1. La nascita delle grandi coalizioni partitiche
1993, inizi del 1994. In Italia, dopo circa cinquant’anni di governi quasi tutti a guida democratica cristiana, muore la Prima Repubblica1.
Anche se varie sono le cause che ne hanno determinato la fine e anche se, fra di esse, sono rilevanti quelle riguardanti l’influenza esercitata dal crollo dell’Unione delle repubbliche sovietiche (in particolare sul Partito comunista italiano, ma non solo) e soprattutto dal fenomeno di Tangentopoli (sulla pubblica opinione), in punto di fatto sono le leggi elettorali n.276 e n. 277 del 4 agosto 1993 a porre la pietra tombale e a dare l’avvio ad un nuovo corso politico.
Nel testo coordinato per l’elezione della Camera si può leggere: “In ogni circoscrizione il settantacinque per cento del totale dei seggi è attribuito nell’ambito dei collegi uninominali, nei quali risulta eletto il candidato che ha riportato il maggior numero di voti”2 e, ancora, che per partecipare all’assegnazione del venticinque per cento dei seggi che continuano ad essere attribuiti con il metodo proporzionale, occorre che ciascuna lista o gruppo di liste consegua sul piano nazionale “almeno il quattro per cento dei voti espressi”3.
Il testo coordinato per l’elezione del Senato della Repubblica, a sua volta, stabilisce: “Il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale … sulla base dei voti espressi nei collegi uninominali. I seggi nei collegi uninominali sono attribuiti con sistema maggioritario”4.
Furono queste due leggi che, introducendo – sia pure in forma incompleta – il sistema maggioritario secco e la soglia di abbattimento del quattro per cento nel proporzionale, crearono le condizioni per un radicale cambiamento del quadro politico. Nel maggioritario infatti, anche per la realtà politica nazionale caratterizzata, nel solco della tradizione5, da un pluralismo accentuato che giunge addirittura al frammentismo partitico, i partiti politici si trovarono costretti ad unirsi per partecipare alle elezioni.
E così, nelle elezioni del 27 marzo 1994, ecco scendere in lizza nel maggioritario soltanto tre grandi schieramenti partitici: uno del Centrosinistra sotto la denominazione di “Progressisti”, uno del Centrodestra sotto la denominazione, al Nord, di “Polo delle libertà” e, al Centro-sud, di “Polo del buon governo” e uno del Centro sotto la denominazione di “Patto per l’Italia”.
I risultati furono sconvolgenti. Il Polo della libertà e del buon governo conquistò nel maggioritario (Camera e Senato) 465 seggi; lo schieramento dei Progressisti 286; Patto Italia 35.
Nel proporzionale, riguardante il restante venticinque per cento del totale dei seggi della Camera, i risultati furono invece notevolmente differenti: 55 seggi per il Polo delle libertà e del buon governo, 49 per i Progressisti e 42 per il Patto Italia.
Sostanzialmente gli schieramenti del Centrodestra e del Centrosinistra schiacciarono, nel maggioritario, quello centrista che aveva aggregato i gruppi politici derivati dall’ex Democrazia cristiana, con eccezione del gruppo del Centro Cristiano Democratico confluito, per l’occasione, nel nuovo partito di Forza Italia.
2. Gli sviluppi
Da allora fino ad oggi6 non si sono avute modifiche alle leggi elettorali citate, anche se il ritorno al sistema proporzionale è stato reclamato più volte dai partiti derivati dalla ex Democrazia cristiana, dai piccoli partiti e da Rifondazione comunista; così come è stata tentata inutilmente la cancellazione – in via trasversale e addirittura attraverso nuovi pronunziamenti referen- dari7 – del restante venticinque per cento dei seggi da parte dei gruppi politici più forti facenti capo alle due coalizioni.
Un impegno forte e deciso però non è stato manifestato. E le ragioni sono evidenti. Vanno ricercate, per le forze politiche più consistenti, nella preoccupazione che, ponendosi mano ad ulteriori riforme, possa essere cancellata la linea di bipolarismo emersa e, per i partiti medio piccoli, che possa essere eliminata quella percentuale del venticinque per cento che, pur minima, garantisce comunque la sopravvivenza della rappresentanza politica.
Il quadro politico delle elezioni del 1994 si è invece, per quanto riguarda le coalizioni, nel frattempo snellito, nel senso che i partiti di Centro, che erano usciti pesantemente sconfitti, hanno deliberato lo scioglimento della propria coalizione e hanno scelto di aggregarsi: alcuni alla coalizione di Centrodestra e gli altri alla coalizione di Centrosinistra. Lo stesso è avvenuto per i partiti che sfuggono ad una netta catalogazione di destra o di sinistra. Solo Rifondazione comunista e la Fiamma tricolore non hanno assunto una posizione definitiva e finora hanno scelto, di elezione in elezione, i vari atteggiamenti, pur restando l’uno nell’area di sinistra e l’altro nell’area di destra.
La riduzione del numero delle grandi coalizioni a due soltanto non ha, nei fatti, né rafforzato le coalizioni in quanto tali né avvantaggiato il bipolarismo. Anzi, alcuni dei governi costituitisi sono da considerare anomali in rapporto ad un corretto principio dell’alternanza. Infatti è certamente anomalo il governo di Lamberto Dini costituitosi subito dopo la caduta del primo govcrno Berlusconi, in quanto nato in violazione della volontà espressa dall’elettorato e, per di più, rimasto in carica per circa un anno e mezzo8. E sono anch’essi anomali i governi che, nel corso della legislatura, sono seguiti al governo Prodi e cioè quelli presieduti da D’Alema e da Amato9. Perché è pur vero che sono governi che fanno capo alla maggioranza che aveva vinto le elezioni, ma è altrettanto vero che essa, ad un certo punto, si è notevolmente modificata. Difatti, a seguito del ritiro di Rifondazione comunista, si è ricostituita con l’apporto venuto dal neo Partito comunista italiano10 e dal neo Udeur di Clemente Mastella, gruppi politici nati, l’uno, dalla scissione di Rifondazione e, l’altro, dalla scissione del Ccd che, peraltro, faceva parte del Centrodestra. E tanto per non dire che si tratta anche, con riferimento a D’Alema e ad Amato, di governi guidati da presidenti del Consiglio che non erano stati indicati dall’elettorato, in quanto la coalizione dell’Ulivo, come si ricorderà, aveva indicato quale Presidente del Consiglio Romano Prodi e il Polo delle Libertà aveva riconfermato Silvio Berlusconi.
La realtà è che le coalizioni vengono formate per ragioni elettorali, con il fine precipuo di vincere le elezioni e cioè senza guardare troppo per il sottile e soprattutto senza tenere conto se esistono o meno i caratteri di omogeneità tra i partiti che si apparentano tra loro. A volte per mettere insieme un gruppo di partiti che possa vincere si ricorre anche ai più diversi espedienti. L’inventore fu il Centrodestra quando, nelle elezioni del 1994, per l’impossibilità di convivenza ideologica tra la Lega del Nord e Alleanza nazionale, inventò il Polo delle Libertà, che vedeva al Centro-Nord Forza Italia apparentata alla Lega, e il Polo del Buon Governo, che vedeva al Centro-Sud Forza Italia apparentata ad Alleanza Nazionale.
Nelle elezioni del 1996, un diverso tipo di espediente fu praticato dal Centrosinistra attraverso la formula cosidetta della desistenza11, una formula che consentì alla coalizione dei Progressisti, trasformatasi a seguito dell’aggregazione dei partiti del Patto Italia, in coalizione dell’Ulivo, di agganciare anche il partito di Rifondazione comunista e, così, vincere le elezioni.
Altri espedienti sono stati messi in pratica nelle elezioni politiche del 2001 dall’una e dall’altra parte12.
Da qui, insufficienze, disfunzioni, limiti delle coalizioni.
3. Insufficienze, disfunzioni, limiti
Le due coalizioni partitiche in questione, pur avvicinandosi di già al loro decimo anno di vita, non solo non si sono rafforzate (nel senso della compattezza e della unitarietà come organismi associati), ma, anzi, hanno visto manifestarsi ancor più le insufficienze, aumentare le proprie disfunzioni, accrescere la conflittualità tra i due poli e all’interno di ciascun polo13.
La gravità della situazione emerge, nel suo aspetto più saliente, da quel che è avvenuto, specie negli ultimi tempi, nelle due coalizioni.
Per quanto riguarda lo schieramento di Centrosinistra basta tenere presente:
– le pesanti polemiche sul doppio incarico di Francesco Rutelli e cioè la contemporaneità della leadership dei partiti della Margherita e della coalizione dell’Ulivo;
– la posizione diversificata tenuta da alcuni partiti e da alcune correnti14 della Democrazia di Sinistra in ordine alle manifestazioni svolte dai cosidetti Girotondisti del regista Nanni Moretti e dal “cinese” Sergio Cofferati contro il governo Berlusconi e contro la guerra in Iraq;
– l’atteggiamento assunto attraverso mozioni distinte nel dibattito sugli aiuti umanitari alle popolazioni dell’Iraq.
– i vari modi di vedere in ordine alla proposta della lista unica per le elezioni europee del 2004.
Per quanto concerne il Polo delle Libertà invece basta ricordare:
– la quasi rottura intervenuta tra i partiti dell’Udc e la Lega Nord a seguito del discorso antieuropeo pronunziato da Umberto Bossi al Congresso nazionale leghista;
– il braccio di ferro per la cosiddetta devolution tra Bossi e sostanzialmente tutti gli altri partiti della coalizione sia in merito ai ritardi che a certi contenuti del disegno di legge15;
– le polemiche interne manifestatesi sul Consiglio di amministrazione della Rai-Tv16.
– la posizione della Lega sull’immigrazione e sul problema delle pensioni.
Naturalmente dietro la polemica interna al Centrosinistra c’è la mancanza di omogeneità, specie nei princìpi di fondo e nelle linee politiche tra alcuni partiti della coalizione17. Così come dietro la quasi rottura tra i partiti della Casa delle Libertà c’è la solita intemperanza di Bossi e la diffidenza del Udc e anche di An per particolari situazioni riguardanti soprattutto l’identità nazionale.
