GUIDO JUNG, IMPRENDITORE: MINISTRO, EBREO FASCISTA* di Elisa Giuntini – N. 23 Dicembre 2004

GUIDO JUNG, IMPRENDITORE: MINISTRO, EBREO FASCISTA* di Elisa Giuntini – N. 23 Dicembre 2004

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I. Dal periodo giolittiano alla prima guerra mondiale

Un commerciante di grande talento nella Palermo Liberty – Delle molte opere consultate come supporto all’argomento scelto, inerenti al periodo oggetto della mia indagine, poche parlano di Jung e peraltro in maniera marginale e poco esauriente.

Il motivo per cui non esiste una ricostruzione generale ed esaustiva dell’attività del nostro soggetto, a mio avviso, risiede nel fatto, per un verso, che alcuni documenti sono conservati in diversi Archivi distribuiti tra Roma, Parma e Milano, e ciò non consente un’agevole e immediata consultazione; per altri versi da non sottovalutare è l’impossibilità di penetrare nell’archivio privato di Palermo degli eredi Jung, che, probabilmente, sarebbe fonte inesauribile di notizie e documenti; per altri ancora il carattere del personaggio che, apparentemente schivo da ogni eccentricità, lo porta ad operare con diligenza e con grande impegno, ma lontano dai riflettori della popolarità.

La sua personalità potrebbe essere accostata, per certi versi, a quella di Alberto Beneduce e di Enrico Cuccia, entrambi riservati e schivi alla sua stessa stregua e non è un caso, infatti, che ad entrambi egli fosse molto legato sia per rapporti d’amicizia profonda che di lavoro.

L’importanza di mettere in luce la sua personalità e le sue capacità commerciali, economiche e finanziarie riconosciutegli, più tardi, anche a livello nazionale e internazionale è determinato dal fatto che con la sua attività commerciale locale Jung, assieme alla sua famiglia, riuscì a dare un grande contributo all’economia palermitana, assieme ad altri colossi dell’economia locale come ad esempio: i Florio, i Whitaker, i Tagliavia, i Lauria, ecc.

D’altronde Palermo in quegli anni si avviava verso l’apertura ad un’economia a sistema capitalistico grazie all’intraprendenza di piccoli imprenditori e di artigiani in espansione e grazie anche all’introduzione, più tardi, di capitali stranieri a sostentamento dell’economia siciliana.

Ed è in questo panorama economico così fiorente che Guido Jung trova posto nell’alta società palermitana.

Raramente, infatti, agli appuntamenti mondani della haute palermitana partecipavano esponenti di altri ceti sociali, ma in quel clima di belle époque il cavaliere Guido Jung, futuro ministro fascista, era ben accolto nei salotti nobiliari palermitani.

Definito da Liliana Sammarco, nel suo saggio Economia ed estetica nella Palermo liberty, una figura di carattere mitteleuropeo e simbolo di quell’atmosfera dominante negli anni Venti, Jung fu un personaggio di spicco nella vita della città(1).

Ancora la Sammarco nel suo saggio riporta il profilo singolare che Giovanni Malagodi tracciò del suo grande amico Jung:

risiedeva, scapolo già avanti negli anni, a Palermo con la vecchissima arzilla madre. Presiedeva a Roma quell’Istituto per il Commercio Estero […](2). Jung, [a livello descrittivo], era roseo, coi capelli bianchi e gli occhi blu porcellana. Vestiva di solito calzoni scuri a righe, giacca nera, gilet nero orlato di piche bianco (deve essere stato l’ultimo europeo a portarlo così). Di origine ebreo-tedesca, era un appassionato patriota, anzi nazionalista italiano. Si era guadagnato una medaglia d’argento negli anni ’15-’18. Un’altra se ne doveva guadagnare in Etiopia dove andò volontario e non giovane, dopo avere preso il brevetto d’aviatore e dopo che Mussolini l’ebbe tolto dalle Finanze […] per rendere più agevole quella gestione meno ortodossa che la guerra richiedeva. Le sue amicizie erano soprattutto nell’ambiente economico triestino e confortavano la sua sincera e magari un po’ ingenua fede nella logica dell’economia di mercato.(3)

Attraverso Jung, il giovane figlioccio Enrico Cuccia, suo pupillo, sarà in grado di iniziare, con spirito innovativo, una splendida carriera diplomatica che lo vedrà fondatore dell’unica vera banca d’affari in Italia, Mediobanca, in grado di condizionare le vicende dell’economia e della finanza italiana, con la capacità di garantire la stabilità del sistema. E’ proprio Guido Jung a suggerire a papà Beniamino Cuccia e alla consorte Aurea Ragusa […], di trasferirsi in Roma-Capitale, agevolandolo nell’assunzione al Ministero delle finanze. Per questa coincidenza che si rivelerà propizia, Enrico viene alla luce a Roma anziché a Palermo. Con un padrino illustre come Jung. Fu infatti la diplomazia internazionale di Jung a favorire a Cuccia la possibilità di introdursi, anzitempo, ai vertici della borghesia di Stato romana,[…](4).

La sua famiglia, israelita ed emigrata da due generazioni dal Baden, proveniente da Milano, si insediò a Palermo sul finire del secolo XIX, dove riuscì ad inserirsi senza troppe difficoltà nelle maglie della società locale.

Il padre, Mario, fondò l’azienda di famiglia sita al civico n° 5 nell’antica via Alloro(5), negli anni postunitari, la cui attività principale era quella della produzione ed esportazione di frutta secca (mandorle e nocciole soprattutto), essenze agrumi e sommacco e fungeva anche da banco privato(6).

Nello stesso torno di tempo, altre famiglie straniere provenienti dall’Europa centrale si trasferirono a Palermo; citiamo i nomi più noti: Whitaker, Ingham, Sternheim, Ahrens, Ducrot, Caflish, Helg, per lo più inglesi e tedesche, che ormai sono parte integrante della storia di Palermo e anch’esse, con le loro industrie, contribuirono notevolmente ad accrescere l’economia locale.

E’ in questo contesto che Guido Jung venne alla luce. Egli nacque a Palermo il 2 febbraio 1876, probabilmente il primo di quattro fratelli, Ugo, Mario, Aldo, dal padre Mario e dalla madre Natalia Randagger di origine triestina(7). I fratelli di Guido, oltre che collaborare, come vedremo, nell’impresa familiare, si distinsero per il loro coraggio durante la prima guerra mondiale, tanto da essere insigniti con medaglie al valore militare.

Appartenente a famiglia benestante, della categoria degli industriali, Guido si fece presto notare per le sue attitudini al commercio e all’economia e per il suo carattere risoluto e intraprendente.

Infatti, poco prima dello scoppio del primo conflitto Guido si occupò dell’azienda di famiglia, divenendo capo della ditta Fratelli Jung, attività che esercitò congiuntamente ai fratelli, ma in particolar modo ad Ugo, col quale condivise, già nel 1899, associandosi ad altre ditte cittadine di esportatori, l’esperienza di una società simile alla società dei Florio “Anglo Sicilian Sulphour Company”, avente anch’essa come scopo la commercializzazione degli zolfi.

Anche più tardi, nel 1913, nel periodo del declino dei Florio(8), quando già avevano lasciato da alcuni anni la Ngi(9), Guido e Ugo, con un gruppo di commercianti ed esportatori (Pecoraino, Salvatore Tagliavia, Michele Lauria, etc.), costituirono in società con il Banco di Roma e la Piaggio, una nuova compagnia armatoriale chiamata “La Sicilia”, allo scopo di inserirsi nel circuito degli scambi internazionali(10).

Nel contesto economico cittadino, l’industria, degli Jung, come già detto, era una delle più affermate, specie per quanto riguarda la macinazione e l’esportazione del sommacco e degli agrumi, i due prodotti palermitani la cui esportazione aveva avuto il maggiore incremento e contribuiva non poco alla crescita complessiva della società locale.

Poche ditte detenevano il monopolio della commercializzazione di questi due prodotti e tra queste spiccava quella dei fratelli Jung e poi ancora, i Tagliavia, i Guttadauro, Michele Pojero Jr., Giovanni Sansone, O. Sternheim, ecc(11).

Il fermento sociale dopo la caduta di Crispi – Guido Jung, nonostante si occupasse di commercio e di esportazioni non poteva rimanere indifferente alle vicende politiche nazionali del suo tempo, anche perché, queste ultime, avevano inesorabilmente un’influenza sui rapporti commerciali della città.

Il declino politico di Crispi e Rudinì privava Palermo di due importanti punti di riferimento e la collocava ancora una volta all’opposizione antigovernativa.

Tutto ciò non poteva lasciare indifferente neanche Ignazio Florio, che già avvertiva i segni di un mutato atteggiamento del governo nei suoi confronti.

Fu in questo clima che prende corpo il “progetto Sicilia” ad opera dei Florio, avente come scopo quello di tutelare gli interessi agrari e industriali dell’isola e del Meridione, aggregando imprenditori e proprietari terrieri intorno a un programma meridionalistico, capace di promuovere sia lo sviluppo di una agricoltura moderna e di un’efficiente flotta peschereccia, premesse indispensabili per la creazione di industrie di trasformazione, sia per il rilancio dell’industria mineraria dello zolfo.

Nel contesto del “progetto Sicilia”, nel 1899, si inserì la creazione di quella società fondata da Guido e Ugo Jung (1913) e da altri esportatori palermitani, per l’esportazione dello zolfo, la nascita del quotidiano “L’Ora”, fondato dai Florio, con il “proposito della difesa continua e organica degli interessi del Mezzogiorno e della Sicilia”, e in seguito la collaborazione di Florio con Sidney Sonnino contro il giolittismo(12) che scatenarono importanti dinamiche politico-sociali.

Negli anni dell’età giolittiana, Palermo era attraversata da un profondo fermento politico, culturale ed economico.

In questo clima di cambiamenti politici, Jung, come già detto, non poteva rimanere, certo, indifferente, ancor di più perché appartenente alla categoria degli industriali e commercianti, nei quali cresceva un sentimento di sdegno nei confronti del Governo nazionale, colpevole di avere tradito le aspettative del popolo, e la sua vicinanza a Giovanni Gentile, a Giovani Borgese e ai Florio, danno una prova della sua scelta politica in conformità al pensiero, comune a tanti giovani di quel tempo, e contrario alla politica aristocratica e latifondista usurpatrice dei diritti della nuova classe media del lavoro, delle professioni, della cultura, che cercava un suo ruolo autonomo e aspirava a divenire classe dirigente ed elemento di modernizzazione della società isolana(13).

Da ciò derivarono grandi scontri sociali e un clima politico arroventato, dal quale scaturì una stagione di scioperi e di proteste.

Sull’onda dello sciopero generale indetto dai lavoratori di Genova, nel 1901 gli operai del Cantiere navale di Palermo organizzarono uno sciopero che durò 10 giorni, il cui intento era quello di attirare l’attenzione del Governo sui problemi delle industrie cittadine(14), ma il sistema giolittiano era così intriso di corruzione che non riusciva a muoversi al di là dei suoi limiti tanto stretti da deteriorare anche quegli aspetti più nuovi e progressisti dell’esperienza giolittiana.

Nel frattempo, Guido Jung, nel marzo 1906, che aveva dato prova della sua competenza nel settore economico, già Censore della Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele per le Provincie Siciliane e contemporaneamente Commissario di Sconto della Banca d’Italia, venne nominato dal Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, “Cavaliere della Corona d’Italia”.

Il Prefetto di Palermo di quel tempo nella lettera “Riservata” al ministero proponente scrisse: “Il Sig. Guido Jung […] è persona di buona condotta politica e morale, appartiene ad agiata famiglia di commercianti; è colto e di buona educazione. Da Censore della Cassa di Risparmio V.E. disimpegna con zelo, con rettitudine e con competenza il suo compito. E lodevolmente compie anche l’ufficio di Commissario di Sconto della Banca d’Italia”(15).

Tale riconoscimento, che gli venne conferito in considerazione del suo impegno nel campo economico e politico gli consentì un rafforzamento della simpatia cittadina e conseguentemente la possibilità di farsi notare nel più ampio panorama nazionale.

L’annuncio della guerra libica e il nazionalismo – In quegli anni, gli animi dei giovani palermitani si erano accesi a causa dell’annuncio della conquista della Libia e, conseguentemente, dalla diffusione del nazionalismo che penetrò in Sicilia grazie all’azione divulgatrice del neonato giornale “L’Ora” fondato dai Florio nel 1901.

L’entusiasmo di questi giovani nazionalisti era dettato da un profondo desiderio di rinnovamento della politica nazionale e dal disprezzo per l’Italietta di Giolitti che rappresentava per quei giovani vogliosi di rinnovamento, un retaggio del vecchiume ottocentesco(16) e da un desiderio, inoltre, di portare a termine un progetto irrisolto: quello delle terre irredente.

Respirava quel clima Guido Jung, che sognava una Patria completamente unita, più forte e con una elevata credibilità estera, tanto da anelare una nazione promossa al rango di potenza alla pari di altre nazioni europee.

Possiamo, quindi, affermare che le sue idee trovano, palesemente, un elemento di continuità nelle ideologie di Crispi fondate, appunto, “sul concetto unitario, sul sentimento eroico della patria: vere forze motrici di grandezza e di civiltà”(17).

E’ da questo germe che nasce il nazionalismo: dal concetto di nazione, intesa come potenza capace di conquistare in guerra allo scopo di riunire l’intero corpo della nazione sotto un unico sforzo dimenticando le divisioni interne.

Con la nascita di questo nuovo irredentismo si rifondano a Palermo le sezioni di Trento e Trieste, della Corda Fratres, della Dante Alighieri(18), e proprio di quest’ultima, Jung fece parte del Consiglio Direttivo assieme a Carlo Cervello(19) negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale, col quale, successivamente, dal 1920 al 1924 condivise l’esperienza di consigliere comunale al comune di Palermo(20).

Tale associazione aveva, insieme alla “Corda Fratres” e alla “Trento e Trieste”, come scopo precipuo, quello di generare sotto la spinta delle idee dannunziane e del nazionalismo, un nuovo irredentismo di destra con il quale l’Italia doveva rivendicare e completare il processo risorgimentale rimasto irrisolto ormai da troppo tempo e per converso quello di arginare la spaventosa avanzata del pangermanesimo(21).

Fino a questo momento la figura di Jung, sebbene, egli, seguisse tutte le vicende politiche in maniera partecipe, appare appartata, ma non distaccata, infatti, non solo era pervaso dal fervore che animava ogni giovane nazionalista, ma condivideva in pieno sia le idee di Giovanni Borgese, suo fedele amico e sia l’entusiasmo generale all’impresa tripolina.

Jung, infatti, in linea con il sentimento imperante in quel momento storico, considerava la guerra libica come una guerra necessaria, necessaria per la continuazione del Risorgimento rimasto irrisolto e si faceva strada, in lui, anche la visione di una guerra vittoriosa che potesse elevare la nazione a potenza vincitrice e soprattutto colonialista.

Allo stesso modo, Borgese, collocava la vicenda della guerra di Libia nel più ampio scenario del rilancio della coscienza nazionale, la quale avrebbe dovuto avere come naturale sbocco la redenzione delle terre italiane ancora sotto il dominio asburgico e, l’importanza di questa guerra consisteva nel ridare onore e vitalità alla nazione, a dimostrazione che “siamo una razza forte, e che i nemici d’Italia debbono chinar la fronte dinanzi a noi(22)”.

In questo contesto si inserisce anche l’azione fondamentale che ebbe a Palermo la Biblioteca Filosofica: un’attività culturale piuttosto fervida della famosa Biblioteca permise la diffusione del pensiero di Giovanni Gentile fondatore dell’hegelismo attualistico, che a quel tempo si fondeva col sorelismo e lo spencerismo, e della quale faceva parte anche Jung, che con le sue idee molto aderenti a quelle del Gentile e con la sua esperienza in campo economico, contribuì a divulgare il verbo nazionalista e contemporaneamente ad animare il dibattito politico e filosofico insieme a parecchi pensatori italiani (i pedagogisti Giuseppe Lombardo Radice e Gino Ferretti, i filosofi Cosmo Guastella e Francesco Orestano, i matematici Gaetano Scorza e Corradino Mineo, lo storico Gaetano Mario Colomba, il letterato G.A. Cesareo, il romanista S. Riccobono) e parecchi stranieri chiamati al cenacolo della Biblioteca a presentare i risultati delle loro ricerche, pubblicate successivamente sull’”Annuario”.(23)

L’annuncio dell’avvenuta dichiarazione di guerra alla Turchia il 29 settembre, levò in tutta l’isola un ondata di entusiasmo. La conquista di Tripoli, per i siciliani di tutti gli orientamenti culturali e politici, anche per i socialisti, non solo sanava la beffa di Tunisi, ma offriva l’opportunità, in prospettiva, di trovare sbocchi occupazionali ai braccianti destinati ad alimentare i notevoli flussi emigratori transoceanici e nuovi mercati per le imprese siciliane che avevano conosciuto un rapido declino, sia per carenze proprie, sia per la politica economica giolittiana che aveva duramente colpito l’imprenditoria meridionale a vantaggio di quella settentrionale.

Dalla settimana rossa alla prima guerra mondiale – Gli anni che vanno dalla guerra libica allo scoppio del primo conflitto mondiale, evidenziano una sostanziale radicalizzazione dei contrasti politico-sociali e anche la situazione economica a partire dal 1913 si era nuovamente deteriorata, provocando un inasprimento delle tensioni sociali.

Il dibattito tendeva a polarizzarsi nello scontro fra nazionalisti e rivoluzionari socialisti. Un sintomo evidente del nuovo clima fu la cosiddetta Settimana rossa del giugno 1914 che interessò particolarmente l’Emilia Romagna e le Marche, quando a seguito di scontri tra polizia e manifestanti, morirono tre dimostranti determinando la proclamazione dello sciopero generale indetto dalla C.G.L., le cui intenzioni erano quelle di estendere l’ondata rivoluzionaria a tutto il paese(24).

