Tra il 1961 ed il 1964 fu pubblicato settimanalmente a Palermo il vivace e battagliero giornale “Semaforo”.
Era, quell’arco temporale della storia del nostro Paese, il periodo in cui giunse al culmine il cosiddetto miracolo economico. In quel tempo, infatti, il reddito nazionale era aumentato dell’otto per cento nel 1961 e del sei per cento nel 1962. Si raggiungeva inoltre un regime di quasi piena occupazione ed alcuni settori industriali, specialmente quelli che producevano per esportare, registravano una notevole espansione produttiva e quindi un rilevante incremento nell’esportazione. Forte e continua era comunque ancora l’emigrazione dal sud verso il nord e persistente l’evidenza del divario socio-economico tra settentrione e meridione del Paese.
Sul piano politico veniva avvertita l’esigenza, proprio per adeguatamente supportare ed indirizzare la detta tendenza dell’Italia a proseguire nello sviluppo, di assicurare governi stabili e maggioranze che potessero affrontare in sede legislativa i grandi temi delle riforme necessarie.
In questo clima era cominciato il dibattito sulla possibilità di ammettere nell’area governativa il Partito socialista. Fallito, infatti, nel 1960 il travagliatissimo esperimento del governo di centrodestra presieduto da Ferdinando Tambroni e sostenuto dalla Democrazia cristiana, dal Movimento sociale italiano e da alcuni monarchici, ma fortemente avversato dalla sinistra, anche con violente e cruente manifestazioni popolari (Ravenna 1 luglio; Palermo 27 giugno; Genova 28 giugno; Roma 6 luglio; Reggio Emilia 7 luglio), si consoliderà la cosiddetta “svolta a sinistra”. Questo orientamento, accettato anche dalle gerarchie della Chiesa cattolica, porterà gradatamente all’inserimento stabile del Partito socialista nelle compagini governative: prima mediante l’astensione di questo partito nella fiducia al quarto governo Fanfani, composto di esponenti della democrazia cristiana, del p.s.d.i. e del p.r.i. (1962), quindi con la costituzione del primo governo quadripartito, dichiaratamente di centrosinistra, presieduto da Aldo Moro (1963), del quale divenne vice-presidente Pietro Nenni, una delle figure più emblematiche nella storia del socialismo italiano.
In Sicilia, il processo per l’inserimento nelle maggioranze di governo del Partito socialista fu particolarmente difficoltoso.
Tra la primavera del 1959 e l’estate del 1961 la Regione aveva visto il succedersi in Assemblea regionale di diverse e contraddittorie alleanze governative che arrestarono per lunghi periodi sia l’azione amministrativa che la stessa produzione legislativa(1)#.
La quarta legislatura, iniziatasi dopo le elezioni del 7 giugno 1959, si era aperta con una maggioranza di tipo “milazziano”, essendo stato, il primo governo dopo le elezioni, presieduto ancora da Silvio Milazzo, sostenuto dall’Unione siciliana cristiano-sociale, dai monarchici, dai socialisti e dai comunisti. Escluso ne era ormai il Movimento sociale, al quale non rimase che far parte di un’opposizione, dichiaratamente anticomunista, comprendente la Democrazia cristiana e i liberali(2)#.
Il 23 febbraio del 1960, a seguito delle manifestazioni di dissidenza di alcuni “milazziani” e dopo lo scoppio del noto “scandalo Corrao-Santalco”, ossia della rivelazione in piena Sala d’Ercole che all’albergo delle Palme era stato tentato l’acquisto da parte di Ludovico Corrao, deputato dell’Unione siciliana cristiano-sociale, e del deputato comunista Marraro del voto mancante alla maggioranza milazziana, mediante la corruzione di un provocatoriamente compiacente deputato della Democrazia cristiana, era caduto l’ultimo governo Milazzo. Fu favorito allora il formarsi di un governo di centrodestra presieduto da Benedetto Maiorana della Nicchiara, in cui confluirono democristiani, liberali e monarchici con l’appoggio esterno del M.s.i, segnandosi così la conclusione definitiva dell’esperienza milazziana e dell’Unione siciliana cristiano-sociale che da questo momento declinerà fino a scomparire(3)#.
Del resto in quel tempo anche il governo nazionale si reggeva, come visto, sull’appoggio esterno del Movimento sociale e dei monarchici. A Palermo però il Governo Maiorana di centrodestra durerà fino al febbraio del 1961, quando i deputati del Movimento sociale, constatato che, sia a livello nazionale che a quello regionale, la Democrazia cristiana lavorava ormai per una definitiva apertura a sinistra, ritirarono il loro appoggio sperando forse di suscitare così una coalizione più decisamente ed apertamente di centrodestra.
