VOCE NOSTRA UN SETTIMANALE DI PALERMO NATO NEGLI ANNI DELLA CONTESTAZIONE STUDENTESCA E DEL DISSENSO CATTOLICO di Giuseppe Palmeri – N. 16 Agosto 2002

VOCE NOSTRA UN SETTIMANALE DI PALERMO NATO NEGLI ANNI DELLA CONTESTAZIONE STUDENTESCA E DEL DISSENSO CATTOLICO di Giuseppe Palmeri – N. 16 Agosto 2002

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Nel Novecento, la Chiesa e la comunità cattolica palermitane hanno espresso il proprio pensiero, per oltre un sessantennio, attraverso una serie di giornali, succedutisi con testate diverse ma facenti parte di un unico disegno informativo(1). Nel 1918 uscì infatti l’Eco giovanile che, nell’anno successivo, assunse il nome di Primavera siciliana e che fu pubblicato fino al 1939. Nel ‘39 il giornale ebbe come testata Voce Cattolica, settimanale che fu pubblicato fino al 1967 con qualche interruzione nel periodo bellico ed immediatamente postbellico (tra il 1942 ed il 1944 e poi tra il 1945 ed il 1946). Il giornale cattolico riapparve nelle edicole (e, la domenica, nei sagrati delle chiese) sotto la testata Voce Nostra, nel 1968.

Sebbene sussistesse il detto unico filo conduttore, ad ogni cambio di testata il settimanale cambiava volto sentendo di dover corrispondere al mutare delle fasi storiche della comunità cattolica cui si rivolgeva. La storia di Voce Nostra può perciò essere considerata distintamente da quelle delle testate precedenti.

Il 1968, oltre ad essere stato l’anno in cui esplose in Europa e si sviluppò in quasi tutto il territorio del nostro Paese la “contestazione studentesca”, fu anche l’anno di straordinari fermenti nella Chiesa cattolica e particolarmente in quella italiana, che portarono all’elaborazione di un vero e dichiarato “dissenso” da parte di movimenti interni alla stessa Chiesa nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche.

Il dissenso cattolico derivava probabilmente da una interpretazione estensiva, e fino alle estreme conseguenze, dei documenti del Concilio ecumenico Vaticano II, svoltosi tra il 1962 ed il 1965, ed era stato alimentato dal clima generale di ribellione sviluppatosi nelle sedi della contestazione studentesca, tra le quali fu la stessa Università cattolica di Milano, ove, nel corso delle occupazioni studentesche, erano stati posti non solo problemi riguardanti la condizione degli studenti, ma anche quelli di una revisione critica della stessa posizione dei credenti all’interno della Chiesa.

Il 14 settembre 1968 un gruppo di cattolici del dissenso che avrebbe voluto vedere la Chiesa apertamente schierata dalla parte dei più deboli, anche sul piano dei rapporti con la classe politica italiana, occupò il Duomo di Parma ed il 31 ottobre un’assemblea all’Isolotto di Firenze, alla quale parteciparono migliaia di persone, espresse solidarietà al parroco Don Mazzi che, nei giorni precedenti, era stato duramente criticato dall’arcivescovo di Firenze, Cardinale Florit, per la sua posizione, assunta in maniera polemica, nei predetti termini. Migliaia di persone avrebbero partecipato, il 4 dicembre, davanti alla curia di Firenze ad una manifestazione di solidarietà con lo stesso Don Mazzi, ormai destituito da parroco. Altri due parroci abbandonarono per lo stesso motivo le loro parrocchie.

Ciò che si contestava era che la Chiesa, nei suoi impegni temporali (e particolarmente in Italia, ove l’appoggio al partito della Democrazia cristiana, da due decenni ormai al governo del Paese, era evidente), chiedeva al clero sostanzialmente un’obbedienza che lo portava spesso a dover trascurare proprio le esigenze più profonde dell’evangelizzazione del prossimo; esigenze che avrebbero comportato anche la comprensione e la cura dei problemi dei più deboli fin dalle radici delle scelte politiche che avrebbero potuto favorire l’esercizio della carità. Il dissenso da una Chiesa ritenuta alleata del capitalismo porterà, nel marzo dell’anno seguente, gruppi di cattolici a tentare di contestare in piazza S. Pietro l’incontro del Papa Paolo VI con il presidente degli U.S.A., Nixon.

Ma lo spirito di riconsiderazione della propria posizione “politica” pervadeva la stessa Chiesa postconciliare e il 22 agosto del 1968, appunto, Paolo VI, aprendo i lavori del congresso eucaristico mondiale in Bolivia, aveva manifestato la preoccupazione della Chiesa per le ingiustizie sociali dei paesi dell’America latina, sebbene abbia poi denunciato come una corruzione del pensiero cattolico le tesi della c.d. “teologia della liberazione”.

Tra i cattolici impegnati nella politica, ed in particolare dalla parte della Democrazia cristiana, sembrò addirittura divenire realistico quello che sarebbe successo circa un decennio più tardi, ossia la revisione del ruolo dei credenti nella vita sociale e quindi, dopo un altro decennio, la fine dell’unità politica dei cattolici. Livio Labor, presidente nazionale delle ACLI, proclamò ufficialmente, nel 1969, la fine del “collateralismo” con il partito dei cattolici e Carlo Donat Cattin, rappresentante della sinistra democristiana, si dichiarò disponibile per una ipotesi di fondazione di un secondo partito cattolico, che avrebbe avuto i caratteri di partito dei lavoratori e sarebbe stato quindi schierato a sinistra.

In Sicilia, comunque, la Chiesa non aveva assunto ancora una posizione ferma e visibile sul problema dei rapporti tra l’effettiva azione politica ed amministrativa espressa ed il dovuto impegno dei cristiani investiti di cariche pubbliche né tanto meno sulle permeazioni in tali azioni di interessi illegali e specialmente di quelli che si sospettava provenienti addirittura da ambienti della mafia. In quegli anni, come nota Alongi, storico della presenza dei cattolici nelle vicende politiche di Palermo(2), “la Chiesa siciliana si era lasciata sopravanzare su questo tema dal mondo laico, restando scandalosamente assente dal dibattito, dalla lotta e indenne pertanto dalle ritorsioni, anche cruente, della mafia”. Ma presto (fine degli anni Settanta) che ciò sia potuto accadere “sarà per la coscienza dei credenti motivo di grande turbamento”. E ciò sebbene una tale situazione fosse spiegabile storicamente sulla base di vari presupposti e condizionamenti d’ordine anche internazionale ritenuti di primaria importanza, quali erano la presenza minacciosa dell’Unione sovietica e le garanzie di libertà offerte viceversa dagli USA.

