Innanzi tutto, per poter fare una analisi basata su alcuni elementi di riferimento nel parlare di sicurezza e stabilità nel Mediterraneo, occorre individuare almeno alcuni fattori di destabilizzazione nel mondo contemporaneo. Ormai è opinione condivisa che i nuovi fattori destabilizzanti, per quanto riguarda in particolare il settore regionale qui analizzato, possano essere: conflitti etnici, quali quelli nei Balcani e nell’Africa a sud del Sahara; nazionalismi, che spesso, quando sono aggressivi, sono la causa dei conflitti etnici così come questi possono essere l’effetto degli ultranazionalismi; emigrazioni epocali e immigrazioni clandestine; proliferazione nucleare e altre armi di distruzione di massa (chimiche, biologiche…); terrorismo di varie matrici: religiosa, ideologica, criminale, ad esempio; ecoterrorismo…; importanti mutamenti climatici; disastri ecologici. Tutti questi elementi possono portare minaccia alla sicurezza nel Mediterraneo e concretarsi in:
a) fattori di carattere politico: l’instabilità balcanica, le crisi israelo-palestinese e libanese, il confronto greco-turco;
b) fattori di carattere ambientale: come pericoli epidemiologici, desertificazione, salifinicazione delle acque dolci e delle terre coltivabili;
c) fattori di carattere politico-religioso: integralismo come fattore di instabilità politica (Egitto, Algeria, Turchia, Libano e Israele) e fonte di terrorismo internazionale (Libia, rifugiati palestinesi, Algeria, Iran, Afghanistan);
Sarebbe un grave sbaglio se ci si avvicinasse alla comprensione del Mediterraneo come se questo mare fosse una singola entità; occorre conoscerne le diversità, nella comprensione del fatto che si tratta di una unità regionale complessa.
A questo proposito è stimolante iniziare queste riflessioni con le parole di un maestro dell’analisi storica del Mediterraneo, Fernand Braudel, il quale scriveva che questo mare è mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Yugoslavia…come spiegare l’essenza profonda del Mediterraneo……(1) . Vi sono le radici comuni della parte più profonda della civiltà italiana, francese, greca, spagnola, araba, berbera. La storia del Mediterraneo è la storia della marineria che è, ancora ai nostri giorni, un elemento non dissociabile dallo sviluppo di una storia economica e sociale.
E’ importante ricordare che il Mediterraneo è un mare. Tre sono le costanti fisiche e geografiche del Mediterraneo: è un mare aperto; è un mare immenso, è un mare che non è sempre molto ospitale. E sul mare, a Lepanto, nel XVI secolo si giocò il dominio terrestre dell’Impero ottomano, contro la cristianità. E ancora su questo mare si gioca la partita della stabilità e della sicurezza di una regione strategica.
1. Geografia e geopolitica. Il Mediterraneo è un modello primario di una notevole complessità geopolitica. E’ ancora uno degli spazi principali, nei quali, volontariamente o non, il mondo cosiddetto occidentale mette in gioco il proprio ruolo di potenza mondiale. E’ anche una nuova frontiera verso la quale l’Italia vuole e deve restare libera, pur nel rispetto degli accordi internazionali, di controllare i suoi approcci, di commerciare senza problemi e di restare fedele ai suoi principi, sempre nel quadro delle alleanze militari alle quali ha aderito. Geologicamente, il Mediterraneo è una zona di frattura: è qui che il grande continente africano si è separato da quello europeo e asiatico. Il continente africano e quello europeo hanno ancora un tenue filo di unione in due cardini o cerniere, (Turchia da una parte e Spagna-Marocco dall’altra: Dardanelli e Gibilterra): è lì che i due mondi si uniscono, si guardano, si affrontano. E’ uno spazio marittimo facilmente determinabile dal punto di vista geografico: è un mare interno delimitato dallo stretto di Gibilterra a Ovest e dalle coste del Medio Oriente a est. Con l’espressione Mar Mediterraneo s’intende il mar Egeo, il mar Adriatico, il mar Tirreno, il mare Ionio, il Golfo della Sirte o mare Libico, come si diceva nel passato. Bisogna altresì fare attenzione che, se da un punto di vista strettamente geografico, alcuni ritengono giustamente che il Mediterraneo finisca ai Dardanelli, da un punto di vista geopolitico, almeno, il Mar Nero è invece da considerarsi parte integrante di questo mare. Il Mediterraneo è luogo d’incontro di tre continenti: europeo, africano, asiatico. Qualche cifra: si stende su circa 3800-4000 Km. in lunghezza, 1200 in larghezza; circa venti stati si affacciano su questo mare o ne sono legati geograficamente con circa 200 milioni di abitanti.