Trascorsi invece quattro mesi di immobilità legislativa ed amministrativa, a causa delle insormontabili difficoltà incontrate dai partiti per trovare una nuova formula di alleanza, si aprì decisamente la via all’accantonamento definitivo della formula di centrodestra. Donde il governo-ponte di un mese (luglio-agosto 1961), presieduto da Salvatore Corallo, esponente dell’area maggiormente di sinistra del Partito socialista.
Questo partito, d’altra parte, svolgeva a livello nazionale il suo cammino ideologico verso la linea di un movimento socialista democratico, come era ormai a livello europeo, distaccandosi sempre più dal modello marxista e quindi dal Partito comunista.
Si arriva così, il 9 settembre 1961, al primo governo siciliano di centrosinistra presieduto dal democristiano Giuseppe D’Angelo, del quale fece parte anche un indipendente di sinistra eletto nelle liste del Partito comunista. D’Angelo avrebbe poi presieduto altre due giunte di centrosinistra.
Gli anni in cui “Semaforo” vide la luce furono, dunque, anni di drastico cambiamento di rotta nella concezione delle forze politico-ideologiche che avrebbero potuto governare il nostro Paese. E ciò, con decisa direzione verso la sinistra, della quale sarebbe permeata, negli anni successivi, nella società la cultura e la conseguente interpretazione della Storia più recente. Furono anche gli anni del più accentrato dirigismo economico nella politica, secondo la visione economico-statalista della sinistra del tempo, tendente alle nazionalizzazioni delle imprese di produzione di beni ritenuti strategici, alle regionalizzazioni delle imprese in difficoltà ed alle municipalizzazioni. Nel 1960 era stato istituito l’ente regionale di diritto pubblico “Azienda asfalti siciliani” e sarà appunto del 1963 l’istituzione dell’Ente minerario siciliano e dell’Istituto regionale per il credito alla cooperazione.
A voler poi dare uno sguardo più ampio al mondo ed alla società dell’anno in cui “Semaforo” vide la luce, va considerato che il 1961 fu l’anno in cui Kennedy si insediò alla presidenza degli Stati Uniti ed anche l’anno in cui si verificò un importante incontro e colloquio tra Kennedy e Kruscev con conseguente ostentazione di distensione; ma anche l’anno in cui Fanfani, in luglio, incontrò al Kremlino Kruscev. In agosto tornò dalla missione spaziale sovietica, dopo aver trascorso un intero giorno ed una intera notte nel cosmo, l’astronauta sovietico Titov, mentre, come aveva riferito in maggio il quotidiano “L’Ora” nello spirito di esaltazione dei primati della patria del comunismo, l’astronauta americano lanciato nello spazio era rientrato solo dopo 15 minuti(4). A dicembre Eichman, ex gerarca nazista, veniva condannato dalla corte penale di Gerusalemme all’impiccagione. E questo sembrò ancora una scoria del periodo bellico, i cui ricordi si facevano sempre più lontani, scolorendo nella realtà di un’Italia intenta a progredire ed a modernizzarsi. La pubblica accusa chiedeva, ad Agrigento, la condanna di Mario La Loggia per l’assassinio del commissario di pubblica sicurezza Tandoj, sollevandosi così attenzione e fantasia su un mondo di provincia che appariva, dopo le restrizioni del dopoguerra, non solo agiato ma anche allegramente corrotto. La Loggia, come è noto, sarà infine assolto, lasciando dubbi sull’opportunità di un processo così eclatante ma debole di prove nei confronti del fratello di un uomo politico di primo piano della Democrazia cristiana. Per il resto, agguati di mafia e guerra aperta tra le cosche dei vari quartieri palermitani; prosecuzione del processo Fenaroli con la scoperta dei suoi primi torbidi retroscena interessanti perfino la finanza pubblica; Enrico Mattei veniva a Palermo per trattare col governo regionale; Salvo Lima da tre anni sindaco della Città…
Fu in questo scenario di fondo che “Semaforo” svolse il suo ruolo di informazione e di commento della cronaca siciliana. Il settimanale fu diretto in un primo breve tempo da Alfredo Fallica; quindi da Mauro Turrisi Grifeo(5), che gli dette un taglio fortemente critico dell’andamento della politica del tempo, da un angolo visuale liberale, antimarxista ed antistatalista.
Il primo numero uscì il 4 novembre del 1961, recando sotto la testata l’indicazione “settimanale del sabato sera” e presentandosi quindi come un giornale dai contenuti politici ma completo anche di critiche culturali, racconti, cronache sportive ed indicazioni sugli spettacoli di Palermo; proponendosi insomma come un giornale completo da leggersi ad integrazione dei quotidiani (che allora per la maggior parte dei palermitani, non essendosi diffuso l’uso della lettura dei quotidiani nazionali, che oltre tutto non arrivavano di buon mattino, erano soltanto “L’Ora” ed il “Giornale di Sicilia”) e rendendo netto, sin dall’inizio, nell’editoriale di presentazione il proprio ambizioso motivo di fondo: “Bisogna ridare fiducia al popolo restaurando un costume di moralità politico-amministrativa”.