Richiamando comunque, in una visione più generale, il momento storico in cui il settimanale Voce Nostra vide la luce, va detto che in Sicilia il 1968 si aprì con il terremoto della Valle del Belice che provocò tra Gibellina, Montevago e Poggioreale oltre trecento morti, migliaia di feriti e la distruzione di interi paesi. La Regione era governata da Vincenzo Carollo, democratico cristiano, saggio moderatore degli equilibri tra i partiti della coalizione di centrosinistra e di quelli interni al suo partito, guidato, a sua volta, in una sapiente spartizione dei relativi poteri, dai deputati Gullotti, Gioia, Lima e Drago; mentre l’ascesa folgorante di Salvo Lima, che era già stato sindaco di Palermo dal 1958 al 1963 e dal ’65 al ’66, si avvertiva con il suo successo strepitoso, in numero di preferenze, alle elezioni per il Parlamento nazionale svoltesi il 19 maggio del 1968(3). Ad Avola, durante lo sciopero dei braccianti agricoli in lotta per ottenere parità retributiva in tutta la provincia di Siracusa, la polizia sparò uccidendo due braccianti e ferendone una cinquantina. In Sicilia fu proclamato lo sciopero generale, cui seguirono manifestazioni in tutta Italia. Nel mondo, l’opinione pubblica era profondamente divisa circa la giustezza della guerra combattuta dagli USA nel Viet-Nam.

Nel momento storico di cui abbiamo dato alcuni tratti evocativi, Voce Nostra usciva col n. 1 la domenica 7 gennaio del 1968, con l’indicazione implicita di appartenere continuativamente all’unico processo pubblicistico iniziato, come si è visto, con l’Eco Giovanile nel 1918. Recava infatti come serie di anno di pubblicazione il cinquantunesimo(4).

L’editoriale di presentazione, dopo aver spiegato le ragioni della rinnovata veste editoriale e della mutata testata, enunciava che il giornale “secondo le linee pastorali di rinnovamento (…) vuole essere voce della Chiesa con tutti i suoi grandi problemi ed avvenimenti nel mondo cattolico; voce della comunità diocesana e parrocchiale con i problemi religiosi, morali e sociali delle varie organizzazioni operanti; voce del Pastore con le sue direttive per una pastorale moderna e dinamica”. Quindi recava l’augurio del Cardinale arcivescovo di Palermo, Francesco Carpino, nonché quello di Bernardo Mattarella, esponente di spicco della Democrazia cristiana che per qualche tempo era stato direttore di Voce Cattolica.

Il dibattito su questi temi fu affrontato da una serie di firme che rappresentavano ampiamente la cultura cattolica di Palermo e, soprattutto, quella che in quel periodo era impegnata esplicitamente a fianco del Vescovo ovvero in opere di volontariato nelle parrocchie ed in associazioni(5). Si trattava della rivalutazione del ruolo dei laici nella Chiesa e nella società, intendendo per laici non più soltanto quelli ufficialmente inquadrati nelle organizzazioni diocesane o parrocchiali, ma tutti i fedeli, resi partecipi, proprio nel loro stato, dell’ufficio sacerdotale e profetico di Cristo e della rivalutazione della dignità di ogni uomo. E ciò nel confronto quotidiano con la realtà in divenire dei quartieri, della città e dell’intera collettività nazionale.

Interessante è, già nel primo numero, il rapporto con i fatti del segmento di storia in cui il giornale andava ad inserirsi e, nello stesso tempo, con la meno recente storia dei poteri temporali della Chiesa. Il titolo centrale, a grandi caratteri, diceva: “Alt alla strage nel Viet-Nam” ed il sottostante articolo(6) si soffermava a spiegare la profondità della visione religiosa e cristiana dei fatti del mondo, visione certamente non valutabile alla stregua degli interessi comuni, per cui occorreva chiarire che cosa significasse per i cristiani “la conquista della pace, che non vuol dire rinuncia, smobilitazione, cedimento, ma conquista. E conquista dello spirito, anche se non tutti vogliono rendersi conto di questa semplice verità, qui da noi, in Italia ove nell’anno 1968 l’unica pattuglia laicistica rimasta a presidiare la benedetta breccia di Porta Pia si attarda ad insinuare che il pacifismo dei cattolici impegnati nel mondo nient’altro sarebbe che un servizio reso ad una pretesa politica internazionale vaticana, come se l’ecumenismo possa mai rivestirsi di un significato temporale! Come se niente abbiano significato le visite dei romani pontefici in Quirinale, come se Giovanni XXIII non abbia reso grazie alla Provvidenza per avere eliminato il regno temporale del papato”.

Ma l’occhio del giornale fu subito rivolto soprattutto alla comunità civile palermitana e quindi all’istituzione che prima di tutte la rappresentava: il Comune.

La cronaca riferiva di continui scioperi degli autisti degli autobus, dei dipendenti dei servizi di nettezza urbana, dei vigili urbani, degli addetti agli sportelli comunali ecc., fatti tutti che indignavano la generalità dei cittadini costretti a vivere in una città caotica, lenta nella produttività ed igienicamente inadeguata. Occorreva però che l’indignazione e le proteste dei cittadini contro i lavoratori comunali eternamente in agitazione si aprissero ad una riflessione responsabile sui veri motivi di una tale intollerabile situazione, domandandosi i palermitani, prima d’ogni reazione emotiva, che cosa sapessero veramente del Comune: “Sì e no che è pieno di debiti, che ogni tanto un ufficiale giudiziario sequestra una bottega di proprietà del Municipio, una di quelle non ancora vendute all’asta”.

Occorreva che si sapesse che i 3493 dipendenti del Comune (meno dei 4188, previsti dalla pianta organica) restavano spesso per diversi mesi senza stipendio. E non tutti erano assunti per favoritismo o clientelismo: ce n’erano certo d’imboscati nelle segreterie politiche o a fare i galoppini ad uomini politici ed era uno scandalo. Ciò malgrado però i conti del Comune era facile farli: 14 miliardi di entrate, 56 miliardi di uscite, con un disavanzo effettivo nel bilancio di 41 miliardi ed un complesso di passività onerose di molte centinaia di miliardi.

Il settimanale, dunque, avrebbe continuato nei numeri successivi con una approfondita inchiesta sul Comune, così come avrebbe martellato incessantemente sulla piaga del mancato avvio, dopo oltre vent’anni dalla fine della guerra, del risanamento del centro storico della città, ancora pieno di macerie della guerra, evidenziando soprattutto i problemi umani e sociali d’una comunità che dai vecchi mandamenti andava disperdendosi e che andava perdendo la propria individualità e i suoi tradizionali valori culturali, professionali e morali. E avrebbe parlato spesso ed in maniera martellante della disoccupazione e degli scioperi di dipendenti di imprese e pubbliche amministrazioni, spesso originati dal mancato regolare pagamento degli stipendi: “Quanti sono i palermitani che ricevono ancora regolarmente lo stipendio o il salario a fine mese? Mai la situazione dell’economia della maggiore città dell’Isola aveva vissuto momenti tanto tristi”.