Sarebbe un errore imperdonabile però ritenere che siano soltanto aspetti interni più o meno gravi le cause della crisi. Essa ha ben altre e più profonde ragioni. Direi anzi che é una crisi globale, nel senso che è una crisi che prende le mosse dagli atti preparatori per la raccolta del consenso per giungere fino all’esercizio delle attività politiche negli organi di rappresentanza e di governo.
E per documentare che sia così basta prendere in esame la scelta delle candidature, la linea di azione politica, le esternazioni dei vari leaders dei partiti delle coalizioni, la prolificazione dei partiti politici, il fenomeno del trasformismo degli eletti, il comportamento dei gruppi parlamentari nazionali e regionali, nonché di quelli provinciali e comunali, etc..
Sono questi i fattori pricipali che segnano la crisi delle coalizioni e inducono la gente ad allontanarsi dalla vita politica attiva. Si è già al punto che è difficile formare una lista per le elezioni amministrative, proprio per mancanza di candidature di una certa qualificazione. Ed infatti di elezione in elezione si assiste ad un calo qualitativo delle rappresentanze. E questo per non dire dell’aggravarsi sempre più del fenomeno dell’assenteismo nella partecipazione alle elezioni18.
4. La scelta delle candidature
Nel sistema elettorale maggioritario, sia pure imperfetto19, quale è quello per le elezioni politiche generali, sul piano formale la presentazione delle candidature nei collegi uninominali è fatta da una dichiarazione sottoscritta da un numero predefinito di elettori del collegio20 riferita a candidati che si collegano a liste per le quali partiti o gruppi politici organizzati hanno depositato, a tempo debito, presso il Ministero dell’interno il contrassegno di distinzione con la relativa denominazione. In punto di fatto però è la coalizione, formatasi per affrontare la competizione elettorale, che sceglie il nominativo. E la scelta avviene su decisioni assunte dai vertici dei partiti della coalizione, senza che ci siano concreti riferimenti alle situazioni elettorali provinciali. Rimangono infatti estranei alla scelta i direttivi degli organi locali territoriali21 del collegio e ovviamente gli iscritti dei vari partiti politici aderenti alla coalizione. Si arriva al punto che in un collegio del Sud può essere candidato una persona del Nord e viceversa22.
Naturalmente in tal modo il principio della rappresentanza diretta della popolazione di un territorio, per cui, anche, risultano designati i collegi, viene snaturato e lo stesso principio di sovranità popolare, previsto espressamente dalla Costituzione, viene quantomeno limitato23. E non è da escludere che alla base dei trasformismi che portano l’eletto a migrare da un partito all’altro della coalizione e, a volte, da una coalizione all’altra, possa esserci anche l’anomalia di una candidatura che niente ha a che vedere col territorio e comunque con la popolazione del collegio e che finisce col determinare forti mugugni e polemiche. E c’è di più. I collegi elettorali, una volta assegnati ad uno dei partiti della coalizione, quasi sempre vengono riconfermati in favore dello stesso partito e dello stesso candidato24. E questo porta l’elettorato degli altri partiti del collegio non solo ad avvertire disagio nel momento di esprimere il voto, ma – perdurando per più legislature l’inamovibilità della candidatura – ad una vera e propria disaffezione dell’elettorato verso il proprio partito.
Peggio avviene per i piccoli partiti che, nel tempo, difficilmente vengono messi nelle condizioni di esprimere un proprio candidato.
Anche nelle elezioni regionali25 la scelta del candidato alla presidenza della regione non sempre è pacifica. Per le elezioni del Friuli Venezia Giulia del maggio 2003, la scelta della leghista Alessandra Guerra al posto del forzista Renzo Tondo, presidente della Regione uscente, ha innescato all’interno di Forza Italia un vero e proprio terremoto politico determinando le dimissioni dello stesso Tondo da presidente della Regione26, del sottosegretario agli esteri Roberto Antonione da coordinatore nazionale e, a catena, di coordinatori forzisti locali, di sindaci, nonché la ribellione degli iscritti in Carnia e un po’ in tutta la Regione, tanto che lo stesso Berlusconi ha dovuto ricorrere al commissariamento del partito, inviando il piementose Roberto Rosso27.
E lo stesso dicasi per quanto riguarda la lista del quinto dei seggi la cui assegnazione è prevista con il sistema proporzionale. I contrasti spesso nascono per l’assegnazione delle percentuali spettanti ai vari partiti della coalizione. Per di più la scelta dei nominativi avviene dall’alto, cioè da parte dei vertici, innescando conseguentemente forti malumori nella base dei singoli partiti. E questo per non dire che la legge elettorale, così come è configurata, non garantisce alcun tipo di rappresentanza diretta della popolazione28.
Nel campo degli enti locali, premessa la differenziazione dei sistemi elettorali tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario, la scelta dei candidati a presidenti delle province e a sindaci dei comuni travaglia ancora di più le coalizioni. Spesso le coalizioni ne escono pesantemente lacerate.
L’elezione amministrativa parziale del Novembre 2001 in Sicilia ha spaccato (e per giunta in città importanti) sia la coalizione di Centrodestra della Casa delle Libertà, che quella di Centrosinistra dell’Ulivo. A Marsala, Alcamo, Castelvetrano, Forza Italia ha addirittura presentato candidature proprie in concorrenza con le candidature di altre forze politiche della coalizione del Centrodestra29. A Ragusa sono stati invece i partiti della Margherita e di Rifondazione comunista a presentare propri candidati alla presidenza30, mentre il partito di Democrazia europea non solo è andato ad apparentarsi con i partiti del Centrodestra, ma ha potuto presentare un proprio candidato in rappresentanza dell’intera Casa delle Libertà, pur non facendone, allora, parte ufficialmente. A Palermo si è avuto il cosidetto caso Musotto31: il presidente della provincia regionale di Palermo, di Forza Italia, che era stato eletto con il sostegno della Casa delle libertà, si è presentato con due liste civiche in contrasto pieno, anzi in contrapposizione a Forza Italia e alla Casa delle libertà.
Nelle elezioni amministrative del maggio 2003 ancora peggio.
La coalizione del Centrosinistra ha registrato:
– la posizione diversificata dell’Udeur che a Catania ha scelto di sostenere il candidato a sindaco della Casa delle libertà32 e a Ragusa di presentarsi da sola;
– una forte lacerazione a Vicenza, dove esponenti qualificati del Centrosinistra hanno presentato liste autonome in rottura con l’Ulivo33;
– una vera e propria spaccatura nella roccaforte rossa di Viareggio34.
La coalizione di Centrodestra non è stata di meno. Ha dato luogo a:
– una spaccatura verticale a Trapani, dove i parlamentari di Forza Italia e dell’Udc hanno scelto di sostenere il candidato di An35 in contrasto pieno con gli organi di vertice regionali e nazionali36;
– una lacerazione piuttosto grave a Treviso37;
– una rottura tra i partiti del Polo a Viareggio38, a Vicenza39 e a Brescia.
Le situazioni indicate riguardano solo alcuni casi, evidenziati in via di esempio, ma con riferimento alle elezioni amministrative svoltesi in Italia dall’aprile del 1994 in poi se ne potrebbero citare centinaia e centinaia.
Ed è certamente con riferimento al problema, che gli esempi menzionati evidenziano che, in periferia, nell’ambito delle coalizioni, non solo si comincia a parlare di elezioni primarie, ma si tenta anche qualche esperimento40.
Peraltro nell’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province, essendo previsto nei comuni con oltre dieci mila abitanti, il secondo turno41 di ballottaggio (quando al primo turno non viene raggiunto il quorum del 50% più uno), si verificano anche situazioni le più strane: candidati dei partiti non ammessi al ballottaggio42 che passano addirittura da uno schieramento all’altro, andando ad occupare seggi assessoriali nella coalizione della quale erano avversari al primo turno, con sconcerto dell’elettorato.
Ora non c’è dubbio che il modo in cui avviene di fatto la scelta delle candidature ai vari livelli e lo stesso comportamento di alcuni candidati, costituiscono un aspetto rilevante della crisi delle coalizioni partitiche.
5. Linea e azione politica
Il cosidetto ribaltone che travolse il primo governo Berlusconi, almeno nelle motivazioni ufficiali, fu originato da una mancanza di unitarietà nella linea e nell’azione politica della coalizione. Fu Umberto Bossi, leader della Lega Nord che, dopo aver notificato di non essere d’accordo sulla proposta Berlusconi riguardante la riforma delle pensioni43, diede il via alle manovre politiche44 che portarono nel dicembre del 1994 alla caduta del primo governo di Centrodestra del dopotangentopoli, sia pure con l’aiuto fornito da D’Alema, Buttiglione e Scalfaro45.
Furono ancora contrasti sulla linea politica quelli che portarono nella legislatura 1996-2001 al ritiro dalla maggioranza del partito di Rifondazione comunista, alla spaccatura del partito del Centro Cristiano Democratico e al passaggio del gruppo scissionista dal Centrodestra al Centrosinistra e, in conseguenza, alla crisi del governo Prodi e alla costituzione del governo D’Alema. Peraltro la stessa cosa avvenne nel partito di Rifondazione comunista con la scissione di un gruppo con a capo l’on. Armando Cossutta che si spostò dalla sinistra estrema al Centrosinistra, prendendo il nome di Partito dei comunisti italiani.
E tanto per non citare la diversificazione avutasi nella partecipazione dell’Italia alla guerra del Kosovo, quando i gruppi parlamentari di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e dei Verdi, pur facendo parte dello schieramento di Centrosinistra e, alcuni, anche della stessa rappresentanza di Governo, votarono in difformità con la linea ufficiale dell’Ulivo. Cosa peraltro che si è ripetuta per la partecipazione dell’Italia alla lotta contro il terrorismo internazionale46 con specifico riferimento ai bombardamenti in Afghanistan e alla guerra in Iraq.
