi su Malebranche, su Gassendi e su Pascal, alcuni scritti su Cartesio e sull’inizio della filosofia moderna, su La crisi libertina e la ragion di Stato. Essi sono testimonianza dei suoi interessi filosofici protesi verso i temi della libertà, del rapporto dialettico fra fede e ragione, dell’inquietante problema teologico e dell’affermarsi di nuove concezioni epistemologiche sullo scenario di un marxismo ideologico dominante. Nella prospettiva di interpretare la filosofia contemporanea si inserisce il problema dell’ateismo, il cui termine si configura come razionalismo, in particolare, come razionalismo metafisico.
Tale orientamento speculativo merita particolare attenzione per le riflessioni che ne scaturiscono relativamente al carattere religioso o irreligioso del Rinascimento. Del Noce, riprendendo la posizione dello storico francese Febvre tesa a rivalutare la dimensione religiosa nel pensiero del XVI secolo, chiarisce che l’origine dell’ateismo risiede “soltanto nella conclusione-dissoluzione del Rinascimento”(25), che l’ateismo è un concetto presente solo a partire dalla filosofia di Machiavelli e che il suo sviluppo coincide con l’inizio dell’età moderna(26). Il Cinquecento, a giudizio dell’autore, è “un secolo complessivamente cristianissimo”(27), nel quale si manifestano le prime radici di quelle dottrine ben sintetizzate dal brunismo, che, poi, volgono verso le concezioni dell’ateismo caratterizzanti il movimento del libertinisme. Proprio il movimento libertino costituisce il prodotto di quella irreligiosità già manifestatasi nella filosofia di Bruno. In quest’ottica egli analizza il problema teologico, la reazione di Bruno, l’inizio della filosofia moderna, la posizione reazionaria dei libertini.
L’ateismo del Rinascimento è definito da Del Noce una forma di eresia differente da quella medievale. Nel Medioevo esso rappresenta lo sforzo compiuto dai teologi di restaurare il cristianesimo delle origini, in epoca rinascimentale, invece, costituisce un tipo di eresia che, privilegiando la dimensione umanistica ed il carattere mondano, si traduce in “una ricomprensione pagana del cristianesimo”(28), della quale Bruno con la sua vicenda intellettuale è la sintesi piú significativa.
Ricercando “i momenti ateistici” nella storia della filosofia, egli si sofferma sul pensiero rinascimentale e moderno, sviando dal trattare la questione dell’ateismo nel mondo antico, non essendoci, a giudizio dell’autore, “ateismo completo che dopo il Cristianesimo”, giacché esso “è caratterizzato da un rifiuto iniziale del soprannaturale”(29). Si comprende bene come la posizione delnociana, sebbene attui una distinzione fra le manifestazioni di ateismo o di eresia presenti nel Medioevo e quelle del Rinascimento, talvolta non consenta di cogliere in modo chiaro quale sia l’orientamento che scaturisce dalla sua riflessione sull’opzione ateistica. Egli insiste sulla presenza del concetto di ateismo non prima della filosofia di Machiavelli, pur sottolineando che alcune manifestazioni del pensiero religioso del Medioevo, come per esempio l’aristotelismo eterodosso, nel corso della loro evoluzione possono essere definite atee(30). Tuttavia le stesse prove della dimostrazione dell’esistenza di Dio, elaborate dai filosofi medievali, confermano che non esistono posizioni di ateismo nel Medioevo, giacché le dimostrazioni dell’esistenza di Dio presuppongono già una certezza, che Dio esiste. Ciò significa che i pensatori del Medioevo, avendo sviluppato una coscienza religiosa e mirando a definire il rapporto fra Dio e il mondo, “si muovono all’interno di una concezione già sacrale”, sicché, per Del Noce, l’ateismo nel Medioevo è “piuttosto una possibilità logica […] che una posizione reale”(31).
Sulla base dell’intreccio fra questi elementi si costruisce il complesso rapporto fra Del Noce e Gentile relativamente al carattere religioso ìnsito nella rinascita.
È noto che nel Rinascimento confluiscono opposte tendenze in campo religioso e accanto al devoto cattolico si pongono il protestante e l’”ateo” ed emerge la figura di un nuovo tipo di uomo di lettere, che, saziandosi di cultura e di erudizione, non cerca più conferme nella fede, è, come afferma Del Noce, “senza la fede, senza un contenuto morale, senza un orientamento nel mondo”(32).
Eppure, per Gentile, l’Umanesimo non ebbe carattere né “pagano”, né “cristiano”, ma mirò a ricuperare “il problema cristiano, che la filosofia medievale aveva piuttosto soppresso che risoluto”(33) e la sua religiosità rappresentò un ritorno alla “primitiva ispirazione cristiana della realtà da intendere come spirito”(34). Gentile, fedele alla corrente idealistica nel campo della gnoseologia, elabora il concetto dell’Umanesimo dello “spirito”, considerando l’atto libero come il manifestarsi di ogni aspetto della realtà storica e definendo la realtà stessa come spirito. I motivi ispiratori della sua speculazione sono l’esaltazione e la celebrazione dell’uomo, della sua libertà, il concetto della dignitas hominis, l’affermazione della dimensione individualistica, temi che egli ascrive soltanto al Rinascimento, definito come l’età dell’uomo, che confida nelle sue capacità, dell’individuo concepito come nuovo spirito. Al posto del carattere trascendente, che connotò tutta la tradizione medievale, nel Rinascimento subentra il concetto di immanenza del divino nell’uomo. L’individuo realizza la propria soggettività e, sviluppando l’intuizione, la fantasia, la libera creatività, afferma la sua personalità nel mondo dell’arte, che rappresenta il fondamento etico e filosofico della sua vita. Tale conquista della libertà significa non solo affrancamento dal concetto della trascendenza, ma anche “affermazione di sé come realtà spirituale, individualità, libertà”(35) e si riverbera nell’immagine del filosofo umanista, la cui filosofia consiste proprio nell’”affermazione della realtà universale”(36).
Il testo, nel quale Del Noce si confonta con Gentile(,37), si colloca nell’àmbito delle ricerche sul neoidealismo italiano, del quale il filosofo siciliano, come è noto, è l’espressione piú autentica, ne è il “caposcuola”, alla genesi dell’attualismo, quando cioè si tenta di dare una definizione all’idea di modernità, perché entrano in crisi, eclissandosi e tramontando, i paradigmi precedenti e i modelli, a cui fare riferimento, non sono piú in grado di fornire nuove risposte per il presente(38).
La categoria filosofica, attraverso la quale è possibile leggere e interpretare l’attualismo, è rappresentata dall’idea di Risorgimento, “nella sua distinzione dalle idee di rivoluzione, di reazione, di eresia”(39), di un Risorgimento concepito in antitesi allo hegelismo derivato dalla Rivoluzione francese(40). Del Noce individua i principali punti chiave e le coordinate, entro le quali inserire l’idea di Risorgimento di Gentile, in cui, come è noto, il filosofo si distacca da Croce, con il quale entra in polemica. Innanzitutto, “il rapporto fra Risorgimento e Restaurazione”, i giudizi sui maggiori scrittori e pensatori del Risorgimento”, l’idea che questa riflessione condiziona ed influenza ampiamente la comprensione di tutta la storia della filosofia italiana, anche in relazione a quella del pensiero europeo, e l’esigenza di affermare, al di là di ogni differenza culturale regionale, l’unificazione ìnsita nel programma risorgimentale. Per Del Noce, osserva Armellini, il Risorgimento come categoria filosofica viene a coincidere con il concetto di “restaurazione creatrice”(41), di derivazione giobertiana, in cui le esigenze della tradizione cattolica si saldano perfettamente alle nuove istanze della storia(42).