Il 21 marzo del 1971, per la firma di Enzo Sigillò, si informava che L’AMAT muore: il deficit dell’azienda municipale dei trasporti di Palermo era, infatti, quell’anno di ben 9 miliardi di lire.

Ma Palermo, ove si assisteva a ciniche contese spartitorie di lembi di potere tra partiti, correnti e sottocorrenti, aveva bisogno, oltre che di risorse finanziarie, anche di progetti e di piani di sviluppo; per cui, considerandosi il forte incremento della popolazione nel dopoguerra (e senza fare i conti con la incombente diffusione delle pratiche di controllo delle nascite!), si prevedeva che nel 1980 i palermitani sarebbero stati 900.000 (oggi nel 2002, non arrivano a 700.000) e, conseguentemente, che Palermo avrebbe avuto bisogno di un governo unitario dell’ampio territorio dell’area metropolitana che da Bagheria va fino a Monreale e a Carini. Contemporaneamente si seguiva, con il senso di frustrazione che ha sempre accompagnato i palermitani di fronte a questo argomento, ogni dato amministrativo che avrebbe potuto aprire finalmente la stagione del risanamento del centro storico in cui, in un decennio, l’abbandono da parte del tradizionale tessuto umano aveva determinato queste cifre: 128.574 abitanti nel 1960; 78.229 abitanti del 1969(7).

La preoccupazione rivendicatoria per i diritti dei più deboli si mostrò presto anche in occasione del drammatico terremoto della Valle del Belice. Il n. 3 (21 gennaio 1968) fu dedicato interamente alla cronaca ed ai messaggi di solidarietà per quelle popolazioni. In quell’occasione il giornale uscì in formato ridotto e ad un solo colore a causa delle condizioni dei tipografi, stremati da continue veglie notturne. Ma già nel numero successivo si denunziava come l’organizzazione della difesa civile nel nostro Paese registrasse un pauroso sbandamento: crisi di direzione dei soccorsi, improvvidenza di scorte, intempestività degli interventi: “Va detto che il colpo del destino è caduto in una delle zone più depresse economicamente, debole di capacità reattive (…). La macchina burocratica dello Stato ha girato a lungo a vuoto. I primi soccorsi si sono presentati sui luoghi del disastro con ritardi inconcepibili; l’organizzazione sanitaria ha dimostrato d’essere ferma al secolo scorso”(8). Dopo due anni dal terremoto si sarebbe notato: “Terremoto anno secondo: più forte del sisma, la burocrazia” ed ancora “Basta con gli inverni sotto le baracche!”. E, nel n. 3 del 1971, si ripeteva “Terremoto anno terzo: è mancata la volontà politica e la capacità pratica di intervenire”.

Questa attenzione, da parte del giornale, all’amministrazione pubblica della città e della Sicilia, come anche alla vita ed ai problemi delle comunità parrocchiali, che si sarebbe poi sviluppata con indicazioni sempre più tecnicamente approfondite nei numeri successivi, oltre ad essere la testimonianza dell’inizio di un atteggiamento nuovo dei laici cattolici palermitani nel controllo dell’effettiva azione politica dei loro eletti, è anche il sintomo del nascere di una volontà più decisa da parte del mondo cattolico palermitano di conoscere a fondo, ed anche tecnicamente, i problemi amministrativi della propria città e di partecipare responsabilmente alla vita delle sue istituzioni pubbliche. Nasceva forse, proprio intorno a Voce Nostra, il desiderio di una maggiore comunanza cittadina che porterà, negli anni Ottanta, ad una vera aggregazione politica, quale è stato il movimento Una Città per l’uomo, onde tentare l’inserimento diretto dei problemi morali e sociali più emergenti tra i temi dell’amministrazione pubblica o comunque per provare a stimolare gli eletti perché, nelle sedi ove si assumono le decisioni per tutta la collettività, non si disperdessero i valori cristiani che avevano ispirato il conferimento del mandato all’atto del voto.

Certo, dal partito che formalmente li rappresentava, i cattolici di Voce Nostra si aspettavano non poco. Si attendevano, da un lato, la costruzione d’una società che, sebbene non confessionale, rendesse agevole lo svilupparsi dei valori comunitari della Chiesa e, dall’altro, che la Chiesa e l’elettorato cattolico potessero indirizzare il loro partito di riferimento verso scelte di fondo sicuramente non nichiliste o atee né, come si direbbe oggi, assolutamente laiche.

Il n. 7 del primo anno di vita del settimanale è particolarmente dedicato a temi del genere, con interventi di due importanti esponenti della cultura cattolica siciliana: Santino Caramella(9) e Pietro Mazzamuto(10).

Vi si affronta l’argomento dell’apertura sempre più probabile della D.C. alle forze maggiormente di sinistra, riaffermandosi quello che abbiamo detto circa le aspettative dei cattolici impegnati in politica: “o la D.C. è cosciente che il consenso che le perviene nasce e si sostanzia anche da una sua funzione anticomunista ed allora ogni manovra in senso contrario è controproducente; oppure intende seriamente instaurare un dialogo con il P.C.I. ma è discutibile che le convenga farlo proprio alla immediata vigilia delle elezioni”. Argomento che presupponeva certamente spiegazioni ideologiche di fondo quali quelle dei due autorevoli autori citati: Caramella spiegava allora la laicità dello Stato, in relazione però al senso che il termine “laico” significava allora effettivamente, prima che usurpasse il significato di agnostico o addirittura di ateo; riferendosi cioè, in opposizione al termine “chierico”, ai battezzati non ricoprenti una carica nella gerarchia ecclesiastica, ma pur sempre membri della Chiesa. Egli diceva dunque: “Allo Stato, prima di tutto, spetta di creare l’ambiente mondano in cui il laico, che vive in apostolato, possa celebrare la santità della vita matrimoniale e familiare e rendere la sua testimonianza della verità evangelica”.

E Mazzamuto, soffermandosi sui partiti di ispirazione cristiana e sul loro ruolo di mediatori e difensori dei valori religiosi nella società, scriveva: “Bene è la collaborazione della Chiesa a favore delle cosiddette società intermedie, di cui consta la società civile, quali sono, ad esempio, i partiti politici (…) ma la Chiesa, come ha il diritto di sconfessare e condannare lo Stato che comprometta o addirittura calpesti gli inalienabili diritti della persona alla libertà e alla giustizia, così ha pure il diritto di sconfessare e condannare coloro che sotto l’insegna della Croce pensano esclusivamente al loro profitto privato e fanno pubblica professione di cattolicesimo solo per soddisfare le loro ambizioni di potere politico e di prestigio sociale”.