2. Questa situazione di un Mediterraneo, centro del mondo conosciuto, ha iniziato a registrare cambiamenti nel corso del XVI secolo, conseguenze palesi della scoperta di un Nuovo Mondo. Dopo un periodo relativamente breve, per la storia dell’uomo, un periodo di tre secoli, durante i quali il settore non ha più avuto quell’importanza di cui aveva goduto precedentemente, il Mediterraneo ha visto progressivamente allargarsi di nuovo il suo orizzonte per divenire, soprattutto dopo qualche importante e significativa impresa, come l’apertura del Canale di Suez, elemento di unione di distese oceaniche, attirando questa volta nella lotta per il suo dominio, anche quelle potenze che non sono rivierasche. Gli Stati Uniti sono comparsi in questo settore strategico, sostituendosi ai precedenti colonizzatori, in particolare alla Francia e all’Inghilterra e diventando i dominatori di una parte almeno del Medio Oriente, con una forma di neocolonialismo politico, che attuano, sentendosi, secondo la loro stessa definizione più volte ripetuta, i gendarmi del mondo. Poco dopo di loro, anche la potente Unione Sovietica ha cercato il suo primato in quel mare, verso il quale, è doveroso ricordarlo, anche
l’impero degli Zar aveva da sempre cercato uno sbocco.
3. Il Mediterraneo é allo stesso tempo una unità organica, anche se questa opinione incontra non poche opposizioni. Il Mediterraneo è stato per lungo tempo il centro del mondo, anzi più che il centro del mondo, era il mondo stesso. Poi nuove scoperte geografiche hanno spostato l’asse dell’interesse mondiale da quel centro, finché la zona è tornata ad essere di grande importanza, già agli inizi di questo secolo, soprattutto a) per l’abbondanza di una materia strategica, della quale non si sono ancora trovati sostituti equivalenti su larga scala, l’oro nero, il petrolio, dal quale continua a dipendere l’andamento dell’economia globale di quella parte del mondo privo di questa risorsa(2); b) per l’abbondante produzione di gas; c) per la penuria di un altro importante elemento strategico l’acqua per la quale in realtà molte lotte si stanno conducendo, di carattere politico. Quello che è rimarchevole in questa regione, da ritenere a ragione un insieme unico, è certamente l’apparente diversità dei popoli che vi abitano, ma con alla base una serie di elementi comuni. Quello che è rimarchevole in questa regione, da ritenere a ragione un insieme unico organico, è la diversità dei popoli che vi abitavano e che vi abitano tuttora, diversità di popoli e di nazioni, diversità di religioni, diversità di scritture, ma con alla base elementi comuni. Gli stati che si affacciano sul Mediterraneo sono legati al suolo, al clima, ad un passato comune, ad una storia comune, a religioni che si combattono, ma che hanno elementi comuni e sono espressioni di uno stesso modo di intendere la spiritualità. Il Mediterraneo dunque riunisce le condizioni di base costitutive di una unità organica per storia, economia, geografia umana, culture, geologia, clima, vegetazione(3).