Già nel secondo numero (11 novembre 1961) si delineava il deciso anticomunismo del giornale commentandosi una mozione presentata dai comunisti per condannare esperimenti nucleari americani, in opposizione – a quanto pare- ad un documento già presentato, a scopo provocatorio, dalla destra: “La lunga serie di esplosioni nucleari sovietiche, concluse con quella della bomba da cinquanta megaton, ha spostato a destra l’asse della demagogia, dato che ha fornito ai partiti di destra la possibilità di rintuzzare, forse dando origine a nuovi tumulti, i comunisti. Questi ultimi hanno compreso la mossa e sono corsi ai ripari, presentando un’altra mozione in cui l’Assemblea regionale, profondamente allarmata per la spaventosa minaccia che pesa sull’intera umanità a causa dell’aggravata tensione internazionale, per la ripresa degli esperimenti atomici, per la drammatica corsa al riarmo nucleare e il conseguente pericolo di un conflitto atomico, riafferma il proprio voto unanime contro l’arma atomica…”. Il presidente dell’Assemblea regionale, il quale ha il dovere di condurre in aula i lavori nel pieno rispetto dello Statuto, ha pure quello di non iscrivere all’ordine del giorno argomenti la cui competenza sfugge ai compiti che lo Statuto assegna alla Regione.”
Dato il momento storico che abbiamo sintetizzato, gli articoli contro il centrosinistra nascente e quindi via via consolidantesi costituirono una vera battaglia accanita contro la maggioranza governativa della Regione e contro la politica pesantemente interventista nell’economia e delle partecipazioni regionali ai capitali di certe imprese, attraverso l’E.S.P.I., l’E.M.S., la Sofis, l’Azasi ecc. nonché contro gli interventi discriminatori in agricoltura dell’ESA.
A proposito dell’istituzione dell’Ente minerario che, dopo aspri dibattiti sia in sede parlamentare che nell’opinione pubblica, avverrà proprio in quegli anni mediante la legge regionale 11 gennaio 1963, n. 2, il settimanale osservava: “È un ente regionale che avoca alla Regione il controllo di tutte le miniere: l’altra, l’ultima ricchezza naturale della Sicilia. Ci avviamo al bis della riforma agraria. Spese enormi a carico della Regione, prevedibile totale fallimento delle imprese pubbliche che ne deriveranno; il motivo di tutto ciò: la demagogia del centrosinistra. Ma Ente Minerario vorrà dire anche “andate via” agli operatori economici privati, vorrà dire anche “andate via” alla Montecatini, alla Edison, all’Akragas, alla Gulf… . Complessi che hanno creato in Sicilia impianti colossali, che vi hanno investito centinaia di miliardi. Il governo di centrosinistra quindi, attraverso l’Ente Minerario, dimostra non solo di non volere più incoraggiare l’iniziativa privata, ma addirittura che ha intenzione di sopprimerla, di annullarla in favore di enti che esso amministra e che strumentalizzerà, secondo un costume ormai in voga, a fini elettoralistici e di potere, del tutto volutamente ignorando quelli che effettivamente sono i veri interessi della Sicilia”(6)#.
Ed, ancora, il settimanale si doleva della bocciatura di alcuni emendamenti presentati dai partiti di destra intesi ad introdurre elementi di socializzazione (modello caro alla destra missina) nell’ente che si andava a costituire: “Che cosa ha di rivoluzionario la socializzazione? Essa trasformerebbe il lavoratore da salariato in comproprietario delle aziende, in quanto avrebbe la compartecipazione agli utili netti, la cogestione con rappresentanza nei consigli di amministrazione. Ma le sinistre, a quanto si apprende, sarebbero contrarie a questi emendamenti; esse preferirebbero imbrigliare ancora i lavoratori sotto la rigida tirannia di asservimento politico che la gestione di un ente dalle sfumature dell’EMS comporta. Eppure si tratterebbe della attuazione di una importante norma della Costituzione. Ciò evidentemente non interessa ai socialcomunisti; ad essi, in clima di illegalità, di occupazione delle miniere, di mafiose minacce della CGIL, nuoce parlare di rispetto della Costituzione che peraltro stanno calpestando con la proposta di alcune folli pretese classiste. In queste condizioni oggi si affronta a Sala d’Ercole la discussione per l’Ente, una battaglia che ha assunto tutti gli aspetti della lotta politica, della conservazione del potere, della conquista del sottopotere”(7).#
L’episodio della istituzione dell’Ente minerario, sulla cui utilità si è finalmente dubitato nell’ultimo decennio, dopo che ha macinato inutilmente migliaia di miliardi e va alla liquidazione come ente riconosciuto dannoso per l’economia siciliana e per una normale crescita della libera iniziativa imprenditoriale, secondo i canoni liberisti dell’Unione europea ormai affermatisi, e per le stesse finanze della Regione, descrive la lungimiranza del giornale e dei suoi collaboratori, scomoda nell’allora montante clima di sinistra. Si vedeva già quale sarebbe stata l’amministrazione regionale di alcuni decenni dopo quando, sotto il consolidato binomio D.c.- P.s.i., in perenne concorrenza clientelare tra loro, si sarebbe determinato il pesantissimo e costosissimo apparato burocratico(8)# degli assessorati, di cooperative assistite, di enti superflui, di migliaia di forestali precari, di “articolisti”, di “listinisti”, ecc.