L’avvertimento era esplicito e certamente si inseriva nel dubbio di cui abbiamo detto e che, via via ingigantendosi, porterà negli anni Ottanta a quel “pronunciamento da parte di un organismo ufficiale della Chiesa (quale è la Commissione socio-politica della Consulta diocesana per l’apostolato dei laici, N.d.A.) così chiaro e così distaccato dal tradizionale comportamento della gerarchia nei confronti della D.C.”(11), con il consenso al formarsi del movimento Una città per l’uomo.

Eugenio Guccione, lo studioso del pensiero di Don Sturzo, avrebbe continuato ad impostare storicamente il problema della presenza dei cattolici nella società in una serie di articoli degli anni 1973-1975 in cui emergono i pericoli di investiture di potere in nome dei valori cristiani di persone intese poi ad agire in maniera del tutto opposta. Tali incertezze tuttavia non portarono mai il giornale a schierarsi dalla parte dei movimenti di dissenso nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche e, quando esplose l’episodio dell’occupazione della cattedrale di Parma, Voce Nostra respinse espressamente tali metodi e ai contestatori mandò a dire di rimeditare piuttosto sulla propria posizione personale nella Chiesa.

La propensione alla critica ed al cambiamento si fermava nell’ambito del processo riformatore interno alle strutture ufficiali della Chiesa; così mentre padre Paolo Collura(12), in una lettera aperta a don Mazzi(13), contestava che la Chiesa stesse effettivamente con i ricchi, si puntualizzava la posizione ecclesiale riproducendosi una relazione di Vittorio Bachelet, presidente generale dell’Azione cattolica, in cui, analizzandosi la crisi di sfiducia che in quel tempo pervadeva anche i cattolici (probabilmente permeati dal più generale clima contestatario), induceva a guardare con fiducia al rinnovamento pur senza rinnegare il passato(14).

Sotto altro punto di vista, va del resto detto che, specialmente nei primi anni di vita di Voce Nostra, incertezze e travagli rimanevano al livello culturale e delle coscienze ma non si risolvevano neanche in alcun distacco dal partito della D.c. Infatti, sebbene, il giornale mostrasse interesse ed attenzione (e non avversione) per il travaglio delle ACLI che, nel corso dell’undicesimo congresso nazionale svoltosi a Torino, avevano visto esplodere la contestazione dei lavoratori cristiani nei confronti delle strutture sociali e politiche del Paese nonché la condanna del neo-capitalismo e l’autonomia del movimento nel campo politico, ufficialmente non assumeva però alcuna forte iniziativa. Si domandava così a Nino Alongi, presidente delle ACLI siciliane, nonché collaboratore del giornale, se questa Associazione di lavoratori cristiani, con la dichiarazione di autonomia annunziata a Torino, avesse rotto l’unità politica dei cattolici italiani (il che era evidente); si offrivano ai lettori le risposte di Alongi e si riferiva un commento di solidarietà con le ACLI di monsignor Petralia, vescovo di Agrigento(15), riportandosi una sua breve analisi delle ingiustizie evidenti nel sistema sociale di allora. Ma, quando si avvicinarono le elezioni politiche del 19 maggio 1968, il giornale fu pieno di appelli all’unità dei cattolici.

Il 28 aprile titolava: “Votare tutti uniti”, riportando un messaggio dell’arcivescovo di Palermo, Cardinale Carpino, che così chiariva: “Riguardo al dovere di votare tutti uniti, i vescovi, attese le condizioni presenti della nostra società, richiamano tutti i cattolici a tale dovere, non solo in ordine ad un pericolo, non certo del tutto scomparso, per la libertà religiosa del nostro Paese, ma altresì per la tutela e la promozione dei valori umani e cristiani della famiglia, nel costume, nell’ordine sociale, nell’ordine internazionale, nella società civile in genere di fronte a diverse, ma spesso convergenti, impostazioni laiciste”(16).

Nel numero del 12 maggio, ad una settimana dal voto, si precisava ancora che era vero che “nel nostro paese si può cogliere un diffuso malcontento verso i partiti; che nei partiti è attuale il problema di una più viva partecipazione democratica e di una migliore selezione della classe dirigente; ed è anche vero che talvolta sono stati commessi degli errori”, ma si induceva anche a riflettere che “fino a quando nel nostro Paese permarrà una così forte presenza di estremisti di sinistra e di destra c’è un pericolo immanente per la libertà” e quindi la necessità dell’unità politica dei cattolici; espressione che significava, per tacita convenzione, voto alla D.c. E, ove il messaggio così tacitianamente espresso non fosse bastato, si aggiungeva che solo la D.c. aveva difeso le libertà civili fondamentali. Il giorno delle elezioni, poi, un articolo del gesuita e politologo Giuseppe De Rosa spiegava perché l’unità politica dei cattolici fosse ancora necessaria.

Più articolata e meno decisa è la posizione del giornale in occasione delle elezioni amministrative del 7 giugno 1970. Un mese prima(17) il direttore Orlando Scarlata non esitava a criticare la mancanza di previi dibattiti sui servizi e di credibili progetti da parte dei partiti in lizza, particolarmente della Democrazia cristiana. “Ci auguriamo di conoscere al più presto – diceva – un programma costruttivo e concreto con una sua credibilità”. Malgrado ciò, però, e malgrado si denunziasse che Comuni, Province, Regioni e Parlamento perdessero sempre più prestigio nell’animo di tutti, il discorso non era in realtà fatto “contro” ma “al” partito d’ispirazione cattolica, tanto che poi, quando le elezioni si avvicinavano, il dialogo tornava sempre chiaro: “Noi chiediamo alla D.C. di mostrare di essere il partito che può e deve rappresentare alla coscienza dei cattolici un punto di convergenza politica … puntiamo ancora di più sull’unità dei cattolici”(18).

Che il comunismo mostrasse ancora un volto illiberale e totalitario era stato dimostrato, del resto, appena il 21 agosto 1969 quando in Cecoslovacchia le truppe del Patto di Varsavia avevano posto fine con i carri armati all’esperimento innovativo del governo di Dubcek. Voce Nostra commentò a lungo il fatto, riproducendo le tristi immagini di carri armati, macerie, arresti, esecuzioni, ecc. e annotò: “è stato stupefacente che l’Unione sovietica abbia condotto la sua spedizione punitiva contro i riformatori ceki secondo la logica e con i sistemi zaristi, su un calcolo più strategico che strettamente politico (…) ma che dire del colpevole pigolìo con il quale gli USA hanno accompagnato quel misfatto?”. Era del resto emblematico quello che accadeva nel paese comunista a noi più vicino, l’Albania, dove si sviluppava una azione atea con questi dati: 2169 chiese, moschee e conventi trasformati in centri di cultura politica per i giovani. Il giornale annotava: “Il programma ateistico eversivo è stato puntualmente applicato. I dirigenti hanno usato schiere di giovanissimi, armati di mitra e di bombe a mano, per sradicare con spietata ferocia, nelle città e nei villaggi, ogni sentimento religioso. I sacerdoti cattolici sono stati torturati ed alcuni anche trucidati dinanzi alla popolazione, per essersi rifiutati di dichiarare che Dio è morto e che la religione è una menzogna”. E questo, il giornale lo diceva a commento della notizia che era stato fucilato, all’inizio del 1973, il sacerdote cattolico Stefano Kurti(19).