4. Un elemento di omogeneità, non si deve dimenticare è che le aree del Mediterraneo sono aree di commercio e non di produzione, escludendo quanto sopra ricordato circa il petrolio e il gas. Qualcosa che oggi sicuramente li accomuna, dal punto di vista economico, come sostiene Stefano Silvestri(4), è il fatto di essere aree di commercio più che di produzione, area di transiti, costellati da città-porto e, come nel passato da zone franche. Alcuni autori sostengono che questa caratteristica dell’omogeneità commerciale ne ha facilitato la frammentazione politica e la conflittualità, in una concorrenza difficile: quel che è vero è che la lotta per avere gli sbocchi al mare ha sempre generato massima conflittualità sia prima che dopo le due guerre mondiali, ma non solo in questa regione strategica. Il porto rappresenta commercialmente lo sbocco per le produzioni e quindi per l’incremento del commercio import-export ed è un elemento di valenza strategica in difesa e in offesa(5)
5. Difficoltà oggettive per un ordine complessivo nel Mediterraneo. Nel passato, i tentativi fatti per instaurarvi un ordine mediterraneo complessivo non hanno ottenuto risultati duraturi nel tempo, salvo forse che durante l’impero romano. Non vi è riuscito l’Impero bizantino. Non vi è riuscito quello ottomano. Non vi sono riuscite le potenze coloniali europee. Forse potrebbe riuscirvi la comunità delle nazioni nell’era che sempre più si caratterizza per essere quella di una globalizzazione integrale, dell’evoluzione tecnologica degli armamenti, delle comunicazioni, di un Intelligence, correctly used, che hanno sicuramente ampliato gli orizzonti strategici sia per la minaccia che per la risposta.
6. Più recentemente, il mondo, ingessato nel modello matematico e rigido del bipolarismo, trionfo dell’immobilismo caro agli spiriti più brillanti della tecnocrazia, è letteralmente imploso: le identità nazionali, sviluppatesi nel secolo scorso, con le diversità etniche e religiose, hanno fatto la loro riapparizione nella continuità di quello che erano sempre state, con le loro ideologie, cioè un vero mosaico: l’ambiente mediterraneo è allo stesso tempo europeo, balcanico, magrebino, cattolico, ortodosso, islamizzato e in piccola parte, ebreo. Vi hanno trovato spazio imperi, regni, beycati, sceiccati. Vi si trovano nel nostro secolo nuove e vecchie forme di governo: monarchia, repubblica, regimi totalitari e tutti gli stadi rappresentanti dell’evoluzione democratica, così come vi si trovano sicuramente tutti gli stadi dell’evoluzione economica, dall’agricoltura condotta con metodi ancora primitivi alle Sylicon Valley europee. Per complicare ulteriormente la situazione, in questo mare non vi è una frontiera stagna alle influenze reciproche dei grandi movimenti, che si intersecano in una reciproca compenetrazione e si scontrano a volte in modo complesso e assai insidioso.
7. Frontiera, dunque zona di contatto. Il Mediterraneo potrebbe essere in effetti una zona dall’equilibrio instabile, tra forze numerose, tra il nord e il sud, tra l’est e l’ovest, tra il Medio Oriente e il resto dell’universo, tra due civiltà e tre religioni, 17 paesi e più di 400 milioni di abitanti. In sostanza una frontiera in tutti i sensi possibili, focus di quel concentramento umano che ha visto nascere delle religioni e morire degli imperi tra i quali l’Egitto, poi la Grecia, poi Roma, poi Bisanzio, poi Costantinopoli. La Sublime Porta, dominio di grande civiltà e forti eredità culturali è stata smantellata non solo a causa della propria estensione e della progressiva impotenza politica e amministrativa – per quanto per molti secoli sia riuscita a concretare una difficile forma di coesione tra tanti popoli diversi -, ma anche dalla presenza grandemente invasiva, nell’Ottocento, della Francia e dell’Inghilterra: queste due potenze europee, in particolare, hanno importato nel settore mediorientale una nuova forma di capitalismo, che ha sovvertito equilibri economici, ormai precari, e quindi politici, che dimoravano non soltanto su una demografia mediocre e una economia tradizionale, ma anche su una relativa compattezza pre-capitalistica, data dai commerci marini; compattezza appunto sconvolta dai nuovi sistemi finanziari. Come però bene fa notare lo studioso francese André Nouschi(6), in un suo recentissimo e approfondito studio, con il capitalismo il Mediterraneo entra nel circuito economico mondiale e anche la circolazione delle merci e i trasporti, specialmente dopo l’apertura del canale di Suez, è stata incrementata fino a modificare definitivamente le caratteristiche economiche del pre-capitalismo.