La proclamazione dello sciopero generale provocò non poche preoccupazioni anche in Sicilia, perché si riteneva che gli ambienti socialisti rivoluzionari e repubblicani locali potessero avere la forza di provocare disordini anche nell’isola.

Palermo, per altro, nelle settimane precedenti allo scoppio della Settimana rossa, era stata teatro di ripetuti scioperi e manifestazioni, promossi dalla socialista rivoluzionaria Borsa dei Lavoratori presieduta da Raffaele Raimondi, e dal circolo repubblicano Rosolino Pilo guidato da Giuseppe Chiostergi(25).

L’unico risultato fu quello di rafforzare le tendenze conservatrici in seno alla classe dirigente, spaventata di un ritorno di fiamma del sovversivismo vecchia maniera, e di accentuare le fratture all’interno del movimento operaio.

Gli echi della Settimana rossa non si erano ancora spenti, quando lo scoppio del conflitto mondiale intervenne a distogliere l’opinione pubblica dai problemi interni e a determinare nuovi schieramenti fra le forze politiche italiane. I nuovi schieramenti, all’interno presentavano ancora un terreno poco coeso, e alquanto frammentato, nel quale già si intravedevano a livello embrionale le nuove idee da cui presero corpo i movimenti più importanti che animarono il dibattito politico pre-bellico: interventisti e neutralisti.

Per quanto riguarda Palermo, scrive Cancila, “ancora nei primi mesi del 1915, la città era in grande maggioranza neutralista. Come i due maggiori quotidiani cittadini e la stampa cattolica, su posizioni neutraliste erano la classe politica, dal senatore Tasca Lanza all’onorevole Di Stefano; la borghesia degli affari, da Florio, amico personale del Kaiser, a Pecoraino; l’aristocrazia latifondista capeggiata da Camporeale, che a Roma si teneva in stretto collegamento con Giolitti e con il cognato Von Bulow. Se la borghesia commerciale temeva la rottura dei rapporti con la Germania per le conseguenze sull’esportazione di alcuni prodotti siciliani, l’aristocrazia si sentiva maggiormente garantita dall’alleanza con paesi conservatori che non con l’Inghilterra e Francia più democratiche”(26).

Ma nonostante il desiderio dei siciliani di rimanere neutrali, Palermo gradatamente chinò il capo all’interventismo per amor di Patria, una volta che il Paese entrò in guerra.

Gran parte del mondo nazionalista palermitano era pronto all’intervento e, in attesa delle decisioni del governo, Borgese, capofila dei nazionalisti della città, dal consiglio comunale, nell’agosto del 1914, disse: “il nostro cuore palpita per la patria e che per essa siamo pronti a dare il nostro sangue”(27).

I nazionalisti palermitani avevano costituito, insieme agli altri partiti interventisti, un Comitato per le rivendicazioni nazionali.

Palermo, voleva mantenere viva nell’opinione pubblica la chiara visione della necessità per l’Italia di procedere alle rivendicazioni nazionali di Trento e Trieste e la Dalmazia. Al comitato aderivano, oltre ai nazionalisti, l’Unione radicale, i repubblicani, associazioni irredentiste come la Corda Fratres, la Dante Alighieri, ecc.

Un’ulteriore testimonianza di questo mutamento è dato dal discorso sulla guerra pronunciato da Giovanni Gentile presso la Biblioteca Filosofica, nel novembre 1914, che, come dice Renda, fu l’apporto certamente più cospicuo che la cultura nazionale potè dare alla causa dell’intervento italiano nel gran conflitto mondiale, e con il quale egli definisce la guerra “il nostro atto assoluto, il nostro dovere, il nostro supremo e in questo senso, il nostro unico interesse”(28).

L’attività di propaganda fu intensa e senza sosta nonostante l’ostilità proveniente dalla maggioranza neutralista.

In questo quadro politico Jung, a differenza dell’atteggiamento tenuto durante la guerra in Libia la cui partecipazione all’attività di propaganda appare defilata, qui, invece, partecipa attivamente.

La situazione in quegli anni era rovente: il quotidiano “L’Ora” si era schierato in posizione neutralista secondo la posizione di Salandra, e i toni della polemica fra neutralisti e interventisti divenivano sempre più infuocati.

Le manifestazioni e i comizi degli interventisti si susseguivano a ritmi incalzanti assumendo maggiore ampiezza il giorno successivo alle dimissioni del governo Salandra, causate dal convincimento che la scelta interventista del ministero non avrebbe avuto l’approvazione della Camera filogiolittiana.

A Palermo, da sempre antigiolittiana, le “radiose giornate di maggio” assunsero anche un carattere di sostegno nei confronti del ministero Salandra.

Nel frattempo il 26 aprile fu firmato, in segreto, il patto di Londra fra l’Italia e i paesi dell’Intesa ed il 4 maggio fu denunciato il trattato della Triplice.

In quel clima di riscossa nazionale il discorso di D’Annunzio, il giorno dopo la denuncia del Trattato della Triplice, suonò come un invito alle armi, suscitando il fermento dei nazionalisti che organizzarono cortei e manifestazioni di giubilo in tutta Italia(29).

Poco dopo, il 24 maggio, l’Italia entrava in guerra, i dissensi si sopirono e tutta la società isolana fu penetrata dalla consapevolezza dell’importanza dell’impegno bellico nazionale.

Un volontario d’élite – Con lo scoppio della Grande Guerra, Guido Jung non esitò a partire come ufficiale volontario per il fronte, conformemente al trend generatosi in quel momento storico.

Fra i volontari partiti per il fronte, studenti in primo luogo, ma anche professionisti e componenti della stessa classe media e alta borghesia, oltre a Guido Jung, come abbiamo appena detto, e ai suoi fratelli (Mario e Aldo, il quale riportò il grado di Seniore nella 171° Legione della M.V.S.N. di Palermo), tranne Ugo che rimase a curare gli interessi dell’azienda di famiglia, ci fu anche Vincenzo Florio.

Il volontarismo siciliano, tuttavia, fu un fenomeno assai elitario. La guerra, dai più fu accettata come una necessità di forza maggiore; da alcuni vissuta come un dovere(30), come Adolfo Omodeo, discepolo del Gentile, il quale aveva scritto: “Creare la patria anche con la fiaccola della guerra civile”(31).

Parecchi di essi vi perdettero la vita, come il consigliere Borgese, che aveva insistentemente sollecitato il proprio richiamo alle armi; o come Manfredi Trabia, figlio del principe Pietro, decorato di medaglia d’argento, che guarito da una grave ferita al polmone chiese di ritornare al fronte, per morire presso Treviso durante un bombardamento(32).

Jung, ricorderà più tardi, con tanta passione e commozione, in un suo di-scorso tenuto nella città di Trapani nel 1926 in occasione dei festeggiamenti del VII anno della fondazione dei Fasci di combattimento, un episodio accaduto al fronte nell’Ottobre del 1917(33):

A sera, per una delle strade del Natisone verso Cividale si affollavano le truppe in ritirata, in parte inermi e fuggiasche. Sugli uomini e sulle cose gravava l’angoscia del disastro. Ma ad un tratto, da una delle porte della città, fronte al nemico, cantando gli inni della Patria, vennero in colonne serrate ed in ordine perfetto dei reparti di arditi. Essi movevano ad arginare l’impeto del nemico su per la valle. La massa dei fuggiaschi scendeva come trascinata da una corrente infernale, e gli Arditi la corrente la risalivano cantando, la risalivano spinti dalla forza invincibile che dà il disprezzo della morte e la prontezza al sacrificio, e nel risalire la corrente cantavano, perché lieto è ogni cuore virile che sta dinanzi un solo dovere e a cui è concessa, nel compierlo, la maschia, altissima gioia di giocare con la vita o con la morte.

Tutto ciò ci dà l’idea di quanto fosse sprezzante del pericolo e di quanta passionalità e valore mettesse nel compiere il sacrificio in nome della Patria, una Patria da difendere con la propria morte, e difatti, fu proprio lui ad accorrere nel Trentino, per ricomporre la salma del suo grande amico G. Borgese, colpito al capo da una scheggia di granata mentre era in trincea in primissima linea(34) e col quale aveva condiviso l’elevato ideale di una nazione unita e forte, in cui tutto il popolo italiano avesse la consapevolezza del significato di nazione unita, di libertà interna e di indipendenza.

Mentre al fronte i giovani palermitani, dagli aristocratici ai più umili si battevano eroicamente contro il nemico, in città un Comitato di difesa civile si occupava della raccolta di fondi da distribuire in sussidi ai bisognosi; l’Alleanza femminile distribuiva pane e pasta alle famiglie dei richiamati; l’Associazione delle cucine economiche istituiva il servizio anche nelle borgate; Annetta Chiaramonte Bordonaro, moglie del senatore Tasca Lanza, che aveva i figli al fronte, tra cui Ottavio, apriva un ospedale di 250 posti letto per i soldati feriti, accudendo personalmente all’organizzazione(35).

Anche la famiglia Jung si distinse per il suo interessamento e maggiormente per il contributo di mezzi finanziari resi per la causa della difesa civile, durante la guerra.

Più tardi, nel 1916, il Prefetto di Palermo in una nota inviata al ministro dell’Interno, in relazione al conferimento di una onorificenza da conferire a Ugo Jung, scrisse: “Tra le famiglie di questa città, la famiglia Jung va annoverata tra le prime. Essa ha dato all’Esercito tre figli ed il quarto, qui rimasto a dirigere la Casa Commerciale Fratelli Jung, il signor Ugo fu di Mario, non ha lasciato passare occasione per dimostrare il proprio entusiasmo per la causa del nostro Paese, contribuendo molte migliaia di lire per il locale Comitato di Difesa Civile, facendosi iniziatore di conferenze, di spettacoli di beneficenza, prendendo parte alla organizzazione dell’Alleanza Femminile dei Ricreatori ed Asili per i figli dei richiamati, con tale interessamento da attirare su di sé e sulla famiglia che rappresenta un seguito di giustificate simpatie, tanto maggiore in quanto la prima opera dei Fratelli Jung fu qui spesa nel decorso anno in una propaganda per la guerra che li pose subito in prima linea fra quanti mostrarono di sentire fortemente per la Patria”. Il Prefetto concluse dicendo che sarebbe stato doveroso concedere a Ugo Jung la Croce di Cavaliere nell’Ordine della Corona d’Italia, come segno di gratitudine per la sua opera infaticabile profusa per la città(36).

Così, nel maggio 1917, Ugo veniva insignito Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Più volte venne proposta la nomina a Commendatore della Corona d’Italia e benché il Prefetto esprimesse parere favorevole non si ha traccia di ulteriore conferimento.

2. La fine della guerra e la partecipazione alle Conferenze Internazionali

Il trattato di pace di Versailles – I lavori della Conferenza di pace si aprirono il 18 gennaio 1919 nella reggia di Versailles e durarono oltre un anno e mezzo. Venne ridisegnata la carta politica europea sconvolta dal crollo dei quattro imperi, tedesco, austro-ungarico, russo e turco. Era importante ricostruire un equilibrio europeo, ma anche tener conto di quei principi di democrazia e di giustizia internazionale a cui l’Intesa si era richiamata nell’ultimo periodo della guerra.

Al tavolo delle trattative della conferenza di Versailles, come sappiamo, partecipò, oltre alla delegazione americana, a quella francese e inglese, anche la delegazione italiana i cui rappresentanti erano V.E. Orlando e Sidney Sonnino.

A prendere parte a tale conferenza, accanto ad altri autorevoli personaggi, vi fu Guido Jung in qualità di tecnico esperto di materie economiche, col compito di proporre delle soluzioni relative alle operazioni di ricostruzione economica.

All’interno della Conferenza di Pace si tenne anche una Conferenza Interalleata per l’Agricoltura inaugurata dal ministro francese M.Vittorio Boret, l’11 febbraio 1919, e alla quale partecipò anche il Capitano Guido Jung come delegato italiano insieme al Ministro per gli Approvvigionamenti Crespi, e al Presidente della federazione degli istituti agrari del Veneto, il maggiore Mazzotti.

La conferenza si occupava della determinazione dei bisogni dei paesi alleati, per ciò che concerneva la manodopera agricola, gli attrezzi agricoli, il bestiame, le sementi, ecc. Ma ciò che emerse di veramente importante da tale conferenza fu la limitazione della durata del lavoro nelle industrie ad un massimo di otto ore giornaliere(37).

A questo punto sorge spontaneo chiedersi come mai proprio Guido Jung possa essere stato invitato a Versailles, a sedersi al tavolo delle trattative, per conto del governo italiano.

In quanto a questo, le documentazioni ritrovate sono avare di spiegazioni, ma si può presumere, a mio avviso, che la sua partecipazione sia stata dovuta all’incontro fortunato che egli ebbe con Sonnino, anch’esso ebreo, alla fine del secolo precedente, in occasione della collaborazione coi Florio contro il giolittismo e a favore della difesa dell’economia siciliana e del Mezzogiorno in genere, nell’ambito del “Progetto Sicilia”.

In seguito, Jung ebbe l’opportunità di conoscere anche V.E. Orlando, anch’esso siciliano che, in occasione di una sua visita a Palermo (novembre 1915), in pieno clima di ostilità belliche, ne trasse occasione per pronunciare un discorso sull’utilità della “guerra giusta e necessaria”, che avrebbe definitivamente concluso il processo formativo dell’unità nazionale(38).

Da non sottovalutare è inoltre l’attività di nazionalista attivista svolta da Jung, all’interno dell’Associazione “Corda Fratres”; la sua adesione al volontarismo nella prima guerra mondiale; e ancora la sua collaborazione prestata alla Cassa Centrale di Risparmio V.E. per le province siciliane in qualità di Censore; e inoltre quella di Commissario di Sconto della Banca d’Italia, attività, queste ultime, che posero maggiormente in luce la sua abilità di economista.

Probabilmente, dunque, furono tutte queste situazioni favorevoli a consentire a Guido Jung di avere il privilegio di essere invitato ad una conferenza di tale considerevole importanza, all’interno della quale si dovevano decidere le sorti economiche degli Stati europei all’indomani del primo conflitto mondiale.

La sua raffinata conoscenza di principi economici divenne presto nota al mondo della finanza italiana che gli consentì di guadagnare il 30 agosto del 1919 l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia, conferita motu proprio dal Sovrano, su segnalazione fatta da S.E. Crespi, mentre ancora Guido si trovava a Parigi. Un’altra onorificenza, in qualità di Cavaliere nell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro, la riceverà più tardi, nel novembre 1922, in occasione della visita del Re a Palermo.

La Conferenza Internazionale di Genova – Nel 1922, in vista della Conferenza Internazionale di Genova, si riunirono a Londra dal 20 al 28 marzo gli esperti in economia dei Paesi partecipanti alla Conferenza Internazionale, allo scopo di effettuare uno scambio di vedute, realizzare un lavoro di confronto e di eliminazione delle opinioni comuni che facilitasse e sollecitasse i dibattiti di Genova.

I Paesi che vi parteciparono, in rappresentanza degli altri Stati Europei, furono l’Inghilterra, la Francia, il Belgio, l’Italia, e per l’Asia, il Giappone.

I grandi assenti ancora una volta furono gli Stati Uniti che, come non parteciparono alla Conferenza di Bruxelles, allo stesso modo disertarono la Conferenza di Genova.

Per l’Italia, i periti designati furono Giannini e il Commendatore Guido Jung.

I preliminari della conferenza si aprirono analizzando i progetti inglesi relativi alla questione monetaria e di convenzione monetaria che, se accettata, avrebbe dovuto essere firmata a Genova da tutte le Nazioni come corollario delle deliberazioni proposte.

I loro progetti, che si uniformavano in tutto alle decisioni già prese alla Conferenza di Bruxelles e dai quali ne nascevano altri ben più di importanti, prevedevano la ricostruzione economica europea attraverso la stabilizzazione delle singole monete nazionali, da realizzare con la cura del bilancio statale al fine di evitare una situazione deficitaria da non sanarsi con l’emissione di nuova carta moneta oppure ricorrendo a crediti di banca.

Il Comm. Jung e Giannini si espressero positivamente riguardo alle misure da prendere da ciascuna nazione per facilitare la stabilizzazione della propria moneta, principi del resto già accettati a Bruxelles, e dichiararono che tali principi corrispondevano perfettamente alle idee che si avevano in Italia al riguardo.

Jung, inoltre, ritenne anche che, il giorno in cui si fosse definitivamente effettuata la stabilizzazione del potere d’acquisto di una moneta sarebbe stato economicamente consigliabile procedere senza esitazione e col necessario coraggio alla grave operazione della rivalutazione della moneta in base ad una nuova parità aurea. Tuttavia egli ritenne che ogni misura artificiale intesa ad assicurare o affrettare la stabilizzazione del potere d’acquisto della moneta sarebbe stata considerata in Italia come assolutamente dannosa ed inefficace. Ogni tentativo per procedere a una rivalutazione della moneta prima che non fosse esaurito per forza propria e senza il concorso di elementi artificiali il processo di stabilizzazione, equivaleva ad aggiungere delle gravi ed inutili crisi di assestamento alla crisi generale per la quale ciascun Paese doveva, purtroppo, passare nel dopo-guerra.

La delegazione Italiana, quindi, concordava pienamente con i principi esposti nelle deliberazioni proposte, ma Jung riteneva però che la convenzione monetaria nella forma presentata fosse prematura e non opportuna date le condizioni attuali della finanza degli Stati che avrebbero partecipato alla Conferenza di Genova, in quanto che, essa tendeva a regolare delle condizioni di cose che ancora non esistevano.

A conclusione degli incontri preliminari dei periti tecnici, esperti in economia finanziaria, delle delegazioni delle nazioni partecipanti ai preliminari della Conferenza, Jung e Giannini si premurarono di comunicare le suddette notizie al Ministero degli Affari Esteri, il cui Capo di gabinetto le trasmise, con una lettera(39) “personale” datata 29 marzo 1922, al direttore Generale della Banca d’Italia del tempo, Bonaldo Stringher.

