Il mediterraneo fucina di civiltà per una koiné culturale internazionale di Francesco Alberto Giunta – N. 18 Aprile 2003

Il mediterraneo fucina di civiltà per una koiné culturale internazionale di Francesco Alberto Giunta – N. 18 Aprile 2003

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Il Mediterraneo è stato una fucina di civiltà, infatti, sulle sponde di questo mare sono sbocciate, sono fiorite e si sono confrontate tutte le grandi civiltà dell’antichità classica; dalle più remote e misteriose all’intraprendenza navale dei Fenici, alla grandiosità degli Egizi, all’industriosità terrestre e marittima degli Etruschi e dei Cartaginesi, alla poliedricità del mondo ellenico che seppe raggiungere le più elevate espressioni del pensiero umano e produrre forme artistiche di insuperata bellezza. I Romani ebbero fin dai primi anni della Repubblica la necessità di avvalersi del commercio marittimo (‘Navigare necesse est’) per cui si trovarono a confrontarsi sul mare sia con le maggiori potenze navali del Mediterraneo, sia con i pirati. La guerra piratica condotta nel 67 a.C. da Pompeo Magno troncò questa minaccia e la sicurezza sul mare venne definitivamente assicurata dalle vittorie navali riportate da Marco Agrippa, ammiraglio di Ottaviano, contro le nuove flotte ‘piratiche’ di Sesto Pompeo e contro la flotta egizia di Antonio e Cleopatra con la vittoria navale di Anzio (2 sett. 31 a.C.) e il successivo sbarco in Egitto, Roma aveva completato la propria espansione su tutte le rive del Mediterraneo. Venne così instaurata la Pax Augusta (poi detta Pax Romana) che di fatto fece cessare il Mediterraneo di essere ‘Mare Nostrum’ favorendo l’apertura alle vie al mondo allora conosciuto. Oggi con l’espandersi di nuovi e più larghi orizzonti il Mediterraneo riassume in sé le originali civiltà dei popoli dell’area per rilanciarle oltre gli ‘stretti’ che determinavano gli antichi confini.
In fondo questo ampliarsi del mondo si ispira al pensiero di Jacques Maritain e concretizza il suo progetto ideale di dialogo con le grandi culture non-cristiane. Di fatto, il Mediterraneo è (e dovrà sempre più) diventare luogo d’incontro, di studio, di ricerca delle componenti spirituali, culturali e politiche della regione mediterranea. Le civiltà del mondo mediterraneo sono collegate tra loro non solo da una storia, ma anche da un destino comune; il loro futuro è forzatamente condizionato dalla realtà quotidiana che ha come progettualità, sia l’analisi delle identità culturali e del processo di modernizzazione dell’area del mediterraneo, sia il pluralismo della cultura e alla loro convergenza nel mondo mediterraneo. Proprio nell’ambito di quell’umanesimo integrale di Jacques Maritain, è stato ripetutamente scritto, che “dobbiamo essere in grado di rileggere in comune i documenti della nostra storia per ripensarla insieme e superare così le divergenze ad opposizioni politiche attuali in un dialogo interculturale fondato sulla stima e sul senso della persona”.
Tra le grandi civiltà che distinguono il percorso millenario dell’uomo, quella della letteratura come veicolo mediato di ‘conoscenza’, non è certo seconda ad alcuna. Poiché ci occupiamo del Mediterraneo come area di civiltà dell’uomo, credo opportuno parlare, anche se in modo succinto, dello sviluppo della letteratura nei territori dell’Africa del Nord, non trascurando di citare qualche autore di grande valenza con radici differenti, ma pur sempre africane.