Emerge una lettura dell’idea di Risorgimento come fenomeno avente carattere universale, concepito come “inizio di una nuova epoca”(43) e soprattutto come fenomeno essenzialmente italiano. A giudizio dello storico, le idee rivoluzionarie e reazionarie, che caratterizzarono il suo sviluppo, non allignarono su un terreno arido, sterile, né tanto meno furono il prodotto, il risultato di atteggiamenti innovatori avulsi dai contesti del passato. Egli, al fine di comprendere la genesi del pensiero risorgimentale e rintracciare le cause della sua decadenza, denunciata dagli stessi intellettuali, scorgeva e ricercava i points d’attache con il Rinascimento italiano, richiamandosi agli stessi principî ispiratori, che avevano permesso all’Italia fra Quattrocento e Cinquecento di uscire dalla decadenza, di “rinascere” e di “rinnovarsi.
Nella prospettiva delnociana il terreno sul quale si sviluppa la civiltà risorgimentale, è quello della tradizione italiana ed è possibile interpretarne e comprenderne i contenuti, soltanto se si rivolge uno sguardo ravvicinato alla storia del pensiero del Rinascimento, che fu fenomeno essenzialmente italiano, come, d’altronde, fu considerato dallo stesso Burckhardt, che contrassegnò un’epoca, nella quale l’Italia aveva dominato rispetto alle altre nazioni(44). Egli pone l’accento sulla posizione gentiliana del Risorgimento italiano come di un movimento di pensiero, le cui radici vanno ricercate nella profonda unità interiore realizzata dal Rinascimento, di cui Dante costituiva l’esempio piú tipico. Esiste, per Gentile, fra Quattrocento e Cinquecento – scrive Del Noce – un paradigma italiano; occorre indagare la storia del pensiero filosofico italiano, privilegiarne i contenuti e le spinte al rinnovamento(45).
L’idea, che guida Del Noce, interprete del pensiero di Gentile sul Rinascimento, è tesa nella direzione della valorizzazione della categoria dello spirito ed è orientata a ricuperare il mondo dell’uomo, la sua dignità e la sua libertà(46). Per Gentile, Umanesimo è fede nell’azione rigeneratice della rinascita, filologia, amore per la parola, esplorazione filologica di un mondo nuovo, riscoperta storica ed erudita dell’antico pensiero e dell’arte, revisione critica del passato. Muovendo dall’idea di un Rinascimento concepito in antitesi ed in opposizione al Medioevo, egli privilegia la rinascita del mondo in senso spirituale, propugnando un ritorno al Cristianesimo originario, ovvero all’ideale di veritas christiana, libero dalle “sovrastrutture” della teologia medievale, dalle sistemazioni scolastiche e dalle interpretazioni della Chiesa. Gentile sottolinea con forza il concetto di un mondo culturale, che si rinnova, che esce dagli aridi ambienti delle scholae e dagli angusti limiti del sapere teologico ed esalta il desiderio dell’umanista di volgere l’interesse verso gli antichi, “per non sentire più la noia, dimenticare ogni affanno, non temere la povertà, e non essere sbigottito più dalla morte: per vivere cioè la vita beata dello spirito che dal tempo delle cose finite si eleva all’eterno e infinito delle idee o dei fantasmi che hanno virtù di affratellare ed unificare gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi”(47). Egli identifica la cultura umanistica con un ritorno alla vera essenza spiritualistica e contesta la tradizione medievale, che aveva portato come conseguenza all’affermazione della certezza oggettiva e del naturalismo, ad una ricaduta dei valori morali ed etici, nonché alla negazione del carattere della soggettività e della spiritualità, che erano alla base dell’originario messaggio evangelico. A tali esiti il filosofo contrappone la rinnovata esigenza e la necessità di valorizzare il carattere della libertà e della soggettività, negati dalle formule astratte, dai dogmi della Scolastica e dalla dialettica rigorosa e formale della disciplina teologica medievale, propugnando la libertà dei valori e la libertà dello spirito(48). E “il germe di vita proprio del Cristianesimo” – osserva Gentile – “era stato il concetto dello spirito, come vera realtà, che non è oggetto di conoscenza, ma di fede e di amore: dello spirito come realtà che l’uomo non presuppone a se stesso, ma realizza, o fa essere nel proprio animo in quanto l’afferma e vuole”(49).
Alla fides incrollabile ed inflessibile dei dogmi, che rappresenta il nerbo della speculazione teologica medievale, si sostituisce l’ansia di ricerca spirituale, una forte ispirazione etico-religiosa, un desiderio di misticismo, che emana dal ricupero della filosofia platonica e che si riverbera nella docta religio di Marsilio Ficino. L’uomo del Rinascimento, bisognoso di verità, di una fede pura, autentica, grazie al supporto che gli viene offerto dalla filologia e che gli spiana il cammino per un’esegesi dei testi, anche di quelli biblici, compie la sua ricerca e, abbandonandosi “candidamente” agli scritti cristiani del Vangelo, dei Padri, s’illumina, ricuperando l’insegnamento delle piú antiche opere classiche, dei veteres sapienti e dei “sacerdoti”. Si profila l’immagine di un uomo “riformato” sia in senso religioso, metafisico e teologico, sia in senso etico e morale, di un uomo che esce dai chiostri e trionfa con la sua humanitas, che è soggetto, che prende coscienza del suo essere, che partecipa a se stesso, che brama il dominio su se stesso, che è in grado di autodeterminarsi, secondo il celebre motto pichiano, che è artefice del proprio destino. Un uomo che è spirito, che vede fluire la sua vicenda, profondendo vitalità, energia, impeto e che, acceso da un’entusiastica illuminazione, trova appagamento e si completa, distaccandosi dalla sua mediocre razionalità, nella vita dello spirito. Dotato di acume storico e critico, l’uomo fa la sua storia e, in quanto individuo immerso nella natura, ricerca in essa l’intima connessione attraverso i rapporti di simpatia e di antipatia, le affinità e l’equilibrio; in quanto faber sui, crea se stesso e la sua attività si esplica nella libera creazione artistica ed estetica, nonché nell’affermazione dell’individualismo come riconquista della propria personalità e della ricerca interiore di se stessi. La natura concepita come immanente, dotata di carattere divino, attraverso l’uomo si “umanizza”.
Si evidenzia in tal senso l’influenza, che Hegel esercita sul pensiero di Gentile, sia in relazione all’antitesi fra Medioevo e Rinascimento, sia in riferimento all’idea tesa a valorizzare l’individuo, la vita dello spirito e la forma piú alta della coscienza, la politica e lo Stato. Per Hegel l’uomo acquista fiducia in se stesso e si rinnova, ricuperando se stesso, non il mondo dell’aldilà, della trascendenza, perché egli possiede il divino dentro di sé. La vera rinascita si realizza nella libertà dello spirito, nel mondo della cultura e dell’arte, nel quale l’uomo afferma la sua individualità ed autonomia.
Nella prospettiva, che privilegia l’antitesi fra arte e religione(50), arte considerata “non […] un elemento, ma una forma, o un momento della vita spirituale”(51), Del Noce inserisce il concetto storiografico gentiliano del Rinascimento italiano, che si configura, alla maniera di Burckhardt, come una feconda fioritura in ogni campo dello scibile umano, sia sul piano speculativo, sia su quello letterario ed artistico, come esaltazione della creatività produttiva della fantasia, dell’intuizione, affermazione “della soggettività estetica”(52). Poste tali premesse, il “dibattito” delnociano si orienta ad evidenziare la distinzione fra le posizioni di Gentile, di De Sanctis e di Spaventa, che egli svolge a partire dalle riflessioni sulle prime opere gentiliane sul Rinascimento, i saggi su Petrarca e su Bruno.