Finite le prove generali, pochi giorni dopo, in aprile, si tenne a Genova la Conferenza Internazionale, alla quale prese parte anche il Comm. Jung, avente come oggetto la ricostruzione economica dell’Europa attraverso la creazione di un Consorzio Internazionale e di Consorzi Nazionali.

Secondo la deliberazione 19 del Rapporto della Commissione Finanziaria, “tali organismi avrebbero dovuto avere, il compito principale di esaminare le occasioni che eventualmente si fossero presentate di collaborare alla restaurazione dell’Europa, e di aiutare a sostenere finanziariamente le iniziative intese a tale scopo e di cooperare con le altre istituzioni e imprese del genere, senza tentare in alcun modo di creare monopoli”.(40)

Le discussioni degli esperti italiani si svolsero in due giornate, il 12 e il 13 aprile, distribuite in tre riunioni, presiedute dal ministro del Tesoro del tempo(41).

Nella prima delle tre riunioni, Jung espose in maniera particolareggiata gli schemi delle deliberazioni concretate a Londra dagli esperti economici delle Potenze che avevano partecipato all’iniziativa della Conferenza.

Tali schemi riguardavano in particolar modo la circolazione, i crediti per la ricostruzione dell’Europa Orientale e i cambi.

Maggiore importanza, dal punto di vista dell’analisi del dettaglio, presentarono le altre due riunioni, nelle quali Jung si dilungò sulla stabilizzazione del valore della moneta.

Jung espose, inoltre, i motivi per cui non poteva essere accettata la proposta inglese circa la rivalutazione della moneta dei paesi a cambio notevolmente deteriorato, mediante la fissazione di una nuova parità aurea, in quanto era riconosciuto opportuno lasciare ad ogni Nazione di decidere, secondo le proprie condizioni, se conservare la parità di ante-guerra ovvero stabilirne un’altra basata sul valore del cambio in un momento determinato.

Secondo Jung, concordemente al parere degli altri esperti presenti alla riunione, ai fini della restaurazione economica di ogni Nazione ed al risanamento della propria circolazione, era essenziale riconoscere la necessità di ristabilire il pareggio del bilancio, equilibrando le uscite con mezzi ordinari e stabili di entrata, senza dover ricorrere a nuove emissioni di carta moneta o a prestiti.

Finiti i lavori, a giugno, a più di un mese dalla fine della Conferenza, Guido Jung inviò una lettera ad un certo Signor B.H. Binder residente a Londra, il quale desiderava avere notizie sull’adesione dell’Italia al Consorzio Finanziario Internazionale e alle Società Nazionali.

Dalla lettura della lettera si evince che Jung non ha alcuna notizia al riguardo e promette di scrivere a Roma al fine di sollecitare lo svolgimento di tale pratica.

Della creazione di tali organismi probabilmente non ne esiste alcuna traccia.

Il Governo italiano, seguendo le suggestioni della Conferenza di Genova ed i consigli dati dalla Banca d’Inghilterra, procederà più tardi, nel 1927 alla stabilizzazione della sua valuta sulla base del gold exchange standard, sistema che come è noto, comporta che le riserve dell’Istituto di emissione possano essere costituite in oro o in divisa su mercati che mantengono il libero cambio della loro moneta in oro.

Tale estrema fiducia della Banca d’Italia e del Governo italiano nella funzione del mercato inglese, quale centro internazionale di compensazione, gli costò nel 1931 in occasione della svalutazione della sterlina, gravi scompensi economici, per i quali fallirono le proposte amichevoli da parte dell’Italia di trovare una soluzione al superamento delle difficoltà nelle quali si trovò coinvolto l’Istituto d’emissione italiano a causa del provvedimento inglese che aveva determinato la sospensione del gold standard(42).

L’impegno politico nell’ambito cittadino – Nel periodo successivo alla guerra, negli anni tra il 1920 e il 1924 Guido Jung fu nominato Assessore dei Servizi Municipalizzati(43) all’interno della Giunta Lanza di Scalea del Comune di Palermo, continuando a mantenere la carica di Consigliere Comunale eletto, precedentemente, all’interno della lista dell’Unione Palermitana. Quella fu l’ultima amministrazione liberale, prima del fascismo.

In quegli anni Jung, si dedicò poco all’attività comunale dal momento che aveva assunto, come abbiamo visto, incarichi internazionali che lo portarono lontano dalle mura del Palazzo delle Aquile. Furono infatti più le assenze registrate nei verbali delle assemblee consiliari e di giunta, che le presenze.

Ma nonostante le sue assenze e nonostante la sua attenzione fosse monopolizzata da interessi di più ampia portata, egli riuscì, con la maestria di abile amministratore ad apportare un profondo contributo al risanamento della sua città.

Di particolare importanza, infatti, ai fini della nostra ricerca, fu il contributo dato da Jung in qualità di assessore delle Municipalizzate, per il risanamento del bilancio della azienda municipale del gas, che con l’amministrazione precedente, nel 1920, aveva chiuso il bilancio con un deficit di 4 milioni e mezzo.

Dal Nazionalismo al fascismo – L’avvento del fascismo nell’isola si colloca nel contesto di una situazione nella quale la vecchia classe dirigente si era esaurita, senza che la nuova fosse matura o pronta ad assumerne le funzioni e una volta che ciò avvenne la partecipazione siciliana al consolidamento del regime mussoliniano fu particolarmente rilevante.

Lo fu al livello propriamente politico-istituzionale; ma lo fu soprattutto in termini elettorali. Dello stesso governo Mussolini (ottobre 1922 – aprile 1924) fecero parte (circostanza che non si era mai verificata nella storia d’Italia) ben quattro ministri siciliani.

I ministri furono Giovanni Gentile, al ministero della pubblica istruzione; Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, al ministero delle poste e comunicazioni; Gabriele Carnazza al ministero dei lavori pubblici; Mario Orso Corbino, al ministero dell’economia nazionale (istituito nel 1923). Nelle consultazioni politiche del 1924, che furono la legittimazione costituzionale del fascismo, la Sicilia diede al regime un consenso fra i più alti d’Italia. Il fascismo si presentò in una cosiddetta lista nazionale, della quale, nell’isola come nel Sud, fecero parte uomini politici di gran nome, quali Vittorio Emanuele Orlando, Antonio Salandra ed Enrico De Nicola; ed è legittimo perciò concluderne che una cospicua parte dei voti dal medesimo ottenuti erano voti liberali e non voti fascisti propriamente detti. Ma, nella ricostruzione della ascesa fascista in Sicilia, la confluenza di voti fascisti e di voti liberali nella medesima lista fu un evento di notevole importanza(44).

Dunque, il governo formato dal Duce all’indomani della marcia su Roma, composto prima da tre e subito dopo da quattro ministri siciliani, dei quali due della democrazia sociale, e due autorevoli esponenti della cultura e del mondo degli affari, ebbe il quasi unanime voto di fiducia della deputazione siciliana.

I più, senza attendere oltre, per convincimento o per opportunismo, ne trassero le conseguenze: il futuro non era più liberale ma fascista.

Il processo di riaggregazione attorno ai fasci locali apparve come qualcosa in grande misura legato al governativismo prevalente nella tradizione isolana; un fenomeno di trasformismo, insomma, seppure trasformismo di massa. In realtà, era quello, ma non era solo quello.

Nella situazione di profonda crisi, in cui versava la classe dirigente liberale isolana, la forte attrazione esercitata dal polo fascista era il segno della disgregazione molecolare del vecchio sistema politico e la indicazione che un nuovo blocco di potere si stava costituendo in sua vece.

L’aumento numerico dei fasci di combattimento e la crescita dei rispettivi iscritti furono tanto più incisivi in quanto si accompagnarono a processi di accorpamento e di fusione nel Partito Nazionale Fascista che coinvolsero intere formazioni politiche. La prima e più importante operazione che fece crescere il fascismo siciliano in termini di qualità, oltre che di quantità, fu la confluenza nelle file degli appartenenti al movimento nazionalista. La decisione fu presa sul piano nazionale e nell’isola fu attuata non senza difficoltà.

Ci furono anche resistenze aperte. Il nazionalismo siciliano era tanto aristocratico ed elitario quanto plebeo e grossolano lo squadrismo antemarcia. La fusione delle due realtà fu però realizzata lo stesso e il fascismo si arricchì delle prime personalità politiche e culturali di rilievo che gli diedero dignità e prestigio di forza di governo, pure nella dimensione regionale.

Divennero fascisti il principe Pietro Lanza di Scalea, il medico Alfredo Cucco, il professore Francesco Ercole, il generale Antonio Di Giorgio, lo storico Alfonso Sansone(45), e aggiungiamo noi, l’economista Guido Jung.

L’adesione di un ebreo come Jung al fascismo non risulta essere un caso isolato. Gli ebrei, secondo De Felice, sono portati quasi naturalmente verso i partiti socialmente e politicamente più impegnati ed avanzati o che, almeno, apparivano tali, come ad esempio il partito nazionalista, la cui naturale confluenza fu nel nuovo partito fascista.

Non è un caso che il fascismo trovò, sin dalle sue origini, tra gli ebrei molti aderenti. Gli ebrei, infatti, si comportavano politicamente non in quanto comunità, ma in quanto singoli cittadini e, in quanto singoli cittadini, come tutti gli altri italiani.(46)

Mussolini d’altronde, personalmente non aveva vere prevenzioni antisemite; gli ebrei in genere non gli erano né particolarmente simpatici né particolarmente antipatici; riconosceva loro una serie di doti e di capacità, specie nel campo economico-finanziario, e quando nel 1932, nominò ministro delle Finanze Guido Jung, pare che dicesse ai suoi intimi che un ebreo era quello che ci voleva alle Finanze(47).

Inoltre nella fase d’espansione del fascismo, inteso non più come movimento rivoluzionario d’élite, ma come partito nazionale, gli ebrei – numerosi nel fascismo e abbastanza importanti nella vita nazionale, specie economica – non potevano più essere considerati al margine della vita nazionale: era necessario immetterveli.

Mussolini, già sin dal 1919 aveva vari ebrei nel suo entourage immediato: l’adesione e l’appoggio al fascismo andò però ben oltre questi casi(48). Alcuni ebrei ebbero parte notevole nel finanziamento dei primi gruppi fascisti. Tra i partecipanti alla fondazione dei fasci di combattimento a Milano, il 23 marzo 1919, i famosi sansepolcristi, furono certamente almeno cinque ebrei (uno dei quali, anzi, Cesare Goldmann, fu quello che procurò la sala); così pure tre ebrei (Duilio Sinigallia, Gino Bolaffi, Bruno Mondolfo) figurano nel martirologio ufficiale della “rivoluzione fascista”(49).

Il motivo per cui il fascismo trovasse tra gli ebrei un vasto seguito, si può spiegare, secondo De Felice, se si tiene presente da un lato il carattere classista del fascismo delle “Origini” e dall’altro il carattere spiccatamente borghese dell’ebraismo italiano. Del resto, questo spiccato carattere borghese dell’ebraismo italiano spiega come se esso affluì numeroso nel fascismo, altrettanto numerosamente affluì nei partiti e movimenti decisamente antifascisti, sfuggendo le soluzioni intermedie, più o meno agnostiche ed attendistiche.(50)

Nel primo ministero, Mussolini si circondò di una massiccia presenza di ebrei: Aldo Finzi, sottosegretario agli Interni, ex aviatore della “Serenissima” di D’Annunzio, squadrista, deputato e membro del Gran Consiglio fascista, mentre il Prefetto Dante Almansi ricoprì addirittura la carica di vice capo della Polizia, e fu anche Capo di Gabinetto durante il ministero Jung.

3. Il deputato fascista

Il periodo degli scandali – La campagna elettorale per le elezioni del 1924, fu caratterizzata da episodi incresciosi, che crearono uno stato di pericolosa tensione, e il giorno delle elezioni non mancarono i soliti brogli, con assenti e defunti dati per votanti.

I risultati furono largamente favorevoli alla Lista Nazionale, i cui candidati, grazie al premio di maggioranza, furono tutti eletti, alcuni addirittura con un numero di preferenze irrisorio(51).

Tra i candidati palermitani il commendatore Jung fu eletto assieme ad altri nomi di spicco, come il professore Di Marzo, l’avvocato La Bella, il principe di Scalea, il principe di Scordia, l’avvocato Musotto, Orlando, Cucco, l’archeologo professore Pace e il generale Di Giorgio.

In quel clima politico particolarmente arroventato, in cui i sospetti nei confronti degli ebrei serpeggiavano in maniera sotterranea, non era facile per Jung respingere le accuse addebitategli da coloro che poco tolleravano la sua presenza in posti di alta responsabilità e di prestigio. Ricordiamo che Jung, già nel 1922 ricopriva la carica di consigliere finanziario dell’ambasciata italiana a Washington, nell’agosto del 1923 fu incaricato di provvedere alla sistemazione dei rapporti fra la Banca italiana di Sconto in liquidazione, il Banco di Roma e la Banca Nazionale di Credito; successivamente divenne Commissario del Governo per i beni dei sudditi ex nemici e poi, ancora dall’agosto del 1927 al luglio 1932, fu presidente dell’istituto nazionale per l’esportazione e contemporaneamente, nel 1931, presidente della società finanziaria industriale italiana.

Le accuse mosse nei suoi confronti furono abbastanza pesanti, tanto che in alcune occasioni, dopo essere stato anche indagato, chiese di essere sollevato dall’incarico. La sua fedeltà al Fascismo è comprovata da ogni sua manifestazione di rispetto per la persona del Duce, ed è chiaro evincere tale sentimento da una lettera che l’On. Jung inviò al Presidente del Consiglio(52), Benito Mussolini, nella quale manifestava il suo formale disappunto per essere stato accusato ingiustamente di condurre un modo di vita non conforme ai dettami fascisti e per di più accusato di avere ispirato i provvedimenti sulle borse, relativi al R.D.L. 26 febbraio 1925. Di tale accusa egli si scagionava asserendo di non essere stato a conoscenza del decreto se non addirittura dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, la sera del 28 febbraio quando a seguito di un incontro con il Ministro De Stefani, egli aveva manifestato il suo dissenso su vari punti del R.D.L. in oggetto; Jung, continuava nella sua difesa asserendo di non essere mai appartenuto alla massoneria e non essere mai appartenuto ad alcun partito politico: “io non ho mai appartenuto ad alcun partito politico né mai mi sono occupato di politica fino all’Agosto Settembre 1914 quando, nell’iniziare la mia attiva e pugnace azione per l’intervento, mi sono iscritto al Nazionalismo”.

A questo proposito va subito detto che, nonostante Jung fosse un fascista e prima ancora un nazionalista, per gli altri fascisti appartenenti ad altra religione, restava pur sempre un ebreo, infatti, come dice De Felice, “da parte di molti fascisti ed in particolare di quelli di origine nazionalista, si continuò a guardare dopo la “marcia su Roma” agli ebrei come ad un gruppo sostanzialmente d’opposizione, legato all’interno a filo doppio alla massoneria e ai partiti antifascisti (socialismo e bolscevismo) e all’estero, se non proprio all’internazionale ebraica, all’alta finanza internazionale e alle organizzazioni e agli ambienti più dichiaratamente antifascisti e antitaliani(53).

Qualche settimana più tardi, esattamente l’otto luglio, con una lettera(54) il Ministro De Stefani comunicava a Mussolini che L’On. Guido Jung metteva a disposizione del Presidente del Consiglio, il mandato conferitogli.

In poche parole Jung si dimise perché non sopportò l’affronto di essere stato sospettato (integerrimo com’era) di condurre un modo di vita “ambiguo”.

Nel frattempo, nell’agosto del 1927, Jung fu nominato presidente dell’INE, l’Istituto Nazionale per l’Esportazione, e mantenne tale carica sino al luglio del 1932 quando fu nominato ministro delle Finanze.

Durante il periodo in cui diresse l’INE potè acquisire una eccellente conoscenza nel commercio estero e degli annessi problemi del finanziamento e dei trasporti.

Ma nell’ottobre dello stesso anno, l’On. Jung fu nuovamente al centro di un altro scandalo, sempre per il suo modo di gestire le situazioni economiche e politiche.

La denuncia partì da “molti commercianti di Palermo”, (così si firmano in calce alla lettera anonima(55), spedita a Sua Eccellenza Galeazzo Ciano), i quali si sentirono traditi nelle aspettative del loro designato al Parlamento.

Essi lo accusarono, infatti, di approfittare di tale carica per privilegiare le sue attività commerciali in modo prepotente e sfacciato, di monopolizzare le Ferrovie e di mobilitare gli uffici e gli impiegati, di abusare della sua posizione affinché i suoi carri avessero precedenza assoluta sugli altri, cosicché, da questa situazione di preminenza sarebbe derivato che gli altri esportatori ne venivano fortemente danneggiati e per questo motivo, tale gruppo di commercianti chiedeva chiarezza e giustizia invitando gli organi competenti a svolgere le dovute indagini.

Tutto ciò valse a Jung l’appellativo di “deputato della nocciuola”, e quel che salta agli occhi è che viene esplicitamente espressa la sua appartenenza alla religione ebraica:

L’On. Jung, ebreo, e monopolizzatore di ogni onestà ha sempre pubblicamente e privatamente predicato che egli, bontà sua, serve in ogni suo atto la Patria.

Viceversa si può dimostrare che egli serve solamente la “mandorla e la nocciuola” di cui egli ne fa larga esportazione. E non è ignoto ad alcuno che egli, qui, è designato, dopo il suo discorso ironicamente accolto alla Camera con approvazioni, “il deputato della nocciuola(56).

A seguito di questa lettera, furono svolte tutte le indagini(57) del caso per far luce su simili accuse di abuso di potere da parte di Jung, cosicché il Capo di Gabinetto del Primo Ministro si rivolse al Capo di Gabinetto del Ministro delle Comunicazioni, il quale con una lettera rispose che dopo avere esperito tutte le indagini in merito all’eventualità di abusi nell’inoltro dei trasporti dei prodotti della Ditta Fratelli Jung, in partenza dalle stazioni delle Puglie e della Sicilia, risultava che nessuna eccezione veniva fatta per i trasporti oggetto del malcontento dei commercianti palermitani.

