1. Premessa
I “diritti di libertà” previsti dalla “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma nel 1950 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa, ed i suoi Protocolli addizionali firmati a Parigi, Strasburgo e Vienna (anch’essi resi esecutivi in Italia)”, sono garantiti “(in seguito all’approvazione del Protocollo di Strasburgo del 1994) dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo”(1).
Ma, i “diritti di libertà”, che la Convenzione tutela, sono dati dalla “sua ratifica ed esecuzione interna con legge ordinaria [… che] non consente di elevarne il contenuto al rango delle norme costituzionali”, pur essendo “uno strumento di tutela integrativo rispetto a quelli che il diritto nazionale mette a sua disposizione”.
Quale la conseguenza?
La sentenza Pellegrini c. Italia – emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo il 20 luglio 2001 – appare emblematica, intervenendo sulla normativa concordataria che prevede la declaratoria di efficacia per la sentenza dichiarativa della nullità ecclesiastica, sicuramente garantita dalla “costituzionalizzazione [… del] principio pattizio”(2). Nessun dubbio, in ogni caso, può insorgere in ordine alla forza vincolante della sentenza(3) emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Questa sentenza si attesta alla valutazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione, valutando nella sua applicazione i principi fondamentali(4) del “giusto processo”(5), già esplicitati dalla previsione giuridica dell’art. 111 Cost.
Questa precisazione, che fuga incertezze sull’applicabilità della sentenza de quo, stabilendo l’ambito di efficacia per lo Stato italiano che si estende al Concordato, esclude ogni conseguenza diretta per gli organi della giurisdizione canonica?
Non v’è alcun dubbio al riguardo, così come non appare trascurabile l’innegabile pregiudizio subito dalla soccombente Pellegrini: paradossalmente la natura giuridica del diritto canonico, preordinata alla “salvezza delle anime” (can. 1752), può determinare conseguenze giuridiche sicuramente non volute, come apparirà chiaramente considerando – nel prosieguo della trattazione – la specialità del giudicato canonico(6), che sicuramente si riflette sulla natura dell’efficacia giuridica civile.
La specialità del caso de quo non deve ad ogni buon conto sorprendere. Il Consiglio Superiore della Magistratura, con particolare riferimento alla previsione giuridica dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, rivendica l’ “effettività” della funzione giudicante, che dovrebbe essere garantita anche dalla compiuta applicazione dell’art. 111 della Cost(7).
Il campo di riflessione deve essere quindi sicuramente rivolto alla valutazione del processo, che in specie viene attivato presso i Tribunali ecclesiastici per ottenere la sentenza dichiarativa(8) della nullità matrimoniale.
In questo caso sarà necessario ricorrere alla “dichiarazione di efficacia”, riconoscendo piena validità all’art. 8 n° 2, previsto dall’accordo del 1984 – come è avvenuto nel caso de quo – al fine di consentire alla sentenza di poter produrre i propri effetti giuridici. Ma con quale esito precessuale?
È questo un punto di difficile soluzione che investe i “limiti di efficacia della pronuncia canonica nell’ordinamento italiano”(9).
Appare ancor oggi discutibile e difficilmente valutabile – ancor di più in ragione della sentenza de qua – quale sia la “funzione” che determina, per l’ordinamento italiano, la “dichiarazione di efficacia” della “nullità di matrimonio pronunciata dai tribunali ecclesiastici” (art. 8 n° 2). Questa non sembra possa risolversi in una “dichiarazione di efficacia” con “funzione dichiarativa”.
2. La “declaratoria di efficacia” della sentenza di nullità ecclesiastica e la sentenza straniera.
È possibile ritenere che la “dichiarazione di efficacia” – “declaratoria di efficacia”(10) – della sentenza di nullità ecclesiastica – munita del “decreto di esecutività” della Segnatura Apostolica produca un’ “efficacia preclusiva” che si staglia tra l’ “efficacia costitutiva” e quella “ricognitiva o dichiarativa” per l’esistenza di un “effetto che oscilli fra queste due possibilità contraddittorie”?