In campo regionale la documentazione è invece offerta dai molti ribaltoni47 che si sono registrati nella precedente legislatura regionale (1995-2000), in linea di massima con il passaggio di consiglieri regionali dallo schieramento di Centrodestra allo schieramento di Centrosinistra, mentre in Sicilia si è avuto in un primo momento un ribaltone che portò al governo lo schieramento di Centrosinistra48 e in seguito altro ribaltone che rimise in sella il Centrodestra49. Nei vari casi i protagonisti hanno comunque giustificato le ragioni del passaggio dal centro destra al centro sinistra e viceversa con la denunzia di dissensi di linea politica.
Ancora più facile documentare i dissensi di linea politica nel campo degli enti locali. Qui, a parte ragioni di ordine partitocratico, si è pervenuti non solo al cambio di maggioranze, ma anche – come dimostrano i molti casi di Sicilia – a veri e propri atti di sfiducia nei confronti dei sindaci, anche se eletti direttamente dal popolo.
6. Le esternazioni, i programmi
Altro elemento negativo è quello delle esternazioni. Pur avendo, le coalizioni, un leader regolarmente designato, si verifica che i vari rappresentanti dei singoli partiti non rinunziano – ad ogni sviluppo della situazione politica – a dare alla stampa e alle televisioni la loro interpretazione o a prospettare i loro divisamenti. Ne scaturiscono, spesso, all’interno delle coalizioni, opinioni in contrasto e talora del tutto lontane dalle linee di programma presentate all’elettorato.
Un anno fa la presa di posizione di Bossi50 contro l’attuale europeismo e, ultimamente, contro la legge speciale per Roma capitale, non solo per poco non ha innescato una crisi politica, ma ha fornito l’occasione all’opposizione di Centrosinistra di aprire una pesante polemica contro la Casa delle libertà. E lo stesso dicasi in merito alle cosiddette battute di Berlusconi su Mussolini e su un comunismo tuttora esistente a sinistra. A sua volta, alcune dichiarazioni di esponenti del partito Ds hanno aperto dissensi sia nei confronti della leadership di Francesco Rutelli che all’interno dello stesso partito della sinistra, mentre, altre – sempre di esponenti della stessa coalizione – hanno dato luogo a duri attacchi ora a Fassino ora a D’Alema.
E si tratta di esternazioni continue, nel Centrodestra e nel Centrosinistra. Di esternazioni incomprensibili all’uomo della strada. Esternazioni che riguardano personalità dei vertici politici e dei vertici di governo51, ma anche dei governi e dei consigli regionali, dei consigli provinciali e comunali e dei vari esecutivi.
Naturalmente, a parte un certo costume della politica italiana, tra le varie cause delle esternazioni c’é il modo in cui viene elaborato e definito, alla vigilia delle elezioni, il documento di programma.
L’elaborazione non nasce dal basso e non è mai frutto di un concorso di tutti i partiti della coalizione. Nessun dibattito in sede di formazione viene sviluppato. Quasi sempre è una equipe di tecnici che lo elabora. E, per quanto riguarda la definizione, nel migliore dei casi viene portato a conoscenza dei responsabili dei vari partiti alleati e, con una conferenza stampa, reso di pubblica ragione.
La conseguenza è che il programma diventa un riferimento relativo, per niente vincolante quale itinerario di marcia per l’azione politica.
Eppure il programma dovrebbe essere il punto addirittura di avvio di una coalizione, nel senso che l’accettazione di esso dovrebbe costituire non solo la tessera di ingresso e comunque di permanenza nella coalizione, ma anche la linea direttiva di fondo di ogni e qualsiasi iniziativa politica, quantomeno per l’intera legislatura.
E, sempre in ordine alla linea politico- programmatica, non può essere sottaciuto quel che avviene, a destra e a sinistra, nel campo delle iniziative legi-slative. Non pochi disegni di legge vengono presentati più con riferimento all’interesse del proprio partito che a quello della coalizione. A volte il singolo deputato scavalca anche il proprio gruppo politico52 e, fidando nel trasversalismo per l’approvazione, presenta iniziative in cui predomina l’interesse elettoralistico o, peggio, quello di determinate lobby.
Le disfunzioni, sotto questi aspetti, non si contano.
7. Il fenomeno del trasformismo
Si è fatto già riferimento al ribaltone che, a seguito del voltafaccia di Bossi, passato con larga parte del Gruppo parlamentare della Lega Nord dal Centrodestra al Centrosinistra, ha defenestrato il primo Governo Berlusconi53 e dato vita al Governo di Lamberto Dini.
Mutamenti più vistosi si sono avuti però nella legislatura 1996-2001.
Un’indagine ha accertato che sono stati circa duecento i parlamentari nazionali, passati da un partito all’altro. Molti di essi sono traslocati addirittura da una coalizione all’altra, determinando, anche attraverso clamorose scissioni quali quelle del Ccd, di Rifondazione comunista e del Ppi, imprevedibili crisi e la conseguente formazione di nuovi governi. E’ da queste scissioni infatti che sono nati i nuovi partiti: Udeur, Comunisti italiani e Democratici per l’Ulivo54.
A parte le implicazioni di ordine morale, il trasformismo – come si è potuto rilevare – arriva al punto di modificare le maggioranze distorcendo la volontà popolare e dando luogo alla formazione di governi del tutto diversi da quelli verso i quali si era orientato il consenso elettorale.
A ulteriore documentazione, nella legislatura nazionale 1996-2001, si ha, per una dura presa di posizione di Rifondazione comunista contro la politica del Centrosinistra, la sostituzione del Governo Prodi col Governo D’Alema55 e, in seguito, dello stesso Governo D’Alema con il Governo Amato56.
Sempre tra il 1996 e il 2001, si hanno i ribaltoni in campo regionale a cui nelle pagine precedenti indirettamente si è fatto riferimento57 e numerosissimi cambiamenti di maggioranze nelle province e nei comuni.
E sono cambiamenti di maggioranze e comunque passaggi da un partito all’altro, specie negli enti locali, che continuano tuttora. Un mercimonio squallido. Si tratta infatti di passaggi quasi sempre stimolati da particolari interessi personali.
Un eletto che nel corso degli anni vede logorarsi la propria base elettorale spesso, invece di ritirarsi – come sarebbe giusto – a vita privata, non esita a trattare l’ingresso in un altro partito della coalizione (qualche volta anche di altra coalizione) dove ritiene che ci siano migliori condizioni per una propria rielezione.
Naturalmente la disfunzione scaturisce in larga parte dalla legge elettorale che non prevede freno alcuno per siffatti passaggi che certamente rappresentano un tradimento nei confronti dell’elettorato che aveva dato il proprio suffragio per essere direttamente rappresentato; ed è la dimostrazione anche, almeno per alcune specifiche situazioni, che l’incompatibilità, prevista nel campo degli enti locali tra consiglieri e componenti dell’esecutivo, non è un rimedio sufficiente58.
8. I gruppi parlamentari e consiliari
I gruppi parlamentari, sia alla Camera che al Senato, nonostante la costituzione delle coalizioni, continuano a restare legati al partito di appartenenza, fatta salva qualche eccezione59 e, quindi, a muoversi autonomamente. Ne deriva, come è ineluttabile, uno scollamento in ordine a quella linea unitaria che ne dovrebbe caratterizzare i comportamenti. Non sono infatti infrequenti forti differenziazioni in merito agli atteggiamenti riguardanti l’esame dei disegni di legge nelle commissioni e, a volte, anche in Aula. Si giunge anche a posizioni contrapposte: un gruppo che vota contro il provvedimento e un gruppo invece che si esprime favorevolmente. E ciò, a volte, accade anche per le grandi questioni politiche. Il riferimento è soprattutto alla politica estera in cui, specie nel Centrosinistra, forze politiche quali quelle del Partito comunista italiano, dei Verdi e di Rifondazione comunista assumono posizioni autonome in netto contrasto con le altre forze della coalizione60.
Naturalmente la disfunzione si presenta ancora più marcata nei comportamenti dei gruppi dei consigli regionali e dei consigli provinciali e comunali. Qui subentrano anche interessi di altro genere, specie nei gruppi che fanno parte della maggioranza: questioni di visibilità, questioni di rappresentanza in seno alle giunte, questioni di equilibri interni.
E questo per non dire dei problemi nati con l’adozione del sistema maggioritario nella elezione diretta dei responsabili degli esecutivi. A seguito del nuovo avvento sembrava che si fosse trovato il toccasana per una nuova seria stabile politica amministrativa. Invece il caos è tornato a riemergere. I gruppi politici mal sopportano che un presidente di regione, un sindaco o un presidente di provincia, rifacendosi al consenso elettorale ottenuto, affermi la propria autonomia61. E non solo i gruppi, ma anche i consigli regionali come tali.
I conflitti tra le assemblee e gli esecutivi più non si contano. Le assemblee arrivano financo a snaturare i programmi presentati ed approvati dall’elettorato. Fanno anche di più, per ragioni diciamo politiche, attraverso la mozione di sfiducia, arrivano a determinare la decadenza62 di un presidente di provincia o di un sindaco.
Sempre nel quadro dei conflitti tra Consigli regionali e, come ormai comunumente si dice, Governatore, sono da tenere in conto anche alcuni tentativi in atto indirizzati all’annullamento dell’elezione diretta. Come si ricorderà la legge costituzionale 1/1999 prescrisse che le regioni dovessero dotarsi di un proprio Statuto autonomo. Ebbene, pur essendo trascorsi circa quattro anni dall’approvazione di quella legge, solo il Consiglio regionale della Calabria ha approvato in prima lettura lo Statuto. Il ritardo è notevole e, sembra che una delle cause sia la inclusione o meno dell’elezione diretta del Presidente della Regione. In molti degli statuti che si stanno predisponendo è infatti prevista o l’abolizione o il ridimensionamento proprio dell’elezione diretta.
L’allarme è stato dato dal vice ministro dell’ Economia Gianfranco Micciché con una dichiarazione riportata dalla stampa63.