Del Noce, fortemente spinto e motivato dai suoi interessi prevalentemente politici, disegna un affresco della filosofia petrarchesca, concentrandosi soprattutto sulle interpretazioni fornite dal filosofo idealista al pensiero politico di Petrarca. Il pensatore pistoiese si sofferma sull’analisi condotta da Gentile sulla figura e sul pensiero petrarchesco, ponendo in risalto alcuni caratteri peculiari dell’opera dell’umanista, individuabili in queste linee essenziali: la valutazione di Petrarca cristiano e la sua avversione all’averroismo e al suo carattere irreligioso a favore di un’accesa ispirazione e di un profondo anelito religioso; il suo distacco dal pensiero medievale e la lotta contro la filosofia Scolastica, che aveva proiettato su un piano razionale il rapporto fra Dio e l’uomo; l’esaltazione della virtú, che significa celebrazione del vir, la creazione che l’uomo fa da se stesso del suo proprio valore”(53); la rivendicazione della poesia e dell’arte, come momento di affermazione dello spirito estetico e l’ammirazione maturata per il ritorno alle auctoritates dell’età pagana, richiamate “da una coscienza, che è pura coscienza estetica”(54), che si traspone “in un mondo di sogno”(55).
Gentile, poi, non manca di accostare a Petrarca Dante, che egli sente piú congeniale alle istanze della sua filosofia dello “spirito” e dell’”arte”, perché nell’universo dantesco rifulge una luce piú vivida e uno slancio piú profondo, che dànno libero sfogo alla fantasia e all’intuito creativo. Dante, agli occhi di Gentile, rappresenta l’unità interiore in chiave immanentistica.
L’analisi gentiliana su Petrarca induce Del Noce a sottolineare e a far emergere, ancora una volta, il carattere della soggettività, “in sé cristiana”(56), della filosofia dell’Umanesimo e del Rinascimento, soggettività che si identifica, innanzitutto, con la soggettività della realtà estetica, dell’arte. L’uomo, rinchiudendosi in se stesso, si isola e si interiorizza, e, penetrandosi, ritrova se stesso, per, poi, esaurire, secondo la concezione petrarchesca, la sua vicenda umana nell’arte “come il sogno che astrae dalla realtà e spazia nel mondo della fantasia, dove l’individuo è creatore e signore”(57).
2. Il Rinascimento e la fondazione della filosofia dell’individuo
L’individualismo e l’autonomia dello spirito costituiscono i punti d’approdo di questa vicenda teoretica e la centralità attribuita all’uomo, l’esaltazione e la celebrazione della sua dignità traggono origine dal Cristianesimo e sono temi tipicamente cristiani, rivisitati nel Rinascimento. Sicché, mentre la cultura umanistica mirava a ricuperare i principî cristiani, nello stesso tempo proclamava il distacco dell’individuo dalla vita e si diffondevano tendenze e convinzioni opposte in campo religioso, espressioni della vitale conflittualità di quei secoli. All’interno di tale percorso teorico, Del Noce, non senza una punta di ironia, individua alcune contraddizioni presenti nell’interpretazione gentiliana. Se il Rinascimento è celebrazione ed esaltazione dell’individuo, delle sue capacità, delle sue potenzialità, della sua libertà e l’uomo viene riscoperto nella sua identità originaria, nelle manifestazioni dello spirito, nella purezza del sentimento e dell’atto umano, anche in rapporto alle spinte di rinnovamento religioso, come si giustifica il distacco dell’uomo dalla vita? Come può la vicenda umana sfociare nel momento estetico e quale spiegazione trova l’indifferentismo religioso propugnato da Gentile? La questione va considerata in un quadro piú ampio, tenendo conto dei contesti, che offrono una chiave di lettura utile per comprendere la posizione gentiliana. Ciò si realizza, a giudizio di Del Noce, in considerazione dell’adesione del filosofo dell’attualismo alla contrapposizione classica fra due differenti mondi, espressione di due diversi periodi storici, il Medioevo ed il Rinascimento: “al medievale ritrarsi ascetico del mondo, si sostituisce un ritrarsi estetico, nella pura soggettività”(58). Presupposto ineliminabile di questo percorso speculativo è l’individuo nella sua dimensione astratta, soggettiva, nell’umano ritrovamento di se stesso. Non esiste piú la grazia divina, che guida le azioni degli uomini, ma tutto gravita intorno “all’umana volontà”(59) e dall’individuo dipendono le altre forme della vita, la politica e l’arte. L’uomo per mezzo della virtus crea lo Stato e le esigenze e i problemi della res pubblica non sono di-sgiunti da quelli dell’individuo.
In questa prospettiva matura il confronto dialettico fra Del Noce e Gentile. Egli, senza pronunciarsi esplicitamente sul carattere della filosofia gentiliana, non rinunzia a indicare nella dissoluzione dei costumi gli aspetti negativi della cultura italiana dei secoli XV e XVI, che, dimostratasi fin troppo sensibile alle suggestioni del bello artistico, si abbandonava alla ricerca del buon gusto e dello stile raffinato in ogni campo dello scibile umano, arretrandosi militarmente ed esponendo la propria patria alle lusinghe dei predatori. Del Noce, richiamandosi con toni polemici, alle categorie dell’individualismo e dell’estetismo adottate da Burckhardt, per definire il problema storiografico del Rinascimento, individua e scorge nel carattere estetico, da cui dipende l’esaltazione dell’uomo, la ragione della decadenza dell’Italia(60). Di fronte alla costruzione delle belle e maestose cattedrali, alla meraviglia delle opere artistiche, al genio dei letterati, dei poeti, degli artisti italiani, alla perfezione stilistica dei grammatici, egli coerentemente con le posizioni di Gentile, deplora la perdita dei valori e la dissoluzione della morale e dei costumi, nonché il ruolo convenzionale svolto della religione.
Anche la nuova figura dell’intellettuale, del nuovo uomo di lettere esprime questa crisi e decadenza: in lui albergano grandezza e miseria insieme e grandezza e miseria connotano quei secoli di rinascita, in esatta contraddizione alle inquietudini e ai contrasti ìnsiti nell’epoca.
Il Rinascimento, scrive Del Noce, per Gentile, prelude all’età moderna, “preannuncia la filosofia moderna”(61). Tale disegno storiografico si definisce meglio, quando Gentile accosta i filosofi rinascimentali a quelli dell’età moderna e ricostruisce i momenti essenziali di questa linea di precorrimento e/o di continuità fra le due epoche, collocando accanto a Telesio Bacone, a Campanella Cartesio e, poi, Leibniz, gli esponenti del platonismo rinascimentale, Bruno e Spinoza(62). Questo giudizio critico, secondo Del Noce, costituisce uno dei maggiori meriti ascrivibili alla filosofia gentiliana.
Su questo terreno le posizioni di Del Noce e di Gentile sembrano fortemente divaricate e il filosofo pistoiese tenta di ricostruire e di ripercorrere i passaggi della posizione storiografica gentiliana.