8. In questi ultimi anni sempre più la Turchia è stata una cerniera e una frontiera avanzata: la sua doppia identità, europea e asiatica, eredità dell’Impero Ottomano, e la sua presenza nella Nato ne fanno un alleato prezioso, anche se obiettivamente piuttosto difficile, se non scomodo. Se, come sembra, la Turchia entrerà nella UE, forse prevarrà la sua anima europea; con la sua struttura statuale e la sua organizzazione interna potrebbe divenire il ponte più importante nel dialogo con l’Islam e con i paesi islamici, essendo la maggioranza dei suoi abitanti musulmana. E potrebbe anche, con la presenza delle sue numerose comunità in Europa essere anche in questo territorio un legame tra i cittadini europei di religione cristiana e quelli di religione musulmana, sempre più numerosi. Sembra inoltre essere lo stato islamico nel quale l’integralismo non riesca a prendere il potere o ad esercitare una forza di pressione che destabilizzi la politica locale, grazie soprattutto ad una classe militare tradizionalmente molto forte e determinata, che, erede del laicismo di Ataturk, non lascia spazi di potere a nuove istanze politiche ammantate di motivazioni religiose. E’ anche evidente che la situazione finanziaria turca fallimentare avrà riflessi importanti sui valori della moneta europea, l’Euro. Occorre dunque vigilare e sostenere Ankara, imponendo anche un maggiori rispetto per i diritti umani.
9. Il Mediterraneo è sempre stato forse troppo ricco di tensioni nate in forza di equilibri instabili, ognuno dei quali, in qualsiasi momento si confronta con altri nel suo ambiente con un gioco di fusioni e di fissioni: da questi equilibri instabili la seconda metà del Novecento ha ereditato una caldaia in ebollizione, una bomba potenzialmente forse pronta ad esplodere o forse mai, proprio per quegli equilibri instabili; tomba impossibile dell’umanità politica, perché sua culla continua. Ed è una culla perché così ha voluto la geografia e … la geografia è la sola costante della politica estera, come sosteneva Bismarck, non tralasciando, però, l’impatto dell’elemento “economia”, come è stato dimostrato ampiamente negli ultimi due secoli, in particolare.
10. Nell’analizzare la situazione attuale del Mediterraneo, vi è inoltre da considerare un episodio breve nel tempo, ma non marginale per la storia della regione: le conquiste coloniali, che non sono state regolarizzate sempre da trattati, poiché furono spesso la conseguenza di intese preventive sulla base delle compensazioni territoriali, che non tenevano in alcun conto le identità nazionali, pur presenti, le sovranità reali esistenti; che disposero di territori come se fossero stati sotto la propria sovranità nazionale. Un esempio: l’Inghilterra, sia pur per ragioni dichiaratamente umanitarie, dispose della sorte di un territorio, la Palestina, che non faceva parte del suo Impero, del suo territorio metropolitano e che, dopo la prima guerra mondiale, gli era stato consegnato in mandato, in vista di una futura indipendenza. Il territorio fu governato, diviso, smembrato, assegnato: si aprì così il conflitto arabo-israeliano che caratterizza ancora dopo cinquanta anni le vicende mediterranee. La pragmatica politica estera della Gran Bretagna nella prima parte del secolo XX fu diretta soprattutto a proteggere la via alle Indie, il suo impero coloniale; a mantenere la sua influenza e il suo potere nel Medio Oriente, considerato a ragione, una zona di grande importanza strategica.