Ciò malgrado, che i cattolici palermitani e, comunque, i palermitani non schierati politicamente, ovvero non aventi familiarità con le segreterie e le sezioni politiche, cominciassero a rinnegare le c.d. deleghe in bianco fatte in favore del partito dei cattolici e sentissero il bisogno di esprimersi coordinatamente sui problemi che veramente e da vicino li interessavano (la scuola dei figli, i trasporti pubblici, l’estetica e l’igiene del proprio quartiere, i servizi a rete, ecc.), fu evidente in un episodio partecipativo veramente notevole, quale fu nel 1971 la nascita del Comitato di quartiere di Boccadifalco, avvenuta appunto dall’aggregazione spontanea degli abitanti di quel sobborgo della città per la soluzione del problema della riapertura della scuola elementare Mantegna, la cui chiusura a tempo indefinito per lavori di ristrutturazione costringeva i bambini ad un estenuante pendolarismo verso una scuola di altro quartiere.

Il giornale titolava: Nasce spontaneo il comitato di quartiere; e spiegava come cominciasse a piacere questa idea dei comitati di quartiere, dato che 150 persone, forse di più, si erano trovate unite ordinatamente per spingere e sollecitare il ripristino della scuola e per iniziare un dialogo permanente tra quella zona periferica della città e la pubblica amministrazione, fuori dalle solite mediazioni delle segreterie dei partiti ed anche lontano dalle proteste esagitate(20). Come si sa, i comitati di quartiere spontanei si diffusero poi in una buona parte della città, prima dell’istituzione per legge dei consigli di quartiere, avvenuta nel 1976 con la legge regionale n. 84.

Il giornale assecondava con interesse perché sembrava così che, civilmente e lontano da sterili contestazioni, si potesse aprire uno spiraglio nella barriera burocratico-politica che separava la base popolare dal vertice elettivo, chiuso nei vari palazzi del potere.

Nello spirito di rinnovata solidarietà, nel 1972 nasceva la Missione di Palermo, un’organizzazione di volontariato guidata dal padre gesuita Angelo La Rosa, operante nei quartieri più degradati e poveri della Città, nei quali si ritenne che il lavoro di evangelizzazione e di carità non potesse che avere le stesse caratteristiche che, storicamente, avevano avuto le missioni cristiane nelle più sperdute parti del mondo, ove prima di tutto si era cominciato col dare dignità all’essere umano. La Missione di Palermo, “pur mantenendo strettamente la vecchia impostazione assistenzialista costituirà una prima risposta alla richiesta di una chiesa più sensibile alle condizioni degli emarginati e dei poveri. Nel 1980 vi operavano a tempo pieno sei religiosi e 21 religiose, tra queste le suore di madre Teresa di Calcutta, e vi collaboravano moltissimi laici. Si avvaleva nei vari quartieri di centri pilota retti da assistenti sociali”(21). In Voce Nostra la Missione fu vista così. “Quanti pensano che la Missione di Palermo possa essere organizzazione, utopia, soluzione urbanistica, risanamento dei vecchi quartieri, si sbagliano. Non è questo la Missione. Non è affatto una mobilitazione straordinaria per l’acceleramento di alcune scadenze amministrative. è l’occasione sconvolgente per una verifica, personale ed ecclesiale, molto più attenta e profonda (…) della città povera dei mandamenti storici, dell’abbrutimento, della disoccupazione, dell’evasione scolastica (…), di via Lazio, la strada insanguinata dello sviluppo edilizio; della città dei cantieri navali allo sfascio; della città dei 115 morti all’aeroporto di Punta Raisi, della città-dormitorio del CEP, degli stupefacenti pesanti, del sottosviluppo culturale, della carenza di tensioni fondamentali …”(22).

Se tale era la posizione “politica” del giornale, specialmente nei primi anni, deve dirsi anche che esso si occupava dei problemi sociali fondandone direttamente la problematica sulle solide basi della morale cristiana, dell’apostolato, della carità, dell’ecumenicità della Chiesa e della tradizione.

Interessanti furono così i numeri(23) dedicati al Sinodo della chiesa greca, ospitato dalla Diocesi di Palermo nel 1973, in cui si approfondivano le ragioni della particolarità di quei cristiani mediante un interessante numero speciale tutto dedicato a quell’evento storico o gli articoli dedicati a riesaminare figure di religiosi che si erano impegnati utilmente nella Chiesa e nel lavoro di riscatto degli ultimi: Padre Messina, “il figlio della Kalsa che piacque a Dio”, Maria Polloni, fondatrice della Casa per madri nubili di Baida, Don Bosco e i suoi oratori, Giacomo Cusmano; ovvero di pensatori cristiani, come Michele Federico Sciacca o di politici dichiaratamente e fattivamente cristiani, come Giorgio La Pira(24).

Temi attuali che ancora di più interessavano i fondamenti della morale cattolica in quegli anni furono la legge sul divorzio, approvata nel dicembre del 1970; il relativo referendum abrogativo svoltosi nel maggio del 1974, come è noto senza fortuna per la posizione cattolica; l’apertura del discorso sulla depenalizzazione dell’aborto, iniziato nel 1975 e conclusosi il 29 maggio 1978 con l’approvazione della legge che ha reso legittimo l’aborto volontario. Gli articoli su questi argomenti, nonché sull’uso della pillola anticoncezionale furono ovviamente moltissimi e di alta levatura culturale e gli argomenti a difesa della morale della Chiesa martellanti(25). Interessanti, se non altro per misurare l’attenuazione della soglia del cosiddetto comune senso del pudore da quei tempi fino ad oggi, sono alcuni servizi sulla morale negli spettacoli e nei comportamenti privati. Molta allarmata attenzione fu dedicata, per esempio, al film di Bernardo Bertolucci “L’ultimo tango a Parigi”, prima sequestrato per oscenità, poi dissequestrato, infine premiato con il Nastro d’argento e si dedicarono perfino critiche all’uso della minigonna, divenuta di moda in quegli anni(26).

L’attenzione alla mafia, nella configurazione politica, sociologica e di impegno popolare, che si sarebbe prospettata più nettamente negli anni Ottanta e Novanta con dibattiti, libri, comitati ed anche con una certa strumentalizzazione di tipo elettoralistico, si cominciò ad intravedere in V.N. con l’assassinio del procuratore capo della Repubblica Pietro Scaglione, avvenuto il 5 maggio 1971: “Le cosche non si limitano a darsi battaglia tra loro per la spartizione delle aree di influenza … ora l’obiettivo è un altro: il potere ed il predominio su tutto e su tutti”(27).