Nel 1928 l’On. Jung, scrisse al Cav. Benito Mussolini, Capo del Governo, una lettera in cui rassegnava le sue dimissioni da Presidente dell’Istituto Nazionale per L’Esportazione(58), esponendo le difficoltà cui andava incontro nella conduzione della propria impresa, sopravvenute a causa di un’imminente impresa coloniale in Cirenaica (Libia), e che coinvolgeva personalmente uno dei suoi fratelli anch’esso a capo dell’azienda di famiglia.

Egli scrisse al Duce esprimendogli la sua più totale devozione, ma di essere costretto a scegliere tra due doveri entrambi vivamente sentiti, scelta da Jung stesso definita “quanto mai penosa”.

Tali dimissioni però gli vennero respinte, infatti, come sappiamo rimase in carica fino alla vigilia della sua nomina a ministro delle finanze nel Governo Mussolini.

Nonostante Jung riscuotesse ampi consensi sia in ambito nazionale sia internazionale, nella “sua” Palermo, come abbiamo appena visto, non godeva di larghe simpatie e perciò nel 1929 il prefetto, pur riconoscendogli capacità e conoscenza approfondita dei problemi della sua città, preferiva che la carica di podestà venisse affidata – come poi avvenne – al principe di Spadafora(59). Fu così che Jung perse la grande occasione di governare personalmente la sua città, di prodigarsi per la sua terra, ma in compenso riuscì a lasciare una traccia di sé ancora più profonda di quanto egli stesso non potesse desiderare.

Fascismo e Religione – In occasione del VII Annuale della Fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento il 28 Marzo 1926, nelle maggiori città italiane si tennero adunate di piazza alle quali il popolo partecipò in massa. Per la città di Trapani fu designato l’Onorevole Guido Jung, il quale parlò ad un pubblico plaudente, al quale riuscì a toccare le corde dell’anima, a risvegliare il sentimento Nazionale e l’orgoglio siciliano(60).

Dal suo discorso, emerge nettamente la sua assoluta fedeltà all’ideologia fascista, la sua più sincera devozione a tale dottrina, infatti per Jung, la vera rivoluzione “consiste nel capovolgimento dei termini sui quali era basata la concezione politica degli ultimi secoli”, e tale capovolgimento consiste nel subordinare l’individuo e i suoi bisogni ai bisogni supremi della collettività nazionale, “cui si riconosce una propria vita, una propria individualità, che non è il risultato della somma delle vite individuali dei cittadini, ma che trascende la contingenza delle generazioni, per affermarsi, nel tempo, una attraverso i secoli ed alle vicende del mondo.” Il fascismo viene concepito come religione, come un credo, che pur non promettendo il paradiso in terra, stabilisce però le virtù prime dell’uomo quali il sacrificio e il dovere e pone la vita secolare della Nazione come unico obiettivo da raggiungere con ogni sforzo a costo della vita stessa di ogni individuo perché solo in questo modo ogni cittadino può sentire il conforto dei propri sforzi, dei propri dolori e delle proprie speranze, poiché tutto ciò contribuisce a non rendere vana “quella che è la sola vita che conti, non chiusa nel breve cerchio di una generazione, ma la vita della Patria sacra ed imperitura”.

E sempre nel discorso svoltosi a Trapani egli disse:

Il Fascismo è e deve rimanere una milizia ed una religione, della milizia esso ha la disciplina serrata e la subordinazione assoluta, della religione esso ha la fede e la nozione intuitiva della santità di quanto trascende il nostro raziocinio; della milizia e della religione esso pratica la virtù essenziale: il culto del dovere e del sacrificio.

A questa milizia ed a questa religione non deve essere permesso di accedere se non in purezza di cuore ed in fervore di opere, perché attraverso di esse deve realizzarsi quello che fin dal 1921 Benito Mussolini indicava quale programma del fascismo e cioè: il programma necessario ad assicurare la grandezza morale e materiale del popolo italiano.

Contro la mafia – Nel suo discorso Jung non mancò di fare riferimento alla situazione economica dell’Isola con particolare riguardo alla provincia di Trapani, per la quale egli non nascose la sua simpatia proprio perché considerava i trapanesi un popolo laborioso, non curante della fatica e pronto alla difesa della Patria, ma non dimenticò di parlare anche del male che affliggeva la Sicilia (che continua ancora oggi ad affligerla), la mafia, invitando la popolazione a collaborare con il Governo Nazionale per estirpare questo fenomeno radicatosi nel tessuto sociale già da tempo immemore (proprio in quegli anni infatti, fu inviato dal Governo il Prefetto Mori). Fu in questa occasione che Jung riprese le parole del Duce in un telegramma al Prefetto Mori, per rafforzare le proprie: “…Cinque milioni di laboriosi patrioti siciliani (dice B Mussolini) non devono essere più oltre vessati, taglieggiati, derubati e disonorati da poche centinaia di malviventi…..”.

Con un tale discorso, di rinnovamento e di epurazione, Jung non poteva che ricevere il consenso degli intervenuti all’adunata, specie quando, da buon Siciliano, pose in evidenza l’onestà, la purezza e la sanità del popolo siculo, e ancor di più quando l’invito alla collaborazione si fece ancora più penetrante egli aggiunse(61):

Noi dobbiamo mettere le nostre dita e le nostre unghia nella piaga che la mano coraggiosa di Benito Mussolini ha denudata per la salvazione della nostra terra e per la grandezza dell’Italia, e con le dita e le unghia noi dobbiamo strapparne il marciume, perché vivida e rossa appaia finalmente la carne sana, perché tutto il corpo risanato rifiorisca di vita più rigogliosa.

Egli considerava l’operazione di epurazione dalla mafia come l’attività principale prima di qualsiasi altra attività di rinnovamento, perché secondo Jung, è inutile parlare di costruzioni di strade e di altre strutture se non si procede a sradicare tale male ignominioso che egli considerava, a giusta ragione, un problema morale. Solo procedendo in questa direzione si potrà finalmente auspicare ad una resurrezione dell’Isola, sia dal punto di vista economico, attraverso la trasformazione ed intensificazione della produzione agricola, il potenziamento dell’irrigazione, attraverso la ricerca e lo sfruttamento delle risorse naturali, sia dal punto di vista morale e sociale, attraverso la consapevolezza di svolgere la propria attività libera da pericoli nascosti, da preoccupazioni e da insidie.

In effetti la mafia, per un certo periodo di tempo sembrò essere stata messa a tacere grazie appunto all’intervento severo del Prefetto Mori e all’intensa collaborazione delle forze di polizia e quando, nel 1928, Jung venne a conoscenza di un progetto che intendeva porre a riposo il Prefetto Mori, egli non tardò di fare giungere al Duce una lettera(62) nella quale esternava il proprio disappunto:

Se così fosse ne risulterebbe, a giudizio mio e della maggior parte dei Siciliani, un danno gravissimo all’opera perseguita da V.E. in Sicilia. Qualunque siano le argomentazioni che potrebbero venir fatte al riguardo, il popolo interpreterebbe l’atto come un passo indietro e resterebbe perplesso e dubbioso delle vere intenzioni del Governo Nazionale.

L’economia fascista e il prestito Morgan – Il primo risultato tangibile dell’avvento del regime e della fiducia che Mussolini era riuscito a ottenere presso industriali e agrari, consistette nella ripresa economica che caratterizzò il triennio 1923-1925.

In una fase di ripresa economica internazionale dopo il 1924, crebbero a dismisura le esportazioni di manufatti. Si trattò di un piccolo boom economico che resse fino al 1926 quando, a livello internazionale, cominciarono a mostrarsi i segni di un nuovo ristagno.

Per far fronte a questa situazione e diminuire le importazioni, stimolando al massimo la produzione interna, il regime lanciò due grandi iniziative che vennero abilmente propagandate attraverso l’uso della radio, del cinema, dei giornali: “la battaglia del grano” e la “bonifica integrale”.

Al di là di questi interventi, la politica economica del fascismo, fino al 1926, seguì le vie percorse tradizionalmente dai governi prefascisti: interlocutore principale di Mussolini sulle questioni di politica economica fu un economista di scuola liberale, poco propenso a favorire un intervento dirigistico, cioè, istituzionale ed organico dello Stato nell’economia, il ministro delle Finanze A. De’Stefani a cui Guido Jung non solo era molto unito e di cui era fedele collaboratore ma, principalmente, rivestiva il ruolo di capo di Gabinetto del primo ministro fascista delle finanze.

L’intento principale delle autorità monetarie, in quegli anni finora analizzati, era quello di evitare ulteriori svalutazioni della moneta.

Così, il ministro delle finanze De’ Stefani, nel discorso alla Scala del marzo 1924(63), si compiaceva della tranquillità della lira e, notando che la stabilità del cambio aveva bisogno dell’economia, aggiungeva: “sono da evitarsi le eccessive impazienze poiché … la rivalutazione monetaria è da considerarsi un evento ad un tempo sperabile e temibile e che comunque è da augurarsi che si compia per gradi ad evitare che i benefici siano superati da inconvenienti(64)”.

Ma nel 1924 i cambi non preoccupavano molto, salvo qualche tensione per una effimera spinta al rialzo del franco francese.

Eppure Gustavo Del Vecchio aveva intuito che ci si trovava “all’inizio di una fase ascendente di un’onda economica” e che “si ravvisavano tutte le manifestazioni di un potente dinamismo economico”(65) in cui le banche d’emissione dovevano agire da freno inibitore.

Jung, riferendo le conclusioni a cui era pervenuto in un incontro con Stringher(66), suggeriva a De’Stefani di aumentare il saggio di sconto allo scopo di deprimere la speculazione e, inoltre, in maniera ufficiosa, consigliava di diffidare le banche a non concedere nuovi crediti a stranieri sotto qualsiasi forma e a non concedere ad italiani crediti intesi a speculazione su franchi per evitare il fenomeno dell’esportazione di capitali all’estero(67).

De’ Stefani rifiutò, chiedendo, invece, una più incisiva azione di contenimento del credito e di moral suasion da parte della Banca d’Italia.

Inizia a questo punto un contenzioso tra Stringher e De’ Stefani sulla responsabilità dell’aumento della circolazione come causa del rialzo speculativo.

L’aumento del saggio di sconto come manovra per indurre la circolazione della moneta, pare a De’ Stefani una manovra non adeguata e, mentre prima Stringher sembra che concordi con l’opinione del ministro, qualche mese dopo, in una lettera a De’ Stefani, chiede l’aumento del saggio di sconto, cambiando idea rispetto a un mese prima e con il contrario, pur se successivo, avviso del direttore della sede di Milano.

Ma ciò che premeva maggiormente a Stringher era che le operazioni di Banca non influissero sull’inflazione, onde contribuire alla disoccupazione e ad altri guai di carattere sociale.

L’esplicito proposito di assecondare con la politica monetaria una fase ciclica espansiva conferma che i livelli di attività e di occupazione figuravano al primo posto nella funzione di preferenza del banchiere centrale.

Egli inoltre rifiuta l’ipotesi di “fastidiosi controlli” sugli istituti d’emissione, anche perché ne sarebbe derivato “ancora maggior forza ai grandi istituti liberi, e segnatamente a uno fra essi(68)”.

Stringher allude probabilmente alla Banca Commerciale, ma al di là della concorrenza fra Comit e Banca d’Italia, si presume che ci fosse un conflitto personale tra Stringher e Guido Jung.

In una conferenza, svoltasi il 7 marzo 1928 al Circolo di studi economici nell’ambito della Biblioteca filosofica di Palermo, avente per oggetto la “Stabilizzazione della moneta”, Jung si espresse assai criticamente sull’espansione del credito e dei mezzi di pagamento consentita fra il 1924 e il 1925.

E’ inoltre probabile che De’ Stefani coltivasse il proposito di sostituire Stringher proprio con Jung: proposito che fallì anche grazie a potenti appoggi politici che il direttore generale trovò all’interno del partito fascista.

L’episodio è documentato da due lettere, una del 21.03.1925 e una senza data, dell’avv. Lusignani a Stringher e da un successivo comunicato di agenzia. Nella prima lettera Lusignani, richiamando un loro precedente colloquio, informa Stringher che Farinacci e Rocco, da lui in questo senso sollecitati, avevano preannunciato a Mussolini le loro dimissioni “qualora fosse stato preso qualsiasi provvedimento per la Direzione della Banca d’Italia sia attraverso il Jung sia attraverso altra candidatura”.

Nella seconda lettera si esprime il gradimento di Rocco per un “bigliettino” di Stringher e si riafferma la posizione di Rocco e Farinacci, i quali non accettarono l’opinione di De’ Stefani secondo cui ogni provvedimento dipendeva non dal Consiglio dei Ministri, ma da lui stesso e dal Consiglio della Banca: “il pericolo immediato è scongiurato, ma bisogna vegliare data la cocciutaggine di D.S.”.

La conclusione è così riferita da una notizia d’agenzia: “L’On. Jung avrebbe dovuto sostituire il Comm. Stringher (…). Il Ministro delle Finanze On. De’ Stefani era favorevolissimo alla sostituzione, ma l’On. Farinacci ha fatto conoscere il pensiero del partito contrario recisamente ad una simile nomina, la quale può ormai ritenersi definitivamente tramontata, anche per l’intervento del ministro On. Rocco presso il Presidente del Consiglio”(69).

Ma la situazione nel 1925 era profondamente cambiata. Stringher nel gennaio avviò i contatti con la Casa Morgan (che già nel 1923 aveva manifestato l’intenzione di procedere ad una grandiosa operazione di risanamento finanziario dell’Europa), per un credito di 5 milioni di dollari, “da utilizzarsi al fine di stabilizzare, possibilmente, il corso della lira italiana”.

Ma il problema della stabilizzazione continuava a preoccupare Mussolini.

I negoziati per una seconda apertura di credito (1° giugno 1925) della Morgan per 50 milioni di dollari agli istituti di emissione giunsero a rapida conclusione per opera di Stringher, mentre fallirono i tentavi di Jung, per conto di De’ Stefani, di ottenere un’apertura di credito da parte di banche inglesi: nonostante Jung, come telegrafò a De’ Stefani il 2 giugno, si fosse rivolto ad “altro fratello”(70) ben disposto, l’opposizione del governatore Norman(71) fu insuperabile(72).

4. L’impegno nel Dicastero delle Finanze

La costituzione dell’IRI – Il 20 luglio 1932 Guido Jung, con R.D. fu nominato Ministro delle Finanze(73), in sostituzione dell’uscente ministro Mosconi.

Tale avvicendamento avvenne un po’ perchè ormai Mosconi era da quattro anni in carica e aveva già compiuto abbondantemente il suo “ciclo” (ricordiamo che Mussolini, per evitare che una determinata carica potesse creare una forma di “rassato”, che avrebbe messo in ombra il suo potere e la sua personalità, volle che ognuno dovesse avere delle cariche da ricoprire per un “ciclo” breve, con frequenti rotazioni), e un po’ per i continui contrasti con Mussolini sul problema della conversione della rendita, e un po’ per la necessità del duce di avere alle Finanze un uomo, per un verso, più introdotto nel mondo economico-finanziario italiano ed internazionale e, per un altro più adatto a fronteggiare la crisi economica e in particolare a difendere ad ogni costo la lira.

Da qui la scelta di Guido Jung, che come ha scritto il Guarneri, “segnò l’inizio di una politica di più deciso intervento dello Stato nella vita economica del paese” e, ha aggiunto il De Felice,” fornì a Mussolini l’uomo adatto per realizzare quella politica di “pervicace mantenimento della lira a quota novanta”, anche se l’Inghilterra aveva già svalutato la sterlina nel ’31 e gli Stati Uniti si accingevano a fare altrettanto col dollaro, di cui egli era deciso a fare una sorta di propria “bandiera””(74). Secondo Cancila, come sappiamo, Jung fu un tecnico, e non un politico, ritenuto da Mussolini, il più adatto a fronteggiare la crisi economica del paese, ed ebbe il merito di essere riuscito a mantenere il disavanzo del bilancio dello Stato entro limiti ragionevoli, ricorrendo, è vero, a inasprimenti fiscali, ma più ancora a una serie di economie persino sulle spese militari, che passarono dal 32 al 25 per cento della spesa complessiva, mentre la spesa per opere pubbliche aumentò dal 14 al 24,5 per cento e contribuì a frenare la disoccupazione negli anni della “grande crisi”(75).

Dopo la nomina di Guido Jung, cominciò a farsi strada nel regime e nelle autorità monetarie la necessità di un intervento pubblico risolutore che ponesse fine ad una situazione che rischiava di travolgere la stabilità finanziaria dello Stato(76).

Dobbiamo ricordare, che il ’32 fu l’anno in cui la congiuntura toccò livelli elevatissimi e, a ragione, fu definito l’anno più nero della crisi.

La grande crisi e il venir meno di un ordinato sistema monetario internazionale spinsero molti Paesi a ricorrere a misure protezionistiche, che aggravarono la caduta degli scambi internazionali.

L’attività produttiva dei principali Paesi continuava a scendere nella prima metà del 1932, toccando punte minime nella seconda metà dell’anno. In seguito venne registrato un minimo miglioramento, oltre che in campo internazionale anche in Italia, ma tale miglioramento fu solo temporaneo.

Ma ciò che più preoccupava Jung e le autorità monetarie, era l’effetto domino causato dalla svalutazione della sterlina, la quale aveva provocato ritiri di capitali esteri investiti in Italia, fenomeni di tesoreggiamento all’estero delle valute ricavate da esportazioni, l’esodo di biglietti e, in misura crescente, gli investimenti in titoli esteri o in titoli italiani emessi all’estero(77).

A partire dal 1930 in Italia si manifestarono con chiarezza le ripercussioni della crisi economica planetaria. La produzione industriale ebbe una sensibile flessione al ribasso e il tenore di vita delle classi meno abbienti peggiorò notevolmente, creando disagi e conflitti che costrinsero il sindacalismo fascista e le strutture statali a una difficile opera di controllo e di contenimento affinchè non sfociassero in manifestazioni di massa.