9. Altri fattori di crisi
Le coalizioni hanno a che fare, oltre che con le manifestazioni di crisi esistenti nel loro interno, anche con un insieme di fattori politici emergenti.
La prolificazione dei partiti politici
Uno di questi fattori è dato dalla prolificazione dei partiti politici. Si riteneva nel 1993, quando venne approvata la nuova legge elettorale per il rinnovo del Parlamento che, con l’introduzione del sistema maggioritario secco, cioè senza ricorso al ballottaggio, solo i grandi partiti sarebbero sopravvissuti. Non si dava peraltro molto peso al 25 per cento dei seggi della Camera rimasti legati al sistema proporzionale.
Il buco del proporzionale doveva però fare risuscitare i partiti sconfitti nel maggioritario e aprire anche la strada al nascere di altre formazioni politiche.
Ed infatti, a parte le liste locali, nelle elezioni politiche del 1996 ai partiti scesi in lizza nel 1994 si sono aggiunti quelli di Rinnovamento italiano e del Ccd e, nelle elezioni del 2001, quelli dell’ Udeur, del Cdu, dei Comunisti italiani, dell’Italia dei valori, della Democrazia europea e del Nuovo Psi. Siamo sostanzialmente al raddoppio dei partiti che diedero l’avvio alla Seconda Repubblica64. E ha poca importanza se alcuni di essi, autonomi nelle elezioni svoltesi con il sistema proporzionale per la percentuale del 25 per cento, si sono associati invece nel maggioritario, come è il caso della Margherita che ha raggruppato Ppi, Democratici, Udeur, e Rinnovamento, del Girasole che ha raggruppato Verdi e Socialisti democratici italiani, del Ccd che ha presentato lista assieme al Cdu.
Tanta frammentazione partitica, che finisce sempre, nelle elezioni politiche, col confluire nelle due grandi coalizioni finora esistenti in Italia, quella del Centrodestra e quella del Centrosinistra, naturalmente non può che creare maggioranze ancora più eterogenee e anche governi eterogenei costituiti più per esigenze elettorali che per l’attuazione di un programma comune.
Da qui un altro aspetto della crisi che peraltro ancora più vistosamente si manifesta nelle elezioni regionali e amministrative, dove la frammentazione raggiunge livelli altissimi con la presentazione anche, in alcune province e in alcuni comuni, di 25-30 liste.
Il rafforzamento del fronte proporzionalista
Altro fattore è il rafforzamento del fronte del proporzionale. Direi che i partiti centristi e di estrema sinistra (e non solo65) sono in attesa della ripresa della discussione sulle riforme costituzionali per riproporre con forza il ritorno al vecchio sistema proporzionale, anche se a tale sistema sono state addebitate, come è noto, le maggiori responsabilità tra quelle che hanno portato alla caduta della cosiddetta Prima Repubblica.
Per di più alcuni riferimenti ad una riforma costituzionale che si avvicini al sistema tedesco fatti dallo stesso Silvio Berlusconi hanno finito con l’alimentare un orientamento in senso proporzionale66. Ed infatti nel documento di verifica di governo della Cdl del giugno-luglio 2003 sembra – anche se non ci sono comunicati ufficiali – che l’argomento sia stato ripreso, tanto che il Corriere della Sera ha potuto titolare: “Legge elettorale, il Polo ora punta sui partiti” e sottotitolare: “Maggioritario a base proporzionale, niente sbarramento, seggi in premio e forse addio alle preferenze”67.
Naturalmente la questione, una volta posta, non poteva non scatenare tutta una serie di prese di posizione. Ed ecco infatti reagire tra i primi l’ideatore dell’attuale legge elettorale, Sergio Mattarella, sostenendo che la legge dà, come ha dato, maggioranze certe e che il ritorno al proporzionale puro non solo porterebbe alla frantumazione, ma darebbe vita ad un governo forte e ad un Parlamento debole. Ecco Bertinotti approfittare della circostanza e dire “basta con il maggioritario”. Ecco invece Sdi, Udeur, Pdci, Verdi e “Correntone” dichiarsi subito interessati; e Udc, Lega Nord e An frenare, nel senso che ritengono che sia del tutto prematuro parlare di modifica della legge elettorale, almeno fino a quando non si avrà la riforma dell’ordinamento dello Stato.
A prescindere dalle varie posizioni e dagli aspetti particolari che dovrebbero caratterizzare una eventuale riforma elettorale, Angelo Panebianco però evidenzia che un ritorno al proporzionale potrebbe rigettare la nazione nella instabilità di governo: “Noi abbiamo un sistema dei partiti ultraframmentato in cui l’unico mastice che tiene insieme le coalizioni è il maggioritario. Con il passaggio al proporzionale avremo lo stesso sistema dei partiti frammentato senza neppure il mastice”68.
Panebianco in altre parole ritiene che la ricomparsa del sistema proporzionale, pur lasciando in piedi con l’elezione diretta del capo dello Stato o del premier, un elemento maggioritario, travolgerà di necessità il bipolarismo. Non è dello stesso parere Giovanni Sartori il quale sostiene che potrebbe esserci anche un “buon proporzionale”69.
Comunque: la realtà è che il proporzionale sostanzialmente, ogni giorno che passa, fa passi avanti da gigante70.
Il ritorno del centrismo democratico cristiano
Dipoi un altro fenomeno va preso in considerazione, un fenomeno che, per altro verso, potrebbe influire negativamente sul sistema maggioritario.
Come si ricorderà, i partiti derivati dalla vecchia Dc parteciparono, con eccezione del Ccd, alle elezioni politiche del 1994 riuniti sotto la sigla centrista di Patto Italia. La coalizione però, a seguito del risultato elettorale fortemente negativo71, venne sciolta e i partiti presero la decisione di aderire allo schieramento di Centrosinistra, dove tuttora si trovano, salvo quello facente capo a Rocco Buttiglione che, in un primo tempo, partecipò con Umberto Bossi al ribaltone che affossò il primo governo Berlusconi e, in seguito, ritornò ancora una volta nello schieramento di Centrodestra.
Ebbene, i partiti derivati dall’ex Dc, al di là dell’essere collocati o nel Centrodestra o nel Centrosinistra, non hanno mai abbandonato l’idea della riunificazione e costituzione di una grande forza politica di centro, in pratica della ricostituzione dell’ex Dc72. E tanto, al di là delle infinite affermazioni negative che i maggiori esponenti vanno facendo e cioè che è del tutto assurdo anche il pensare ad una rinascita della vecchia Democrazia Cristiana73.
Sono peraltro numerosi, nel decennio, i tentativi in tal senso. In questi ultimi tempi, anzi, sono stati fortemente incrementati e, anche se non sono nate le condizioni per una intesa trasversale tra partiti di cattolici aderenti allo schieramento di Centrosinistra e partiti di cattolici aderenti a quello di Centrodestra, non solo non mancano appelli dall’una e dall’altra parte, ma sono state realizzate vere e proprie piattaforme aperte ad una siffatta finalità. In tale quadro infatti credo che debba essere vista l’intesa raggiunta tra il partito di Ferdinando Casini, il partito di Rocco Buttiglione e il partito di Sergio D’Antoni74, che ha trovato concreta attuazione nella costituzione dell’Udc. E sempre in tale quadro, a mio avviso, va considerata, nell’ambito della sinistra, la costituzione della Margherita attraverso la partecipazione del Ppi e dei Democratici per l’Ulivo
I primi esperimenti svolti non hanno raggiunto però validi risultati elettorali. E, quindi, non si è andati oltre. In caso diverso, probabilmente, avremmo già un sistema chiaramente tripolare. In Sicilia, dove i risultati elettorali dei Centristi di destra sono stati piuttosto positivi, il tripolarismo sul piano numerico c’è già, anche se per la situazione di ordine nazionale e per la esistenza di una destra piuttosto forte, i partiti centristi dell’Udc continuano a privilegiare il Centrodestra75.
Il rischio che, a parte la situazione della Sicilia, si possa avere la rottura del Centrodestra (e ovviamente anche del Centrosinistra) e la nascita di uno schieramento di Centro ha perciò valide premesse attuative, specie se si tiene conto che esiste, nel frammentismo partitico italiano, anche un centrismo laico che va dal partito dell’Italia dei valori al partito dei Verdi.
E credo che si tratti di un rischio estremamente grave. Perché l’esperienza, riferita a modelli emblematici (U.S.A., Inghilterra…) dimostra che soltanto due grandi coalizioni alternative (di Destra e di Sinistra o comunque di Centrodestra e di Centrosinistra), e non tre, possano assicurare l’alternanza di governo e garantire che non si ritorni alla politica dei compromessi e degli inciuci, come avvenne con il Centrismo della Democrazia Cristiana, specie negli ultimi decenni della Prima Repubblica.
Giovanni Sabbatucci su questo punto frena un po’, in quanto ritiene che la radicalizzazione della lotta politica tra i due poli “preserva il sistema bipolare da ogni rischio di mutazione in senso centrista”, anche se contestualmente riconosce che essa non consente “un funzionamento regolare”76.
La realtà comunque è che alla conflittualità esterna corrisponde una conflittualità interna nei singoli poli77 e, inoltre, che il quadro politico registra un continuo cambiamento dei rapporti di forza. E in politica sono proprio i rapporti di forza quelli che determinano le svolte.
L’oligarchia parlamentare
Altro fattore da attenzionare è – anche se, come vedremo, sotto la forma dell’oligarchia parlamentare – certamente il ritorno della partitocrazia, che fu una delle cause del tracollo della Prima Repubblica.