Restringendo il campo all’assunto propostomi penso che gli scrittori d’Africa, che fino a qualche tempo fa guardavano ai modelli europei per imbastire le loro opere letterarie, oggi hanno trovato la chiave giusta per proporre schemi e storie socio-culturali propri, anche se in qualcuno, in verità, persiste ancora il richiamo a scrittori di stile e struttura europea o di quelli così vari e originali del continente americano o comunque estranei all’antica tradizione europea. Non dimentichiamo che celebri ‘africani’ hanno lasciato un’impronta indelebile nella letteratura latina; Apuleio Terenzio, Tertulliano. Imperatori di Roma sono stati Settimio Severo e Gordiano. E ancora: Sant’Agostino, Santa Perpetua e Santa Felicità, martirizzate a Cartagine, fulgide testimonianze della civiltà latino-cristiana conclusasi nel settimo secolo con l’avvento dell’Islam nell’Africa del Nord e con l’inserimento della Tunisia nel mondo arabo-mussulmano.
“Non mi sembra che sia ora il caso di citare tali letterature che spesso si sono imposte per il tramite di scrittori e di poeti dalla voce originale e penetrante sovrapponendosi ad altre voci, pure importanti, di scrittori e poeti dell’area europea. Non penso dunque a Elias Canetti, premio Nobel 1981 per la letteratura, nato in Bulgaria da una famiglia ebraica di origine spagnola, il quale ha soggiornato a lungo a Marrakech e ha scritto Le voci di Marrakech dopo aver creato altri libri, allorché ‘sente il bisogno di confrontarsi con un universo d’idee e di uomini altro e diverso: l’universo permeato dalla religione di Allàh, popolato di cammelli, di mendicanti e cantastorie’, e neppure mi riferisco allo scrittore egiziano Naghib Mahfuz, anch’egli premio Nobel per la letteratura, autore di Vicolo del mortaio, Il nostro quartiere, Il ladro e i cani, Miramar e altri tra cui Il caffè degli intrighi e recentemente La via dello zucchero; non certamente a questi penso bensì al marocchino Mohamed Choukri, autore di Pane nudo, all’egiziano Yasup Idriz, autore di The cheapest nights, una raccolta di racconti scritti in prosa ritmica dove la musicalità della lingua diventa significato, oppure mi riferisco al marocchino Driss Chraibi, autore di Le passé simple, Les Boucs e di Nascita all’alba, la cui narrazione scorre dall’elegiaco all’ironico, all’epico in un intarsio linguistico che unisce al francese elementi berberi e arabi; penso alla maggiore scrittrice del Senegal Aminata Sow Fall che ha pubblicato Le revenement, La grève du Battu, opera questa che ha ottenuto il Grand Prix Littéraire de l’Afrique Noire, nonché L’appel des arènes, Prix International Alionne Diop e L’ex Père de la Nation”.
“Penso a ‘Chinua Achebe e quindi agli Igbo o Ibo, un gruppo etnico del sud del Niger, l’odierno Biafra. In Italia si conosce di lui il libro Dove batte la pioggia, che comprende i romanzi Il crollo, Ormai a disagio e La Freccia di Dio, nonché Un uomo del popolo, Viandanti della storia (Anthillis of the Savannah) che tratta il tema della dittatura militare. Già nel 1972 aveva pubbicato una raccolta di racconti dal titolo Girls at war and other stories. Ma vi è un altro senegalese morto precocemente, appartenente alla seconda generazione dei poeti di Négritude, emuli del grande Léopold Sédar Senghor, intendo parlare di David Diop, nipote del più noto Alionne Diop, il fondatore di Présence Africaine, che ha lasciato una sola raccolta di poesie Coup de pilons nei cui versi non manca la protesta. Vorrei qui ricordare l’intellettuale marocchino Tahar Ben Jelloun che ha scritto Moha il folle Moha il saggio, dove ‘Moha parla della follia secondo le tradizioni dei cantori popolari del Maghreb, dove moha è la voce degli esclusi, è il folle che strappa la maschera a tutta la società’, ma Jelloun è stato riconosciuto importante con Le pareti della solitudine, vincitore del premio Goncourt 1987, ma è autore di Notte fatale e di altri libri quali Creature di sabbia, Giorno di silenzio a Tangeri, La preghiera dell’assente. Ma la schiera degli