Il giornale titolava: “Il caos regionale incrementato dai socialisti” ed annotava: “Si dice addirittura che taluni assessori socialisti tengano due segreterie: quella ufficiale e una “segreta” ed imbottita di elementi fidatissimi di partito. Iddio solo sa come questi “galoppini” vengano retribuiti, non certamente con i soldi personali degli assessori socialisti. Si dice ancora che l’onorevole (…) non sia assolutamente in grado di abbracciare con sufficiente perizia e imparzialità il delicato settore dei lavori pubblici a cui è stato assegnato. Pare che detesti di essere quotidianamente negli uffici dell’Assessorato, al quale preferirebbe non meglio precisate sedi. Userebbe del rigore verso i dipendenti non di partito, lasciando la massima libertà ai suoi fedeli. Avrebbe elevato a posti di responsabilità addirittura dei dattilografi, sfornendo il delicato settore e mortificando la dignità di preparati funzionari”(9). Constatazioni del genere, nei decenni successivi, non avrebbero più scandalizzato nessuno; tanta sarebbe stata l’assuefazione allo strapotere di partiti, correnti e segreterie politiche.
Mentre la Storia italiana fluiva irrimediabilmente (come è possibile solo ora considerare) verso una duratura cogestione di cattolici e socialisti col benevolo assenso dei comunisti, “Semaforo” riteneva ancora reversibile il processo sì che, quando il 6 maggio del 1962 venne eletto Presidente della Repubblica Antonio Segni, con i voti dei democristiani, dei liberali, dei missini e dei monarchici, osservava: “Se ogni manifestazione del Parlamento rappresenta la genuina interpretazione dei sentimenti politici e morali dell’opinione pubblica d’Italia, dobbiamo ovviamente convenire che la Nazione si è orientata, tramite i suoi senatori e deputati, nel senso opposto in cui mesi or sono (i partiti di centrosinistra) hanno forzato la macchina governativa e che, pertanto, l’attuale Gabinetto Fanfani viene automaticamente a trovarsi in contraddizione con i nuovi fatti parlamentari. Partendo da siffatta premessa, anche i ciechi vedono che l’attuale governo di Roma è in crisi e non può più reggersi senza compromettere le sorti della giovane e debole democrazia italiana”(10).
L’avversione ai socialisti, ai comunisti ed al centrosinistra era manifesta e costantemente espressa. Dal punto di vista culturale generale, il giornale fu liberale nel senso più ampio che questa parola poteva avere in un momento in cui la cultura ufficiale (università, case editrici, stampa nazionale, sindacati, ecc.) marciava verso quell’egemonia paramarxista della sinistra che avvelenerà il clima degli anni Settanta e Ottanta. Del resto, si osservava che non bastava che i comunisti italiani sfoggiassero la loro fede in un pacifismo universale: “Non basta che l’Unità parli di coesistenza e di neutralismo in ogni pagina delle sue pregiate edizioni; l’ansia di pace è qualcosa che va dimostrata con i fatti… . Un muro è stato eretto, una notte, in mezzo alla città di Berlino e non è certo un simbolo di pace: sotto quel muro sono morti a centinaia i berlinesi, rei di volere vivere liberi. In Romania vivono seicentomila uomini, donne e ragazzi, nelle prigioni e ai lavori forzati; le polizie politiche minacciano quotidianamente trecento milioni di europei: russi, romeni, ungheresi, polacchi, estoni, ecc. e non è certo questo un sintomo di pace. Dei 63 mila dispersi dell’Armata italiana in Russia il governo sovietico ha rifiutato sistematicamente di rendere conto alla Commissione per i prigionieri di guerra dell’ONU”.
In quanto all’ascesa dei socialisti al governo del Paese, della Regione e delle città, il 5 ottobre del 1963, il giornale titolava a grandi caratteri: “A Palermo gli scioperi dei comunali, netturbini, edili, dipendenti dell’acquedotto, dell’ospedale civico e psichiatrico, di una azienda vinicola, dei servizi alberghieri, dell’El.Si., del cantiere navale accusano il centrosinistra”, e spiegava nel testo dell’articolo: “C’era stata in Italia una potente spinta economica… oggi si combattono i consumi, aumentano in modo vertiginoso i prezzi, aumentano anche, ma mai proporzionalmente, i salari… scioperi per aumenti di stipendio, scioperi per l’effettiva erogazione del diritto ottenuto, scioperi contro i licenziamenti da industrie costrette, dai costi maggiori, a restringere il fattore lavoro. Ogni sciopero è un pesante atto di accusa… e il centro sinistra continua…”.