E’ pur vero che ad eleggere i deputati, i senatori, i presidenti delle regioni e delle province e i sindaci è direttamente il popolo; ma è altrettanto vero che le assegnazioni dei collegi ai partiti e le candidature sono decise, come è stato rilevato, dai Vertici delle coalizioni. E in merito va aggiunto che sembra sia stato dimenticato che la Costituzione assegna ai partiti politici esclusivamente il compito di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale78. Basta considerare che essi, pur essendo passati meno di 10 anni dall’avvento della Seconda Repubblica, hanno già recuperato quel potere di fare e disfare a loro piacimento, che l’opinione pubblica riteneva avessero perduto. Il manuale Cencelli risulta ripescato nella distribuzione dei collegi, salvo una percentuale minima che viene utilizzata per manovre elettoralistiche. E lo stesso dicasi in ordine alla scelta dei candidati e all’assegnazione dei posti di governo e di sottogoverno. Sotto quest’ultimo aspetto basta rilevare quel che è accaduto durante i governi di Centrosinistra e quel che va accadendo anche con l’attuale governo di Centrodestra.
Non diversamente avviene nelle regioni, nelle province e nei comuni.
Nelle regioni anzi si è già, per quanto riguarda la quota percentuale dei consiglieri da eleggere nelle liste regionali, alle liste bloccate, alle liste cioè decise dai partiti. E c’è di più: in Toscana sono in corso intese trasversali79 per una riforma della legge elettorale che preveda l’elezione di tutti i componenti del Consiglio regionale senza ricorso al voto di preferenza.
Pur stando così le cose il fatto nuovo è però che il vertice delle coalizioni è interamente nelle mani dei Parlamentari e così anche la direzione e l’organizzazione dei partiti politici. Negli esecutivi di vario ordine a dominare sono i senatori, i deputati nazionali ed europei, i governatori regionali, i consiglieri regionali, tanto che si può già parlare di “oligarchia parlamentare”.
Naturalmente con questo non si intende sostenere che ai parlamentari non debbano andare incarichi direttivi nelle coalizioni e nei partiti, ma si vuole sottolineare che è necessario che vengano posti dei freni ad un andazzo generalizzato e che, salvo eccezioni documentatamente motivate, l’istituto dell’incompatibilità80, specie tra incarichi di governo e incarichi di partito, venga ripristinato e fatto valere.
10. L’influenza della crisi sui partiti
La crisi delle grandi coalizioni, a parte il fatto che determina l’allontanmento della gente dalla politica, influisce negativamente anche sui partiti politici.
Difatti la mancanza di punti fermi nelle coalizioni ha finito con l’allentare le regole interne di convivenza dei partiti, sia perché è mancato un adeguamento degli stessi alla nuova realtà politica (e non solo) venutasi a creare e sia perché non è stato individuato un criterio che consenta ai partiti di avere una giusta visibilità nell’ambito della coalizione81.
Da qui la necessità che in sede di ristrutturazione delle coalizioni vengano presi in considerazione anche i rimedi perché le lamentate influenze possano essere annullate o comunque limitate.
Peraltro il partito politico nella situazione attuale non riesce più ad essere collettore delle istanze della gente e a trasferirle alle sedi attuative della politica, e non riesce più ad essere struttura di formazione della classe dirigente82.
Già è stato fatto cenno alla esistenza di una oligarchia parlamentare nei partiti politici, che riduce i margini di democrazia interna e che in non pochi casi personalizza il partito e la stessa linea politica. Ma c’è anche di più. Negli stessi addetti ai lavori, fatte salve alcune eccezioni, il partito è considerato strumento carrieristico83: non gli uomini al servizio del partito per il raggiungimento di mete di elevazione economica, sociale e civile della nazione, ma al contrario il partito al servizio delle persone.
Una involuzione pericolosa, che mette in discussione i valori democratici e le idealità di cui il partito dovrebbe essere portatore.
11. Il grande rischio
Gli aspetti di crisi delle grandi coalizioni di cui alla presente trattazione hanno già dato luogo a conseguenze politiche indubbiamente gravi: forte riduzione del tasso di tensione morale, disaffezione della gente verso la politica, rifiuto di persone qualificate di partecipare alla vita politica attiva, ripresa di vecchi metodi amministrativi all’insegna del clientelismo….
Ma c’è di più. Il fatto che col passare degli anni (ormai sono quasi dieci a far data dal 1994) non sia stato individuato un ordinamento organizzativo stabile delle coalizioni in cui i partiti aderenti possano riconoscersi al di là del momento elettorale e in cui – quantomeno per i cinque anni di una legislatura – abbiano a svolgere, sulla base di un programma condiviso, il ruolo di maggioranza o di opposizione, è il punto di fondo della crisi.
Ovviamente la gravità della situazione è maggiormente avvertita dalla coalizione che ha perduto le elezioni, come è dimostrato da quel che avviene da mesi in seno all’Ulivo. Il riferimento è alla pesante polemica, già accennata, che sostanzialmente ha messo in discussione la leadership di Francesco Rutelli e alle molte disfunzioni che si sono avute nei comportamenti dei gruppi parlamentari e negli atteggiamenmti diversificati assunti dai partiti in ordine ad alcune questioni venute al tappeto: guerra del Kosovo, guerra in Afghanistan, guerra in Iraq, aiuti umanitari in favore delle popolazioni dell’Iraq, etc..
In merito agli aiuti umanitari alle popolazioni dell’Iraq, la coalizione di Centrosinistra ha presentato addirittura tre mozioni distinte84
Anche la maggioranza, sia pure in forma più tenue, registra però che molte cose, sul piano organizzativo, non vanno.
Ed infatti, pur essendo vero che una coalizione al governo ha il collante del potere che maschera contrasti interni, è altrettanto vero che non mancano dissensi in seno alla stessa compagine governativa: ora per il trasferimento della direzione di RAI 2 a Milano, ora perché ci sono differenziazioni sulla polemica nei confronti di parte della magistratura, ora perché alcuni gruppi politici considerano la posizione italiana troppo appiattita sulla politica estera degli USA, ora perché la proposta di Bossi, in un primo tempo, di inserire nella Costituzione come vice capitali d’Italia Milano e Palermo e, in seguito, di trasferire la capitale d’Italia da Roma a Milano, non poteva non creare legittime situazioni d’allarme e, infine, ora perché certe esternazioni dello stesso presidente Berlusconi, fatte a briglia sciolta, non solo aprono infuocate polemiche con l’opposizione, ma suscitano anche forti perplessità nella maggioranza85.
E si tratta solo di qualche esempio. Comunque il profondo disagio all’interno delle coalizioni, specie in periferia, lo svilupparsi di fenomeni chiaramente indirizzati a sostituire il sistema “maggioritario” con il sistema “proporzionale”, il maturare di condizioni di tripolarismo, la disaffezione della gente alla politica, l’assenteismo elettorale… sono – visti nel loro insieme – gravi fattori di crisi. E sono tali fattori che aprono la strada al rischio più grande: l’annullamento del maggioritario e, quindi, del bipolarismo, il sistema che, bene o male, ha segnato dal 199486 in poi un cambiamento della realtà politica italiana, creando le condizioni, se non di assoluta stabilità, certamente di governabilità.
La realtà delle cose è che le coalizioni, come entità a sé, non esistono. Sono semplici intese elettorali. Gruppi di partiti con linee politiche e programmi del tutto eterogenei, che si muovono come cavalli a brado, ciascuno per suo conto.
12. Il funzionamento attuale delle coalizioni
Attualmente il funzionamento delle coalizioni avviene attraverso:
Un Coordinatore nazionale.
Un Comitato nazionale di Coordinamento di cui fanno parte i rappresentanti ufficiali dei partiti aderenti.
Un Comitato regionale con le stesse caratteristiche di quello nazionale.
Un Comitato di Coordinamento per ciascuna provincia.
Si tratta di Comitati che si riuniscono raramente87. Anche per questioni importanti i leaders dei partiti della coalizione preferiscono ricorrere ad incontri bilaterali o addirittura al telefono, anzicché realizzare riunioni collegiali.. Eppure sono questi organismi che, in linea di massima, e quasi sempre dall’alto, determinano ai vari livelli le scelte più importanti, in barba ai più elementari princìpi democratici. Credo, infatti, si possa dire che le uniche funzioni di questi organismi siano quelle di esprimere le candidature dei parlamentari (nei vari collegi), dei presidenti di regione e di provincia, dei sindaci, nonché intervenire nelle questioni di particolare importanza ed urgenza.
Sul piano formale non c’è un leader della coalizione. Viene considerato tale il candidato che nelle elezioni politiche risulta indicato quale Presidente del Consiglio dei Ministri. E così, nelle elezioni politiche del 2001, per il Polo delle libertà, il leader è stato (e continua ad esserlo) di fatto Silvio Berlusconi indicato dal Centrodestra come candidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e per lo schieramento dell’Ulivo Francesco Rutelli (e continua ad esserlo sia pure con non poche contestazioni), indicato quale candidato alla direzione del Governo nazionale dal Centrosinistra88.
Un ordinamento organizzativo vero e proprio sostanzialmente non esiste e il dato che emerge in punto di fatto è che, fatte rarissime eccezioni, i vari livelli direttivi sono nelle mani dei parlamentari e dei più qualificati esponenti negli organi istituzionali rappresentativi e operano all’insegna di un anacronistico metodo centralista.
E non è tutto. Si arriva al punto che, se in una regione uno dei partiti della coalizione è particolarmente forte, il centralismo viene esercitato – anche senza alcuna consultazione dei rappresentanti degli altri partiti – dal segretario regionale di quel partito.
13. I tentativi di riorganizzazione dell’Ulivo
Dopo le elezioni del 2001, a rendersi conto della esistenza di una grave crisi delle coalizioni sono stati per primi i partiti del Centrosinistra. Messe da parte le responsabilità per la sconfitta elettorale subìta, eccoli promuovere incontri per un approfondito esame dello strumento-coalizione. Incontri però andati a vuoto, ora a causa di un partito ora a causa dell’altro o degli altri.
I rinvii infatti, per tutto il 2002, si sono succeduti ai rinvii. E l’incontro ultimo, che era stato fissato per il 13 aprile di quest’anno89, incontro che sembrava dovesse consistere negli stessi stati generali di rifondazione dell’Ulivo, non ha avuto sorte migliore.