scrittori di terra africana è lunga e piena di fascino. V’è, per esempio ancora uno scrittore del Senegal, Pap Khouna col suo Io, venditore di elefanti, il tunisino Salah Methnani, autore di Immigrato, giunto in Italia proprio attraverso la porta mediterranea di Mazara del Vallo. E ancora posso ricordare l’algerino Rachid Boudjedra, uno tra i più accaniti sostenitori del recupero della complessa identità maghrebina, con le sue contraddizioni e con la sua volontà di riscatto – come è stato già tante volte scritto e detto – dal pedaggio storico del colonialismo, autore di Il ripudio e La pioggia dove, nell’arco di sei notti insonni, in piena stagione delle piogge, una giovane donna fa i conti col proprio passato. Citerò anche Assia Djebar per il suo Donne d’Algeria nei loro appartamenti, uno spaccato di vita insolito!: ‘un affresco prezioso e intenso dedicato alle donne algerine sullo sfondo di un secolo di storia..’ lei, l’Assia Djebar, di La soif, che fece scalpore nel 1957 descrivendo la vita e le aspirazioni delle giovani figlie della borghesia alberina d’ambiente urbano; di Les enfants du nouveau monde e nel 1967 di Les alouettes naives, dove l’autrice, prima scrittrice algerina a tematizzare i problemi sociali ed esistenziali delle donne in un paese islamico, ha affrontato l’argomento relativo alla relazione di coppia. La Djebar ha in corso di stesura un’opera storico-autobiografica in quattro sezioni intitolata, appunto, Quartetto arabo di cui ha già scritto le prime due parti: l’amore, il gioco della guerra (1985) e Ombre sultane (1987)”.
In diversi paesi dell’Africa, in quelli più prossimi al bacino del Mediterraneo e quindi più allertati della cultura europea a seguito dei più facili e agevoli scambi di persone e di opere, si attuò quel particolare fenomeno che aveva determinato nei singoli paesi quella sorta di rivoluzione culturale. Scontata la storia passata che si compendiava, almeno per la faccia africana del mediterraneo e per il vicino oriente, nella presenza delle potenze occidentali in quei territori che, pur appartenendo all’area dell’impero Ottomano, si sottrassero a quel potere, come avvenne per l’Egitto e l’Algeria. “E da quel contatto scaturì la nuova svolta letteraria; cioè il contatto con gli europei che determinò il nuovo interesse verso le forme letterarie occidentali, quali il romanzo, la novella e il teatro, generi sconosciuti in generale al mondo arabo, forte, invece, di una letteratura classica ricca di opere in versi e in prosa”.
La vera esplosione del romanzo e della novella all’occidentale, che prendeva in esame la realtà della società, con carattere di genuinità e autonomia, poté realizzarsi concretamente solo negli anni susseguenti alla seconda guerra mondiale allorché i contatti tra i popoli da e per l’Europa furono più liberi e frequenti.
Potrei ricordare l’egiziana Nawal al Sa’dawi che con Firdaus, storia di una donna egiziana, ha conosciuto presto un gran successo e significativi divieti di molti paesi arabi. La scrittrice è nota per aver pubblicato, oltre a numerosi racconti, La donna e il sesso, L’uomo e la sensualità, La femminilità e l’origine e non ultimo Il volto nudo della donna araba mentre il poeta dell’immaginario tropicale alla ricerca dell’uomo, Sony Labou Tansi, del Congo, nella sua La vita è mezza parla di ‘una nuova coscienza collettiva’, intesa in chiave spirituale, egli che è anche l’autore de Le sette solitudini di Lorsa Lopez; poeta e soprattutto uomo di teatro, con i drammi Antoine mi ha venduto il suo destino e Io, vedova dell’impero, ha ricevuto il premio Enrico Mattei. Questo uomo, parlando della cultura, ha detto: “Il concetto di letteratura com’è vissuto in Europa è ignoto in Africa: la maggior parte della gente vive l’arte e la letteratura come un tutto che raccoglie insieme la musica, la scultura, la danza, la pittura. La cultura africana ha resistito così agli influssi esterni, ai tentativi di cancellarla o denigrarla per affermare una superiorità culturale occidentale”.