11. Sulle rive di questo mare si affacciano due spazi terrestri che sono anche due spazi culturali, come ben fa notare Ian Lesser nei suoi studi(7): quello arabo è un importante spazio storico culturale che si pone di fronte e a contatto con il suo omologo dell’Occidente, in quanto spazio mediterraneo e quindi dialoga con l’Europa con tutte le sue risorse, la sua demografia e anche con le conseguenze dei suoi conflitti, in particolare quello arabo-palestinese. L’Europa non si è mai potuta sottrarre e non può sottrarsi a questo dialogo che la coinvolge sempre più direttamente, anche per via delle forti correnti migratorie che continuano a percorrere quel mare in ogni direzione, da secoli. Correnti migratorie che sono state più intense negli ultimi dieci anni, ma che sono state sempre una caratteristica di questo bacino, fin dall’antichità, dove il concetto di libero scambio delle merci e di mobilità delle persone era forse più ampio che nei due secoli immediatamente precedenti l’attuale. Queste correnti migratorie sono frutto di un fenomeno demografico di grande importanza: infatti la crescita demografica è stata molto più importante nei paesi a sud del Mediterraneo che nel resto dell’Europa – crescita demografica di alcune popolazioni che ancora oggi aumenta, anche fuori del territorio di origine. Il tutto unito a quel fenomeno al quale si accennava precedentemente, e cioè quello di un capitalismo nuovo per queste terre. Bisogna dire che tutto questo ha distrutto i solidi vincoli di una società tradizionale, formata dalla tribù e dalla famiglia allargata. Insieme al nuovo concetto di nazione e di nazione – identità nazionale, si sono spezzati legami precedenti molto forti; sono sparite strutture sociali tradizionali, dando origine ad una nuova diaspora che è divenuta sempre più intensa specialmente dopo la seconda guerra mondiale e nell’ultimo decennio. Peraltro vi è da considerare che con la spinta originaria di una emigrazione dalle campagne alle città si è verificato un primo movimento di umanità all’interno stesso dei vari paesi, che ha contribuito alla dissoluzione dei legami precedenti. L’inurbamento di molti elementi ha determinato anche sacche di sottoproletariato nelle città mediterranee che si sono espanse a vista d’occhio: il miraggio del salario sicuro, fosse esso dato da lavori edili o dal settore industrializzato, ha spopolato le campagne: prima nel settore nord del Mare, cioè in Europa; poi, con sequenza logica, dovuta anche alle speculazioni coloniali e postcoloniali, lo stesso fenomeno si è affermato sulla sponda sud del Mare, creando squilibri importanti in una società agricola e patriarcale, ma non industrializzata. Questo fenomeno ancora continua e in modo accentuato: il Cairo, ad esempio, che solo fino a pochi anni fa era già una grande megalopoli con cinque milioni di abitanti, conterebbe ora, secondo le più recenti stime, circa dieci milioni di abitanti: quanti di essi sono oltre la soglia della sopravvivenza! Quanti di essi godono di un salario sicuro e di una vita appena dignitosa? La differenza fra le classi sociali, già forte sotto il regno del Khedivé, cioè nel secolo scorso, che si era attenuata con il colpo militare del 1952 e la progressiva politica di Nasser a favore degli strati più deboli della popolazione, è ora sempre più forte e la forbice continua ad allargarsi, creando squilibri economici e forti tensioni sociali, che poi possono diventare preda di un qualsiasi fanatismo che prometta condizioni migliori.
12. Nei tre decenni che corrono fra la prima e la seconda guerra mondiale il Mediterraneo viene profondamente trasformato, in quanto i due conflitti hanno avuto conseguenze assolutamente nefaste per questa regione, dal punto di vista economico, sociale e strutturale. L’influenza degli ‘ismi’ europei non è stata senza conseguenze sulla sponda sud. Inoltre il secondo conflitto modifica radicalmente l’equilibrio delle forze nel Mediterraneo: Francia e Inghilterra spariscono quasi totalmente dal settore, anche per l’ostilità, non troppo celata dell’alleato Stati Uniti, che si considera il liberatore del mondo, il paladino delle libertà individuali e poi appunto il gendarme della pace. Le vicende dell’Iran, stato non propriamente mediterraneo, ma che ha avuto profonda influenza su questo settore negli ultimi venti anni, dimostrano come una politica occidentale non sempre corretta e soprattutto non sempre coerente, forse anche per mancanza di una conoscenza approfondita dei problemi del Golfo, ha avuto esiti nefasti per l’equilibrio delle forze e dei movimenti politici nel mondo islamico.