Attorno al direttore, Mauro Turrisi Grifeo, si formò, in armonia con la detta linea del giornale, tutta una classe di giovani giornalisti o aspiranti tali o comunque di giovani che iniziavano il proprio dialogo culturale con lo scorrere della storia, piuttosto liberi da condizionamenti di una vita passata e da attrattive attuali. Facevano parte, del resto, della prima generazione che non aveva alcuna esperienza diretta del fascismo e della guerra e che, avendo raggiunto l’uso della ragione negli anni successivi al 1945, ha avuto tutto il tempo di maturare nette convinzioni personali, anche nel senso di una valutazione non antifascista della più recente storia: il che allora significava non filocomunista. Ma questo anche perché, per quella generazione ed in quel momento storico, il fascismo era ormai entrato nella Storia e non era stato ancora inventato il “pericolo fascista” come collante tra i partiti di centro e quelli socialcomunisti.
Quei giornalisti constatavano viceversa la propria individuale libertà di fronte a nette alternative tra i modelli di società allora percepibili ed attuali nel mondo. E, del resto, forse quella generazione non pensava ancora tanto alla “qualità della vita” quanto al proprio ruolo nella vita comunitaria ed un poco anche al fine della vita in sé e, più che chiedersi di essere libera da regole e da autorità, si domandava a che cosa avrebbe potuto servire la propria libertà individuale nell’edificazione d’una società più giusta. E ciò confrontandosi nei temi più vicini, quali erano quelli della reale politica regionale, fino a quelli di fondo della concezione della società e del suo progressivo aprirsi verso civiltà ed etnie diverse: “Non è comunismo difendere i negri”, titolava in prima pagina il numero del 15 giugno 1963, riferendosi a certe discriminazioni ancora presenti in U.S.A., e spiegava, come a volerne fare un manifesto del giornale: “Antirazzismo non è comunismo (anche se, dell’antirazzismo, i comunisti italiani di allora facevano un loro cavallo di battaglia); contro qualsiasi egoistico pregiudizio, esiste l’uomo. Un uomo bianco ed un uomo nero sono, al di sopra ed al di fuori del colore della pelle, al di fuori ed al di sopra delle civiltà diverse, soprattutto e solo uomini”.
C’erano certo alcune evidenti spinte morali di fondo in tutta la linea del giornale che possono ora astrarsi dalle centinaia di articoli che pubblicò. E siccome, tutto sommato, la politica è un elemento strumentale per la produzione di un buon apparato pubblico, ossia di una giusta ed efficiente pubblica amministrazione, e un buono Stato si identifica sostanzialmente con una buona amministrazione, deve dirsi che i collaboratori di “Semaforo” espressero direttamente o incidentalmente i loro principi morali in molti dei loro articoli, in cui auspicavano che lo Stato che andava evolvendosi dopo la fine della guerra e la fondazione della Repubblica fosse di alto livello organizzativo e morale.
Quello che si rivela da una lettura sistematica di molti dei pezzi dei collaboratori di “Semaforo” è il modello di un’amministrazione efficiente, imparziale, non clientelare, economicamente vantaggiosa e senza misteri; e di una classe di funzionari professionalmente dotati ed autenticamente al servizio esclusivo della Nazione, come avevano appreso che ordinava la Costituzione della Repubblica. Si denunziavano così le inefficienze e le immoralità: dalle più comuni come quelle dei servizi di trasporto urbano(11)# e della distribuzione dei libri di testo agli alunni delle scuole elementari#(12) a quelle più profonde e generali incidenti nell’economia e nel benessere: “I concetti di produttività e di rendimento sono poco appropriati agli ambienti burocratici dello Stato: basse retribuzioni, confusione di leggi, discriminazioni ed influenze di carattere politico costituiscono già da tempo le cause prime del dissesto della pubblica amministrazione”(13)#.
E si commentava quanto un’amministrazione efficiente fosse utile anche alla soluzione della questione meridionale e quanto una maggiore spesa per la scuola potesse aiutare lo sviluppo di un popolo, notandosi con amarezza che forse “un popolo più colto rappresenterebbe un elettorato più cosciente, meno affamato (erano ancora quei tempi!), meno manovrabile e meno suscettibile alla facile demagogia che oggi impera in tutto l’arco politico”(14)#. E questo, parafrasandosi una frase di Ferenc Herezec a proposito di certi sacerdoti che nel Medio Evo non riuscivano ad infondere la nuova fede cristiana presso il popolo magiaro ma riuscivano ad uccidere la fede antica, induceva ad esclamare: “Politici, voi non riuscite ad infondere ideali nuovi in ogni cuore, però siete riusciti ad uccidere gli antichi”(15)#.