Questo pensiero non è soltanto suo; esso è condiviso, con sfumature sottilissime, da moltissimi scrittori e uomini di cultura dell’Africa. Seguiranno il tunisino Abdelwahab Meddeb di Phantasia e lo storico della Guinea Djibril Tamsir Niane con Sundiata, Epopea mandinga, uno dei principali esponenti di quella letteratura che tende al recupero della grande tradizione orale africana: cioè Sundiata, il fondatore dell’impero Mali che tra l’XI e il XVII secolo fu una delle grandi civiltà dell’Africa islamizzata: i griots – questi consiglieri di re e precettori dei loro figli – sono gli incaricati alla conservazione della storia e delle tradizioni considerato che le tradizioni sono affidate all’insegnamento dei maestri del villaggio, dove ‘ogni vecchio che muore è una biblioteca che brucia’; i griots chiamano Sundiata ‘il settimo conquistatore del mondo’. “Se vogliamo ancora allargare il discorso su questo importante filone della letteratura di terra d’Africa, bisogna parlare con più respiro portando alla ribalda altre voci come la nigeriana Buchi Emecheta con la Cittadina di seconda classe e Miriam Makeba che ha scritto La mia storia e tanti altri come il Nobel nigeriano Wole Soyinka, di cui ricordo La foresta dei mille demoni; Mia Couto del Mozambico con Voci all’imbrunire o Pepatela con Mayombe, dove la guerra di liberazione angolana è raccontata da uno dei protagonisti, Arthur Carlos Mauricio Pestana dos Santos (Pepatela è il suo pseudonimo) che, assieme a José Luandino Vieira (pseudomino José Vieira Mateus Da Graca), portoghese di nascita ma africano per cultura ed elezione, è oggi ritenuto lo scrittore più noto e ammirato della letteratura angolana. Di lui ricordiamo i racconti Luuanda. E ancora due altri importanti nomi: Sembène Ousmane, senegalese, sostiene che bisogna diffidare della Négritudine senghoriana la quale, tuttavia, conserva oggi solo il ‘suo carattere storico’, mentre quella di cui egli è portatore è la conoscenza di una triste realtà che per secoli ha dominato i neri. Tra i suoi romanzi: Lo scaricatore nero (Le cocker noir), in cui raccoglie l’amara testimonianza di un emigrato; Le mandat dove racconta di un disoccupato di Dakar che riceve un inatteso vaglia postale da Parigi che non incasserà mai perché gli sarà impossibile produrre i documenti necessari ad attestare la sua esistenza e poi Il fumo della savana che ci racconta le varie tappe della costruzione della ferrovia che collegava Dakar-Thies-Bamako dove i lavoratori scioperano per ottenere un salario pari a quello percepito dai ‘bianchi’ e che riporta anche al riscatto della donna africana. Il titolo originale del libro Les Bouts de bois de Dieu è la traduzione in francese dell’espressione ‘wolof’ Banty mam yall (pezzi di legno di Dio) con la quale si indicano gli esseri viventi. Il titolo italiano Il fumo della savana indica invece il nome che i senegalesi avevano dato al treno che univa la città del Senegal a quella del Mali (allora chiamato ancora Sudan) e i popoli tra loro diversi: Wolof, Bambara Fulbe e altri. Sembène fa anche del cinema ma non abbandona definitivamente il romanzo e pubblica Xala ove stigmatizza la borghesia africana e con Le dernier de l’empire del 1981 realtà e fantasia si mescolano per narrare ancora una volta veri episodi di storia africana. Poi c’è Tahar Djaout, scrittore e giornalista algerino, morto a 39 anni con tre pallottole in testa nel maggio del 1993 per mano di gente che certamente non amava né la letteratura né la stampa specialmente quando denuncia l’oscurantismo e il fatalismo. Tahar Djaout ha pubblicato in Francia tre romanzi. Il primo Les Chercheurs d’os in cui racconta la storia degli abitanti di un piccolo villaggio cabilo; in L’invention du désert narra la storia di un uomo che vuole scrivere il racconto di una dinastia medievale venuta dal Sahara, il nulla vasto e giallo come dicono gli arabi, per sottomettere tutto il Maghreb. Si tratta di una riflessione sulla nascita del deserto come mito o come realtà. Col terzo libro Tahar Djaout s’imporrà come romanziere importante proprio con Les Vigiles, storia kafkiana di un giovane professore che inventa una macchina e cerca di farla brevettare. Un romanzo severo sulla società algerina d’oggi, con tutti i suoi conflitti, i suoi mali e la sua disperazione.