13. Le due guerre mondiali non alterarono la struttura originale del Mediterraneo, ma depositarono in profondità il seme del concetto dell’identità nazionale di valore europeo, contrapposto a quello islamico della ‘umma’ , cioè della nazione islamica. In effetti la ‘umma’ sembra essere più che altro essere un sogno utopico, perché almeno finora è ben radicato nel mondo musulmano il concetto di stato e delle sue frontiere, nell’accezione cosiddetta occidentale dell’organizzazione politico-burocratica di un territorio. Del resto è la forma organizzativa che si è imposta in quasi tutte le terre e che comunque sancisce l’ingresso nella comunità internazionale e ne legalizza l’appartenenza. Inoltre dal 1945 in poi il Mediterraneo è divenuto uno dei teatri del confronto fra le due superpotenze. Conseguenza della dottrina di Truman, si costituì la VI flotta americana nel 1948 per il Mediterraneo. Dopo arrivarono i sovietici con l’Escadra, ma molto più tardi, nel 1964. Le due superpotenze dunque si confrontarono in questo mare, mantenendo proprio con la loro presenza un equilibrio incredibilmente stabile in una destabilizzazione controllata, in una zona divenuta rischiosa e pericolosa, e, come si è visto, dagli equilibri invece assai precari. Con il secondo conflitto mondiale, che ebbe come teatro di guerra anche il settore sud del Mediterraneo, la coscienza del diritto alla propria indipendenza ha portato tutti gli stati rivieraschi a cercare la migliore formula per governarsi da soli e a credere di averla trovata, subito dopo aver conseguito l’indipendenza. Il diritto dei popoli all’autodeterminazione è stato la motivazione principale della politica iniziale del secondo dopoguerra, specialmente dopo la fine in Europa del fascismo e del nazismo che hanno mostrato all’intera umanità i pericoli insiti nel totalitarismo e hanno rinforzato il senso di nazionalismo sulla sponda sud.
14. La storia del Maghreb e del Mashreq è sicuramente contrassegnata da esempi di centri politici potenti (tradizione che si è indubbiamente rafforzata con l’impatto coloniale). Nel trentennio che segue la fine del conflitto, la politica del mondo mediorientale, come fa notare Nouschi(8), si divide in due scuole, quella filo sovietica con le caratteristiche della pianificazione e dell’autogestione e quella che ha per modello il mondo capitalista liberale, nel quale lo stato avrebbe solamente un ruolo di indirizzo e coordinamento. Intanto i nazionalismi locali che erano sbocciati durante il colonialismo, si sono rafforzati dopo il conflitto mondiale. Vi sono stati nazionalismi ‘coloniali’ quali ad esempio il sionismo: esso ha lasciato come pesante eredità il conflitto fra nazionalisti palestinesi e nazionalisti ebrei, oltre che la lotta delle due diverse credenze religiose.
15. Il nazionalismo di impronta europea ha anche agito come fiamma ravvivante di quello che era il nazionalismo arabo, non solo come contrapposizione alla concezione turco-ottomana o al panturchismo di Ataturk. Già prima della nascita di Israele come stato sovrano, il nazionalismo arabo aveva fatto la sua comparsa. La Lega Araba, costituita ancor prima della fine della seconda guerra mondiale, con sede al Cairo, ne è stata il portavoce più accreditato per decine di anni; quando al Cairo Neguib e poi Nasser presero il potere, la Voce degli Arabi di Radio Cairo si propagò in Medio Oriente, continuando a diffondere l’idea di un nazionalismo arabo e il prestigio egiziano continuò ad essere leader di quel mondo, come lo era stato durante l’impero ottomano. Con la personalità di Nasser, però, la Lega Araba, come istituzione, passa in secondo piano. E’ Nasser stesso, è la nazionalizzazione del Canale che ridà agli Arabi l’idea di una grande dignità che si fonda sulla grandezza della civiltà araba e sulla sua importanza nel mondo dei filosofi, dei pensatori, degli scrittori, dei matematici, cioè sull’importanza della civiltà araba nell’intera storia dell’umanità. E’ quello il periodo in cui si assiste ad una esaltazione di un nazionalismo arabo musulmano: i Fratelli musulmani, molto attivi in Egitto dal 1922 circa, hanno una notevole forza e acquistano sempre più visibilità con i loro programmi politici e sociali quali fare della moschea il centro religioso, sociale e culturale della comunità musulmana, considerando che esse lo sono, per loro funzione e loro istituzione. I Fratelli musulmani respingevano e respingono qualsiasi riferimento all’occidente e predicano un ritorno all’Islam purificato delle influenze occidentali, con l’applicazione della legge coranica, la sharia, nell’ambito del pubblico e del privato, perché solo quella è la legge che il musulmano deve seguire.