Per superare la congiuntura sfavorevole fu potenziata la politica dei lavori pubblici, con il proseguimento delle bonifiche idrauliche, soprattutto nel centro nord della penisola.

Fu comunque nel settore dell’industria e del credito che l’intervento dello Stato assunse le forme più originali e incisive, sotto la spinta di una crisi che minacciava, se non affrontata in tempo, di provocare un collasso senza precedenti dell’intero sistema bancario.

Colpite dalla crisi erano in particolare le grandi “banche miste” (Banca Commerciale, Credito Italiano e Banca di Roma) che, create alla fine dell’800 allo scopo di sostenere gli investimenti nell’industria, si erano trovate a controllare quote azionarie sempre più consistenti di importanti gruppi industriali(78).

Il Governo comprese che tali banche non avrebbero potuto superare le difficoltà del momento con le sole proprie forze e provvide in gran segreto ad apprestare, tramite la Banca d’Italia e l’Istituto di Liquidazioni, la liquidità necessaria alla sopravvivenza delle maggiori banche italiane.

Ci si accinse, dunque, nell’anno delle grandi crisi bancarie dell’Europa, a un’ennesima operazione di “salvataggio” giustificata ancora una volta – come ebbe a scrivere Beneduce ricostruendo la vicenda nel 1937 – dalla consapevolezza che la “bufera poteva travolgere l’intero sistema(79)”.

L’intervento a favore del Credito Italiano si svolse con rapidità e segretezza, si trattò certamente di misure tampone dettate dall’emergenza, ma esse evitarono all’Italia una crisi simile a quella austriaca quasi coeva (maggio 1931) innescata dall’illiquidità del Credit-Anstalt e a quella, ancora più grave, che in luglio sconvolse il sistema bancario e industriale tedesco.

Durante l’estate, nemmeno la Commerciale, principale banca del paese, potè più nascondere le proprie difficoltà derivanti dal ritiro dei fondi a breve da parte dell’estero e dalla crisi sui mercati valutari e finanziari internazionali(80).

Il Governo credette di trovare la soluzione alle difficoltà delle imprese e delle banche promuovendo, verso la fine del 1931, la costituzione dell’Istituto mobiliare italiano (IMI), il cui capitale iniziale era fornito per quasi la metà dalla Cassa depositi e prestiti e per la parte restante in larga misura dagli istituti di previdenza e di assicurazione pubblici, dagli istituti di credito di diritto pubblico e dalle casse di risparmio, organismi non toccati dalla crisi bancaria.

Nella seconda metà del 1932 vi fu una fitta corrispondenza tra il ministro delle Finanze Jung e l’amministratore delegato del Banco di Roma Giuseppe Pietro Veroi, e poi ancora tra il ministro Jung e l’amministratore delegato della Comit Giuseppe Toeplitz, affinché provvedesse al più presto allo smobilizzo di entrambe le banche ormai arrivate al collasso(81).

Ma la vastità della crisi bancaria era tale che questa non potè essere affrontata con i “salvataggi” attuati tramite la Banca d’Italia né con la pura intermediazione nel medio termine operata dall’IMI.

All’inizio del 1933, durante il ministero Jung, si attuò la svolta nel modo di affrontare le crisi bancarie, svolta coerente con la scelta di un più efficace intervento dello Stato nell’economia, con il progetto di “indipendenza economica” dell’Italia, e con l’obiettivo di mantenere il controllo della circolazione pur ridando elasticità all’azione della Banca(82).

Con la costituzione dell’Iri venne a cessare la pressione sull’Istituto di emissione da parte delle banche in crisi.

L’idea della costituzione dell’Iri, che si ebbe attraverso innumerevoli incontri tra il Capo del Governo e il Ministro delle Finanze Jung, ancora presidente della Sofindit, rappresentava per Mussolini una “svolta”, nella situazione economico-industriale.

Egli, desiderava il nuovo istituto anche con competenze più ampie di quelle che poi ebbe e non lo considerava affatto uno strumento provvisorio. “E’ mia profonda convinzione che l’Ifi segnerà una svolta nella nostra situazione economica-industriale, tonificherà potentemente il mercato, libererà da ogni residuo ingombro l’Istituto di emissione e riattivando lavoro, traffici, scambi, gioverà in definitiva anche alla Bilancia dello Stato”(83).

Il 9 gennaio 1933 (l’Iri fu costituita il 23 gennaio successivo) egli scrisse al ministro delle Finanze Jung per riassumere le loro precedenti conversazioni in materia e per dargli le direttive definitive.

Da tale documento emerge la distinzione tra credito ordinario e credito mobiliare che, fino a quel momento rimasta a livello embrionale, adesso veniva ufficializzata.

Mussolini propose a Jung di raggruppare tutte le banche che erogavano un finanziamento alle industrie in un nuovo istituto, l’Ifi (successivamente venne sostituito il nome con Iri): “L’Italia avrebbe quindi gli istituti ordinari per finanziamenti normali a corto termine; l’Imi per i finanziamenti a medio termine (dieci mesi); l’Ifi per i finanziamenti a lungo termine (dieci-quindici)”(84).

Quale presidente del nuovo istituto Mussolini indicò due nomi, uno dei quali era Beneduce, che vennero entrambi sottoposti al vaglio del ministro Jung.

Il ministro delle Finanze, scelse Beneduce (suo intimo amico), che non si esclude abbia contribuito a formare almeno in parte i convincimenti di Mussolini(85).

Per Jung, ormai, l’operazione di totale liberazione delle banche si poteva fare attraverso l’Iri, e ciò avvenne con le convenzioni del 6 marzo, del 7 marzo e del 13 marzo 1934 stipulate rispettivamente con il Banco di Roma, con il Credito Italiano, con la Banca Commerciale.

Intervennero come controparti il ministro delle Finanze Guido Jung, il governatore della Banca d’Italia, il presidente e il direttore generale dell’Iri, Beneduce e Menichella.

L’Iri acquisiva l’intera partecipazione nelle società che controllavano le banche, l’intera partecipazione nelle società che controllavano le imprese originariamente partecipate delle banche, e si assumeva sia il debito verso la Banca d’Italia, sia il credito delle banche verso le imprese.

IL 19 dicembre 1933, il ministro Jung, in una riunione svoltasi al ministero delle Finanze, espose le direttive del Governo in materia bancaria e un piano relativo allo smobilizzo del Banco di Roma.

Presenti alla riunione, su invito del ministro Jung, erano l’On. Benni e l’On. Veroi, rispettivamente presidente e amministratore delegato del Banco di Roma, il Governatore della B.d’I. Azzolini, Beneduce Presidente dell’Iri, Menichella Direttore dell’Iri.

Lo scopo della riunione fu quello di prendere in esame la situazione economica del Banco di Roma sulla base della decisione presa dal governo di risolvere il problema attraverso una operazione di smobilizzo totalitario.

“La decisione, disse Jung, è naturalmente intonata ad una precisa direttiva di Governo in ordine alla politica bancaria del domani da parte dei grandi istituti di credito privati considerandosi a tale effetto la posizione dei tre primi istituti: Comit – Credito – Banco Roma”.

Il Ministro stabilì, innanzitutto, che la maggioranza della Società Mobiliare Italiana (che deteneva la maggioranza azionaria del Banco di Roma) doveva essere sottoposta al controllo diretto del Governo e inoltre stabilì che il Banco doveva osservare una “politica di lavoro limitata alle operazioni di pura banca”, e inoltre, annunciò la possibilità della fusione del Credito Marittimo con il Banco.

Gli intervenuti alla riunione concordavano con le proposte del ministro, eccetto per ciò che riguardava la fusione del credito Marittimo in quanto la eventuale fusione avrebbe neutralizzato i vantaggi prospettati con gravi danni e ripercussioni deleterie per il B.R., ma Jung, fermo nella sua decisione, chiarì che tutto sarebbe avvenuto nel rispetto delle regole e con graduale cautela(86).

L’operazione di smobilizzo del Banco di Roma potè, così, prendere il via, grazie all’intervento risolutore del ministro Jung, che seppe dirigere i lavori con determinazione.

La missione negli Stati Uniti – Nei due mesi che precedettero l’inizio della Conferenza Mondiale Economica di Londra, Jung fu inviato, dal Governo italiano, a Washington e a New York per trattare in via preliminare su ciò che si sarebbe discusso nell’ambito della Conferenza Economica Mondiale, e in particolare sui debiti di guerra, sulle questioni monetarie, finanziarie ed economiche e inoltre, anche su questioni politiche, trattate dal Ministro con eccellente diplomazia e consapevole difesa dell’economia italiana.

Quando, nell’aprile del 1933, Jung si recò negli Stati Uniti per conto del governo italiano, portò in dono al Presidente Roosevelt, due pregiate edizioni dei codici di Virgilio e di Orazio, accompagnati da una lettera scritta da Mussolini con la quale il capo del governo italiano gli presentava il ministro G. Jung e manifestava un grande interesse per la politica economica del governo statunitense(87).

Durante il periodo in cui il Ministro delle Finanze On. Guido Jung rimase assente dal Regno, venne conferita al Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato Cavaliere Benito Mussolini, la facoltà di firmare gli atti di competenza del Ministro delle Finanze, di sostituirlo nelle sedute del Consiglio dei Ministri, nonché in quelle del Senato del Regno e della Camera dei Deputati(88).

Nel corso della traversata, il Ministro Jung, spedì un telegramma al Duce dal Piroscafo Conte di Savoia, sul quale si trovava imbarcato. Riportiamo integralmente il documento per meglio sottolineare il suo spiccato senso di responsabilità nei confronti dell’economia italiana, la sua assoluta fedeltà al regime, ma prima ancora alla persona di Benito Mussolini:

Nel traversare sul mare la linea del confine della Patria il mio pensiero si rivolge a Lei, Duce, che ne ha rinnovato il volto e l’anima e ne ha affermato il prestigio in faccia al mondo e mi ritorna nella memoria il giorno in cui per la prima volta traversai l’oceano su una nave straniera carica di emigranti italiani. Con la dovuta riconoscenza che suscita in me questo ricordo vorrei assicurarla ancora che farò quanto est in me per assolvere il compito che V.E. mi ha affidato89).

La visita, articolata in diverse riunioni, diede l’opportunità a Jung di incontrare oltre il Presidente stesso, anche altri esponenti del governo ed esperti nel campo finanziario americano.

La Conferenza di Londra e la stabilizzazione delle monete – Nell’agosto del 1932, con una lettera “riservata” inviata al Governatore della B.d’I. Azzolini, il neo ministro delle Finanze Jung espose un programma relativo alla partecipazione dell’Italia alla Conferenza Economica Finanziaria Mondiale(90).

Lo scopo fondamentale, che l’Italia avrebbe dovuto perseguire alla Conferenza di Londra, secondo Jung, era quello di ristabilire gli scambi internazionali in maniera più attiva e più intensa.

Il programma così esposto presentava due aspetti fondamentali: “1) il risanamento della moneta e il ripristino del “gold standard” per quei paesi che lo avevano abbandonato legalmente o di fatto; 2) rapporti economici tra le singole Nazioni che consentivano a ciascuna di esse un proprio equilibrio economico, condizione perché potesse reggersi una moneta sana e potessero rifiorire i traffici internazionali”.

Inoltre, secondo Jung, il nodo principale della Conferenza Mondiale era quello dei debiti privati della Germania e della sua ricostruzione industriale, sensazione comprovata, più tardi, da un articolo del signor Barrett Managing Editor del Financial Times, pubblicato nel giornale stesso il 30 agosto, e del quale Beneduce si premurò a dargliene notizia attraverso una lettera “personale” inviatagli il 2 settembre 1932(91): “Il problema dei debiti privati tedeschi è presentato come la bussola della prossima Conferenza Economica”.

Più tardi, però, come già sappiamo, la Germania rinunciò alla partecipazione della Conferenza, decidendo la sospensione dei pagamenti dei debiti di guerra, in periodo in cui il potere di Hitler tendeva ad un sostanziale consolidamento.

Nel gennaio 1933 venne pubblicato il programma ufficiale della Conferenza mondiale monetaria ed economica da tenersi in giugno a Londra, conferenza che avrebbe dovuto risolvere il problema della stabilizzazione delle monete, gettando le basi per ricostruire un ordinato sistema monetario internazionale.

Dopo un fallito tentativo di negoziare segretamente un accordo di stabilizzazione tra Stati Uniti, Inghilterra e Francia, il problema internazionale si complicò ulteriormente con l’abbandono temporaneo della parità aurea da parte degli Stati Uniti e la svalutazione del dollaro nell’aprile del 1933.

La decisione degli Stati Uniti venne presa sulla base di motivi di politica economica interna e recepì l’interpretazione della crisi e le proposte di reflazione di I. Fisher e di Keynes: l’obiettivo della stabilizzazione venne spostato dal mantenimento di una parità costante con l’oro alla stabilità del potere d’acquisto della moneta in termini di beni e servizi.

La svalutazione del dollaro e una politica monetaria più espansiva avrebbero consentito di arrestare la caduta dei prezzi all’ingrosso e quindi la fine del processo di liquidazione delle scorte.

Mentre in Italia, come nel resto dell’Europa continentale, l’interpretazione della crisi era completamente diversa e le teorie di Keynes e Fisher non vennero accettate. Al contrario vennero accettate le analisi di Einaudi secondo il quale con la reflazione non venivano eliminate le scorie del ciclo precedente.

Con la Conferenza di Londra, alla quale partecipò anche il ministro Guido Jung, si conseguirono risultati concreti molto limitati, ma vennero approvate alcune deliberazioni sul funzionamento del sistema monetario.

In particolare si riconobbe l’esigenza di una “maggiore elasticità nelle disposizioni che impongono la copertura legale per le banche centrali, considerando sufficiente un rapporto minimo dell’oro agli impegni a vista del 25 per cento”(92).

Venne anche deliberato che “le banche centrali debbono avere l’indipendenza necessaria e i poteri occorrenti ad una opportuna politica monetaria e del credito” e che “è desiderabile la più intima collaborazione tra le banche centrali”(93).

Ma il 27 giugno prima della chiusura della Conferenza di Londra, i rappresentanti dei Governi decisi a mantenere la parità aurea in vigore e le regole monetarie esistenti sottoscrissero una dichiarazione nella quale riaffermarono i loro intendimenti “chiedono alle proprie Banche Centrali di mantenersi entro il massimo di efficacia”.

All’inizio di luglio i banchieri centrali dei sei Paesi (Francia, Belgio, Italia, Svizzera, Olanda e Polonia) si incontrarono presso la Banca di Francia e firmarono un “Accordo di cooperazione” noto come il “blocco dell’oro”.

Il ministro delle Finanze Guido Jung, alla chiusura della Conferenza di Londra, enunciò i principi in materia economico-monetaria del Governo italiano nel modo seguente:

L’Italia ha stabilizzato la sua moneta in confronto all’oro, fin dal dicembre 1927, ed è fermamente decisa a mantenere la parità fissata a tale data. Il Governo italiano considera come sacri i frutti del lavoro e del risparmio, e che, a giudizio suo e di tutto il popolo italiano, costituiscono i soli mezzi veramente sani per assicurare lo sviluppo economico necessario alla popolazione italiana, che è in continuo aumento. L’Italia non ha fede in un metro di gomma elastica, e tanto meno in una moneta manovrata(94).

Venne quindi perduta anche l’occasione della svalutazione del dollaro per mutare l’indirizzo della politica economica; si insistette invece nella strategia della deflazione e della riduzione dei costi.

La reintroduzione di norme legislative di controllo sui cambi – Nel corso del ‘33 il tasso di sconto si ridusse in tre riprese scendendo dal 5 al 3 per cento, ma i prezzi all’ingrosso in Italia si ridussero notevolmente, mentre nel Regno Unito e negli Stati Uniti cominciarono a risalire.

La riduzione dei tassi d’interesse attuata alla fine dell’anno fu volta anche a favorire la grande operazione di conversione del consolidato che poi venne attuata all’inizio del 1934, ma concorse a rinvigorire le uscite di capitale.

Le riserve che si erano rafforzate dall’inizio del ’32, dall’inizio del 1934 ripresero a ridursi rapidamente.

L’esportazione clandestina di banconote divenne sempre più preoccupante.

In una fitta corrispondenza con il ministro Jung, Azzolini richiese delle misure per frenare l’esodo di banconote.

Azzolini, fin dalla svalutazione dalla sterlina, aveva più volte espresso l’avviso di frenare le esportazioni di capitali con un provvedimento legislativo e che era stato richiesto, senza successo, alle banche di astenersi dall’effettuare o facilitare queste operazioni.

Inoltre, il Governatore, affermava di non avere potuto contrastare l’emorragia di riserve con un rialzo del tasso di sconto per non ostacolare la grande operazione di conversione, che anzi ha richiesto di ridurre il tasso sulle anticipazioni, creando un clima favorevole all’esportazione di capitali: egli ritenne fosse “giunto il momento di adottare dei provvedimenti per il controllo del commercio dei cambi”, decisione che doveva, però passare al vaglio del Governo(95).

La preoccupazione per l’esportazione clandestina di banconote aveva coinvolto in prima persona il ministro Jung che, con un telegramma inviato dall’imbarcazione “Conte di Savoia” mentre si stava recando negli Stati Uniti, impartì delle direttive al Governatore della Banca d’Italia allo scopo di “evitare assolutamente l’esportazione della lira”, attraverso il riscatto del prestito obbligazionario della Fiat, ancora in circolazione sul mercato americano per oltre 8 milioni di dollari.

La notizia del riscatto di tale prestito avrebbe dato la sensazione, secondo Jung, che l’Italia, in quel momento così delicato, fosse in possesso di larghe disponibilità di oro o di valute, cosa che però non corrispondeva a verità.