Si pensava di riunire 4 mila delegati in rappresentanza dei partiti della coalizione per giungere alla costituzione di un Ufficio di programma, alla elezione di una Direzione politica e alla scelta del Coordinatore, ma una dura presa di posizione di Sergio Cofferati90, di Nanni Moretti91, di Fausto Bertinotti e di altri92, ha fatto sì – prima – che l’ordine del giorno venisse quasi radicalmente modificato e – poi -, attraverso una serie di veti incrociati, ha determinato sostanzialmente il naufragio dell’iniziativa, risolvendola in un incontro93 che fosse il primo passo per un “Ulivo allargato”. Ma anche con tanto ridimensionamento non solo non si sono avuti risultati94, ma anzi c’è stato un ampliamento dei dissensi interni alla coalizione per ulteriori contrasti emersi tra Rutelli e Pecoraro Scanio95 e per una pesante contestazione per Massimo D’Alema96.
Né poteva essere diversamente, dato che all’incontro, pur essendo presenti molti qualificati esponenti del Centrosinistra, erano assenti Sergio Cofferanti, Nanni Moretti, Clemente Mastella e Fausto Bertinotti97.
Naturalmente, dopo quest’ultimo fallimento, sarà sempre più difficile affrontare la crisi della coalizione e trovarne la soluzione. Peraltro il lieve miglioramento delle posizioni elettorali conseguito dall’Ulivo nella consultazione amministrativa di maggio-giugno 2003 ha posto, almeno al momento, in secondo piano la situazione all’interno della coalizione98.
14. La posizione del Centrodestra
Il Centrodestra, nella presente legislatura, ha avvertito meno l’esigenza di dare delle regole all’assetto della propria coalizione. Certamente per il fatto che, avendo vinto le elezioni politiche, il potere – come si è sottolineato in uno dei capitoli precedenti- ha fatto (e continua a farlo) da collante tra i partiti della maggioranza.
Peraltro, a differenza del Centrosinistra che ha visto susseguirsi come leader della coalizione Romano Prodi, Massimo D’Alema e Francesco Rutelli, il Centrodestra, sotto questo profilo, non ha avuto problemi. Fin dall’inzio c’è stata un’accettazione unanime della leadership di Silvio Berlusconi e, anche quando qualcuno dei partiti aderenti ha accennato a dei tentativi di messa in discussione, è stato costretto subito dai fatti a rivedere la posizione.
E, come è ovvio, la continuità di guida, peraltro espressa attraverso una personalità forte quale quella di Silvio Berlusconi, è di per sé forza di coagulo interno della coalizione.
Questo non significa però che i vari aspetti di crisi della coalizione non siano stati e non vengano avvertiti, specie a livello regionale e provinciale. Gli esempi, che nel corso della trattazione sono stati citati, riguardanti appunto situazioni verificatesi in seno alla coalizione, ne sono eloquente dimostrazione99.
Va aggiunto che i risultati elettorali del maggio-giugno 2003, piuttosto negativi, pongono già l’esigenza che si cominci a guardare con attenzione al sistema organizzativo della coalizione.
Mi si dirà che una prima messa a fuoco del problema è avvenuta già, prima delle stesse elezioni amministrative di maggio-giugno 2003, con il forum parlamentare di “Punto Italia”, organizzato da An a Roma l’8 maggio 2003 a Palazzo Valdina. Ma non è proprio così. Primo, perché si è trattato di un convegno di studio e, poi, perché il problema affrontato era quello del futuro dei partiti nell’era del bipolarismo100. Alla crisi delle coalizioni non si è fatto alcun riferimento specifico, anche se Claudio Scajola, responsabile organizzativo di Forza Italia, ha sostenuto la necessità di dotare la coalizione di organismi di consultazione permanente, Ignazio La Russa, presidente allora del gruppo di An alla Camera, ha parlato di istituzionalizzazione dei vertici della coalizione e Gennaro Malgeri, direttore del Secolo d’Italia, ha proposto la definizione di una Carta dei valori101.
Il rischio forte che il sistema dell’alternanza, così come stanno le cose, possa essere travolto non è neppure balenato negli interventi che hanno caratterizzato il dibattito di Palazzo Valdina.
Peraltro anche il dato negativo dei risultati elettorali di maggio-giugno 2003 non sembra abbia aperto gli occhi, in maniera adeguata, sulla questione. La sconfitta del Friuli-Venezia Giulia, di Udine e altri centri importanti è stata vista più in rapporto all’andamento dell’azione di governo (e se ne è chiesta la verifica102) che in collegamento con le forti disfunzioni della coalizione. I problemi inerenti alla scelta delle candidature e quelli riguardanti il diritto di autonomia dei vertici locali non risulta infatti che siano stati affrontati e definiti.
E invece il punto di crisi è, soprattutto, lo stato della coalizione.
15. Qualche notazione finale
Questo lavoro è stato concepito allo scopo di evidenziare e denunziare la crisi delle grandi coalizioni partitiche e, quindi, suonare un campanello d’allarme in tempo utile, prima che abbiano a svilupparsi conseguenze tali da incidere sull’ordinamento politico e sulla stessa democrazia italiana. Una eventuale caduta del sistema dell’alternanza tanto faticosamente conqui- stato potrebbe infatti, in una democrazia ancora fragile quale quella italiana, aprire le porte a sbocchi imprevedibili.
Ne deriva che alcune notazioni finali potrebbero essere un contributo per il superamento della crisi.
1- Si è finora ritenuto che il buco del 25% di proporzionale, in quanto vulnera il sistema maggioritario e apre la strada alla prolificazione dei partiti politici, sia quantomeno una delle cause che potrebbe mettere in discussione il bipolarismo. Conseguentemente alcuni103 hanno puntato, attraverso lo strumento referendario, alla cancellazione della norma relativa che, peraltro, risulta esitata in violazione del pronunziamento popolare di abolizione del sistema proporzionale avvenuto prima dell’approvazione delle leggi elettorali del 1993. Come si ricorderà fu il Parlamento ad inserire di forza la quota del 25% di proporzionale. In un certo senso il colpo di coda della vecchia Repubblica, anzi, forse più esattamente, il colpo di coda della vecchia Democrazia Cristiana, tenuto conto che il marchingegno venne escogitato da un parlamentare democratico cristiano104.
I referendum intervenuti posteriormente, anche se hanno espresso una maggioranza larghissima per l’abolizione, non hanno trovato però legittimazione, non essendo stato raggiunto il quorum di partecipazione del cinquanta per cento più uno degli elettori.
Giacché il pronunziamento popolare per l’abolizione comunque vige fin dai primi anni Novanta, non si vede perché la questione non dovrebbe trovare soluzione attraverso un disegno di legge di modifica della legge elettorale.
E’ vero che l’abrogazione del 25% di proporzionale sarebbe solo di ausilio alla risoluzione della crisi delle coalizioni, in quanto potrebbe operare soltanto un contenimento (ritardato) del numero dei partiti e delle liste e porre dei freni ai velleitarismi. E’ altrettanto vero però che sarebbe una valida diga a difesa del bipolarismo.
2- L’elevazione della soglia di abbattimento dal 4 al 6-7%, secondo alcuni politologi potrebbe conseguire la neutralizzazione quasi totale dell’effetto del proporzionale e quindi garantire meglio l’alternanza di governo. E in parte è così. A mio modesto giudizio bisogna però tenere presente che le soglie di abbattimento delle leggi elettorali, indipendentemente dalle percentuali, sono sempre una negatività, privano cioè strati della popolazione dall’avere una propria voce e quindi dal dare un contributo diretto o indiretto alla determinazione della politica nazionale105. Non è cosi invece se una formazione politica anche piccolissima, in un sistema bipolare, sceglie di far parte di una coalizione. La sua voce, se la coalizione ha regole chiare, ha possibilità di essere valutata e tenuta presente.
3- Alla luce della trattazione svolta una strada percorribile per il superamento della crisi delle coalizioni potrebbe essere quella della individuazione di regole chiare e vincolanti per l’organizzazione e il funzionamento delle coalizioni, regole cioè che disciplinino l’adesione dei partiti alla coalizione, i doveri che dall’adesione scaturiscono, gli aspetti programmatici da accettare e rispettare per il tipo di elezione che si va ad affrontare, la scelta dei dirigenti ai vari livelli, la nomina del Coordinatore nazionale, le forme di rappresentanza unitaria in seno alle istituzioni, la periodicità delle riunioni, etc..
Ovviamente i molti tentativi a vuoto che si sono avuti stanno a testimoniare che non è facile mettere assieme un gruppo di partiti e concordare, anche per una sola legislatura, un programma di governo o di opposizione e un modulo organizzativo di funzionamento.
Eppure un ordinamento in tal senso non può essere procrastinato a lungo. Quantomeno occorre in tempi brevi che le coalizioni si diano uno Statuto, un insieme di norme cioè in base alle quali potere operare politicamente, uno Statuto quindi che venga regolarmente registrato106, uno Statuto da cui non si abbia a decampare nell’esercizio dell’attività politica, uno Statuto, in altri termini, che sia il codice di convivenza e operatività politica delle coalizioni.
E siffatto Statuto dovrebbe essere caratterizzato dal principio del federalismo, rompendo quella linea di centralismo che domina nelle coalizioni e influisce tanto negativamente soprattutto in periferia. E’ inammissibile infatti che in ambito provinciale non sia la classe dirigente locale, dopo opportune consultazioni degli organi territoriali, a scegliere o comunque proporre il candidato a presidente della provincia o i candidati a sindaci107.
L’autonomia ai vari livelli dovrebbe essere considerata, come del resto è, un valore di fondo.
4- Naturalmente possono essere individuate altre strade per superare la crisi delle coalizioni.
Si potrebbero, ad esempio, inserire nella legge elettorale norme, diciamo di indirizzo, per puntare alla risoluzione dei vari partiti della coalizione in un unicum, anche se non è cosa facile dato lo spirito di individualismo politico degli italiani, per cui a destra ci sono almeno quattro o cinque anime di destra108 e a sinistra almeno quattro o cinque partiti109 di sinistra.