Più attente e più appassionate sarebbero state le considerazioni sull’orribile presenza della mafia nel tessuto sociale siciliano dopo l’assassinio di Persanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio nel 1980. Nei numeri successivi a quella data, si evidenziava la debolezza di un uomo politico onesto, coraggioso, cristiano ed idealisticamente impegnato in un contesto sociale e politico governato da regole fondate sulla prevaricazione e la sopraffazione.

Dopo il 1974 il giornale sembrò perdere l’iniziale smalto che abbiamo descritto nelle pagine precedenti e si impoverì di pagine e di servizi. Dall’inizio del 1975 e fino al febbraio del 1977 (salvo l’uscita di due numeri zero), la pubblicazione del giornale fu sospesa, forse proprio per crisi di indirizzo. Quando riprese, il 19 febbraio del 1977 (per poi attuare una lunga vacanza, dal 16 luglio al 24 settembre), il nuovo direttore responsabile, Gianni Daniele, spiegò “quello che è, che sarà e che vuole essere Voce Nostra”: “Affronteremo i problemi che riguardano la nostra realtà diocesana e siciliana, urleremo il nostro no alla violenza da qualunque parte essa venga e comunque si manifesti, [esporremo] le nostre preoccupazioni per questo modello di società (…) che è profondamente e sostanzialmente ingiusta perché emargina e sfrutta coloro che hanno bisogno di essere difesi: i bambini, i vecchi, gli ammalati, i poveri”.

Sul finire del 1977, il giornale cominciò ad uscire quindicinalmente sebbene recando ancora l’indicazione “settimanale di cultura e attualità”, ma, nell’anno successivo, l’espressione “settimanale” muterà in quella di “periodico”.

In effetti il giornale, nell’ultimo corso, sembra andar mutando da voce della comunità dei laici cristiani di Palermo in organo della Diocesi. Si parla più di vocazioni, dei lavori della Conferenza episcopale italiana, della condizione dei religiosi, della vita in clausura, della Missione di Palermo(28), di pastorale della famiglia, della presenza a Palermo del Cardinale Ruffini, rievocato nel decennale dalla morte, della sacralità della vita e quindi della delittuosità dell’aborto…

Il direttore, del resto, chiarendo nel 1978(29) quale fosse il bilancio della presenza di V.N. in Sicilia, metteva in primo piano lo spazio dato agli avvenimenti ecclesiali della diocesi e alle manifestazioni di cui si era fatta promotrice la comunità cattolica e quindi il tentativo fatto dal giornale di seguire i grandi avvenimenti del Paese, leggendoli in chiave diocesana. Mancavano ormai le inchieste sul Comune, sulla Regione, gli enti regionali ed i servizi sociali; mancavano – o erano divenuti argomento secondario – le rivendicazioni della partecipazione al governo della città da parte della comunità dei cristiani.

Sul piano della politica, appunto, trattata ormai come informazione, sia pure con commenti ed indirizzi e non più come proposta di profonda evoluzione dei partiti e della società, si ribadisce l’inaccettabilità del marxismo per i cristiani, studiandosi le prospettive per i cattolici recate dal progetto, di quegli anni, d’un “compromesso storico”, ossia di un possibile e leale incontro per il governo dell’Italia tra la componente politica cattolica e quella comunista. Nella risposta di Enrico Berlinguer ad una lettera di monsignor Bettazzi, vescovo di Ivrea, che il giornale riproduceva(30), mentre si ammette il libero apporto alla società delle organizzazioni cristiane, si lamenta che nell’Occidente permanga ancora un sistema capitalistico e che in Italia non si riesca a rivedere il Concordato tra la Santa Sede e lo Stato italiano, che considera ancora la religione cattolica come religione di Stato.

Purtroppo, però, certo materialismo marxista e certo anticlericalismo erano ancora espressi in quel tempo in forma polemica. Il 13 gennaio il Giornale recava il titolo “Protesta contro un articolo infamante sul Papa (intitolato Woitila, Fanfani e Torquemada, N.d.A.) ed è subito licenziato”, riferendo il caso del direttore del quotidiano Diario di Palermo, uscito per un breve tempo in quegli anni, che aveva visto a sua insaputa sul suo giornale l’articolo contro il Papa.

Ma quegli anni inducevano forse realisticamente ad un compromesso tra i due più forti partiti italiani, esprimenti le allora più evidentemente diverse concezioni di società (quella marxista e quella occidentale) perché effettivamente la società di quei tempi era lacerata da odi poggianti sull’esasperazione delle due concezioni ed il “compromesso” forse avrebbe potuto avere il valore di una tregua.

Il 1977 ed il 1978 furono anni particolarmente segnati da scontri tra militanti di estrema destra ed estrema sinistra, da atti terroristici e, in genere, da violenza di piazza. A Roma, in piazza Indipendenza, il 2 febbraio del 1977 giovani del movimento di Autonomia (estrema sinistra) si scontrarono con la polizia ed assaltarono quindi una sede del Fronte della Gioventù (M.s.i.); scontri tra autonomi e polizia avvennero il 5 marzo per la condanna di Fabrizio Panzieri a nove anni di reclusione per l’uccisione dello studente di destra Mikis Mantakas; l’11 marzo muore colpito dalla polizia Pier Francesco Lo russo, militante di Lotta continua; un brigadiere della polizia è ucciso a Roma in un agguato terroristico ed un altro sottufficiale di venticinque anni è ucciso a Milano da un commando di Autonomia che ha appena effettuato una spesa proletaria in un supermercato; Vittorio Bruno, vice direttore del “Secolo XIX”, è ferito in un agguato delle Brigate rosse; lo studente Mauro Amati di 21 anni è ucciso da una banda delle Unità combattenti comuniste a Roma; Walter Rossi di Lotta continua è ucciso da un gruppo di neofascisti a Roma; negli scontri che ne seguirono, causati dai giovani comunisti, morirà un altro giovane di destra. Il 12 maggio nel corso di tafferugli per una manifestazione radicale sulla vittoria del fronte divorzista non autorizzata, muore Giorgiana Masi di 19 anni. Nel 1978 saranno uccisi dalle Brigate rosse Carmine De Rosa, capo dei sorveglianti della Fiat e Girolamo Tartaglione, direttore del Ministero di Grazia e giustizia. Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, ventenni militanti del Fronte della Gioventù, sono uccisi da terroristi di estrema sinistra; Rosario Berardi, maresciallo di polizia, è ucciso il 10 marzo dalle Brigate rosse. Il 16 marzo del 1978 è Aldo Moro ad essere rapito dalle Brigate rosse, previa uccisione degli uomini della scorta. E ciò solo per fare degli esempi. Le violenze e gli scontri proseguirono nei mesi e negli anni successivi con una vera ecatombe di giovani e l’instaurazione di un permanente clima di odio tra gli esponenti giovanili di estrema destra e di estrema sinistra. Il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle B.R., verrà trovato il 9 maggio 1978(31). Voce Nostra si interrogava: “Chi alimenta la guerriglia?”, riflettendo sulla distorsione di diffuse concezioni del vivere sociale(32).