Non necessariamente – “in maniera universale” – ogni “effetto giuridico presente [… deve] saldarsi al passato” perché “vi sono fatti giuridici – in questo caso la sentenza dichiarativa della nullità matrimoniale – che […] prescindono completamente dal passato”(11).
La “dichiarazione di efficacia” della sentenza di nullità ecclesiastica – dotata del “decreto canonico” di esecutività – resa dalla sentenza della “Corte d’Appello competente” ha un’efficacia preclusiva: “condizione di efficacia è il solo fatto – sentenza di nullità ecclesiastica – senza il concorso dello stato giuridico anteriore”(12).
Una precisazione sicuramente opportuna. Quale conseguenza deve prevedere questa interpretazione per le sentenze straniere, che pure producono effetti per l’ordinamento italiano in seguito alla “delibazione”?
La dottrina assegnava alla “delibazione” – anteriormente alla “riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato” introdotta dalla legge 31 maggio 1995, n° 218 – una imprecisata “funzione integrativa”, secondo una “struttura di tipo cognitivo”(13) che accomunava “[… l’] ordinario giudizio di delibazione delle sentenze straniere alla speciale materia oggetto della pattuizione in sede di Concordato”(14).
Nulla di tutto ciò può ritenersi più pacifico.
Non soltanto “l’utilizzazione dei criteri stabiliti [… dalla] Convenzione di Bruxelles del 1968” – recepiti per la loro applicazione dalla già citata “legge di rifirma”(15) – ma piuttosto la diretta applicazione della “sentenza straniera […] riconosciuta in Italia automaticamente”(16) pone quesiti sicuramente inediti circa l’efficacia della delibazione.
Qual è la “ragione giuridica” che può rendere solo eventuale il giudizio di delibazione della sentenza straniera, “che deve essere effettuato unicamente quando le parti dissentono in ordine [… alla sua] efficacia in Italia”(17)? E ancor di più. Quale esito, ancora maggiormente pregiudizievole, avrebbe avuto l’applicazione immediata della sentenza di nullità ecclesiastica per la convenuta che, nel caso de quo – prima di ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – aveva pur inutilmente attivato in Italia ogni previsione processuale ritualmente utile?
Per quanto possa apparire lodevole l’intenzione dottrinale di promuovere un “processo di progressiva “assimilazione” tra c. d. exequatur delle sentenze ecclesiastiche e “delibazione” delle sentenze straniere”, anche al fine di garantire una “cooperazione fondata sul riconoscimento di quell’indispensabile coordinamento tra norme convenzionali e norme generali che comunque coesistono nell’ordinamento italiano”, non è possibile dismettere il “ricorso […] – sicuramente non formalistico – alla prevalenza del principio di specialità”(18).
Le conseguenze sono di tutta evidenza. La declaratoria di efficacia – necessaria e non eventuale – della sentenza di nullità ecclesiastica pronunciata – ritengo con “funzione preclusiva” – dalla “Corte d’Appello competente” nel caso de quo, ha reso necessario l’intervento della corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
3. Il “principio di specialità”, l’ “efficacia preclusiva” e l’ “efficacia dichiarativa o ricognitiva”.
È necessario riconoscere la specialità del giudicato canonico in tema di nullità matrimoniale: viene esclusa la possibilità che le “cause sullo stato delle persone […] passino in giudicato” (can. 1643), ammettendo “il rimedio straordinario della Nova propositio causae”, attivato con argomenti “noviter proposita”(19).
Una costatazione di tutta evidenza esclude ogni facile comparazione con le sentenze pronunciate dai tribunali dello Stato italiano ed in genere con ogni pronunciamento giurisdizionale di stampo continentale – nella previsione del giudicato – assimilabile ad una sentenza straniera.
Ma v’è di più. “L’esecuzione forzata dei comandi del legislatore o del giudice è lettera morta nell’ordinamento canonico; giacché si presume che in questo ordinamento esistano le condizioni affinchè possa essere affidato alle virtù eminentemente cristiane della carità e della fede, non già alla forza il compito della giustizia”(20).
Una digressione su queste considerazioni appare quindi fondata.
