Nello stress della vita quotidiana, che, talvolta, si traduce in depressione psichica, un “messaggio di ironia” ha un’efficacia maggiore e più immediata di qualsiasi farmaco. A pensarci è ancora Marcello Guccione, esperto internazionale dello sviluppo e impegnato in varie parti del mondo, già docente universitario, poliglotta, che, sollecitato dal successo del suo precedente libro, Amnesy international (Roma, 2001), si ripresenta al pubblico con un agile volume dal sorprendente titolo C’era una svolta (Roma, 2003) apparso, come il primo, per i tipi della casa editrice romana “Pagine”.
Ci si imbatte piacevolmente in una serie di racconti, la cui esposizione è fatta di “paradossi, calambour, aforismi, nonsense, satire, freddure”, tutti elementi attivi di un’ironia, che non solo coinvolge e travolge il lettore, ma anche introduce un nuovo stile letterario fondato sull’uso e l’abuso di parole, tratte dal linguaggio comune e liberamente interpretate. Guccione, insomma, diverte e si diverte, non senza una velata critica alla circolazione impropria di una miriade di termini che corrompono la lingua italiana.
Riportiamo di seguito, per gentile concessione dell’editore, la Prefazione a C’era una svolta scritta dal noto critico letterario Enrico Vaime e la Introduzione dello stesso autore (u.c.).
“Scrivere è diventato inutile, a meno che non si scriva indecifrabilmente” affermava Flaiano negli anni ’60. Era uno sfogo o una sfida? E in che cosa consiste poi l’indecifrabilità della scrittura? Nell’ingannare il lettore con termini depistanti e illogici oppure nel giocare con le parole rivelandone quella potenziale assurdità che è in ognuna di esse a seconda dell’uso, della pronuncia, della collocazione? Esistono delle convenzioni nella pratica della lingua, alcune non scritte, altre affermate dalla ripetitività un po’ superficiale. Ci sono ancora scrittori disposti a rimettere in discussione i significati proponendo termini e “rictus verbali” esposti nella loro sconcertante stupidità?
Sì, per fortuna. E Guccione è uno di questi. Non si rassegna alla normalità del linguaggio, non resiste alle doppie – triple letture delle parole, dei modi di dire, delle massime usurate che confortano la vita dei più rassegnati.
Gioca, rimescola satiricamente le tessere del suo puzzle, pratica il suo personalissimo bricolage lessicale, crea una non-lingua più onesta di quella ufficiale. Può essere anche questo lo “stile indecifrabile” di Flaiano? O no: è un metodo per decrittare la stupidità del luogo comune ed esibirlo per quello che può diventare in una prassi seriosa e senza fantasia. Che noia usare i parametri ufficiali senza potere intervenire creativamente!
E allora seguiamo il nostro autore nel toboga del suo luna-park linguistico. Facciamo come lui, prendiamo le parole per quel che sembrano e cioè suoni prima che concetti. La “mangiatoia” personale perché non chiamarla “mangiamia” e quella dell’altro la “mangiasoia”? E chi aveva mai pensato ai problemi di un millepiedi che deve comprare un pied-à-terre? La banana che cade, si sbuccia? La petunia si chiama così perché è solita emanare dei cattivi odori?
Il senso da dare ai nomi e alle parole lo si stabilisce di volta in volta cercando di uscire dal labirinto dell’ufficialità.
Il prestigioso Devoto – Oli, vocabolario fra i più seguiti, diventi (per una volta o per sempre) la Gazzetta Ufficiale dell’italiano parlato. Ma chi si rifugia nella Gazzetta Ufficiale per vivere o sopravvivere meglio?
Non Marcello Guccione né i suoi fans disposti a seguirlo nella sua paradossale farandola, nel girotondo intorno alla comunicazione orale che rimane lì, al centro del gioco, frastornata e, chissà, forse anche divertita da questo momento ludico sopra le righe.