Anche negli ultimi mesi di vita il giornale contenne sempre articoli di buon livello culturale e continuò a rinnovare il gruppo dei collaboratori: compaiono, tra l’altro, approfonditi studi del Gruppo di formazione culturale J. Maritain(33) di Palermo e comincia ad apparire la firma di Padre Ennio Pintacuda(34), che da politologo sarà uno degli ispiratori della stagione politica diretta dal sindaco di Palermo, Luca Orlando, poi detta “Primavera di Palermo”.

I fascicoli degli ultimi anni furono di sole quattro pagine ed il giornale cessò nel giugno del 1980, accomiatandosi per le vacanze estive ma non riprendendo che con un numero speciale del 1981, contenente esclusivamente documenti per i lavori dell’Assemblea ecclesiale diocesana(35).

Prima di chiudere, comunque, il giornale annunziava che il movimento di cattolici Una città per l’uomo avrebbe presentato proprie liste alle elezioni per i consigli di quartiere, con ciò ribadendo la propria fiducia in una rappresentanza diretta dei cattolici nelle sedi decisionali, ove si sperava che potessero risolversi i veri problemi delle sub-comunità cittadine secondo principi cristiani.

Oggi, dopo vent’anni dalla cessazione di V.N., un settimanale locale che pretenda di vivere e diffondersi soltanto attraverso il libero acquisto dei lettori e sulla forza delle sue idee non è più pensabile. D’altra parte, nella congerie dei forti messaggi che arrivano attraverso i talk-show televisivi, sempre su temi di grande rilievo generale, ed attraverso gli editoriali dei maggiori quotidiani nazionali, usurpanti l’attenzione per le cose a noi più vicine, sarebbe assai difficile concepire un attuale ruolo efficace per Voce Nostra. Né, assorbiti come siamo dai grandi temi del mercato europeo, delle imprese militari degli USA, degli assetti del mondo islamico, delle manovre elettorialistiche fatte a suon di miliardi dai partiti politici, (frattanto sostituitisi a quelli dei tempi di V.N.), dell’andamento delle borse mondiali ecc., sembra non esservi più tempo per lavorare comunitariamente per noi stessi e per gli ultimi della città; né per discutere della carità; né per affrontare problemi di rappresentanza spontanea e di quartiere dei poveri presso l’amministrazione civica; né di introdurre nella pubblica amministrazione valori cristiani.

Ma la società palermitana che emerge dalla lettura delle annate di Voce Nostra, vista storicamente, con le sue cronache della solidarietà dimostrata da tanti cristiani intorno alla Missione di Palermo, del nascere spontaneo dei comitati di quartiere, delle liste autonome dei cattolici di Città per l’uomo per le elezioni dei consigli di quartiere può indurre a riflettere se d’una circolazione settimanale di idee e di indirizzi ecclesiali sui problemi pratici la comunità palermitana non abbia ancora bisogno, e se non esista ancora una categoria di cittadini che non sia ascoltata da nessuno di quelli che partecipano al governo della città.

Ma se pure quello sforzo dei laici cattolici e del volontariato di allora, per tentare di inserire la visione cristiana nelle scelte amministrative, fatto da una parte della città che voleva sentirsi una vera comunità, può oggi essere giudicato il frutto di un’utopia, può almeno dirsi che le rievocazioni cui inducono le pagine di V.N. accendono la nostalgia per un grande corale sforzo di collaborazione comunitaria, che effettivamente ci fu, ed il sogno d’una politica locale veramente ispirata dai cittadini che pensano ad una seria evoluzione della società in senso solidale.

NOTE

1 Precedentemente si erano pubblicati a Palermo i due periodici politici cattolici: La Montagna (1903-1909) e Il Centro (1903-1913). Cfr. Lo Franco G., La Montagna, una voce palermitana della stampa cattolica, in Rassegna siciliana, aprile 2000, n. 9.

2 Alongi N., Palermo, gli anni dell’utopia, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1997, pagg. 26 e 27.

3 Per un approfondimento della politica regionale di quegli anni, cfr. Menighetti R. – Nicastro F., Storia della Sicilia autonoma, Palermo 1998, pag. 145.

4 Le annate di V.N. sono interamente conservate e microfilmate presso la Biblioteca centrale della Regione siciliana. Ne era direttore Emanuele Gambino, direttore responsabile Orlando Scarlata, vice direttore Nino Barraco, direttore amministrativo padre Giuseppe Carcione e presidente del consiglio di amministrazione Giovanni Torregrossa, allora presidente della Giunta diocesana di azione cattolica. I collaboratori più assidui furono Carlo Alberto d’Elia, giornalista della RAI; Nino Alongi, professore di filosofia, scrittore e poi editorialista di Repubblica; Piero Lorello, presidente diocesano della Gioventù di azione cattolica, poi assessore comunale; Armando Fusco, funzionario della Regione che, proprio in quegli anni, ideava ed elaborava, insieme alla più giovane classe dirigente regionale, il progetto di una interessante riforma dell’Amministrazione pubblica; Raimondo Mignosi funzionario regionale; Eugenio Guccione, storico, studioso del pensiero di Don Sturzo, poi docente universitario; Renato Chiesa; Giulia Sommariva, sensibile scrittrice di cose d’arte e di argomenti culturali; Ignazio Sucato, sacerdote e direttore del piccolo periodico “La Via” che uscì a Palermo per alcuni decenni dopo la guerra; Santino Caramella, professore di filosofia morale nell’università di Palermo; Pietro Mazzamuto, professore di lettere nell’università di Palermo; Rino Cacioppo, giornalista; Giuseppe Pavone, docente della facoltà di architettura; Emanuele Sinagra, professore di fisica dell’università di Palermo; Bianca Cordaro, poi giornalista della RAI; Franco Riccio, esponente cattolico nell’organismo rappresentativo universitario; Albano Rossi, noto critico d’arte; Salvatore Orilia, storico della letteratura italiana e docente nei licei; Giuseppe Savagnone, scrittore cattolico. Negli anni Settanta sarebbero “passati” da V.N. anche: Raffaello Rubino, uno dei politici democristiani più autenticamente cristiani; Ugo Alvaro Bazan e Luigi Tripisciano, giornalisti della RAI; Giuseppe Frisella Vella, professore di economia politica nell’Università di Palermo; Lucio Galluzzo, giornalista dell’ANSA; Fausto Vallainc; Albino Longhi, capo redattore della RAI di Palermo; Enzo Sigillò, avvocato; padre Paolo Collura; Francesco Pizzo; Renato Luciano; Nicola Piazza, avvocato; Francesco Stabile, storico; Giovanni Cappuzzo; Lucio Marcatajo; Antonio Mogavero Fina, storico delle Madonie. Vi comparve anche diverse volte la firma di Gustavo Selva, allora direttore di un giornale-radio. Dal 1° marzo 1969 fu direttore responsabile Orlando Scarlata; dal 1972, padre Franco Ciaramitaro e dal febbraio del 1977, Gianni Daniele.