Gentile formula una rigorosa suddivisione fra la sfera privata e quella pubblica, fra l’esigenza di affermare la libertà dello spirito, che si realizza nell’attività artistica e filosofica e “l’abbandono della condotta esteriore allo stato”(63). Il primo problema concerne l’esercizio dell’attività pubblica, il rapporto fra le leggi e la Chiesa, fra libertà morale e libertà politica. Essendo lo stato senza etica, esso necessita dell’ausilio della Chiesa, nella sostanziale convinzione che soltanto attraverso la disciplina teologica ecclesiastica si possano placare e sedare gli animi. Da ciò consegue l’altro grande problema, l’insanabile contrasto fra ragione e fede, fra filosofia e religione. Grande impulso, poi, al determinarsi di un’altra contraddizione proviene dal concetto di naturalismo, incline, sí, a proiettare l’uomo nella natura, ma a rivendicare anche la sua autonomia nei riguardi della stessa. Si genera, cosí, un dissidio fra il principio della realtà umana e quello della realtà come natura.
Del Noce, sollecitato e fortemente motivato dal problema di risolvere il rapporto fra umanesimo e cristianesimo, richiamandosi alla teoria averroistica della doppia verità, fondata sulla verità di ragione e verità di fede, sottolinea con veemenza come questa dottrina sia congeniale agli interessi del filosofo rinascimentale, assurgendo a vero e proprio paradigma convenzionale. La religio si esprime nell’osservanza alla lex, si esplica, soprattutto, sul piano pratico, sociale e politico, serve allo stato. Soltanto in questa prospettiva, osserva Del Noce, la distinzione gentiliana fra intelletto e volontà e gli esiti a cui essa volge, l’intellettualismo, concepito come rivendicazione del valore pratico della religione, possono essere validi, permettendo di comprendere l’ateismo e l’assenza di morale nella vita pubblica.
L’analisi delnociana, lucida e rigorosa, si sofferma su una personalità, che piú di ogni altra espresse, nel carattere innovativo e polemico, questo tentativo proprio del Rinascimento di armonizzare filosofia e religione, Giordano Bruno. L’esperienza del filosofo nolano rappresenta l’insanabile contraddizione, che alimentò lunghi e accesi dibattiti per tutto il corso del pensiero del XV e XVI secolo, la pretesa di conciliare i dogmi della religione cattolica con la verità filosofica. Del Noce legge ed interpreta il Bruno di Gentile, indicando nell’immanentismo naturalistico bruniano una delle cause che avevano contribuito al determinarsi del risentimento antiecclesiastico del filosofo di Nola e alla sua condanna. Bruno è espressione del dualismo teso a riconoscere un Dio dei filosofi, il Dio-natura, e un Dio inattingibile, se non per rivelazione naturale(64). Il filosofo nolano non nega il Dio professato dal cattolicesimo, ma ravvisa in questo la mens insita omnibus, la Natura, un Dio che, come afferma Gentile, è “vivo e essenzialmente creatore o l’infinito Spirito, a cui la mente non può salire che mediante la contemplazione della infinita Natura”(65).
L’immanentismo bruniano si compie e si realizza nell’universo gentiliano con l’approdo alla filosofia cristiana e l’interpretazione di Gentile su Bruno costituisce, sottolinea Del Noce, “la rottura del neoidealismo italiano con l’anticlericalismo”(66). Tale contraddizione derivante dall’impossibilità di risolvere il rapporto fra filosofia e religione ha prodotto la decadenza della civiltà italiana nel Rinascimento, i cui effetti e conseguenze si avvertiranno soprattutto in età risorgimentale. Nell’esperienza di Bruno, conclusasi tragicamente con il rogo, si esprime, secondo Del Noce, una delle numerose contraddizioni dell’epoca rinascimentale, che egli ravvisa nell’impossibilità di affermare l’autonomia dell’uomo dinanzi alla natura. Ciò che Del Noce critica è proprio il concetto sul quale gli umanisti fondarono la “nuova” filosofia, espressione della conflittualità tesa, da una parte, a rivendicare l’uomo come soggetto, come spirito, come individuo, libero dinanzi alla natura e, dall’altra, a riconoscerlo come parte della natura. La rivendicazione dell’uomo come spirito posta di contro a quella dell’uomo come individuo “particolare”, “parte della natura”, è il segno piú evidente di quanto contraddittoria e complessa sia stata l’età rinascimentale e rende ragione dello sforzo compiuto invano dai filosofi dell’epoca di “sottrarsi alle conseguenze naturalistiche, trasferendo alla natura la spiritualità dell’uomo”(67). A partire da questa riflessione Del Noce individua una linea diretta di successione e di continuità fra le suggestioni promanate dall’individualismo, dal materialismo, quelle del sensismo, dello spirito rivoluzionario, fino alle conseguenze estreme del pessimismo. Per il pensatore pistoiese, “nell’inadeguata affermazione rinascimentale dell’uomo” risiede il germe della decadenza della civiltà italiana, che risorge con Vico “solitario nel suo secolo, critico del naturalismo, scopritore della storia”(68), in contrapposizione alla posizione di Gentile, per il quale Vico è erede del Rinascimento, rappresentante della continuità fra Rinascimento e Risorgimento, nonché promotore dell’incontro e del dialogo fra il pensiero filosofico italiano e quello europeo(69). La sua critica nei confronti del naturalismo rinascimentale e della posizione, che l’uomo assume nei riguardi della natura, si estende e si dilata sino ad abbracciare il problema della dimensione dell’individuo dinanzi alla realtà del mondo esterno, la questione teologica e il concetto di immanenza del divino.
Muovendo da queste considerazioni, risulta chiaro come il Rinascimento, per Del Noce, presenti molte zone d’ombra, e sia concepito come un secolo di decadenza, che investe la società civile e, di conseguenza, tutte le manifestazioni del pensiero italiano, risorto, poi, con il Risorgimento. Il suo giudizio fortemente critico, pur tenendo conto dei profondi contrasti esistenti in quest’epoca, delle contraddizioni che si riverberano nella figura del nuovo intellettuale, non si esime dall’investire ogni aspetto del pensiero, in particolare, il carattere del naturalismo, i cui esiti hanno influenzato e inciso in modo negativo sulla nuova immagine del mondo e dell’uomo.
Senza considerare, però, è opportuno sottolinearlo, che è proprio il naturalismo del Rinascimento ad aver preparato il terreno ed aver prodotto le nuove concezioni fisiche, metafisiche e cosmologiche, la nuova idea di scienza e le nuova visione dell’uomo. Come pure va ricordato, che i risultati, ai quali perviene il razionalismo cartesiano relativamente al rapporto fra fede e ragione o il tentativo della filosofia del Seicento di risolvere il problema metafisico, le nuove indagini, i nuovi apporti filosofici e scientifici moderni, non sono altro che il prodotto delle crisi e delle riflessioni critiche maturate nel corso del Cinquecento sul tema della sua religiosità o irreligiosità, sulla presenza di istanze pagane, cristiane, di scetticismo, di forme di eresia o di manifestazioni di ateismo.