Ma questo Jung lo sapeva bene. Inoltre esortava il Governatore a “sorvegliare gli acquisti in lire provenienti dall’estero e la provenienza della lira posta sul mercato da parte delle Banche principali essendo sempre più importante evitare formazione di flottante di lire all’estero che potrebbero servire da massa di manovra per movimenti speculativi contro di noi”.(96)

La stessa preoccupazione, per il medesimo problema, risiedeva anche in Azzolini, e ciò è testimoniata da un telegramma di risposta inviatogli da parte di G. Jung, che in quel periodo si trovava in missione a Washington presso il Presidente Roosevelt per discutere sulla questione dei debiti di guerra, con il quale ribadì che bisognava scoraggiare il trasferimento di capitali all’estero onde evitare la “rarefazione della lira”(97).

In un telegramma successivo che riportava la stessa data il ministro Jung incoraggiava il Governatore a riacquistare in Svezia parte delle azioni del gruppo Kreuger e Tell, sempre allo scopo di evitare l’esportazione di capitali. Egli sosteneva che tale situazione era stata creata da persone interessate(98) le quali, non avevano richiesto l’autorizzazione all’Amministrazione dei Monopoli quando le azioni Kreuger e Tell potevano rappresentare un pericolo reale per l’economia nazionale(99).

In quel momento così delicato, denso di tensioni e di continue pressioni, urgeva al più presto regolamentare la situazione dei cambi nel miglior modo possibile e con le dovute cautele.

L’introduzione del controllo sui cambi fu attuata attraverso una serie di provvedimenti graduali, emanati in gran parte in base ai poteri conferiti al ministro delle Finanze G. Jung dal decreto del 29 settembre 1931.

Con il D.M. del 26 maggio 1934, il cui fine era quello di arginare la continua perdita di riserve, Jung introdusse una serie di norme per regolare le operazioni in Cambi e divise. In base ad esso, infatti, nessuna operazione in cambi e divise poteva essere eseguita se non rispondeva alle reali necessità dell’industria e del commercio o ai bisogni di chi viaggiava all’estero.

Vennero vietati, inoltre, l’acquisto sui mercati esteri di titoli e valori, sia esteri sia italiani emessi all’estero, nonché l’esportazione dei biglietti di banca, di assegni pagabili in Italia e di ogni tipo di titoli in lire.

Divenne obbligatoria l’autorizzazione ministeriale per la concessione di crediti in lire a favore di operatori esteri, sia pure a copertura di rapporti commerciali e per lo sconto di qualsiasi cambiale che potesse apparire comunque come il mezzo escogitato dagli operatori esteri per ottenere disponibilità in lire. Di tutta questa attività doveva essere data notizia giornaliera alla Banca d’Italia.

La Banca d’Italia, secondo l’accordo, forniva il proprio parere al ministro Jung sulle eventuali deroghe del decreto stesso, esercitando la vigilanza sul rispetto delle norme sui cambi (con facoltà di richiedere la documentazione necessarie alle banche e a ogni altro operatore in cambi).

Contemporaneamente, il ministro Jung, emanò il R.D.L. 26 maggio 1934, n. 804, con cui fu reintrodotta la tassa di bollo per tutti i titoli esteri o italiani emessi all’estero che si trovassero in Italia, con l’obbligo di denuncia di tali titoli, contrariamente a ciò che era avvenuto nel 1923, in cui erano state emanate norme particolari per incentivare le attività sull’estero attraverso l’esenzione dei titoli esteri dalle tasse di bollo e altre facilitazioni fiscali alle filiali all’estero di società italiane.(100)

Ma le misure poste in essere dal ministro delle Finanze non furono sufficienti ad arrestare l’emorragia delle riserve.

Mussolini capì che l’adeguamento dell’economia nazionale al livello della parità con l’oro fissata nel 1927 stava divenendo sempre più difficile e costoso e che quindi anche la deflazione aveva i suoi limiti oltre i quali, i vantaggi attesi si tramutavano in inconvenienti.

Jung, in quel preciso momento, aveva le mani legate, infatti, Mussolini riconobbe la difficoltà tradotta nell’impossibilità di comprimere ulteriormente il margine del settore dei servizi, politica perseguita dal ministro delle finanze al fine di conseguire “prezzi alti all’ingrosso, prezzi bassi al minuto”(101).

Mussolini, in una lettera a Jung(102), palesò le sue preoccupazioni in merito alle riserve che rischiavano di scendere al di sotto del limite di sei miliardi e ordinò un rastrellamento delle divise degli esportatori, del turismo, dei noli, delle rimesse degli emigranti, perché temeva che un giorno ci si potesse trovare davanti al dilemma di perdere l’oro o disancorare per conservarlo.

Dal giugno al dicembre 1934 restò in vigore un regime di controllo elastico, che non vincolava le operazioni di tipo commerciale e turistico.

Alla fine dell’anno, accertata l’inefficacia delle prime misure per arginare i deflussi di capitali e l’erosione delle riserve, Jung, in collaborazione con il Governatore Azzolini, diede vita a nuove misure legislative per la mobilitazione delle disponibilità in divise costituite dai privati negli anni precedenti, e instaurò il monopolio assoluto del commercio dei cambi.

Di fronte al ricorso alla svalutazione monetaria ormai diffuso in tutto il mondo dopo le vicende del dollaro, l’Italia, anziché ricercare la soluzione ai problemi in quella direzione, rimase nel Blocco dell’oro. Nella scelta, che ebbe ricadute sul controllo dei cambi, non furono trascurabili le esigenze connesse alla preparazione della guerra d’Etiopia.

Negli ultimi mesi del 1934, ancora più intensa fu la collaborazione tra il ministro G. Jung e il Governatore della Banca d’Italia: Azzolini ripropose una più rigorosa disciplina e limitazione di importazioni; Jung, dal canto suo, con l’emanazione di ben quattro provvedimenti, attuò un maggiore inasprimento delle misure fiscali.

Il primo di questi quattro provvedimenti fu il R.D.L. 8 dicembre 1934, n. 1942, integrato con decreto ministeriale della stessa data, che prevedeva la cessione delle divise e la dichiarazione del possesso dei titoli all’estero; i due decreti ministeriali attuativi dell’8 dicembre; e il 4°, il R.D.L. 8 dicembre 1934, n. 1943, che stabiliva le sanzioni per le banche e i cambiavalute nei casi di irregolarità delle operazioni in divise. Con questi provvedimenti fu prescritta la cessione di tutti i crediti esteri da parte di banche e società all’Ince, tramite la Banca d’Italia.

Solo per le imprese di assicurazione e di trasporto marittimo fu ammessa la possibilità di detenere conti in valuta estera, nella quantità necessaria alle operazioni correnti e con l’autorizzazione del ministro delle Finanze.

Con tale normativa, Jung, introdusse la dichiarazione obbligatoria alla Banca d’Italia da parte delle società e dei cittadini italiani dei crediti esteri, dei titoli esteri e dei titoli italiani emessi all’estero posseduti, nonché le eventuali successive variazioni nelle posizioni di credito o nella proprietà dei titoli stessi; ma con il successivo R.D.L. 17 gennaio 1935, n. 1 (l’ultimo decreto emanato dal ministro G. Jung), Jung chiarì che la dichiarazione obbligatoria già prevista dal R.D.L. n. 1942 riguardava anche le banche e le altre imprese di qualsiasi natura.

Fu, inoltre, precisato l’obbligo per l’esportatore di cedere all’Ince ogni mezzo che potesse servire a pagamenti all’estero. Con questa norma attuativa del R.D. n. 1942, Jung reintrodusse inequivocabilmente il monopolio assoluto del commercio dei cambi in capo all’INCE(103).

La situazione critica di quel momento è testimoniata da una lunga lettera che Jung inviò, da Palermo, ad Azzolini la vigilia di Natale del 1934(104), in cui si evidenzia un disorientamento, sia da parte della Banca d’Italia, sia da parte dei possessori di divise che volevano consegnare le monete estere in loro possesso, ma la banca non era in grado di dare loro il denaro corrispondente, col risultato di paralizzare il mercato e di bloccare le esportazioni, cosa alla quale Jung si oppose con frenetica determinazione.

Con l’instaurazione del monopolio il ministro delle Finanze sospese, di fatto, la convertibilità, non potendo più i residenti detenere attività in valuta estera(105); a questo punto, però, l’appartenenza del paese al Blocco dell’oro perse da allora significato effettivo.(106)

Per quanto riguarda, invece, il problema dell’eccesso di liquidità e quello del finanziamento del fabbisogno statale con mezzi non finanziari, verificatasi sin dall’inizio degli anni Trenta, a causa dei salvataggi bancari, il ministro delle Finanze lo risolse accrescendo la raccolta postale e la disponibilità della Cassa depositi e prestiti, e tornando ad emettere titoli pubblici. Ma gli elevati tassi d’interesse sui buoni fruttiferi postali, certamente non agevolano il superamento della crisi bancarie.

In seguito alle proteste degli istituti di credito e dello stesso ministro per l’Agricoltura Acerbo per le ripercussioni sul costo del credito agli agricoltori, si decise un parziale cambiamento di rotta: nel settembre del 1932 il ministro delle Finanze Jung in collaborazione col Governatore Azzolini, e sotto gli auspici dell’Associazione Bancaria, promossero un’intesa tra gli istituti di credito per una nuova edizione del “cartello bancario” e per la riduzione dei tassi sulla raccolta; i tassi bancari vennero ridotti in ottobre e tre mesi dopo venne ridotto di un punto il tasso sui buoni fruttiferi postali.

Infatti, dal dicembre 1932, con Jung, vennero apportate ai tassi d’interesse sui buoni postali variazioni nello stesso senso e in misura pressochè uguale a quelle decise per i tassi sui depositi fiduciari delle casse di risparmio ordinarie e delle altre banche. Venne tuttavia mantenuto un differenziale di rendimento a favore dei buoni fruttiferi postali, differenziale che aumentava col crescere della durata dell’impiego del risparmio(107).

Ma anche tali provvedimenti sembrarono essere inadeguati per conseguire effetti significativi in tempi brevi.

In sintesi, nel corso della prima metà degli anni Trenta con Jung al ministero delle Finanze venne mutato radicalmente il modello di riferimento per la politica monetaria e valutaria italiana, con una svolta cruciale alla metà del 1934. “Dal 1931 alla metà del 1934, l’economia italiana venne completamente esposta alle influenze dell’estero (ribasso dei prezzi, svalutazioni monetarie, limitazioni al commercio internazionale); le esportazioni valutarie […] erano, in senso generale, libere”. In Italia, come facilmente si evince da quanto sopra detto, prevalsero le idee liberiste, sia nel rinviare il controllo dei cambi, sia nell’evitare di intervenire per contrastare la depressione e la caduta dei prezzi interni. Nel contempo però in altri campi si era esteso l’intervento statale nell’economia.

Nella seconda metà del ’32 le grandi operazioni di conversione del debito pubblico compiute all’estero e la disintermediazione bancaria ad opera del risparmio postale sollecitarono una politica più attiva per ridurre i tassi d’interesse; si cominciò come già detto, con la diminuzione di quelli bancari e postali.

La speculazione venne frenata e il tasso di sconto scese grazie agli interventi di acquisto sul mercato attuati tramite la Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali per conto della Cassa autonoma di ammortamento del debito pubblico interno. Appare evidente, che i primi provvedimenti legislativi, di controllo sui cambi, si devono a Guido Jung, pur se in notevole ritardo rispetto a quelli posti dagli altri paesi dopo la svalutazione della sterlina.

Il ventiquattro gennaio 1935, Jung fu costretto a dimettersi a conclusione del suo ciclo ministeriale.

In quell’occasione, Mussolini scrisse a Jung quanto segue:

Caro Jung, ritengo concluso il suo ciclo come Ministro delle Finanze. Ciclo che rimarrà memorabile nella storia della finanza italiana, per le grandi operazioni di conversione ottimamente realizzate e per deciso avviamento al pareggio del bilancio. Io desidero ringraziarla per quanto fatto, per la collaborazione diligente e fedele prestatami: è giusto – specie in questi anni difficili – che la somma delle gravi responsabilità e dei compiti duri non resti troppo a lungo sulle stesse spalle(108).

Come sappiamo, Mussolini non amava fare rimanere i suoi collaboratori in carica più di un certo periodo, per il timore che a lungo andare avrebbero potuto creare una forma di rassato, ma nemmeno, a mio avviso, si può escludere che il Duce, ordinò le dimissioni di Jung, influenzato dalla propaganda antisemita, svoltasi tra il gennaio e l’aprile del ’34 nella Germania nazista di Hitler, dove di lì a poco vennero emanate le cosiddette leggi di Norimberga (settembre 1935).

Immediata fu la risposta di Jung, densa di sottomissione e di fiero orgoglio nazionalista:

Duce, Le sono grato dal profondo del cuore di aver voluto che io servissi il Paese ai Suoi ordini diretti in questo periodo così movimentato e non so dirle quanto mi sia cara la bontà che S.E. mi dimostra nel giudicare l’opera mia. Con devozione e fedeltà infinite La ringrazio della simpatia che V.E. ho sempre trovato nell’E.V. e che ha reso il mio compito più agevole. Mi permetto di dirle, ancora una volta che chi, come me, ha vissuto a lungo nell’anteguerra in Italia e all’estero non troverà mai parole adeguate per esprimere la sua riconoscenza per l’E.V. e per ciò che V.E. ha fatto e fa per l’Italia nostra(109).

Si concludeva così, il ciclo Jung nell’economia dell’Italia fascista.

5. Ministro del Governo Badoglio

Dalla guerra in Etiopia alla caduta del fascismo – Gli anni che vanno dal 1929 al 1936 furono gli anni migliori del regime.

Furono gli anni in cui Mussolini conseguì il massimo consenso sulla sua politica. Avvenimento importante, che segnò una tappa nella storia economica italiana, come abbiamo detto, fu la creazione dell’iri nel gennaio 1933, con il decisivo contributo del Ministro Guido Jung, e la costituzione di numerosi altri enti previdenziali che videro profondamente cambiare la struttura ed il carattere dello Stato classico dell’economia liberale: lo Stato diventava anche imprenditore, condizionando sempre più con i suoi interventi lo sviluppo dell’economia.

Indispensabile corollario e nel contempo conseguenza inevitabile di questo scenario di politica economica fu la ripresa su larga scala delle ideologie imperialistiche, che spinsero il governo fascista in una guerra coloniale contro l’Etiopia per dare all’Italia il tanto agognato “Impero”.

Tra l’ottobre del 1935 e il maggio del 1936 fu portata a termine la conquista dell’Etiopia, che era stata avviata prendendo a pretesto alcuni incidenti alla frontiera dei possedimenti italiani, in Somalia e in Eritrea.

Unita alla Somalia e all’Eritrea, l’Etiopia formò l’Impero dell’Africa Orientale.

La guerra d’Africa, oltre che a ragioni di politica economica, volte ad allargare i confini del mercato nazionale in epoca di rigido protezionismo internazionale, e di prestigio del regime nello scacchiere internazionale, rispose anche all’obiettivo di riannodare i fili del consenso popolare, che il peggioramento delle condizioni economiche dei ceti meno abbienti aveva notevolmente indebolito.

Il governo infatti nel 1930 e nel 1934 aveva abbassato d’autorità i salari degli operai e degli impiegati, mentre la disoccupazione veniva arginata con difficoltà soprattutto nelle grandi città.

Il successo della guerra d’Africa galvanizzò gli animi degli italiani. Le manifestazioni di quegli anni furono indubbiamente sincere; la “giornata della fede” fu veramente un atto di fede e di consenso popolare, così come lo furono gli otto miliardi sottoscritti in occasione del prestito nazionale del settembre 1935: le sanzioni furono sentite veramente inique dalla stragrande maggioranza degli italiani e la vittoria e l’Impero salutati con entusiasmo pari solo alle speranze che su di essi si basarono(110).

Protagonista di quell’impresa etiopica, insieme ad altri autorevoli nomi, fu Guido Jung, non più ministro, che partì volontario e non più giovane (nel 1935 Jung aveva già compiuto ben 59 anni!), animato da un sentimento patriottico che lo spingeva ancora una volta a servire la Patria, dopo aver conseguito il brevetto d’aviatore.

Molti furono gli ebrei italiani che parteciparono volontari alla guerra d’Africa spinti dal sacrificio per la patria, perché si consideravano italiani tra gli italiani.

La vittoria e la proclamazione dell’impero furono salutate dalla stampa ebraica con vero entusiasmo, come il trionfo del diritto e della verità sopra l’arbitrio e la menzogna e furono celebrate anche nei templi.

La conquista dell’Etiopia fu sentita da molti ebrei non solo come un fatto nazionale, ma anche come un fatto ebraico, dal momento che nella zona presso Gondar e il lago Tana viveva una popolazione di razza cuscitica e di religione giudaica, i falascià, per i quali l’ebraismo italiano aveva mostrato interesse e aveva stabilito alcuni rapporti con essi(111).

Ma i rapporti sempre più intensi, che si svilupparono tra il ’35 e il ’37, resero le condizioni degli ebrei sempre più instabili e preoccupanti.

Da una situazione di simpatia da parte degli italiani nei confronti degli ebrei, ci si spostò gradatamente verso una situazione in cui non mancarono esplicite prese di posizione contro il sionismo, tanto da far scaturire, poco più tardi, nel 1938 le leggi razziali che introducevano una serie di leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei: leggi che ricalcavano, sia pur in forma attenuata, quelle naziste del ’35, escludendo gli israeliti da qualsiasi ufficio pubblico, limitandone l’attività professionale e vietando i matrimoni misti.

Per ciò che concerne il nostro studio, dal periodo che va dalla fine della guerra in Etiopia, per scarsezza di documentazione, si perdono le tracce del nostro personaggio, per poi ritrovarle (se pur in quantità esigua), dopo la seconda guerra mondiale, con la costituzione del Governo Badoglio all’interno del quale rivestì l’incarico di sottosegretario delle Finanze nel primo Gabinetto, dal novembre del 1943 e a dicembre dello stesso anno gli furono conferiti i poteri di ministro degli Scambi e delle Valute, per divenire dopo, da febbraio ad aprile del 1944, nuovamente, ministro delle Finanze nel secondo Governo del maresciallo Badoglio, ed ad interim, mantenne il mandato di ministro degli Scambi e delle Valute.