5 Nella rivalutazione del ruolo dei laici e della libertà dei cristiani in genere, si inseriva il problema dei rapporti con i non credenti ed addirittura del dialogo con essi. Nino Barraco, in Sono finiti gli anatemi (V.N. n. 8 del 25 febbraio 1968) spiegava: “Il Concilio ha definitivamente rivalutato la posizione del laico, che non può più essere considerata come quella del manovale … e che ha diritto al dialogo ed al confronto con i non credenti o con i membri di altre religioni purchè non succeda che il cristiano trovandosi nel mondo, studiando pensieri altrui, frequentando una società non cristiana, arrivi a spingere la propria tolleranza fino a condividere la posizione dei dissidenti, a tenere il dialogo con i lontani offendendo intanto i vicini, a parlare di apertura più per andarsene dalla casa del Padre che per farvi rientrare i lontani”.

6 L’articolo è di Carlo Alberto D’Elia.

7 V.N. 11 gennaio 1970, n. 2: Lorello P., “La Cassa per il Mezzogiorno è un fatto nuovo: basterà?”

8 D’Elia C.A. in V.N. n. 4 del 1968.

9 Santino Caramella è nato a Genova il 22 giugno 1902 ed è morto a Palermo il 26 gennaio 1972. Fu filosofo e pedagogo; formatosi politicamente accanto a Piero Gobetti, fu successivamente professore di filosofia nell’istituto di magistero dell’Università di Messina ed in quello di Catania, dedicandosi soltanto alla pura ricerca filosofica; nel 1950 divenne ordinario di filosofia teoretica a Palermo, dove rimase fino alla morte. Fu uno dei maggiori animatori della Biblioteca filosofica fondata da Amato Pojero a Palermo; presidente dell’Accademia di scienze, lettere ed arti ed autore di importanti opere filosofiche sulla religione, la teosofia, l’ideologia, la conoscenza e la metafisica. Palermo gli ha dedicato una strada nel quartiere di Altarello di Baida. Per le collaborazioni a V.N., cfr. n. 7 del 14 febbraio 1971 e n. 21 del 23 maggio 1971.

10 Pietro Mazzamuto è nato a Centuripe nel 1920. è stato tra i più illustri docenti di letteratura italiana dell’Università di Palermo. Autore nel 1954 di una Rassegna bibliografico-critica della letteratura italiana, ha pubblicato studi sui principali autori classici italiani, dedicando anche profonde analisi a scrittori siciliani, quali Alessio Di Giovanni, Quasimodo, Antonio Veneziano, Giovanni Gentile, Domenico Tempio. E’ stato anche autore di racconti e di un romanzo: Il diavolo e l’olio santo.

11 Alongi N., Palermo, cit., pag. 153.

12 Paolo Collura, sacerdote, è nato a Prizzi nel 1914 ed è morto a Palermo nel 1997. Oltre al suo ministero sacerdotale, si dedicò a ricerche storico-artistiche. Tra l’altro, è stato direttore del Museo di arte sacra di Palermo, ha compiuto la ricerca e la pubblicazione delle più antiche carte dell’archivio capitolare di Agrigento (1092-1282); ha condotto importanti studi sul monachesimo pre-normanno in Sicilia ed ha organizzato significative mostre su temi dell’arte sacra.

13 V.N., 22 febbraio 1970, n. 8.

14 V.N. 7 giungo 1970, n. 23.

15 Cfr. V.N. 16 novembre 1969, n. 36.

16 Cfr. V.N. 28 aprile 1968, n. 17.

17 V.N. 24 maggio 1970, n. 21.

18 V.N., Luciano R., 31 maggio 1970, n. 22.

19 V.N. 8 settembre 1968, n. 30; 13 maggio 1973, n. 76.

20 V.N. D’Elia C.A., n. 13 del 28 marzo 1971.

21 Alongi N., Palermo, cit. pag. 149.

22 V.N. n. 1 del 6 gennaio 1974, Barraco N., La Missione di Palermo compromette i cristiani.

23 V.N. n. 29 del 7 ottobre 1973 e n. (speciale) 31 del 21 ottobre 1973.

24 V.N. n. 6 del 7 febbraio 1971; n. 3 del 7 luglio 1979, ove si commentava la meditazione sul vangelo del filosfo M.F. Sciacca; n. 6 del 28 ottobre 1979: Galati V., Rileggiamo La Pira.

25 V.N., per es.: n. 2 del 13 gennaio 1974; n. 6 del 10 febbraio 1974; n. 10 del 10 marzo 1974; n. 13 del 31 marzo 1974.

26 V.N. n. 6 del 7 febbraio 1961; n. 7 del 18 febbraio 1973; n. 21 del 17 giugno 1973.

27 V.N. D’Elia C.A. n. 28 del 11 luglio 1971.

28 V.N. n. 4 del 2 aprile 1977, La Rosa A., Prende quota la Missione di Palermo.

29 V.N. n. 1 del 19 febbraio 1977.

30 V.N. n. 14 del 22 ottobre 1977 e n. 15 del 29 ottobre 1977 contengono una serie di articoli sul problema dell’incontro tra cattolici e marxisti. Cfr., in particolare, Fusco A. La questione comunista, in V.N. n. 17 dell’11 novembre 1979.

31 V.N. n. 6 del 25 marzo 1978 e n. 7 dell’8 aprile 1978. La sintesi della posizione del giornale di fronte al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro è traibile dai titoli a tutta pagina dei detti due servizi: Ci sentiamo coinvolti nella mobilitazione generale e Lo Stato non è ancora sconfitto.

32 V.N. n. 7 del 14 aprile 1979, n. 9 del 12 maggio 1979.

33 V.N. n. 10 del 26 maggio 1979.

34 V.N. n. 14 del 22 ottobre 1977. V., particolarmente, n. 2 del 20 gennaio 1980 circa l’assassinio di Piersanti Mattarella.

35 Alongi, op. cit. pag. 149, dice che i motivi ufficiali della chiusura di V.N. “saranno di natura finanziaria. In verità, vi erano stati degli screzi all’interno della redazione sull’opportunità o meno di appoggiare la DC in occasione delle elezioni regionali del 1979. La maggioranza aveva ribadito l’autonomia di V.N., il Cardinale ne aveva condiviso la scelta, ma subito dopo le elezioni ne sospenderà la stampa”.