3. Qualche osservazione per un bilancio
Dopo questa analisi, occorre chiedersi qual è il contributo che Del Noce ha offerto alla storiografia filosofica sul Rinascimento e quali i meriti da ascriversi all’opera del filosofo pistoiese. Innanzitutto, la sua ricerca offre un quadro critico della visione gentiliana della filosofia rinascimentale, ponendo in rilievo luci ed ombre che s’annidano in essa, contraddizioni e posizioni teoriche piú o meno degne di validità critica; in secondo luogo, essa presenta elementi di novità e di originalità rispetto all’itinerario prospettato da Gentile, configurandosi come alternativa all’interpretazione idealistica; contribuisce, come ha osservato Rossi, a dissolvere il “mito” di una tradizione filosofica specificamente italiana(70), collegando in stretto rapporto di sviluppo la filosofia italiana con la tradizione francese, anziché con quella tedesca promossa dall’idealismo, riscuotendo questa posizione “un successo insperato”(71); pone l’accento sulla dimensione religiosa e filocattolica della filosofia italiana e consente di comprendere il ruolo determinante e il peso rilevante, che ebbe la Scuola Cattolica sul nostro pensiero; offre una chiave di lettura in piú alla comprensione del carattere religioso o irreligioso dell’epoca rinascimentale, traducibile in termini delnociani nella parola di ateismo, concentrando l’attenzione, soprattutto, sulle dottrine del brunismo e sulla vicenda intellettuale di Bruno, nella quale si concreta l’espressione della crisi religiosa tipica dell’epoca.
Quelle stesse idee, che avevano ispirato, sollecitato e mosso Del Noce ad attuare una revisione critica delle concezioni storiografiche gentiliane, favoriscono la sua ricerca sul Rinascimento, che, pur sollevando molti dubbi e perplessità, può essere considerata per alcuni aspetti originale e innovativa rispetto al percorso storico-critico delineato da Gentile.
Quanto al carattere religioso del Rinascimento, Gentile e Del Noce sposano la tesi di un’epoca assolutamente cristiana, sebbene avviino la loro riflessione da premesse differenti. Gentile, aderendo alla teoria della contrapposizione classica fra Medioevo e Rinascimento, ritiene che nei secoli XV e XVI non convivono esperienze pagane o cristiane, ma si manifesta soltanto un nuovo atteggiamento di scetticismo nei riguardi delle credenze e dei modelli del passato e un nuovo spirito con una sua fede. Del Noce, individuando nella matrice scolastica della filosofia medievale il germe del cristianesimo rinascimentale, sembra che rovesci questa posizione storiografica, sostenendo, probabilmente, non la teoria della frattura, bensí quella della continuità fra le due epoche. Mentre, agli occhi di Gentile, l’Umanesimo si richiama alla primitiva purezza del concetto cristiano di spirito, entro il quale si scandisce la realtà, a giudizio di Del Noce, il Rinascimento è un secolo, sí, cristiano, ma in cui sono presenti tracce e forme di ateismo concepito come un’interpretazione del cristianesimo in chiave pagana e nel quale si manifesta la continuità di esperienze religiose maturate nel Medioevo.
Egli, muovendo dall’idea di collegare e di porre in relazione il Rinascimento al Risorgimento, identifica la renascentia con la decadenza, della quale la figura dell’uomo dotto è l’espressione, e definisce il Risorgimento come l’età in cui il pensiero italiano trionfa, pur sottolineando, che l’immagine del letterato rinascimentale, nella quale si riflette una grande crisi, non è riducibile ai concetti di “frivolezza retorica, spirito servile e cortigiano che il termine sembra evocare”(72).
Soffermandosi e riscoprendo i temi essenziali dell’età moderna, egli non individua le sue origini nell’Umanesimo, giacché, mentre la modernità rompe con il passato, l’Umanesimo si incontra e dialoga con esso. Gentile aveva definito il Rinascimento preludio all’epoca moderna. Del Noce, forse, allude ad una vera e propria frattura epocale, ad una cesura fra la cultura rinascimentale e quella moderna e, probabilmente, si fa promotore della continuità fra Medioevo ed età moderna, sulla scia di quanti, come Sarton, o Bruno Nardi, avevano sostenuto di “saltare a piè pari il periodo umanistico”, se si vuole comprendere la genesi del pensiero moderno(73).
Si può dedurre, che in queste contrapposizioni volte a rintracciare elementi di religiosità o di irreligiosità nel Rinascimento, a considerarlo erede della tradizione medievale, a porre in luce posizioni speculative piú o meno originali, a ritenere l’uomo come parte della natura e ribelle dinanzi ad essa, a negare il contributo da esso arrecato alla genesi del pensiero moderno, a ricondurre gli sviluppi della cultura del XVI secolo al Risorgimento, sono venuti a convergere i temi della polemica delnociana e si è definita la sua visione critica del Rinascimento. I secoli XV e XVI sono secoli di decadenza e di profonde crisi, nei quali il pensiero italiano volge al suo tramonto, per, poi, risorgere in età moderna.
Il giudizio elaborato nel corso di vari secoli di critica in questo campo di studi è, ormai, maturo e consente di fare un “bilancio”, sottolineando che anche l’interpretazione delnociana ha contribuito a far maturare quel “senso storiografico” sul Rinascimento e al consolidarsi di talune prospettive, con le quali, comunque, bisogna fare i conti, per comprendere i termini di questa querelle.
Un radicale rinnovamento agli studi sulla cultura rinascimentale è stato recato da Eugenio Garin, il quale, collocandosi “al di là dell’interpretazione idealistica”(74), con la sua indagine scaltrita sul carattere filosofico dell’Umanesimo ha dominato e domina tuttora il panorama della storiografia moderna e contemporanea(75). Egli, innanzitutto, prende le distanze dalla prospettiva storiografica di Gentile e in generale dall’idea dominante di chi scorgeva in questa età “precorrimenti” o anticipazioni nella storia della filosofia italiana; dalla contrapposizione, ormai, convenzionale fra Medioevo ed età moderna, che aveva influenzato ed inciso, in modo cosí negativo, sulla comprensione del pensiero del Rinascimento; dalle posizioni classiche che tendevano ad individuare rispettivamente nelle due epoche il carattere della trascendenza e dell’immanenza(76). La sua nutrita riflessione, fondandosi su un’attenta e rigorosa esplorazione dei testi e delle fonti, si connota per il notevole equilibrio critico, per il vigore di massima intransigenza nei riguardi di apparati categoriali, di strutture pregiudiziali, di posizioni prive di fondamento oggettivo, di schemi precostituiti, nonché per la grande lezione di metodo rintracciabile nei criteri filologici e storici da lui adottati e suggeriti. Rimeditando sulla storia del pensiero dei secoli XV e XVI, Garin ricostruisce con lucidità i processi storici e le matrici culturali dell’epoca, rivaluta molte figure di pensatori e di filosofi negletti dalla critica storiografica precedente, riconosce nell’acquisizione della coscienza storica la vera radice dell’età moderna. La natura della “nuova” filosofia risiede, per Garin, nella compresenza di varie esperienze intellettuali, di tendenze e concezioni filosofiche differenti, nella convivenza di matrici culturali assai diverse. La storia di quei secoli si potrebbe definire come un grande mosaico di idee caratterizzato da varie tonalità.
Testimoniano l’eccezionale ricchezza e originalità della sua interpretazione i numerosi studi, che egli dedica al pensiero filosofico di quei secoli, la circolazione nazionale ed europea delle sue concezioni storiografiche, la loro validità storico-critica, attualità e modernità, la fortuna delle sue opere, a distanza di oltre mezzo secolo, nonché le loro innumerevoli riedizioni e ristampe.