Il coordinamento fra norme convenzionali e norme generali richiede l’applicazione del “principio di specialità” per consentire l’effettiva attuazione dei principi fondamentali – che anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo persegue – ed esclude qualsiasi semplicistico “adeguamento dell’ordinario giudizio di delibazione delle sentenze straniere alla speciale materia oggetto di pattuizione in sede di Concordato”(21).
Un’ulteriore precisazione, sicuramente opportuna. Deve essere riconosciuta validità – nella produzione degli effetti giuridici della sentenza straniera – all’ “efficacia dichiarativa o (ricognitiva)”, oppure all’ “efficacia preclusiva” – nell’interpretazione delineata – accomunando alla sentenza straniera le sentenze di nullità ecclesistica dotate del decreto di “esecutività canonica” della Segnatura Apostolica?
La soluzione che accomuna la sentenza straniera alla sentenza di nullità ecclesiastica è ancor di più difficilmente praticabile del semplice adeguamento già descritto, sempre per la diversa previsione sancita dalla “riforma” in tema di sentenze straniere – con la loro diretta opponibilità nell’ordinamento italiano – che non può consentire in alcun modo di infrangere l’ “ordine giuridico” dello Stato, costituzionalmente garantito(22).
Ritengo che la “riforma del sistema di diritto internazionale privato” abbia determinato – per le sentenze straniere – l’ambito di operatività dell’ “efficacia dichiarativa o (ricognitiva)”, escludendo – per la loro immediata opponibilità nell’ordinamento italiano – ogni possibile applicazione della “funzione preclusiva”.
La conferma è evidente. La previgente disciplina – sancita dagli artt. 796-797 c. p.c. abrogati – differentemente, ma in modo del tutto analogo alla declaratoria di efficacia delle sentenze dichiarative della nullità ecclesiastica, prevedeva “la possibilità di attribuire efficacia anche alle sentenze straniere [… non] in modo immediato ed automatico, ma soltanto attraverso la mediazione di un provvedimento di un giudice italiano con l’evidente funzione – ragionevolmente “preclusiva” – di un controllo [… finalizzato] innanzi tutto [… a verificare la] sussistenza degli elementi essenziali perché il provvedimento [… potesse] essere qualificato “sentenza” anche nel nostro ordinamento, e quindi [… al] fatto che il provvedimento stesso [… fosse] stato pronunciato nel rispetto di talune essenziali esigenze concernenti la giurisdizione e il contraddittorio”(23).
L’attuale “controllo […] solo eventuale […] che deve essere effettuato unicamente quando le parti dissentano in ordine all’efficacia in Italia della sentenza straniera”(24) muta evidentemente l’efficacia della delibazione delle sentenze straniere da “preclusiva” a “dichiarativa” o “ricognitiva”, “dove il fatto opera sull’effetto in concorso con uno stato giuridico anteriore in cui l’effetto è già contenuto, ma richiede condizioni aggiunte che ne rendano possibile o agevole l’attuazione in concreto”(25).
Un ulteriore interrogativo – del tutto immediato – che sia “fonte di prova” per le argomentazioni già addotte.
Le sentenze pronunciate dai Tribunali ecclesiastici – giudicato con decreto di esecutività canonico – possono in astratto – analogamente a quanto avviene per la sentenza straniera – essere sempre direttamente opponibili, senza incidere – anche in tema di “giusto processo – l’ “ordine giuridico” statale?
La sentenza de qua sembra smentire ogni assoluta certezza.
Un’ulteriore precisazione che chiarisce l’interrogativo, ma soprattutto la prospettiva in cui è posto.
In questa sede non s’intende smentire la validità del sistema processuale canonico, ma solo porre attenzione all’efficacia della sentenza di nullità ecclesiastica e quindi alla sua “forza esecutiva” – attuata, in questo caso, dalla “funzione preclusiva” – che richiede particolari cautele proprio perché incide sullo stato giuridico delle persone fisiche(26).
A tal riguardo è opportuno rammentare quanto Mandrioli annota sull’istituto della delibazione. Viene puntualizzata l’espressione “dar forza esecutiva” – anteriore alla vigenza dell’art. 796 c.p.c. – contrapposta all’espressione “far valere”, adottata proprio per la formulazione dell’art. 796 c.p.c., successivamente abrogato. Questa giusta opposizione, che assume l’espressione “far valere” – sicuramente prodromica all’esecutività della sentenza e direttamente connessa alla produzione degli effetti – conferma la “funzione preclusiva” – teorizzata da Falzea e qui accolta – che le argomentazioni addotte sembrano dover indurre a ritenere operante, con ogni evidenza, per la declatoria di efficacia della nullità ecclesiastica, già nella vigenza degli art. 796-797 c.p.c.