Ma la pubblica amministrazione e lo Stato marciarono poi per decenni in un senso molto poco entusiasmante, tanto che un trentennio più tardi, quando “Semaforo” non si pubblicava più da molto tempo, il suo direttore, Mauro Turrisi Grifeo, scrisse un libro intitolato “Il malgoverno nello stato padrone”(16), in cui, fra l’altro, osservava: “La corruzione è chiaramente il vizio di fondo del nostro sistema politico; una corruzione che comporta abusi o lentezze nella gestione della cosa pubblica, abusi e lentezze che finiscono col giustificare ogni particolare interesse nelle varie amministrazioni pubbliche…”.
Questa tensione verso una rigenerazione morale della vita pubblica in Sicilia, che “Semaforo” esprimeva come sua ragione di fondo, giungeva fino all’abbattimento e all’avvilimento nella constatazione di una condizione che particolarmente noi siciliani ci siamo portati sulle spalle, innanzi al mondo, per secoli: la mafia. Nel luglio del 1963, Marina Pino, sotto un titolo di enormi proporzioni che diceva “Basta!”, annotava: “una terra arsa di paura e di sangue”; “Siamo, ai primi di luglio, appena usciti da un giugno di sangue: 13 morti con adeguato contorno di feriti, e questo nella sola Palermo”; e riferiva: un vaccaro freddato con una pistola a tamburo; due uccisi in casa del capomafia Pietro Torretta; uno scarista ucciso al mercato Trinacria; un morto e due feriti per lo scoppio di una “Giulietta” a Villabate; e domenica 30 giugno sette poliziotti dilaniati a Ciaculli da un’altra Giulietta-bomba. “Con un bel funerale, donando un milione ciascuno alle famiglie, aprendo la tanto predicata inchiesta parlamentare sulla mafia, lo Stato si illude di mettere le cose a posto in Sicilia…”(17)#.
Mauro Turrisi iniziava dunque, nel novembre del 1963, un’indagine sulle ragioni storiche, sociali ed ambientali della mafia(18)#, quando il fenomeno non era ancora venuto all’attenzione della sensibilità della più numerosa opinione pubblica, come sarebbe stato a partire dagli anni Ottanta.
Scrissero per “Semaforo”: Marina Pino, che ne fu, insieme al direttore e a Giovanni Ciancimino, l’anima e che dopo l’esperienza di questo giornale sarebbe stata una valorosa giornalista(19)#; Giovanni Ciancimino, appunto, che assicurava analitici pezzi sulla politica regionale e che, nell’ultimo anno, assunse la direzione politica del giornale(20)#; Gregorio Napoli, poi noto critico cinematografico; Girolamo Leto, esponente del partito liberale; Paolo Emilio Carapezza, poi professore nella facoltà di lettere dell’università di Palermo e noto musicologo; Enzo Aprea; Eugenio Guccione, poi professore universitario, studioso profondo dell’opera di Luigi Sturzo ed esponente del movimento federalista europeo; Vittorio Schiraldi, giornalista e collaboratore della Rai, nonché scrittore di un noto e simpatico libro “Siciliani si nasce”; Giulia Sommariva, giornalista e fine saggista in materia di cultura siciliana e turismo; Egle Palazzolo, giornalista e poi autrice di alcune opere di narrativa; Santi Valenti, che avrebbe ricoperto – ancora giovanissimo – la cattedra di analisi matematica nell’Università di Palermo e prodotto alcune interessanti opere letterarie, il quale scriveva anche sotto gli pseudonimi di Ulisse e di Holy Clever; Michele Guardì, prima di essere autore di testi e regista presso la Rai; il giornalista Antonio Ravidà, poi collaboratore del “Giornale di Sicilia” e quindi redattore dell’ANSA; Vittorio Giustolisi, archeologo e pubblicista; Alfredo Di Vita; Bianca Cordaro, poi nota giornalista della Rai; nonché Giovanni Zanasi, capocronista del “Giornale di Sicilia”, che arricchiva “Semaforo” di profonde analisi sulla cronaca sportiva; Manlio Graziano, redattore del “Giornale di Sicilia”; ed ancora il professore di economia politica dell’Università di Palermo Giuseppe Frisella Vella, che, firmando con la sigla F. d. S. (pare: “Fedele di Sicilia”), affrontava settimanalmente in maniera scientifica temi come l’importanza del risparmio, la semplificazione del sistema tributario, i salari, la corresponsabilizzazione dei sindacati nella conduzione delle imprese, ecc.(21)# in una visione schiettamente e decisamente liberistica che dava al giornale la matrice scientifico-culturale di fondo.
Fatti i conti con l’anagrafe, sottratto qualche nome e lette le biografie di tutti, può dirsi che l’intero cast dei giornalisti di “Semaforo” si collocava tra i venti ed i trent’anni di età e che il settimanale, mentre da un lato fu una efficace scuola di professione, dall’altro, seppe raccogliere intorno a sé l’attenzione di una promettente parte della giovane generazione di palermitani di allora che credeva di poter concorrere a costruire la propria polis veramente libera, virtuosa e moderna.