Nel solco di tale tradizione storiografica si muove Cesare Vasoli, erede e allievo di Garin, il quale si fa promotore della lezione del suo maestro, arricchendola ed apportando un contributo significativo agli sviluppi della recente storiografia(77). La Renascentia, per lo studioso, è sinonimo di tensioni, di aporie, di conflittualità, di contraddizioni tipiche di quel tempo, sicché, come egli sottolinea, in uno dei suoi pregevoli e recenti studi, essa non produce una “generica filosofia”, bensí le “filosofie”(78). Si tratta di un’epoca assai ricca e sfaccettata, caratterizzata da una poliedricità di aspetti, concepita come sintesi di vari conflitti, che producono molteplici e fecondi orientamenti e proprio sul terreno lastricato da ambivalenze e da contraddizioni si fonda e si sviluppa la “civiltà moderna dell’Occidente”(79). In ciò consiste l’originalità e la fecondità del pensiero del Rinascimento, nel quale, osserva lo studioso, “tra crisi e conflitti di ogni genere, avvenne uno straordinario mutamento nell’esistenza e nella coscienza umana, e iniziò la vita del “mondo moderno”, che, nonostante tutti i pronostici sul suo “tramonto”, ancora continua”(80). Non si può, altrimenti, comprendere lo spirito della cultura rinascimentale, se si sottovaluta, afferma Vasoli, che in quell’epoca coesistono “concezioni della realtà, del sapere e dell’operare umano” che apparentemente sembrano inconciliabili, “ma che allora si influenzarono reciprocamente, producendo idee e atteggiamenti intellettuali non sempre facilmente decifrabili, ma comunque ben diversi da quelli descritti o stigmatizzati a lungo da giudizi storiografici”(81).
Questa revisione della storiografia moderna, della quale, come è stato già sottolineato, è precursore Garin, e che viene corroborata e sostenuta da Vasoli, pur tra polemiche e dibattiti, non può non trovare, ormai, che il pieno consenso da parte degli studiosi, avendo sgombrato il terreno dai condizionamenti ideologici e categoriali. La discussione sul Rinascimento va considerata con cautela, evitando di incorrere in critiche distruttive, senza indulgere a schemi precostituiti, privilegiando l’originalità e la molteplicità della riflessione filosofica. La sua valenza storica risiede proprio nella diversità di approccio ai problemi, nella varietà delle dottrine, che riflettono la molteplicità delle tendenze, nella ricchezza della produzione filosofica, nella confluenza e convergenza di diversi filoni, nella compresenza e convivenza di metodi differenti, in un’istanza pluralistica(82). La lezione di Vasoli ci invita a modificare le nostre valutazioni storico-critiche, disfacendoci dei pregiudizi e delle etichette, che vincolano e deformano il nostro giudizio.
Chi volesse rintracciare un pensiero unico, classificare in modo univoco il Rinascimento, individuare un paradigma, un modello di “scuola”, ravvisare nella filosofia della Rinascenza un’unità sistematica, ricercare un solo metodo, ridurre ad un quadro interpretativo assoluto questa età, in cui una sola filosofia diventa la sua espressione, elude un problema e si aggroviglia fra apparati categoriali e falsi pregiudizi che, sovente, condizionano ed inficiano la comprensione di questo movimento del pensiero.
Che, è, poi, la lettura gentiliana-delnociana, che scaturisce dagli schemi storiografici accolti dal tempo, quelli di matrice idealistica e quelli d’impronta cattolica. Sicché, se si ripercorre e si rilegge l’interpretazione di Del Noce entro questi paradigmi, essa ha una sua valenza storica, perché arricchisce l’orizzonte storiografico ed aiuta a comprendere la genesi del pensiero moderno e il contesto entro il quale matura la filosofia del XX secolo, pur, sempre, riconoscendo, che si tratta di una prospettiva fortemente condizionata dall’ideologia dominante e che deve essere contestualizzata in quel preciso momento storico.
I concetti, che avevano contribuito ad una classificazione della cultura del Rinascimento e avevano generato la “crisi”, tramontano ed orientano l’indagine verso un’interpretazione storiografica ben definita, l’idea che il Rinascimento, come afferma lo studioso Bouwsma, è un’epoca tutt’altro che compatta, con un suo declino ed una sua fine, che le grandi figure esprimono questi dissidi e ambiguità e che esso va considerato nel contesto generale del pensiero europeo, non esclusivamente di quello della realtà nazionale. È degno di rilievo il suo contributo recato alla riflessione sulla ricerca storiografica di quest’epoca e raccolto nel volume, L’autunno del Rinascimento(83), che, ricalcando, quasi fedelmente, il titolo dell’opera di Huizinga, Autunno del Medioevo(84), risponde all’esigenza di sottolineare, in contrapposizione al “tramonto del Medioevo”, i conflitti e le contraddizioni, che albergano nella cultura rinascimentale e di porre attenzione non tanto alla genesi e agli inizi del periodo in questione, quanto al suo tramonto. L’autore, considerando lo sviluppo del pensiero del XVI secolo nell’àmbito del panorama culturale europeo ed esprimendo, attraverso lo studio delle personalità piú illustri ed originali dell’epoca, le irrequietezze e le controversie, che si agitano in quest’età, si fa portavoce del cambiamento della prospettiva storiografica, svecchiando e rinnovando le concezioni precedenti. La griglia interpretativa, per mezzo della quale giudicare la storia del pensiero rinascimentale, è un’idea di complessità e di profonde contraddizioni. I suoi stessi personaggi testimoniano questi contrasti, le ansie, i dubbi, i problemi e, come osserva lo storico, “il fatto che quasi tutti mancassero di trasparenza è forse una delle chiavi che ci permetteranno di giudicare i risultati culturali dell’epoca”(85).
In definitiva, si può concludere, che dal punto di vista storiografico la posizione delnociana sul Rinascimento è sicuramente superata rispetto ai prossimi sviluppi della storiografia in questo campo di studi, e presenta qualche limite generato dall’aver sottovalutato le prospettive interpretative a lui contemporanee, quelle di Garin o di Vasoli. Egli ignora la ricchezza e la molteplicità di istanze, la compresenza di vecchie tradizioni, che si consolidano o si rinnovano, e di nuovi e originali atteggiamenti, che si sviluppano e dànno origine alle filosofie del Rinascimento. La lettura, che ne scaturisce, si inserisce nel solco di una tradizione, ormai obsoleta, tesa a ricuperare vecchie categorie storiografiche, che intravedono nel Rinascimento la frattura o, come sostiene Del Noce, la continuità con il Medioevo, o anticipazioni e precorrimenti dell’età moderna, o, perfino, secondo il giudizio del filosofo pistoiese, il “salto” epocale fra età medievale ed età moderna.
Né tanto meno può essere accolta l’idea di una filosofia avente caratteri tipicamente italiani, che si differenzia da quella degli altri paesi europei(86). E ciò viene sottolineato molto chiaramente da Pietro Rossi, il quale, nel ricostruire i percorsi della storiografia filosofica, guarda alla cultura europea in generale e non alle “singole culture nazionali”(87), essendo, quasi, venuta meno l’idea di stato nazionale ed affermandosi il carattere sopranazionale.
Un merito ascrivibile a Del Noce consiste nell’aver colto con profondità il nesso fra Rinascimento e Risorgimento, senza dimenticare, osserva Rossi, che questo giudizio si colloca nel solco della tradizione della Storia della letteratura italiana perseguita da De Sanctis e che può essere spiegato e giustificato, inserendo il pensiero italiano in un contesto piú ampio, che è quello europeo, se, soprattutto, ad esso si vuole riconoscere il primato(88).
Che la revisione critica di Del Noce non sia piú attuale, che, per comprenderne i pregi, bisogna tenere conto della categoria del superamento, è superfluo anche ricordarlo, che, però, abbia stimolato e sia stata sprone ad orientare la ricerca in una nuova direzione, nonché ad ampliare l’orizzonte della critica rinascimentale è un dato altrettanto certo, giacché si deve riconoscere che la recente interpretazione storiografica è sempre debitrice nei confronti della querelle dei secoli precedenti.