Si potrebbe affidare la soluzione della crisi alla stagione delle riforme costituzionali di cui si ritorna a parlare. E così, come la Costituzione prevede l’ordinamento dei sindacati, prevedere anche quello delle coalizioni.
5- Per finire: una considerazione di fondo. Le regole sono certamente importanti. Va tenuto presente però che anche le più perfette hanno valore se sorrette dalle idealità di coloro che sono chiamati ad applicarle e a rispettarle. E non c’è dubbio che oggi in Italia dietro la crisi delle coalizioni partitiche c’è una classe dirigente che ha fatto scadere i valori della politica.
Creare le regole quindi, ma nel contempo ritornare alla politica vera, alla politica alta.
NOTE
(1) La Prima Repubblica era nata con il referendum popolare “Monarchia o Repubblica” del 1946, il cui risultato elettorale peraltro era stato molto discusso.
(2) Legge n.277/93, art. 1, comma 1, lettera a), Coordinamento art.1.
(3) Legge n.277/93, art. 5, comma 1, lettera a). Coordinamento art. 83.
(4) Legge n.276/93, art.1. Coordinamento art. 2.
(5) La tradizione italiana è ben lontana da quella inglese caratterizzata dalla esistenza di due fortissimi partiti antagonisti: il partito Conservatore e il partito Laburista; ed è anche lontana da quella degli U.S.A. che ha i suoi punti di riferimento nelle due grandi concentrazioni: quella del partito Repubblicano e quella del partito Democratico. Per di più gli stessi filoni ideologici in Italia non hanno trovato mai, a loro sostegno, movimenti unitari e i grandi partiti hanno presentato e presentano più anime che finiscono sempre con l’articolarsi in correnti.
(6) Mese di ottobre 2003.
(7) I referendum relativi non hanno raggiunto il quorum necessario per essere omologati.
(8) Il governo di Lamberto Dini è rimasto in carica dal gennaio del 1995 fino alle elezioni generali del 1996.
(9) Il governo di Massimo D’Alema si insedia nell’ottobre del 1998. Il governo di Giuliano Amato, invece, conclude la legislatura 1996-2001.
(10) Il partito dei Comunisti Italiani venne annunziato da Armando Cossutta in sede di formazione del governo D’Alema (ottobre 1998) e costituito subito dopo.
(11) Per desistenza deve intendersi la non presentazione di un candidato di un partito (che non fa parte della coalizione) in un determinato collegio per avvantaggiare la coalizione della stessa area e viceversa.
(12) Eclatante la questione dei 12 parlamentari tuttora non assegnati, per cui il Parlamento non ha il plenum previsto dalla Costituzione.
(13) In merito alle conflittualità Domenico Fisichella scrive: “…Se è vero tra l’altro che un sistema bipolare ha anche una competizione all’interno di ciascun polo, è anche vero che nel caso italiano abbiamo molti elementi di conflittualità all’interno di ciascun polo. Quindi stiamo combinando questa duplice condizione: un bipolarismo conflittuale a livello di rapporti tra poli, un bipolarismo conflittuale a livello di rapporti all’interno di ciascuno dei due poli”.(Cfr. La Destra e l’Italia, intervista a cura di Massimo Crosti, Troina, Città Aperta Edizioni, 2003, pag. 96).
(14) Il riferimento è al “correntone”, denominazione comunemente usata per individuare la corrente facente capo a G. Berlinguer.
(15) Un esempio, la questione delle vice capitali Milano Palermo.
(16) An in contrasto con Fi e in posizione differenziata con il Udc ha chiesto e ottenuto le dimissioni del presidente della Rai-Tv Antonio Baldassarre e l’azzeramento del Consiglio di Amministrazione peraltro già ridotto a due componenti soltanto.
(17) In particolare con Rifondazione del Partito comunista.
(18) Ormai l’assenteismo ha superato in alcune regioni la percentuale del 30%.
(19) Le elezioni per la Camera si svolgono con la legge 4 agosto 1993, n.277, la quale prevede che i seggi della Camera per il 75% siano assegnati con il sistema uninominale secco e per il restante 25% con il sistema proporzionale. Si ha cioè un sistema sostanzialmente misto.
(20) Non meno di 500 e non più di 1000. Il numero dei sottoscrittori si riduce della metà nel caso di scioglimento della Camera dei deputati che ne anticipi la scadenza di oltre centoventi giorni.
(21) Le sezioni, i circoli, i club.
(22) Nelle ultime elezioni politiche (2001) numerosi i casi in tal senso. Per fare solo due esempi, nella coalizione di Centrodestra, Bobo Craxi, abitante ed operante a Milano, è stato candidato in Sicilia, nel collegio elettorale di Trapani capoluogo; nella coalizione di Centrosinistra l’on. Cecchi Gori è stato catapultato dalla Toscana in Sicilia ed esattamente nel collegio di Acireale in provincia di Catania.
(23) Sulla rappresentanza politica cfr. Domenico Fisichella, La rappresentanza politica, Roma-Bari, Laterza, 1996 e Elezioni e democrazia, Bologna, il Mulino, 2003.
(24) Per i deputati non c’è la limitazione a due mandati elettorali.
(25) Legge 23 febbraio 1995, n. 43 e legge 17 febbraio 1968, n. 108 tuttora vigenti per le regioni a statuto ordinario e in via transitoria in Sicilia.
(26) Berlusconi in seguito, assicurando un posto di governo, riuscirà a fare ritirare le dimissioni e, in parte, ad impedire che la diaspora si allargasse. Comunque il risultato sarà la perdita da parte della Casa delle libertà della Presidenza della Regione Friuli- Venezia Giulia.
(27) La dura reazione dei friulani, che ha portato anche ad una rottura dei rapporti tra l’ex ministro Scajola e il coordinatore nazionale di Forza Italia, il sottosegretario agli esteri Roberto Antonione, nasce dall’imposizione a Forza Italia della candidatura Guerra al posto di Tondo da parte di Umberto Bossi, quando peraltro il Presidente del Consiglio, una quindicina di giorni prima, aveva assicurato la riconferma di Roberto Tondo, presidente regionale uscente.
(28) L’elezione avviene senza voto preferenziale, attraverso una lista circoscrizionale in cui i candidati sono inseriti secondo un ordine fisso e, ovviamente, eletti in forza dei voti riportati dalla lista.
(29) Dott. Rino Ferrari a Marsala, on. Vincenza Bono Parrino ad Alcamo, dott. Giacomo Centonze a Castelvetrano.
(30) Dott. Carmelo Ruta per il partito della Margherita, dott. Salvatore Jannizzotto per Rifondazione comunista, dott. Franco Antoci di Democrazia europea per la Casa delle libertà.
(31) Avv. Francesco Musotto
(32) Cfr. Giornale di Sicilia dell’1 maggio 2003
(33) I protagonisti sono stati Giovanni Guiliari e Luca Romano.
(34) I partiti della Quercia e Margherita si sono divisi e hanno prentato due candidati a sindaco distinti, rispettivamente Marco Marcucci, sindaco uscente e Sauro Ricci, ex vice sindaco della giunta Marcucci.
(35) Il senatore Giuseppe Bongiorno.
(36) Hanno preso posizione contro la candidatura sostenuta ufficialmente da Fi e Udc (Giulia Adamo, presidente uscente della provincia regionale di Trapani) l’intero partito di AN con i propri parlamentari nazionali: il deputato Nicola Cristaldi e il senatore Giuseppe Bongiorno, i parlamentari di Fi: il sottosegretario agli interni Antonio D’Alì e il deputato regionale Giuseppe Maurici, i parlamentari dell’Udc: il deputato nazionale Massimo Grillo e il deputato regionale Girolamo Turano. Prima che si giungesse al voto Berlusconi ha però bloccato i due parlamentari di FI, prima sospendendoli dal partito e poi con la minaccia del sollevamento dagli incarichi.
(37) A Treviso la Casa delle libertà si è presentata divisa in tre tronconi: Lega Nord, Fi e An, Udc.
(38) I Centristi dell’area di destra si sono dissocciati dagli altri partiti della Casa delle libertà e hanno scelto di sostenere il sindaco di una lista civica, Alberto Benincasa.
(39) Carroccio e Polo delle libertà sono scesi in lizza con liste e candidati autonomi.
(40) Gli esiti degli esperimenti, almeno finora, non sembra che siano positivi, anche perché innescano problemi di altro genere.
(41) Sul secondo turno cfr Elezioni e democrazia di.Domenico Fisichella, Bologna, il Mulino, 2003.
(42) Emblematico è il “caso Marsala”: nelle elezioni amministrative del novembre 2001 il candidato a sindaco di Forza Italia, Rino Ferrari, essendo rimasto escluso dal ballottaggio, ha partecipato al secondo turno come vice sindaco della coalizione di Centrosinistra.
(43) La riforma delle pensioni era solo un pretesto. La ragione vera era data invece dal successo di Forza Italia conseguito nelle elezioni europee del 1994, che aveva sostanzialmente dimezzato l’elettorato leghista.
(44) Le manovre si conclusero con la presentazione, in data 21 dicembre 1994, di due mozioni di sfiducia: una da parte di Bossi e Buttiglione e l’altra da parte del PDS.
(45) Cfr. Bruno Vespa, Dieci anni che hanno sconvolto l’Italia, 1999, Rai-Eri Mondadori, pp. 292-99.
(46) La lotta al terrorismo è scaturìta dall’abbattimento delle Torri gemelle di New Jork (11 settembre 2001) ad opera dei terroristi afgani agli ordini di Ben Laden.
(47) Regione Campania, Regione Calabria, etc.
(48) Presidenza del democratico di sinistra Angelo Capodicasa.
(49) Il gruppo di Rinnovamento di Bartolo Pellegrino passa dall’area di sinistra all’area di destra, determinando la costituzione del governo regionale dell’onorevole Vincenzo Leanza, appartenente al gruppo parlamentare di Forza Italia.
(50) La dichiarazione di Bossi fu resa nell’intervento svolto al Congresso della Lega nel marzo 2002.