“Semaforo” cessò d’essere stampato dopo il numero 1 del quarto anno in cui, facendosi gli auguri ai lettori, si osservava sconsolatamente che “la politica è degenerata in beghe e personalismi, l’economia è stata frenata da questi contrasti; i lavoratori del sud migrano verso terre più ricche; i capitali prendono la … via dell’esilio, non ritenendosi più sicuri in patria…” e si preannunziava anche quello che sarebbe stato ufficializzato il 12 gennaio: la scissione dal Partito socialista della corrente di estrema sinistra filocomunista, che si sarebbe costituita nel Partito socialista di unità proletaria: “Tre socialismi: verso una chiarificazione densa di incognite” annunziava il giornale e prevedeva ancora una fonte di caos nelle giunte di sinistra presso gli enti locali, nelle segreterie di partito, nella C.g.i.l.#(22). Quindi tacque per sempre.
“Semaforo” cessò d’essere prodotto non perché non avesse più idee e collaboratori, ma probabilmente nell’ambito di una crisi generale della stampa locale. L’editoria giornalistica si sviluppava velocemente in quegli anni in senso imprenditoriale. Nel mondo complessivo dei cosiddetti media assorbiva sempre più attenzione la televisione, mentre il mercato siciliano della lettura andava recependo sempre più il prodotto giornalistico delle grandi edizioni nazionali. In un siffatto sistema, il giornale era entrato, come le terre di montagna o le piccole produzioni industriali di provincia, in un’area marginale in cui, a fronte d’una difficile diffusione, i costi erano divenuti insopportabili. Tutta l’editoria dei settimanali siciliani non finanziati dalla politica o dalle imprese avrebbe del resto, negli anni seguenti, seguito la stessa sorte. Probabilmente nessun imprenditore o politico di allora ritenne di potere sostenere “Semaforo” in qualche modo. Ma in quel momento “Semaforo” entrava nella storia di Palermo e della Sicilia, della cui documentazione costituisce, ora che il tempo gli ha conferito il valore aggiunto della testimonianza diretta di un’epoca, un assai interessante elemento per la comprensione della nostra storia di quegli anni.
Nella primavera del 1962 studiavo giurisprudenza con Marina Pino che, tendendo verso la professione di giornalista, scriveva su “Semaforo”. Me ne fece conoscere il direttore Mauro Turrisi Grifeo, il quale, con immediata cordialità, mi offrì subito di collaborare con il suo giornale. Oltre che di Marina fui così per alcuni decenni amico profondo di Mauro. Entrambi sono morti prematuramente. Chiedo scusa ai lettori se sento di comunicare pubblicamente che – col pensiero alla loro irrevocabile assenza – mi è stato duro ripercorrere e rievocare i tempi in cui “Semaforo” veniva composto e che ho provato un affettuoso rincrescimento a non potere verificare con questi miei amici l’immagine che mi sono fatto del loro “Semaforo”.
NOTE
1 R. Menighetti e F. Nicastro, in Storia della Sicilia autonoma (Caltanissetta 1998, pag. 123) riferiscono così il fenomeno: “La rottura dei fronti ideologici e la stravagante commistione a livello governativo di forze politiche antitetiche ha reso impossibile l’elaborazione di linee programmatiche comunemente gestibili. La produttività della politica si è ridotta al minimo e la Regione si è arenata in una grave paralisi legislativa ed amministrativa. Le spericolate operazioni dei partiti hanno dato al contempo luogo ad una serie di vicende da basso impero, che hanno affondato l’amministrazione regionale nel grottesco e provocato l’insorgere di una vera e propria questione morale”.
2 Per i caratteri dei governi regionali presieduti da Silvio Milazzo, cfr. Grammatico D., “La rivolta siciliana del 1958”, Palermo 1996.
3 F. Renda (Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, Palermo 1987, vol. III, pag. 433) definisce il governo Maiorana “un governo milazzista alla rovescia” e nota che esso, definitosi normalizzatore, in realtà fu solo un governo restauratore.