Non si deve, tuttavia, dimenticare, che dietro queste posizioni ed inclinazioni è sotteso un grande dibattito ideologico, le cui implicazioni non consentivano di valutare e comprendere la storia del pensiero filosofico italiano con la stessa serenità olimpica di un Garin o di un Vasoli. Ciò costituisce il nucleo centrale della questione e il concetto, sul quale occorre riflettere e confrontarsi, per inquadrare e comprendere nella giusta prospettiva il pensiero di Del Noce a confronto con Gentile e la sua interpretazione del Rinascimento, al fine di porre in luce le peculiarità e i pregi, se effettivamente ci sono, della sua visione critica!
NOTE
(1) Cfr. g. m. pozzo, Augusto Del Noce di fronte a Giovanni Gentile, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il pensiero filosofico, a cura di D. Castellano, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, 1992, pp.275-83; inoltre, si tenga presente il contributo critico di v. possenti, Giovanni Gentile nell’interpretazione di A. Del Noce, in “Studium”, XC (1994), pp. 517-32.
(2) Cfr. a. del noce, Giovanni Gentile. Per un’interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1990.
(3) Ivi, p.145.
(4) Ibidem.
(5) P. O. Kristeller, La tradizione classica nel pensiero del Rinascimento, Firenze, La Nuova Italia, 1965, p. 87.
(6) Ibidem
(7) Cfr. a. del noce, Il problema dell’ateismo [1964], Bologna, Il Mulino, 1970.
(8) p. rossi, Il mito della tradizione filosofica italiana e la sua dissoluzione, in AA.VV., Antonio Corsano e la storiografia filosofica del Novecento, Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano 24-25 settembre 1999, a cura di G. Papuli, Galatina, Congedo, 1999, pp.19-41:19.
(9) Sulla tradizione della antiquissima italorum sapientia e sulle origini del “mito” si consulti p. casini, L’antica sapienza italica. Cronistoria di un mito, Bologna, Il Mulino, 1998.
(10) Cfr. p. rossi, Il mito della tradizione filosofica italiana e la sua dissoluzione, cit., p.24.
(11) Cfr. Ivi, p.28.
(12) Cfr. a. mina, Augusto Del Noce e l’incontro con Cartesio, in “Filosofia”, LII (2001), pp.3-34.
(13) Cfr. a. mina, Augusto Del Noce e l’incontro con Malebranche, in “Annuario filosofico”, XIV (1998), pp. 397-448.
(14) Cfr. p. rossi, Il mito della tradizione filosofica italiana e la sua dissoluzione, cit., p. 28; si rinvia, inoltre, al volume di a. del noce, Giovanni Gentile…, cit.
(15) Cfr. g. dessì, Augusto Del Noce e la modernità. Il momento genetico della riflessione delnociana, in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, 1992, pp.333-41.
(16) Cfr. v. possenti, Metafisica e modernità in Augusto Del Noce, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il pensiero filosofico cit., pp.45-72.
(17) Sull’argomento si consulti a. del noce, Spiritualità cartesiana e Machiavellismo, in Umanesimo e Scienza Politica, “Atti del I Congresso Internazionale di Studi Umanistici”, Milano, Marzorati, 1951, pp.106-28.
(18) Cfr. a. del noce, Il problema dell’ateismo …, cit. p.432.
(19) c. cesa, Augusto Del Noce e il pensiero moderno, in “Giornale critico della filosofia italiana”, LXXII (1993), pp.185-211:194.
(20) Cfr. g. de rosa, Augusto Del Noce e la storia dell’ateismo, in “Humanitas”, I(1996), pp.39-51.
(21) Sull’argomento si consulti v. possenti, Ateismo, filosofia e cristianesimo in AA.VV., Augusto Del Noce. Il problema della modernità, Roma, Edizioni Studium, 1995, pp.73-94.
(22) a. del noce, Il problema dell’ateismo, cit., p.14.
(23) Cfr. Ibidem
(24) Cfr. Ivi, p.18.
(25) Ivi, p.28.
(26) Cfr. Ivi, p.347.
(27) Ivi, p.28.
(28) Ivi, p.64.
(29) Ivi, p.346.
(30) Per un’analisi delle riflessioni delnociane sulle dottrine teologiche medievali ed, in particolare, su quelle del tomismo si rinvia al saggio di a. poppi, Augusto Del Noce e il tomismo, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il pensiero filosofico, cit., pp.73-82.
(31) a. del noce, Il problema dell’ateismo, cit., p.346.
(32) a. del noce, Giovanni Gentile …, cit. p.145.
(33) g. gentile, Il pensiero italiano del Rinascimento, Firenze, Sansoni, 19674, pp.17-45:34.
(34) Ibidem.
(35) Ivi, p.33.
(36) Ibidem
(37) Sulle riflessioni delnociane su Giovanni Gentile cfr. a. marchesi, Attualismo gentiliano, modernismo e metafisica classica nella riflessione di Augusto Del Noce, in AA.VV., Filosofia, dialogo, amicizia. Studi in memoria di D. Faucci, a cura di A. Scivoletto, Milano, Franco Angeli, 1998, pp.294-311.
(38) Frutto di una serie di contributi apparsi, a piú riprese, fra il ’64 e il ‘69 sul “Giornale critico della filosofia italiana”, tale saggio pubblicato soltanto negli anni ’90, quando sono, ormai, mature le condizioni per le quali è possibile parlare di fascismo come temperie politica e culturale priva della vis che lo aveva caratterizzato, ci propone la figura di Gentile quale filosofo, “riformatore religioso e politico” insieme. Egli, guardando al divenire della storia e all’analisi dei fenomeni, ne coglie i tratti simbolici, i contesti, non isolandosi e astraendosi dalle vicende politiche del tempo, bensí tessendo una fitta trama di relazioni fra il momento dell’agire, del poiéin e quello della prassi, del prattein. Del Noce intravede in Gentile il riformatore religioso e politico, nei disegni del quale si evidenziava costantemente l’esigenza di unificazione delle culture delle regioni italiane e la necessità di proseguire l’attività promossa dal Risorgimento. In tal senso la lettura delnociana di Gentile è originale ed innovativa e, aprendo nuovi orizzonti, postula nuovi sviluppi nella storia del pensiero filosofico italiano. Cfr. a. del noce, Giovanni Gentile …, cit.
(39) Ivi, p.130.
(40) Sull’argomento cfr. anche a. del noce, L’idea di Risorgimento come categoria filosofica in Giovanni Gentile, “Giornale critico della filosofia italiana”, XLVII (1968), pp.163-215.
(41) Cfr. c. vasale, “Riforma cattolica” e “restaurazione creatrice”, in AA.VV., Augusto Del Noce. Essenze filosofiche e attualità storica, a c. di F. Mercadante-V. Lattanzi, vol. II, Spes-Fondazione Capograssi, Roma 2001, pp.913-20.
(42) Sul concetto di Risorgimento in Augusto Del Noce si consulti il contributo di p. armellini, L’idea di Risorgimento in Augusto Del Noce, in “jArchv”, V(2003-04), pp.15-57, il quale, oltre ad essere autore di vari saggi su questo pensatore, ha anche curato un’ampia rassegna bibliografica degli scritti di e su Augusto Del Noce.
(43) a. del noce, Giovanni Gentile …, cit., p.144.
(44) Cfr. j. burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia [1860], Roma, Newton Compton, 2000.