Con la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, Jung decise senza alcun dubbio di sorta da che parte schierarsi.

Decise di non seguire il duce il quale, in tempi ancor non sospetti lo aveva “gentilmente” allontanato dal suo Gabinetto, molto probabilmente perché ebreo, e per converso decise di offrire la sua fattiva collaborazione al nuovo Governo del Sud con la esplicita intenzione di contribuire alla liberazione dell’Italia, che a distanza di qualche decennio ricadeva nelle mani dello straniero invasore, con la stessa determinazione che lo aveva animato quando era partito volontario per il fronte nel 1915.

I motivi riconducibili a fattori di ordine religioso non spiegano che in parte, il perché della scelta di Guido Jung, ministro fascista nel Gabinetto Mussolini, di far parte del Governo Badoglio spogliandosi dell’ideologia fascista alla quale si era accostato esclusivamente al fine di servire lo Stato Italiano.

In realtà, come sappiamo, Jung nasce come fervente assertore del nazionalismo, quindi, un appassionato amante della sua nobile Patria, pronto a combattere, come abbiamo appena detto, per la sua nazione mettendo a repentaglio la sua vita nell’elevato sentimento del sacrificio.

Collaborando con Mussolini, Jung si adoperò per risollevare le sorti economiche dell’Italia uscita dal primo conflitto, sebbene vincitrice, con una pesante eredità da smaltire.

Egli aderì con sincerità e spontaneità al fascismo, ma rimase pur sempre un nazionalista, un ebreo italiano fedele, prima di ogni cosa, all’Italia e alla corona sabauda.

Benché la sua scelta fosse ascrivibile ad un vero e proprio atto d’amore, rimane certo il fatto che l’adesione al Governo del Sud nel contempo gli permetteva di porsi al riparo da implicazioni di carattere religioso.

Con la costituzione del Governo Badoglio (composto per lo più da uomini meridionali, tra cui anche il nostro Jung, motivo, a mio avviso, che lo facilitò nel prestare la sua collaborazione), egli dimostrò più che mai, in maniera forte e decisa il suo stretto legame di sangue, il coinvolgimento emotivo per la sua Italia.

Jung, infatti, aveva già cominciato a collaborare con gli anglo-americani fin dall’occupazione della Sicilia(112).

Bisogna sottolineare, che il Governo Badoglio era un governo fantoccio, debole, che viveva all’ombra degli eseciti occupanti i quali gli aveva impedito di avere alcuna capacità decisionale e di avere la propria autonomia nell’amministrazione del proprio territorio.

Di questa dipendenza il governo del Maresciallo soffrì per tutto il corso della sua controversa vita, tanto da mettere in difficoltà i ministri che ne facevano parte.

In particolare Jung, più volte si ritrovò in serie difficoltà nell’espletare il mandato essendo impossibilitato a prendere decisioni autonome e immediate, ma al contrario sempre sottoposte al vaglio della commissione americana addetta al controllo del territorio liberato.

Ciò nonostante, nel periodo del suo sottogretariato, prima e durante il suo ministero, dopo, vennero approvati diversi regi decreti legge proposti proprio dal ministro palermitano Jung.

Tra i più importanti citiamo ad esempio: il R.D.L del 2 dicembre 1943, n. 12/B “Norme per la liquidazione provvisoria delle pensioni a carico dello Stato”, con il quale egli propose

l’attuazione di un organo collegiale periferico, composto da elementi esperti nella materia, a cui veniva affidato il servizio della liquidazione provvisoria di tutte le pensioni, che operasse con solerzia e probità, capace di sostituirsi a tutti gli organi centrali allo intento di fare giungere alle classi lavoratrici, […], l’assegno vitalizio col quale si corrisponde agli impiegati dello Stato la parte differita del loro stipendio o s’integra alle altre categorie la diminuzione della capacità di lavoro(113).

Jung, in considerazione dell’aumento del numero delle domande di pensioni civili e militari, manifestò la necessità di provvedere sulle medesime con prontezza e senza attendere la ripresa delle comunicazioni con la Capitale per venire incontro ai vari casi di estremo bisogno onde evitare doglianze e malcontento da parte di quella categoria disagiata.

Nel frattempo nella seduta del 8 dicembre 1943 veniva emanato il R.D.L. relativo alla reintegrazione degli ebrei nei diritti civili, politici e patrimoniali, ad opera del Sottosegretario di Stato per la Grazia e Giustizia G. De Santis ed esaminato anche da Jung, e la conseguente abrogazione delle leggi razziali emanate dal governo fascista.

Già da Sottosegretario, spiccava il suo interesse per il risanamento dell’economia prostrata dalle ingenti spese affrontate nell’appena terminato secondo conflitto mondiale.

Il Consiglio dei ministri approvò, nella stessa seduta del 8 dicembre, uno schema di R.D.L. proposto proprio da Jung e concernente l’autorizzazione al Ministro delle Finanze a concedere la garanzia dello Stato su anticipazioni bancarie a favore di imprese industriali interessanti il riassetto della vita civile e la ripresa economica della Nazione. La disposizione, prevedeva la concessione fino ad un massimo di un miliardo di lire, e da un siffatto provvedimento si evince l’intenzione concreta del sottosegretario, finalizzata alla ricostruzione e alla rinascita del Paese.

L’attuazione di esso, avrebbe creato delle ripercussioni nel campo avversario e nel territorio occupato dai tedeschi, in misura notevole tanto da uscirne rafforzata l’autorità ed il prestigio del Governo(114).

L’intento di Jung era, soprattutto, quello di “restituire l’Industria ed il Commercio alla iniziativa privata, ma un tale programma per essere attuato deve trovare fondamento nella disponibilità delle materie prime necessarie”(115).

In questo caso specifico, egli si riferiva alla “disciplina delle materie grasse e della produzione dei saponi”, regolata con R.D.L. del 31 gennaio 1944.

Regolamentazione dell’emissione di moneta – La situazione monetaria era per Jung, un aspetto molto importante del suo mandato, infatti, in quel momento storico, con il duplice regime di occupazione, cessò la sovranità monetaria nazionale.

Nel Regno del Sud iniziò la massiccia emissione di moneta da parte delle autorità anglo-americane (le cosiddette Am-lire) per provvedere al pagamento degli stipendi delle truppe e delle spese di occupazione(116).

A questo punto, a distanza di circa quattro mesi dall’armistizio, bisognava rimettere un po’ di ordine nell’ambito dell’emissione della moneta e a tale scopo Jung procedette con uno schema di r.decreto-legge che autorizzasse la fabbricazione di biglietti di Stato in deroga alle norme di cui al regolamento allegato al R.D.L. 20 maggio 1935, n. 874.

Il decreto proposto dal sottosegretario alle Finanze e in seguito approvato dal Consiglio dei Ministri prevedeva, appunto, la fabbricazione di carta moneta in deroga al decreto sopra citato.

Nella sua relazione, Jung manifestò preoccupazione per la situazione creatasi dal fatto che la Officina Carte valori della Banca d’Italia con sede all’Aquila e quella dello Stato presso l’Istituto Poligrafico a Roma fossero rimaste in mano nemica.

Egli cercò di organizzare una spedizione, della quale egli stesso faceva parte,allo scopo di rimpossessarsi almeno delle piastre per la stampa dei biglietti, però il piano fallì a causa dell’ingerenza Tedesca sull’aeroporto della città dell’Aquila; a causa della distanza dell’Aquila dal mare di più di 100 Km; a causa dei sentimenti filofascisti di parte del personale della Officina Carte Valori della Banca d’Italia.

Fin dal mese di ottobre, Jung si mise in contatto con Lord Rennel Rodd per cercare di fare approntare all’estero delle nuove piastre per biglietti di banca e provvedere eventualmente alla stampa di essi.

Lord Rennel Rodd gli rispose negativamente, ma gli suggerì di rivolgersi al governo americano, anche se non escludeva che, anche quest’ultimo, avrebbe potuto esprimere parere negativo.

Il sottosegretario palermitano riferì in questo modo sulle questioni:

In occasione della prima visita fatta a Brindisi dal Colonnello Americano Foley ai primi di novembre, parlai anche con lui della cosa, ed egli allora si mostrò contrario alla fabbricazione di speciali banconote italiane, e ciò anche in considerazione della spesa. Egli suggerì, invece di utilizzare anche per le occorrenze presenti e future del Governo Italiano le banconote in Lire stampate dal Governo Militare Alleato, dicendosi pronto a fornirne nella misura che sarebbe stata necessaria. Verso la fine di novembre, tuttavia, il Col. Foley dimostrò di avere cambiato opinione e venne a parlarmi di sua iniziativa della richiesta da me precedentemente fattagli, suggerendo che io la concretassi(117).

Nel frattempo, però, la Commissione Alleata cominciò a chiedere dei prospetti dettagliati sulle presumibili Entrate ed Uscite mensili dello Stato, nonché il fabbisogno di banconote dovuto al movimento economico e finanziario della regione.

Frattanto, cresceva l’esigenza della fornitura di carta moneta che venne rinviata a quando la Commissione Alleata non si sarebbe resa conto delle cifre sottopostele e considerare soddisfacenti le informazioni avute.

Sia io che i più elevati in grado dei miei funzionari, aggiunse Jung, fummo per settimane assorbiti interamente da queste torturanti investigazioni. L’attitudine dilatoria fu tale da dare la sensazione che le investigazioni non fossero fine a sè stesse, nascondessero chi sa quale oscuro disegno, e l’angoscia che ne derivava era anche accresciuta dalla insufficienza del fondo di cassa e dalla conseguente urgente necessità di banconote(118).

Qualche settimana più tardi, il 9 dicembre, di fronte a nuove richieste di informazioni e di dati e ad una situazione di cassa preoccupante, Jung dichiarò che se le richieste stesse tendevano a ritardare la fornitura di banconote indispensabili perché il governo Italiano facesse fronte ai propri impegni, e specialmente pagasse le Forze Armate, dichiarò che non intendeva ricoprire il suo posto ancora oltre, poiché egli riteneva che gli Alleati dovessero assumere essi la diretta responsabilità delle conseguenze dei loro atti, sia sotto l’aspetto politico, che nei riflessi che la bancarotta dello Stato avrebbe avuto sulle Forze Armate Italiane.

In seguito a quanto già esposto furono consegnati alla Banca d’Italia a Bari L. 200.000.000 di banconote il giorno 11 dicembre 1943 e L. 249.000.000 il giorno 23 dicembre 1943.

A questo punto Jung, nel suo discorso pronunciato dinanzi ai suoi colleghi ministri, tenne a precisare, a giusta ragione,

che non si trattava di un credito fatto o da fare al Governo Italiano, ma di una provvista di carta stampata, in forma di banconote, quale avrebbe potuto farla qualsiasi officina di carte valore. Questa è stata accetta come la sola e verace definizione della fornitura stessa.

Naturalmente, le difficoltà da me incontrate e le forme inquisitorie che accompagnavano tali difficoltà, mi avevano frattanto reso riluttante a considerare come soluzione auspicabile per porre riparo alla mancanza di banconote una ordinazione di carta moneta agli Stati Uniti(119).

Nelle successive conversazioni avute, tra il Sottosegretario Jung e il Col. Foley, quest’ultimo non mancò di far notare il bisogno di economizzare al massimo l’impiego delle banconote del Governo Militare Alleato a causa della scarsa disponibilità delle banconote stesse. Foley insistette perché venisse ripresa in esame la fabbricazione in America dei biglietti di banca italiani, anche perché contemporaneamente a causa dell’imminente invasione ad Algeri, le Officine di Carte Valori del Tesoro Americano erano impegnate fino al limite massimo della loro potenzialità per la produzione di banconote espresse in valute differenti dalla Lira, destinate ai paesi da invadere, e che quindi era intenzione del Governo Americano di non fabbricare ulteriormente banconote per conto del Governo Italiano.

Nella seconda settimana di gennaio 1944 le premure del Col. Foley, riguardo alla fabbricazione in America di banconote italiane per conto della Banca d’Italia e dello Stato Italiano, divennero estremamente pressanti, e ad esse si aggiunse la dichiarazione esplicita che gli Alleati entro breve termine non sarebbero più stati in grado di fornire al Governo Italiano, per i bisogni della circolazione nell’Italia liberata, banconote del Governo Militare Alleato, ma che avrebbero anzi richiesto, a termine dell’armistizio, che il Governo Italiano fornisse loro le banconote in Lire occorrenti al pagamento delle loro truppe, riscattando con banconote italiane le banconote A.M.G. in Lire già in circolazione.

Ne sorse l’esigenza di nominare un Commissario della Banca d’Italia che avesse il compito di accentrare a sé le attribuzioni ed i poteri degli Organi Centrali della Banca stessa, in base al R.D.L. 15 novembre 1943 n. 8/B, poiché gli Organi Centrali della Banca d’Italia si trovavano in territorio occupato dai Tedeschi.

Detto Commissario aveva il compito di deliberare ciò che era di competenza della Banca d’Italia per ciò che riguardava la fabbricazione ed emissione di biglietti della Banca stessa, alle quali seguivano i provvedimenti legislativi di competenza del Ministero delle Finanze.

La funzione di sorveglianza, di controllo e di sindacato sulla fabbricazione dei biglietti di Stato, venne assunta dal Ministero del Tesoro degli Stati Uniti il quale si impegnava ad esercitare “gli opportuni controlli e salvaguardie contro falsificazioni e duplicazioni, e le ragionevoli precauzioni, quali sono generalmente esercitate dal Ministero del Tesoro degli Stati Uniti riguardo alla incisione e stampa di biglietti di Stato e di banconote degli Stati Uniti”(120).

Tale incarico, affidato al Ministero del Tesoro degli S.U., non solo rassicurava il Governo Italiano, ma per di più si superava il problema dell’impossibilità di dover mandare dei funzionari italiani negli S.U. per sorvegliare sul posto la fabbricazione dei biglietti, impossibilità determinata dalla nostra situazione di vinti che non dava altra scelta in materia di salvaguardia.

Il contributo alla Conferenza di Napoli – In un contesto storico assai controverso, nei primi mesi del 1944, ebbe luogo a Napoli una conferenza relativa alla restituzione all’Amministrazione italiana, da parte degli Alleati, delle province a sud del limite nord delle province di Salerno, Potenza, Bari, salvo le isole di Lampedusa, Pantelleria e Linosa.

Alla conferenza di Napoli, oltre al Maresciallo Badoglio, al prof. Ugo Forti e altri membri della commissione, partecipò anche il Sottosegretario di Stato Guido Jung, che ebbe un ruolo di mediatore nelle trattative con gli Alleati per la cessione delle province, il cui fine principe era quello di tutelare gli interessi del Paese.

Qualche giorno dopo la firma del documento, da parte del Generale Alexander, avvenuta il 9 febbraio 1944 (entrato in vigore alle 00.01 del giorno 11 febbraio 1944), durante la seduta del Consiglio dei Ministri, tenutasi il giorno successivo alla firma stessa (10 febbraio 1944), Badoglio elogiò Jung e i membri della commissione per avere saputo condurre con sapiente diplomazia le trattative nel pieno e vivo interesse del Paese.

Nel corso della seduta Badoglio, inoltre, dopo avere ringraziato tutti coloro che avessero preso parte alla conferenza diede la parola a Guido Jung che illustrò lo svolgimento delle trattative con gli Alleati durante la conferenza stessa.

Egli, nel suo intervento, riferì che la maggior parte e le più importanti delle proposte italiane vennero accolte dal rappresentante delle Nazioni Alleate, il Generale Mac Farlane e dai suoi collaboratori.

Il giorno dopo la firma del trattato (11 febbraio 1944), Jung verrà rinominato Ministro delle Finanze nel secondo Governo Badoglio.

In quei giorni il Giornale di Sicilia, pubblicava l’8 febbraio 1944 un articolo inquietante, nel quale dichiarava che il Governo Badoglio veniva defenestrato per via dell’introduzione della suddetta commissione di controllo: “Il “New York Times” annuncia da Washington che dal 10 febbraio il controllo sull’amministrazione della Sicilia e degli altri territori occupati dell’Italia meridionale sarà affidato ad una commissione d’armistizio. Il Governo Badoglio, pertanto si trova automaticamente esautorato”(121).

Il Gen. Wilson aveva dichiarato:

Gli italiani che hanno sincere convinzioni democratiche dovranno porre le basi dell’avvenire del Paese. Essi dovranno fare i piani per l’avvenire su basi democratiche, conformemente alla volontà del popolo italiano, quando questa volontà potrà essere espressa in modo conveniente. La commissione di controllo alleata veglierà affinché questo avvenga.

Commentando questa dichiarazione il generale Mac Farlane dichiarava:

lo scopo finale è quello di consegnare al governo italiano, automaticamente, tutti i territori situati dentro i limiti del controllo militare alleato. Se l’amministrazione italiana dimostrerà di essere all’altezza del compito affidatole, come lo speriamo, il numero dei consiglieri che lasceremo dietro di noi verrà gradatamente e sostanzialmente ridotto. Il compito di fondere il Governo militare e la commissione in un solo gruppo, è della massima importanza, poiché si tratta del 1° esperimento di riorganizzazione in Europa e da questo esperimento dipenderanno i successi alleati in altri paesi al momento opportuno(122).

In seguito, con i R. decreti-legge del 2 marzo 1944 n. 70, Jung provvide al pagamento, non riscosso a causa degli eventi bellici, degli interessi delle rendite del consolidato e dei certificati di usufrutto di rendita consolidata al 3,50%; e con il decreto successivo n. 71 al pagamento degli interessi da corrispondere ai possessori dei Buoni del Tesoro ordinari e di quelli novennali al 4% già scaduti il 15 dicembre 1943.