(51) E’ dei primi di luglio 2003 una lettera aperta del sottosegretario leghista al Turismo, Stefano Stefani, che rivolge dure accuse ai turisti tedeschi scatenando una reazione diplomatica del Governo tedesco e arrecando addirittura danno al turismo italiano. Il sottosegretario sarà costretto a dimettersi.
(52) Clamoroso il caso dell’onorevole Roberto Simeone che, senza il benestare del proprio Gruppo politico (AN), riuscì a fare approvare dal Parlamento una legge che doveva cadere sotto l’accusa di scarcerare un numero di detenuti di gran lunga maggiore del previsto.
(53) Dicembre 1994-Gennaio 1995.
(54) Queste scissioni da sole hanno determinato il cambiamento di casacca di oltre 50 parlamentari.
(55) Il Governo D’Alema si è insediato il 21 ottobre 1998.
(56) Giuliano Amato ha concluso la legislatura 1996-2001.
(57) Cfr. cap.V
(58) Alcune leggi elettorali, quale ad esempio quella della Regione siciliana, prevedono che il consigliere chiamato a fare parte della Giunta amministrativa debba dimettersi per incompatibilità tra le due cariche.
(59) Hanno costituito, all’interno del Polo delle libertà, un organismo comune sotto la sigla del UDC i partiti del CCD, del CDU, di Democrazia Europea e. all’interno dell’Ulivo, sotto la denominazione della Margherita, i partiti del PPI e dei Democratici di Prodi. Come si può rilevare si tratta dei gruppi politici derivati dall’ex DC allocati a destra e a sinistra.
(60) Vedi la guerra del Kosovo, dell’Afganistan e la questione degli aiuti umanitari in Iraq nel dopo Saddam Hussein.
(61) In parte ciò avviene per la mancanza di una normativa che operi una netta distinzione tra consigli ed esecutivi.
(62) In Sicilia numerosi i casi di sindaci sfiduciati.
(63) Cfr. Giornale di Sicilia del 7 luglio 2003.
(64) Non sono considerati i partiti fai da te.
(65) Anche il Nuovo Psi, allineandosi a tutti i piccoli partiti, ritiene che sia inderogabile il ripristino del sistema proporzionale. Bobo Craxi nel congresso nazionale del 13 aprile 2003 lo ha chiesto ufficialmente registrando un consenso generale.
(66) Si ritiene che la propensione di Silvio Berlusconi per il proporzionale intervenuta da qualche tempo sia dettata dalla duplice esigenza di sottrarsi ai ricatti della Lega Nord e dei piccoli partiti nell’assegnazione dei collegi e di rafforzare la rappresentanza di Fi in Parlamento.
(67) Corriere della Sera del 7 luglio 2003.
(68) Ivi.
(69) Corriere della Sera del 12 luglio 2003.
(70) Cfr. L’equivoco della liberaldemocrazia di Giuseppe A. Spadaro con presentazione di Francesco Mercadante, Roma. Pellicani, 2002.
(71) I deputati di Patto Italia eletti nel maggioritario furono solo quattro.
(72) Tenere presente le continue dichiarazioni di Rocco Buttiglione e degli stessi rappresentanti del Ppi.
(73) Il gioco di parole è chiaro: non sarebbe la vecchia ma la nuova.
(74) Sergio D’Antoni, ex segretario generale della Cisl, ha costituito il partito Democrazia Europea.
(75) Non bisogna dimenticare però che nella legislatura regionale 1996-2001 furono proprio i centristi provenienti dalla DC ad affossare il Centrodestra e a sostituirlo con un governo addirittura a guida DS, con presidente della Regione siciliana, l’onorevole Angelo Capodicasa, salvo a ripensarci in seguito e a fare in modo che la legislatura si chiudesse con al governo il Centrodestra.
(76) Giovanni Sabbatucci, Il trasformismo come sistema, Roma-Bari, Laterza, 2003, pag. 116.
(77) Domenico Fisichella, La Destra e l’Italia, Città aperta, 2003, pag. 96.
(78) Articolo 49 della Costituzione a cui dovrebbero rifarsi anche le coalizioni.
(79) Cfr. Corriere della Sera del 6 luglio 2003. L’intesa in loco ha alleati per l’occasione Ds e parte di An, ma trova dissenzienti Rifondazione comunista, il Pdci, parte della Margherita.
(80) Quasi sempre i componenti dei vertici dei partiti sono contemporaneamente parlamentari e, a volte, anche membri del Governo.
(81) I partiti medio-piccoli all’interno delle coalizioni subiscono l’influenza dei partiti guida e ne risultano danneggiati elettoralmente. Si assiste infatti al fenomeno per cui i partiti guida all’interno delle coalizioni si rafforzano sempre più e i medio-piccoli invece vedono diminuire i consensi.
(82) Sui partiti italiani cfr. Piero Ignazi, I partiti italiani, Bologna, il Mulino, 1997.
(83) I forti aumenti delle indennità dei componenti degli esecutivi e dei consiglieri nel campo degli enti locali (e non solo) concorrono ad alimentare il carrierismo.
(84) Le tre mozioni presentate sono: una Ds e Margherita con la quale si chiedeva una tregua per consentire l’invio di aiuti umanitari, una Sdi e Udeur contrari alla parola “tregua” e favorevoli alla ricostituzione dell’unità europea e una del Pdci, dei Verdi e del Prc per una immediata cessazione del fuoco. Il dibattito ha avuto luogo il 3 aprile 2003 e le tre mozioni sono state respinte
(85) Il riferimento è alla esternazione riguardante in particolare i comportamenti di Mussolini in rapporto a Saddam Hussein delle prime settimane del settembre 2003.
(86) Le prime elezioni con il maggioritario si sono svolte nel 1994.
(87) Non si tengono riunioni periodiche, neppure per il controllo dell’azione politico-amministrativa.
(88) Precedentemente, nelle elezioni 1996-2001 il leader del Centrodestra era stato Silvio Berlusconi e del Centrosinistra Romano Prodi.
(89) 13 aprile del 2003.
(90) Sergio Cofferati ha sostenuto che non aveva senso un’assemblea a cui partecipassero soltanto gli iscritti dell’Ulivo e che, pertanto, essa dovesse essere allargata ai vari movimenti della società civile e inoltre che era da ritenere del tutto prematura l’elezione del coordinatore nazionale dell’Ulivo.
(91) Nanni Moretti ha avanzato, grosso modo, le stesse osservazioni.
(92) Oltre a Fausto Bertinotti si sono pronunziati contro i Verdi, l’Italia dei valori con Antonio Di Pietro, il Sdi con Enrico Boselli, I Comunisti italiani con Armando Cossutta e gli stessi esponenti del correntone Ds: Giovanni Berlinguer, Cesare Salvi, Giovanna Melandri.
(93) L’incontro si è svolto a Roma al residence di Ripetta il 12 aprile 2003.
(94) L’unica decisione presa è stata l’approvazione degli albi degli elettori ulivisti che dovrebbero costituire la base elettorale per le “primarie” deputate alla scelta del leader della coalizione e del candidato a premier.
(95) Pecoraro Scanio portavoce dei Verdi.
(96) Cfr.i principali quotidiani del 12 aprile 2003.
(97) I presenti erano: Massimo D’Alema, Giuliano Amato, Piero Fassino, Francesco Rutelli, Enrico Boselli, Rosy Bindi, Pierluigi Castagnetti, Antonio Di Pietro, Giovanni Berlinguer e in rappresentanza dei vari girotondi: Marina Astrologo, Maria Giordano, Elio Vetri e l’ecologista Scalia, il professore Pietro Scoppola, nonché vari sindacalisti della CGIL
(98) Il Centro sinistra ha strappato al Centro destra il governatorato del Friuli-Venezia Giulia.
(99) Cfr. in particolare il capitolo delle candidature.
(100) Nel convegno si è anche accennato alla legge elettorale, si è ripresa la questione della soppressione della quota proporzionale e si è sostenuta l’idea di una legge elettorale a sistema misto come per le elezioni regionali (Sergio D’Antoni, vice segretario dell’Udc). Ferdinando Adornato è ritornato a cullare il sogno di un quadro politico con due soli partiti, alternativi tra loro.
(101) Cfr. Secolo d’Italia del 9 maggio 2003.
(102) La richiesta di verifica dell’azione di governo è stata avanzata da An a cui si è subito associata l’Udc. Ma anche la verifica ha documentato lo stato di debolezza della coalizione. Ed infatti non è stato possibile realizzare incontri collegiali (ed è un assurdo), ma si è dovuto procedere attraverso incontri bilaterali che, naturalmente, hanno lasciato nell’equivoco non poche questioni di governo.
(103) In particolare i partiti Ds e An.
(104) Ideatore fu l’on. Sergio Mattarella del Ppi e la norma è nota sotto la denominazione di “Mattarellum”.
(105) L’articolo 49 della Costituzione prevede che tutti i partiti concorrano alla determinazione della politica nazionale e non già quelli che raggiungono un determinato quorum.
(106) Potrebbe essere punto di riferimento, come modello, l’articolo 39 della Costituzione riguardante i Sindacati.
(107) Le elezioni amministrative del mese di maggio 2003 hanno registrato casi clamorosi tra i quali è emblematico quello di Trapani, menzionato nel capitolo 4, che ha visto la rivolta dei rappresentanti locali contro i vertici regionali e nazionali dei partiti della Casa delle libertà con particolare riferimento a Fi e all’Udc. L’onorevole Massimo Grillo dell’Udc, prendendo spunto dal caso Trapani, ha lanciato anche un manifesto per affermare l’esigenza di regole all’interno del proprio schieramento e all’interno della Casa delle Libertà e lo ha definito ” manifesto per un programma morale e politico”. Il manifesto è stato intestato alla nuova componente dell’Udc ” La Sicilia di Sturzo verso il 2010″.
(108) Marcello Veneziani, La cultura della destra, Roma-Bari,Laterza, 2002.
(109) Ds e il “Correntone”, Prc, Pcdi, Sdi, Nuovo Psi, etc.