Forse il massimo risultato da questi certami scritti lo si ottiene lasciando via libera alla regressione, liberando il nostro lato infantile dai legacci della piatta (e a volte offensiva) maturità. Anche la medicina, coi suoi sussiegosi e dotti termini derivati da lingue stramorte, non si salva da questo folle, spensierato esperimento: le ferite da colluttazione si curano col collutorio, la vitamina PP è un diuretico, i disegnatori prendono più facilmente la dermatite….
Irresistibile, irrefrenabile, inguaribile Guccione. Cosa non farebbe per farci sorridere! Perfino pubblicare un libro. Anzi due. Perché questo “C’era una svolta” è il secondo.
E non sarà (per fortuna) l’ultimo.
Enrico Vaime
Quante volte abbiamo sentito dire che la vita è una cosa seria. Spesso però succede che alla serietà si accompagna la “seriosità” ossia l’insieme di atteggiamenti, dichiarazioni, iniziative, basicamente serie ma che sono al contempo frutto della grande voglia di farle apparire tali, in altri termini sono serie in modo forzato, sono “seriose”.
A parere di molti – “quorum ego” laddove il… quorum è il solo aspetto elettoral-politico dell’opera – questa forzatura va contrastata, con comportamenti e linguaggi quotidiani che valorizzino l’ironia che sta nelle cose ma troppo spesso è celata dentro una gabbia di conformismo, di pretese che per agire bene bisogna trattare ogni cosa in modo drammatico anche se di fatto non lo è, almeno in parte. Ecco allora che guardare la vita col filtro dell’ironia può aiutare a superarne le difficoltà.
Non desidero qui esporre ciò che intendo per umorismo. Personalmente, lo traggo dalla fantasia, costruendo situazioni – che sono quindi surreali – quali quelle esposte nei raccontini che presento. Soltanto dopo aver finito ho cercato di “catalogarli” raggruppandoli sulla base di un tema dominante: credo obiettivamente di esserci riuscito solo in minima parte, giusto per agevolare la lettura, e in fondo mi piace più così, perché tale operazione se fatta con maggior rigore avrebbe forse imbrigliato la fantasia… La fantasia mi ha anche suggerito il titolo del libro e la sua posizione in copertina, che riflette la voglia di “svoltare”, di uscire dall’usuale nell’esprimere ciò che si pensa, specialmente se si tratta di raccontare cose che hanno come unico scopo quello di generare qualche sana risata, che è oggi forse più che mai necessaria e i cui benefici sono provati come rilevato dal senso comune e scientificamente dimostrato.
Protagonisti dei racconti sono, oltre che persone, anche oggetti, animali, vegetali, che “vivono” in maniera “umana” i diversi aspetti della vita cioè lavoro, amore, tempo libero ecc. in vicende varie, alcune proprio particolari.
Fatti e personaggi umani sono immaginari mentre è assolutamente casuale ogni riferimento a fatti e persone reali.
Spendo due parole su un racconto, intitolato “Testimonianze da un cimitero” e messo per ultimo.
Fare dell’umorismo sulla morte a qualcuno non piace mentre io la tratto come tanti altri aspetti della vita, forse … il più certo, e di conseguenza ne faccio oggetto di pensieri, direi di “rielaborazioni”, umoristiche. Ovviamente queste persone – che penso siano poche – possono non leggere il racconto. Ritengo che ciò non cambierà il giudizio su tutto il libro, che spero positivo anche da parte di tutti i lettori in generale e, quello che più conta, giudizio espresso con seria convinzione. Perché, come dice Donata Francescato, “Ridere è una cosa seria” (questo il titolo dell’ultimo suo pregevole libro, edito da Mondadori nel Giugno 2002). Affermazione valida non soltanto “per-Donata” ma anche per me, che sento di non dover perdonare nulla a chi l’ha fatta ma piuttosto di condividere quanto ha detto.
Desidero chiudere questa introduzione consigliando (come in genere fanno gli autori di questo tipo di narrativa) anzi quasi raccomandando di leggere il libro con gradualità, perché solo così i lettori possono meglio “gustare” ogni singolo racconto.
Marcello Guccione