Per quanto riguarda, invece, il pagamento dei Buoni del Tesoro novennali al tasso del 5% a premio riportanti la data di scadenza del 15 settembre 1951, il ministro delle Finanze stabilì, con R.D.L. 2 marzo 1944 n. 69, che, in base al R. decreto-legge 27 giugno 1943, n. 559, venisse data facoltà ai possessori dei buoni del Tesoro novennali 4%, scadenti il 15 settembre 1951, di cambiare tali titoli in altri buoni del Tesoro a premio, fruttanti l’interesse annuo del 5% pagabile in due semestralità posticipate al 15 marzo e al 15 settembre di ogni anno.

Poiché si avvicinava la data del 15 marzo, e poiché i nuovi Buoni del Tesoro al 5% non erano ancora stati distribuiti alle Sezioni di R. Tesoreria, il Ministro delle Finanze Jung predispose il detto decreto per poter provvedere ugualmente al pagamento delle rate semestrali di interesse che si sarebbero mutati nel momento cui diveniva possibile consegnare i titoli degli aventi diritto.

Il mandato del Ministro palermitano terminò il 22 aprile 1944, quando venne nominato il suo successore Quinto Quintieri.

A metà del ’44 alcuni importanti fatti nuovi vennero a mutare il quadro politico e militare. Mentre gli anglo-americani in Francia aprivano il secondo fronte e i sovietici si spingevano ormai nel cuore della grande Germania, confermando che la fine del conflitto non era poi talmente lontana, in Italia gli Alleati il 4 giugno 1944 liberavano Roma. Poteva insediarsi così nella capitale, trovandosi maggiore forza e credibilità, un Governo espresso dai partiti antifascisti e presieduto da Ivanoe Bonomi, al quale ora facevano capo le varie istituzioni centrali in via d’organizzazione, sia pure entro i limiti di potere consentiti dalla amministrazione militare alleata(123).

Con la creazione del nuovo Governo Bonomi, Jung lascia la scena politica e si ritira a vita privata nella sua casa di Palermo, dove poi muore stroncato da un infarto mentre scrive a macchina una lettera, nel 1949, a 73 anni.

NOTE

(*) L’argomento è stato oggetto di una tesi di laurea svolta nell’ambito della Storia del Risorgimento, relatrice la Prof. Gabriella Portalone, discussa nell’anno accademico 2002/2003 della Facoltà di Scienze Politiche di Palermo.

(1) L. Sammarco, Economia ed estetica nella Palermo liberty, http://www.federazionedeiliberali.it/sammarco.html, pp. 3-4.

(2) Da un documento prelevato dall’Asbi, si apprende che il suo domicilio romano era Via Porta Pinciana, 14. tel. 484196.

(3) L. Sammarco, op. cit., p. 4.

(4) Ivi, p. 4

(5) Si apprende da un documento prelevato che la famiglia Jung abitava in via Alloro, 5 esuccessivamente trasferitisi in via Lincoln, 83. Archivio di Stato di Palermo, Fondo Prefettura di Palermo, serie Gabinetto, busta 252 anni 1921-25, onorificenza Ugo Jung e Aldo Jung

(6) O. Cancila, Palermo, Roma-Bari, edizione Laterza, 1999, p. 287

(7) Archivio di Stato di Palermo, fondo prefettura-gabinetto, anni 1921-25, busta 252, fascicolo “Onorificenza, Guido Jung”.

(8) O. Cancila, Palermo, cit. p. 234.

(9) Nel 1881 nasce la Società di Navigazione generale italiana con sede a Roma e con due compartimenti a Palermo e a Genova: una società formata da 83 piroscafi, che ne faceva la più potente compagnia del Mediterraneo dopo le Messangéries Maritimes di Marsiglia, O. Cancila, Palermo, cit. pp. 290-91.

(10) O. Cancila, op.cit., p. 297.

(11) Ivi, p. 316.

(12) Ivi, pp. 211-212.

(13) Ivi, p. 18.

(14) O. Cancila, op. cit., p. 209.

(15) Archivio di Stato di Palermo, Fondo Prefettura-Gabinetto, busta 252, anni 1921-25, Jung Comm.re Guido, onorificenze, documento manoscritto con firma autografa.

(16) M. Scaglione, op.cit., p. 25 .

(17) G. Arcoleo, Crispi, a cura del comitato pel monumento nazionale inaugurato in Palermo il XII gennaio MCMV, Palermo, stab. Tip. F. Andò, s.a (1905), cit. in F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970 vol. 2, Palermo, Sellerio Editore, 1985, p. 237, a cura del comitato pel monumento nazionale inaugurato in Palermo il XII gennaio MCMV, Palermo, stab. Tip. F. Andò,s.a (1905).

(18) M. Scaglione, op. cit., p. 24.

(19) Ivi, pp. 44-45.

(20) Cfr. Verbali del Consiglio Comunale di Palermo, anni 1920-1924, in Archivio Segreteria Generale del Palazzo delle Aquile, Palermo.

(21) M. Scaglione, op. cit., p. 24.

(22) Cfr. G. Borghese, Buon sangue latino, in “Corriere di Sicilia”, 27-28 ottobre 1911, p. 3.

(23) O. Cancila, op. cit., p. 324.

(24) G. Portalone, Mussolini nel 1914. Dalla Classe alla Nazione, in “Rassegna Siciliana di Storia e Cultura”, n. 14 – Dicembre 2001, pp. 5 – 89.

(25) Cfr. M. Scaglione, op. cit., p. 34

(26) Cfr. O. Cancila, op.cit., p. 260

(27) Cfr. M. Scaglione, op. cit., p. 41.

(28) F. Renda, op. cit., p. 308.

(29) M. Scaglione, op.cit., pp. 44-45.

(30) F. Renda, op. cit., p. 310.

(31) Lettera del 14 novembre 1911; in Adolfo Omodeo, Lettere 1901-1946, p. 4; cfr. F. Renda, Storia della Sicilia, cit. p. 315.

(32) O. Cancila, op. cit., p. 262.

(33) Biblioteca Regionale di Palermo, miscellanea A355.26, Guido Jung Deputato al Parlamento, Nel VII Annuale della Fondazione dei Fasci di Combattimento, pp. 6-7.

(34) M. Scaglione, op. cit., p. 50. cfr. “L’Ora”, 22-23 giugno 1916, p. 3.

(35) O. Cancila, op. cit., p. 262.

(36) Archivio Storico di Palermo, Fondo Prefettura di Palermo, serie gabinetto, busta 252, anni 1921-25, onorificenze Ugo Jung.

(37) Inaugurazione della Conferenza interalleata per l’agricoltura, “L’Ora” del 25-26 febbraio 1919.

(38) F. Renda, Storia della Sicilia, cit. p. 311.

(39) Archivio Storico Banca d’Italia, Roma, Direttorio-Azzolini, cart. n. 111, fasc. 3, s.fasc. 1, Lettera a Bonaudo Stringher dal Capo di Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri.

(40) Archivio Storico Banca d’Italia, Roma, Direttorio-Azzolini, cart. n. 111, fasc. 3, s.fasc. 1, Rapporto della Commissione Finanziaria alla Conferenza di Genova.

(41) Archivio Storico Banca d’Italia, Roma, Direttorio-Azzolini, cart. n. 111, fasc. 3, s.fasc. 1, Lettera a Bonaudo Stringher il cui mittente è illeggibile.

(42) M. De Cecco (a cura di) L’Italia e sistema finanziario internazionale 1919 – 1936, Roma-Bari, Laterza, 1993, Memoriale di Beneduce, pp. 439-40.

(43) Cfr. deliberazioni di Giunta del 2 dicembre 1920, in Archivio della Segreteria Generale del Palazzo delle Aquile di Palermo.

(44) F. Renda, Storia della Sicilia, pp. 351-54.

(45) Ivi, pp. 360-362.

(46) R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi editore s.p.a., 2000, p. 23.

(47) Ivi, p. 67.

(48) G. Portalone, Saggio introduttivo a L. Vincenti, Storia degli ebrei a Palermo durante il fascismo, Palermo 1998.

(49) R. De Felice, op. cit., p. 73.

(50) Ivi, p. 74.

(51) O. Cancila, op. cit, p. 356.

(52) Archivio Centrale dello Stato, Roma, fondo segreteria Particolare del Duce,carteggio riservato, anni 1922-1943, busta 86, tale lettera porta la data del 23 giugno 1925 data in cui Jung rivestiva la carica di Commissario del Governo per i beni dei sudditi ex nemici.

(53) R. De Felice, op. cit., p. 81.

(54) Archivio Centrale dello Stato, Roma, fondo segreteria particolare del duce,carteggio riservato, anni 1922-43, busta 86, lettera dattiloscritta di Jung a De Stefani dell’8.8.1925

(55) Archivio Centrale dello Stato, Roma, fondo Segreteria Partcolare del Duce,anni 1922-45, busta 86, lettera anonima dei commercianti di Palermo senza data, ma sembra rifersi allo stesso torno di tempo.

(56) Archivio centrale dello Stato, Roma, fondo Segreteria Particolare del Duce, anni 1922-45, busta 86, lettera anonima dei commecianti di Palermo.

(57) Archivio Storico dello Stato, Roma, fondo Segreteria Particolare del Duce, carteggio riservato, anni 1922-43, busta 86, lettera di risposta del capo di gabinetto del ministro delle Comunicazioni del 14.11.1927.

(58) Archivio Storico dello Stato, Roma, fondo Segreteria Particolare del Duce, carteggio riservato, anni 1922-43 busta 86, lettera autografa di dimissioni, datata 16.05.1928.

(59) O. Cancila, Palermo, cit., p. 378.

(60) Biblioteca Regionale di Palermo, miscellanea A355.26, Guido Jung, Deputato al Parlamento, Nel VII Annuale della Fondazione dei Fasci di Combattimento, pp. 3-4.

(61) Ivi, Miscellanea A335.26, Nel VII Annuale della Fondazione dei Fasci Italiani, pag. 15, in Biblioteca Regionale di Palermo.

(62) Archivio Centrale dello Stato, Roma, fondo segreteria particolare del duce, carteggio riservato, anni 1922-43, busta 86, lettera autografa del 20.06.1928.

(63) F. Cotula – L. Spaventa (a cura di), La politica monetaria tra le due guerre, 1919-1935, Roma Bari, Laterza 1993, p. 119.

(64) Tali inconvenienti sono da ricollegarsi a un possibile eccesso di svalutazione.

(65) Ivi, p. 120

(66) Stringher era il governatore della Banca d’Italia.

(67) Ivi, doc. 46-47, pp. 391-393.

(68) Ivi, pp. 122-124.

(69) Ivi, pp. 121-125, n.296, 297.

(70) Si riferisce alla Casa Hambro di Londra con la quale Jung avviò, segretamente, i negoziati per una nuova apertura di credito a difesa della lira.

(71) Norman era al tempo il governatore della Banca d’Inghilterra.

(72) F. Cotula – L Spaventa, La politica monetaria, cit., p.127, nota. 306.

(73) Archivio Centrale di Stato di Roma , fondo presidenza del Consiglio dei Ministri, serie Gabinetto, busta 1.4.2, fascicolo 6199.

(74) R. De Felice, Mussolini il Duce Gli anni del consenso.1929-1936, Torino, Giulio Einaudi editore, 1974, pp. 288-289.

(75) O. Cancila, Palermo, cit., p. 378.

(76) Storia Economica d’Italia di Stefano Battilossi a cura di Pierluigi Ciocca, Gianni Toniolo, 2.Annali, Cariplo-La Terza, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 283.

(77) G. Reitano (a cura di), Ricerche per la storia della Banca d’Italia, vol. VI, Roma Bari, Laterza, 1993, pp. 320-321,

(78) A. Giardina – G. Sabbatucci – V. Vidotto, L’Età contemporanea, cit., p. 626.

(79) IRI, Relazione del Consiglio di Amministrazione sul bilancio al 31 dicembre 1936, cfr. G. Guarino – G. Toniolo (a cura di), La Banca d’Italia., cit. p. 71.

(80) G. Guarino – G. Toniolo (a cura di), La Banca d’Italia, cit. pp. 70-71.

(81) Ivi, Lettera di Veroi al ministro Jung del 04.08.1932 doc. 159, pp. 792; Promemoria della B.C.I. a Jung del14.11.1932, doc. 160, p. 798; Lettera di Toeplitz a Jung del 6.12.1932, doc. 161, p. 804.

(82) G. Guarino – G. Toniolo (a cura di), La politica monetaria, cit., p. 181 e ss.

(83) R. De Felice, Mussolini il Duce, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi 1974, p. 176.

(84) Ivi, p. 176.

(85) G. Guarino – G. Toniolo, La Banca d’Italia, cit., p. 151.

(86) Ivi, Appunto di Veroi del 19.12.1933, doc.163, pp. 829-32.

(87) Cfr. R. De Felice, Mussolini il Duce, cit., p. 542.

(88) Archivio Centrale dello Stato, Roma, Presidenza Consiglio dei Ministri, Gabinetto anni 31-33, busta 1.4.4. fascicolo 9089, conferimento di delega del 22.4.1933 a firma del Re Vittorio Emanuele.

(89) Archivio Centrale dello Stato, Roma, Presidenza Consiglio dei Ministri, Gabinetto anni 31-33, busta 1.4.4., fascicolo 9089, telegramma del 25.4.33 ore 14.10. Tale data è riconducibile al giorno della sua partenza dall’Italia per raggiungere gli Stati Uniti, mentre il suo arrivo (18.05.33) è documentato da un altro telegramma inviato dal Piroscafo Vulcania il 10.05.33.

(90) Archivio Storico Banca d’Italia, Roma, Direttorio – Azzolini, cart. n. 26, fasc. 1, lettera con firma autografa di Jung del 6.08.1932, con allegato. L’appunto si riferisce oltre che alla Conferenza di Londra anche alla Conferenza di Bonnet per l’Europa centro-orientale.

(91) Archivio Storico Banca d’Italia, Roma, Beneduce, cart. n. 276, fasc. 6, lettera di Beneduce a G. Jung del 2.9.1932.

(92) F. Cotula – L. Spaventa, op. cit., p. 190.

(93) Ivi, p.190.

(94) Cfr. F. Cotula – L. Spaventa, La politica Monetaria, cit., pp. 190-91.

(95) Ivi, lettera del 02.05.1934 di Azzolini al Ministro Jung, “Esodo di biglietti di banca”, p. 772, doc. 150.

(96) Archivio Storico Banca d’Italia, Roma, Direttorio – Azzolini, cart. n. 26, fasc. 1, telegramma decifrato di G. Jung ad Azzolini dal Conte di Savoia del 29.04.1933.

(97) Archivio Storico Banca d’Italia, Roma, Direttorio – Azzolini, cart. N. 26, fasc.1, telegramma decifrato di G. Jung ad Azzolini da Washington del 4.5.1933.

(98) Forse si riferisce a privati senza scrupoli.

(99) Archivio Storico Banca d’Italia, Roma, Direttorio – Azzolini, cart. n. 26, fasc. 1, telegramma decifrato di G. Jung ad Azzolini da Washington del 04.05.1933.

(100) cfr. G. Raitano, Ricerche per la storia della Banca d’Italia, vol. VI, I provvedimenti sui cambi in Italia nel periodo 1919-36, Roma- Bari, Laterza, 1993, pp. 322-323.

(101) Cfr. F. Cotula – L. Spaventa, La politica monetaria, cit., pp. 192-93.

(102) Ivi, lettera del 26.06.1934 di Mussolini a Jung sul problema delle emorragie di riserve, doc. 151, p. 775.

(103) Cfr. G. Raitano, I provvedimenti sui cambi in Italia, cit., pp. 323- 24.

(104) Archivio Storico Banca d’Italia, Roma, Direttorio –Azzolini, cart. n. 9, fasc. 1, lettera di G. Jung ad Azzolini del 24.12.1934.

(105) In base alla legge del dicembre 1927 la Banca d’Italia aveva infatti la facoltà di convertire i biglietti in valute collegate all’oro.

(106) Cfr. G. Raitano, I provvedimenti sui cambi in Italia, cit.

(107) Cfr. F. Cotula – L. Spaventa, La politica monetaria, cit., pp. 198-200.

(108) Archivio Centrale dello Stato, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, gabinetto anni 31-33, busta 1.4.2., fasc. 6199.

(109) Ibidem

(110) R. De Felice, Storia degli ebrei, cit., p. 189

(111) Ivi, p. 194

(112) Cfr. M. Missori, Alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno, a cura del Ministero per i Beni Culturali e ambientali, Roma, 1989, p. 78.

(113) Seduta del 25.11.43, Pensioni a carico dello Stato, http://www.ipzs.it/pcm/pdf/vol1/ised07.pdf p. 74

(114) R.D.L. 13 dicembre 1943, n.26/B, seduta 8 dicembre 1943, http://www.ipzs.it/pcm/pdf/vol1/ ised07.pdf, p. 89.

(115) R.D.L. 31 gennaio 1944, n. 38 , seduta del 25 gennaio 1944, http://www.ipzs.it/pcm/pdf/vol1 /ised03.pdf, p. 165.

(116) S. Battilossi, Storia economica d’Italia. (a cura di) P. Ciocca – G. Toniolo, 2 Annali, Cariplo Gruppo Intesa, Roma-Bari, Laterza, 1999, pag. 319.

(117) Governo Badoglio, Seduta del 25 gennaio 1944, r.d.l. 31 gennaio 1944, n. 35, http://www.ipzs.it/pcm/pdf/vol1/ised04.pdf

(118) Ibidem

(119) Ibidem.

(120) Ibidem.

(121) “Giornale di Sicilia”, 8 febbraio 1944, Badoglio Defenestrato. Una commissione d’armistizio controllerà i territori dell’Italia Meridionale.

(122) “Gionale di Sicilia”, 13 febbraio 1944, Pantelleria, Lampedusa e Linosa rimarranno sempre in mano degli alleati.

(123) A. Caracciolo (a cura di), La Banca d’Italia tra l’autarchia e la guerra (1936 – 1945), Roma – Bari, Laterza, 1992, pp. 78-79.