Ma v’è di più. Questa interpretazione della “riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato” riconosce alla sentenza straniera una “presunzione iuris tantum” di idoneità – ammissibile la “prova contraria” – alla produzione di effetti giuridici nell’ordinamento italiano, che non incidono l’ “ordine giuridico” statale. La puntuale applicazione della “regolare costituzione del contraddittorio” e dei “diritti essenziali della difesa” con riferimento all’intero arco del processo, che non si risolvono esclusivamente nel “congruo termine a comparire” della parte convenuta, saranno riscontrate – per le sentenze straniere – solo nell’eventualità di un dissenso tra le parti(27).
Ciò non può dirsi allo stesso modo per il “giudicato canonico”(28) soggetto alla declaratoria di efficacia della Corte d’Appello.
Qual è la conseguenza giuridica per quanto attiene alla declaratoria dell’efficacia civile? Potrebbe una nuova sentenza pronunciata in ragione del “rimedio straordinario della Nova propositio causae”, attivato con argomenti “noviter proposita” – che vanifica il giudicato canonico – stravolgere gli effetti civili già prodotti dalla sentenza dichiarativa della nullità ecclesiastica, operanti nell’ordinamento giuridico italiano?
È questa l’ultima verifica dell’ “efficacia preclusiva” della declaratoria civile delle sentenze canoniche che – come più volte ribadito – prescindendo “dallo stato giuridico anteriore” garantisce l’ordine giuridico statale. L’assunto bettiano – richiamato dal Dalla Rocca – determina “l’estensione della cosa giudicata” sancendo che “le premesse logiche della decisione”, pur se infondate, non incidono sulla decisione che “rimane ferma” per l’ordinamento statale e non possono essere stravolte dall’ordinamento canonico(29).
4. Conclusione
Questa sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ravvisa una violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione – di tutta evidenza processuale – non costatata dalla Corte d’Appello in sede di delibazione “preclusiva”.
Nulla impedirebbe una maggiore “uniformità giuridica” del diritto canonico ai principi del “giusto processo” – già sicuramente attuati nella ricerca della “loro giusta durata”(30) – assumendo le determinazioni delle organizzazioni internazionali ed europee che mirano a realizzarla(31), tra le quali v’è sicuramente – come già detto – la “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sottoscritta a Roma nel 1950 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa. La prospettiva che l’Europa suggerisce nella “tutela delle libertà” intende sicuramente garantire la libertà religiosa anche con le adeguate previsioni processuali del “giusto processo”.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sembra suggerire la previsione giuridica di un diritto dispositivo(32) alla “libertà religiosa”, attivato processualmente dal fedele che, essendosi sottoposto volontariamente all’ordinamento canonico, persegue l’ordine giuridico canonico, costituzionalmente garantito, quanto quello statale, dalla previsione dell’art. 7, primo comma(33).
Quale insegnamento può trarsi dall’operato della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?
Nessuna “riserva di giurisdizione”(34) potrà mai sottrarre l’ordinamento canonico alla declaratoria di efficacia “preclusiva”, che deve necessariamente riconoscere esecutività “statale” e quindi efficacia nell’ordinamento giuridico italiano alla sentenza di nullità canonica – già esecutiva, secondo l’ “ordine giuridico canonico” per il decreto di esecutività della Segnatura Apostolica – al fine di conseguire l’osservanza dell’ “ordine giuridico statale”, costituzionalmente garantito, quanto quello canonico.
L’ordinamento giuridico canonico non può sottrarsi alla “certezza giuridica” che persegue l’ordinamento italiano ed all” “ordine giuridico statale” che l’efficacia della sentenza deve in ogni caso garantire, senza smentire la sua identità normativa volontaristica, ma soprattutto la stessa “ragione giuridica” che l’ “ordine giuridico canonico” persegue.