Ci sono poi quelli sconosciuti e poco noti al grande pubblico che s’interessa di letteratura quali John Munonye, Mje Mangi, Marianna Ba, Camara Layen, Antonio Jacinto, senza voler dimenticare altri scrittori maghrebini oltre a quelli citati. Penso a Kateb Macine, Habib Tengour, Edmond Amran e Maleh, Mahammed Dib, Rachid Mimouni, algerino come lo è Mouloud Mammari, che è ritenuto il più famoso scrittore algerino, morto tragicamente qualche anno fa. E ancora: Nobile Farès. Costoro hanno portato una vera e propria ristrutturazione all’interno della lingua di Racine, Flaubert e Camus. Scrittori, poeti, novellieri e drammaturghi, che hanno fatto esclamare a qualcuno: ‘Africa hic sunt scriptores’, tanto è ricco di messi letterarie quel continente. Non posso non accennare a qualche scrittore del Sudafrica come Wilbur Smith con Il Dio del fiume; Lewis Nkosi di Sabbie nere; Olive Schreiner di Storia di una fattoria africana e di Milleottocentonavantanove, Thomas Mofolo con Chaka scritto nel 1948. Egli è per molti da ritenere il padre della narrativa africana moderna; Sipho Sepamla, soprattutto poeta, con Soweto; Bestie Head con La donna dei tesori; Peter Abrahams con Dire libertà. Memorie del Sudafrica; Arthur Maimane con Vittime e Hamadu Hampaté Ba del Mali con L’interprete briccone e poi Morgane Wally Serate, Athol Fugare. E che dire del nigeriano Ben Okri che con The Famished Road, magico intreccio di realtà e misticismo, (come è stato definito da Tristan Ashman) vince il prestigioso ‘Booker Prize’, di Gabriel Okara con La voce e infine il dimenticato Amos Totuola con l’affascinante Bevitore di vino di palma. E altri ancora. Comunque posso concludere che, Algeria, Egitto, Marocco e Sudafrica sono gli stati che hanno offerto, per mezzo dei loro scrittori e poeti, maggiori contributi alla conoscenza delle aspirazioni sociali parlandoci schiettamente della vita profonda e propria del continente africano.
V’è da aggiungere ancora il Nobel per la letteratura Nadine Gordimer, una scrittrice di razza nata a Johannesburg, con al suo attivo una ventina di opere, che ha parlato precipuamente delle ‘differenze razziali’ in Sud Africa e che il grande pubblico europeo ha conosciuto nel 1989 con la pubblicazione di una raccolta di saggi dal titolo “The essential gesture”; opera che ebbe tanto successo di pubblico e di critica.
Ho parlato degli autori che più mi hanno impressionato e senza ritenermi uno specialista ho esibito i nomi come bandiere di una libera alleanza tra quanti combattono una battaglia civile per l’egemonia della cultura, sia come fatto di conoscenza sia come portatrice di nuove linfe e di nuovi interessi di approfondimento della civiltà dei popoli.
Come appare vi sono presupposti seri per parlare di una letteratura di temi e contenuti propri alla gente d’Africa, anche se non mancano in alcuni autori, come spesso anche accade, riferimenti biografici in situazioni velatamente o largamente protestatarie.
Per quanto ci riguarda possiamo affermare che c’è un consistente flusso di letterature di origine africana, come già prima vi era stato un passaggio rapido tra la loro cultura di tradizione, mantenuta dal racconto orale, e una cultura scritta, via via formatasi per una più radicale presa di coscienza di quei popoli e divulgata mediante la pubblicazione di libri sia di poesia sia di narrativa.