4 Cfr. L’Ora del 3 maggio 1961 e del 9 agosto 1961.
5 Mauro Turrisi Grifeo è nato il 21 luglio 1930. Appartenente alla famiglia dei principi di Partanna, una delle più antiche casate siciliane, fu un gentiluomo di rara sensibilità ed un grande e veramente libero giornalista nonchè un profondo conoscitore della Sicilia, della sua storia politica, economica e sociale e particolarmente delle origini e della trasformazione della mafia. Scrisse numerosi libri in cui è costante lo scopo di capire come sia effettivamente la società siciliana. Fra le sue opere più interessanti, vanno ricordate: Democrazia in crisi; 1945 Era industriale; Karsa (racconti di vita siciliana); Quel fantasma chiamato mafia; Il malgoverno nello Stato padrone; una riedizione di Pubblica sicurezza in Sicilia nel 1864 del suo antenato Nicolò Turrisi Colonna. Prezioso riferimento per tutti i colleghi era la sua ricca biblioteca e soprattutto il vasto archivio personale con repertori aggiornati e dettagliati di eventi e personaggi della politica, dell’economia, della vita sociale, della criminalità mafiosa e dei grandi delitti. È stato tra i primi a rivelare gli intrecci affaristici, politici e mafiosi, progettati in occasione del finto sequestro di Michele Sindona nel 1979. Nel 1961, anno che precedette l’assunzione della direzione di Semaforo, diresse, insieme a Giulia Sommariva, Palermo d’oggi, rivista culturale di studi e attualità. Morì nel 1995.
6 Mauro Turrisi Grifeo, Chiare note, in Semaforo, n. 47 del 1961.
7 Giovanni Ciancimino, Inglorioso collaudo della “svolta storica”, in Semaforo, n. 47 del 1961.
8 Per una analitica indagine sullo sviluppo dell’apparato burocratico della Regione, cfr. Palmeri G. Il fiume di Eraclito – L’Autonomia siciliana ed il suo divenire, Palermo 1996, pag. 107.
9 Cfr. Semaforo, n. 19 del 1962.
10 Cfr. Semaforo n. 19 del 12 maggio 1962. Eugenio Guccione, Antonio Segni quarto Presidente e Ugo Cenci, Pessimismo delle sinistre.
11 Valenti S. in Semaforo, n. 19 del 12 maggio 1962.
12 Pino M., Quei cari libri gratis, in Semaforo, n. 35 del 16 novembre 1963.
13 Uno Stato moderno non deve ignorare…, in Semaforo, n. 7 del 19 febbraio 1963.
14 La miseria degli insegnanti si riflette sul popolo, in Semaforo n. 11 del 23 marzo 1963.
15 Basile F., Politica senza ideali, in Semaforo, n. 35 del 16 novembre 1963.
16 Palermo 1991.
17 Semaforo, 6 luglio 1963, nn. 23-24.
18 Cfr. i nn. di Semaforo 34, 35, 37 e 38 del 1963.
19 Marina Pino è nata a Palermo il 14 novembre 1940 ed è qui morta il 17 settembre 2000. Iniziò la sua attività di giornalista presso il settimanale Semaforo prima del conseguimento della laurea in giurisprudenza. Successivamente scrisse per il quotidiano di Palermo Telestar e per il Giornale d’Italia. Fu redattrice del Giornale di Sicilia e quindi capo cronista del quotidiano L’Ora fino al 1991. Alcune inchieste su determinati fatti di mafia le suggerirono un interessante libro dal valore sociologico e letterario, Le signore della droga. Nel 1997 preparò e diresse per qualche tempo il quotidiano Oggi-Sicilia e sviluppò servizi sulla storia e la vita siciliana per la rivista Palermo della Provincia e per Cronache parlamentari siciliane. Negli anni ‘80 è stata presidente dell’Associazione siciliana della stampa.
20 Giovanni Ciancimino è nato a Belmonte Mezzagno il 10 ottobre 1931. Laureato in giurisprudenza, ha svolto una ricchissima carriera giornalistica , iniziando nel 1962 a collaborare con i Vespri d’Italia di Alfredo Cucco; collaborò contemporaneamente per qualche anno con il Picchio Verde, settimanale di destra filo m.s.i. di Catania; fu quindi corrispondente del Secolo d’Italia, redattore dell’Agenzia giornalistica “Il Mediterraneo”, diretta da Carlo De Leva; corrispondente, dal 1958 del Giornale d’Italia, della Tribuna del Mezzogiorno di Messina e del Corriere di Sicilia di Catania; quindi redattore del quotidiano palermitano Telestar ed infine (1961) de La Sicilia di Catania, ove svolge attualmente, interessandosi particolarmente alle cronache ed ai commenti della politica regionale, la funzione di capo della redazione palermitana del quotidiano.
21 Cfr. particolarmente in Semaforo: Buona amministrazione, 15 dicembre 1962; Semplificare i tributi, 21 settembre 1963; Salari e sindacati, 11 gennaio 1964.
22 Osserva Renda (op. cit., pag. 460): “Il Centrosinistra, più che per le realizzazioni, si fece apprezzare per quella straordinaria capacità, che fu quasi una sua seconda natura, di produrre una permanente e quasi organica instabilità politica. Da quel punto di vista, le cose andarono in modo tale che in poco più di dieci anni, dal settembre 1961 al giugno 1971, ci furono ben 17 governi”. Per una analisi oggettiva della stagione del Centrosinistra, dal punto di vista delle sue politiche legislative, cfr. Tramontana C., Il Centro-sinistra, Torino 1995.