NOTE
(*) Pubblicazione parziale dell’intervento tenuto il 12 aprile 2003 in occasione della Tavola rotonda sulla sentenza di Strasburgo del 20 luglio 2001 – l’altra parte del testo è in Atti, in corso di pubblicazione – svolto nel corso del Convengo La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 20 luglio 2001, tenutosi presso l’Università degli Studi di Teramo.
(1) P. Caretti – U. De Siervo, Istituzioni di Diritto pubblico, Torino, 2001, p. 430.
(2) M. Tedeschi, Manuali di diritto ecclesiastico, Torino, 1999, p. 81.
(3) In tema di “efficacia civile della giurisdizione ecclesiastica” cfr. F. Zanchini, L’efficacia civile della giurisdizione ecclesiastica fra insindacabilità e controllo, in Politica del diritto, 1982, 2, p. 317 sgg.
(4) “I diritti fondamentali trovano espressione deontica nei principi fondamentali, sicché è su questi ultimi che occorre fermare la nostra considerazione [… :] caratterizza questa categoria di principi la loro più elevata idealità assiologica rispetto a quella dei principi comuni e […] è proprio questo loro carattere ad esigere quella particolare formalizzazione che è rappresentata dalla loro assunzione nei testi costituzionali”. A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Milano, 1999, I, Teoria generale del diritto, p. 622.
(5) “In vista della piena realizzazione [… del giusto processo] (che punta ad assicurare un’effettiva parità delle parti nel processo, un rigoroso rispetto del diritto alla difesa, l’effettiva terzietà degli organi giudicanti) si è proceduto ad un’integrazione dell’art. 111 Cost. (sono stati inseriti cinque nuovi commi all’inizio dell’articolo sì che i tre commi originari sono ora il sesto, settimo e ottavo) al fine di esplicitare in dettaglio il contenuto di detto principio anche alla luce di quanto disposto al riguardo dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali […], allo scopo precipuo di impegnare il legislatore a darvi compiuta attuazione […], precisando tuttavia che esso attiene – con riferimento più specifico al caso de quo -: a) al rispetto del principio del contraddittorio tra le parti “in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale”; b) alla garanzia di una “ragionevole durata” dei processi; c) […] al diritto ad avere il tempo e le condizioni necessarie ad apprestare la propria difesa; d) alla facoltà di interrogare o far interrogare sia coloro che hanno reso dichiarazioni a suo carico, sia le persone a sua difesa, anche qui in condizioni di parità con chi sostiene l’accusa; e) al diritto di acquisire ogni mezzo di prova a suo favore; di essere assistiti, se del caso, da un interprete […]”. P. Caretti – U. De Siervo, Istituzioni di Diritto pubblico, p. 423.
(6) P. Fedele, Giudicato (diritto canonico), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1969, vol. XVIII, pp. 924-931; Verità e definitività della sentenza canonica, Città del Vaticano, 1997; A. Bettetini, Verità, giustizia, certezza: sulla cosa giudicata nel diritto della Chiesa, Padova, 2002.
(7) La durata ragionevole del processo, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, 2000, 113, p. 9 ss.
(8) “[…] in forza [… dell’] efficacia ricognitiva o dichiarativa, che dir si voglia […] le situazioni giuridiche rimangono immutate e tendono alla loro concreta e piena attuazione”. A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, p. 151.
(9) Da tempo la dottrina si interroga su questi “limiti” proponendo almeno “due soluzioni: l’una, nel senso della rilevanza del giudicato ecclesiastico nella sua integralità, sicché varrebbero in sede civile anche la parte motiva e gli accertamenti in essa compiuti, in quanto costituiscano indispensabili presupposti della decisione; l’altra, nel senso della rilevanza del giudicato ecclesiastico come mero “fatto giuridico che fa cessare il presupposto del rapporto giuridico matrimoniale”, sicché di esso varrebbe soltanto il risultato finale (declaratoria di nullità o di scioglimento) senza nessun ulteriore rilievo di parti o elementi della pronuncia”. A. Galoppini, Esecutorietà delle pronunce matrimoniali canoniche e limiti di efficacia dei relativi accertamenti nell’ordinamento statale, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, Milano, 1978, vol. III. Diritto pubblico, p. 645.