(45) È noto che Gentile dedica alla cultura del Rinascimento i volumi della Storia della filosofia italiana sino al Valla, opera rimasta incompiuta e interrotta con il capitolo su Lorenzo Valla. In tale prospettiva di studi si inseriscono anche le altre opere gentiliane sul Rinascimento, quali Il pensiero italiano del Rinascimento, Giordano Bruno nella storia della cultura, i saggi su Il carattere dell’Umanesimo e del Rinascimento, Studi sul Rinascimento ed altri contributi su alcuni filosofi del XVI secolo.
(46) Cfr. v. possenti, Giovanni Gentile nell’interpretazione di A. Del Noce, in “Studium”, XC (1994), pp.517-32.
(47) g. gentile, Il pensiero italiano …, cit., pp.6-7.
(48) Sul problema e sul concetto di libertà si consulti AA.VV., Augusto Del Noce e la libertà. Incontri filosofici, a cura di C. Vasale e G. Dessì, Torino, Società Editrice Internazionale, 1996 ed, in particolare, sui concetti di filosofia della libertà e filosofia dello spirito si tenga presente lo studio di c. vasale, Augusto Del Noce: una “filosofia della libertà e dello spirito”, in AA.VV., Augusto Del Noce e la libertà …, cit., pp.3-25.
(49) g. gentile, Il pensiero italiano …, cit., p.18.
(50) a. del noce, Giovanni Gentile …., cit., p.145.
(51) g. gentile, Il pensiero italiano …, cit., p.26.
(52) a. del noce, Giovanni Gentile …, cit., p.145.
(53) g. gentile, Il pensiero italiano …, cit., p.435.
(54) a. del noce, Giovanni Gentile …, cit., p.146.
(55) Ibidem
(56) Ivi, p.147.
(57) Ibidem.
(58) Ivi, p.148.
(59) Ibidem
(60) Cfr. j. burckhardt, La civiltà del Rinascimento …, cit.
(61) a. del noce, Giovanni Gentile …, cit., p.148.
(62) Si osserva come anche Del Noce, per spiegare l’origine dell’ateismo, accosti Spinoza a Bruno e ponga in risalto la loro identità per quel che riguarda l’interpretazione e la natura del peccato. Egli confronta la concezione bruniana del peccato, secondo la quale la caduta dell’uomo è necessaria, perché, afferma l’autore, la sua moralità “non è innocenza, ma conoscenza del bene e del male”, con il pensiero di Spinoza, per il quale il peccato non esiste, perché ammettendo l’esistenza di Dio causa di tutto, bisogna escludere il peccato. Cfr. a. del noce, Il problema dell’ateismo, cit., pp.24-25.
(63) a. del noce, Giovanni Gentile …, cit p.149.
(64) Ivi, p.150.
(65) g. gentile, Il pensiero italiano …, cit., p.303.
(66) a. del noce, Giovanni Gentile …, cit., p.151.
(67) Ibidem
(68) Ibidem.
(69) Cfr. Ivi, p.152n.
(70) p. rossi, Il mito della tradizione filosofica italiana e la sua dissoluzione, cit., pp.19-41.
(71) Ivi, p.27.
(72) a. del noce, Giovanni Gentile …, cit., p.148.
(73) b. nardi, Il problema della verità. Soggetto e oggetto del conoscere nella filosofia antica e medievale, Roma, Universale di Roma, 1951, pp. 58-59.
(74) Cfr. p. rossi, Il mito della tradizione filosofica italiana e la sua dissoluzione, cit., p. 27. In questo contributo Rossi dedica alcune pagine alle posizioni storiografiche di Garin, ponendo in risalto l’attenzione di Garin nei riguardi di una visione complessiva della filosofia italiana, evidenziando i pregi e le peculiarità delle sue concezioni nel campo degli studi umanistici, ma nel contempo, criticando la sua tesi “della continuità tra cultura umanistica e Illuminismo” (Ivi, pp. 33-39).
(75) Si ricordano qui soltanto alcuni fra gli studi piú significativi dell’intensa e copiosa attività storiografica di Garin sulla cultura rinascimentale: e. garin, Giovanni Pico della Mirandola. Vita e dottrine, Firenze, Le Monnier, 1937; Il Rinascimento italiano, Milano, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1941; AA.VV., Filosofi italiani del ‘400 (a cura di E. Garin), Firenze, Le Monnier, 1942; L’Umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento, Bari, Laterza, 1952; Medioevo e Rinascimento, Bari, Laterza, 1954; La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze, Sansoni, 1961; Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Bari, Laterza, 1965; L’età nuova. Ricerche di storia della cultura dal XII al XVI secolo, Napoli, Morano, 1969; Dal Rinascimento all’Illuminismo. Studi e ricerche, Pisa, Nistri-Lischi, 1970; Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Bari, Laterza, 1975; Lo zodiaco della vita. La polemica sull’astrologia dal Trecento al Cinquecento, Roma-Bari, Laterza, 1976; AA.VV., L’uomo del Rinascimento, a c. di E. Garin, Roma-Bari, Laterza, 1997.
(76) È opportuno sottolineare che Garin nel 1947 pubblica presso Vallardi La filosofia in due volumi intitolati rispettivamente Dal Medioevo all’Umanesimo e dal Rinascimento al Risorgimento, che si collocano in diretta continuità di tradizione con la storia della filosofia di Gentile interrotta col capitolo su Lorenzo Valla. In essi lo storico fonda la sua interpretazione su premesse differenti da quelle della visione gentiliana. L’opera completa è stata, poi, ripubblicata in tre volumi sotto il titolo di Storia della filosofia italiana, Torino, Einaudi, 1966.
(77) Su una sintetica ed aggiornata ricostruzione del dibattito storiografico intercorso fra gli studiosi e sulla genesi del Rinascimento, nonché sulle tendenze critiche piú accreditate cfr. c. vasoli, Il Rinascimento tra mito e realtà storica, in AA.VV., Le filosofie del Rinascimento, a cura di P. C. Pissavino, Milano, Mondadori, 2002, pp.3-25.
(78) c. vasoli, Introduzione a AA.VV., Le filosofie del Rinascimento, cit., p.XVI.
(79) Ibidem.
(80) c. vasoli, Il Rinascimento tra mito e realtà storica, cit., p.25.
(81) c. vasoli, Le tradizioni magiche ed esoteriche nel Quattrocento, in AA.VV., Le filosofie del Rinascimento, cit., pp.133-53:33.
(82) Sugli aspetti e sulle problematiche della filosofia rinascimentale offre un quadro d’insieme, nonché un’efficace sintesi, il volume di AA.VV., La filosofia del Rinascimento, a c. di G. Ernst, Roma, Carocci, 2003, il quale passa in rassegna le numerose “correnti” del XV e del XVI secolo e si sofferma sui maggiori pensatori dell’epoca.
(83) Cfr. w. j. bouwsma, L’autunno del Rinascimento (1550-1640), Bologna, Il Mulino, 2003.
(84) Cfr. j. huizinga, L’Autunno del Medioevo [1919], Roma, Newton Compton, 1992.
(85) w. j. bouwsma, L’autunno del Rinascimento, cit. p.17.
(86) Cfr. p. rossi, Il mito della tradizione filosofica italiana e la sua dissoluzione, cit., p.39.
(87) Ivi, p.41.
(88) Sull’interpretazione di Gentile elaborata da Del Noce si rinvia alla lettura del contributo critico di p. rossi, Gentile secondo Augusto Del Noce, in “Rivista di filosofia”, LXXXII (1991), pp.151-59:156.