(10) In tema di “declaratoria autoritaria della esistenza (o inesistenza) di una situazione giuridica” cfr. A. Guarino, Diritto privato romano, Napoli, 19888, p. 75.
(11) A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, p. 152 s.
(12) A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, p. 157.
(13) C. Mandrioli, Corso di Diritto processuale civile, Torino, 1991, vol. III, p. 339.
(14) C. Mandrioli, Corso di Diritto processuale civile, p. 347.
(15) V. Starace, La disciplina dell’ambito della giurisdizione (artt. 3-11), in Il Corriere Giuridico, 1995, 11, p. 1235.
(16) A. Saggio, Efficacia di sentenze ed atti stranieri (artt. 64-71), in Il Corriere Giuridico, 1995, 11, p. 1259.
(17) A. Saggio, Efficacia di sentenze ed atti stranieri (artt. 64-71), in Il Corriere Giuridico, 1995, 11, p. 1260.
(18) P. Colella, Riconoscimento di sentenze ecclesiastiche e riforma del diritto internazionale privato, in Famiglia e Diritto, 1997, 6, p. 546 s.
(19) P.V. Pinto, I processi nel Codice di Diritto Canonico, Commento sitematico al Lib. VII, con pres. Arciv. G. Augustoni, Città del Vaticano, 1993, p. 437 s.
(20) P. Fedele, Discorso generale sull’ordinamento canonico, Roma, 1976, p. 25.
(21) C. Mandrioli, Corso di Diritto processuale civile, p. 347.
(22) La previsione costituzionale dell’art. 7, primo comma, sancendo che “”Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” [… evidenzia] una paritetica posizione tra le due entità, ferma restando che la parola ordine non è sinonimo di ordinamento giuridico ma indica solo una diversa sfera di competenze e di attribuzioni”. M. Tedeschi, Manuale di diritto ecclesiastico, p. 79.
(23) C. Mandrioli, Corso di Diritto processuale civile, p. 340.
(24) A. Saggio, Efficacia di sentenze ed atti stranieri (artt. 64-71), p. 1260.
(25) A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, p. 157.
(26) C. Mandrioli, Corso di Diritto processuale civile, p. 340.
(27) Una evidente annotazione. Questa previsione – garantita dall’art. 64 della legge 31.5.1995, n. 218 già citata – non differisce sostanzialmente dall’art. 6 § 1 della Convenzione quanto alle garanzie del “giusto processo”. A. Saggio, Efficacia di sentenze ed atti stranieri (artt. 64-71), p. 1260.
(28) Il processo canonico che vuole in ogni caso attuare “sul piano umano e concreto la norma legale in aderenza alla realtà storica” persegue la “verità processuale con un’originalità che caratterizza l’ordinamento giuridico della Chiesa a confronto degli ordinamenti statuari”. F. Della Rocca, Appunti sul processo canonico, Milano, 1960, p. 131.
(29) F. Della Rocca, Appunti sul processo canonico, p. 133.
(30) Quanto ai possibili rimedi ritenuti idonei ad evitare l’eccessiva durata dei processi cfr. F. D’Ostilio, I processi canonici. Loro giusta durata, con pres. Card. A. Silvestrini, Roma, 1989, p. 77 ss.
(31) A tal riguardo non v’ alcun ragionevole dubbio nel considerare la personalità giuridica internazionale della Santa Sede. M. Tedeschi, Manuale di diritto ecclesiastico, p. 71.
(32) “Le norme direttive [… per] eccezione piuttosto diffusa, […] possono ammettere, entro limiti più o meno ampi la loro deroga. Si distingue pertanto, nel linguaggio corrente, tra “diritto cogente” (inderogabile) e “diritto dispositivo” (derogabile dai soggetti)”. A. Guarino, Diritto privato romano, Napoli, 199711, p. 32.
(33) M. Tedeschi, Manuale di diritto ecclesiastico, p. 79.
(34) M. Tedeschi, La riserva di giurisdizione alla prova. Prospettazioni teologiche e realtà ontologica, in Scritti di Diritto ecclesiastico, Milano, 1997, p. 91 sgg.