16. Uno degli errori più comuni che si commettono in occidente, riferendosi a questa regione è quello di confondere o di assimilare facilmente l’arabismo con l’Islam, ove invece meglio sarebbe per il Mediterraneo riferirsi ad un’area islamico-mediterranea che potrebbe così includere il mondo ottomano, che non è arabo ma musulmano; la Spagna che è stata anche arabo-islamico-giudea, o la Sicilia medioevale e moderna, in una storia dunque che comprende tutto il Mediterraneo. Corre dunque l’obbligo di tentare di delineare con semplicità alcune linee di miglior comprensione dell’Islam come religione e della concezione islamica dello stato come fattore politico aggregante, nonché degli ismi che si sono diffusi nel mondo islamico, sia esso arabo o non. Ma gli ismi pericolosi non si agitano solamente su una sponda del Mediterraneo. Anche i Balcani sono di nuovo in fiamme e i paesi europei non sono esenti da fiammate di terrorismi.
17. Alla luce della storia e dell’influenza che da sempre l’Islam ha avuto sulla concezione statuale – essendo il sacro e illuminato testo del Corano la legge che guida tutti i comportamenti politici, civili e sociali –, cioè di queste interazioni importanti, si può comprendere come storicamente si siano formate entità politiche durevoli basate su un profondo senso di identità collettiva. Si è a lungo parlato di concetto di nazione araba e di panarabismo: è indubbio che nel passato se ne è parlato, almeno nella percezione occidentale, soprattutto come alternativa al dominio imperialista. La consapevolezza delle proprie tradizioni culturali e religiose è motivo di orgoglio per tutte le popolazioni mediterranee.
18. La posizione geopolitica dei paesi del Maghreb e del Mashreq fa di questi stati una frontiera culturale, come si è sopra schematizzato, una linea politica ed economica di grande importanza, soprattutto dopo la fine della cosiddetta guerra fredda, con i profondi cambiamenti avvenuti nell’est europeo. Il rispetto dei diritti naturali dell’essere umano è profondamente inserito in tutte le sure del Corano. Se però si utilizza un testo religioso per adattarlo ad una politica di sopraffazione, ciò riguarda la parte meno nobile della natura dell’uomo. Ma questo è successo anche nel mondo occidentale, pur se qualche secolo fa.
19. L’Islam moderato può essere un ottimo fattore di espansione per la società del Vicino e Medio Oriente, che rispetta i locali valori tradizionali, uniti al desiderio di una vita democratica, anche se non intesa nel modo in cui viene applicata nel mondo occidentale. Occorre che quei governi e quelle popolazioni trovino la loro via alla democrazia, che non deve essere necessariamente strutturata come quella degli stati che da più lungo tempo ne hanno esperienza e che sono gli eredi diretti dell’Illuminismo, della Dichiarazione americana d’indipendenza, della Rivoluzione Francese e di quella Russa. Le esperienze politiche maturate con diverse tradizioni culturali e religiose non sono comunque e ovunque esportabili. Occorre che il mondo occidentale, in particolare l’Europa, comprenda questi tratti fondamentali dei suoi vicini al di là del Mediterraneo e li rispetti, aiutando, soprattutto dal punto di vista economico e finanziario, gli stati rivieraschi che ne hanno bisogno, a ricostruire una vita sociale e politica senza terrorismi e senza monopoli assurdi di potere. L’aiuto economico non deve essere di carattere neocoloniale, cioè badando ai profitti della propria economia, ma investendo in quei territori e reinvestendo gli utili lì stesso, fino al momento in cui gli stati non avviino una economia sana e bilanciata, che consenta la formazione di un numero adeguato di posti di lavoro. La pace sociale può essere musulmana e democratica, nel rispetto dei valori culturali algerini. Il colloquio da avviare è anche con i partiti islamici, senza averne una paura irrazionale o giudicando gli avvenimenti con pregiudizi e stereotipi radicati.
20. Ad esempio, attualmente un intervento del mondo occidentale in Algeria, che non sia esclusivamente economico, finanziario, di aiuto tecnologico per il progresso della nazione, sarebbe un grave errore. Il terrorismo deve finire, ma i mezzi per combatterlo non sono solo le armi e la repressione: sono il lavoro, il cibo, le case, l’istruzione, la pace sociale. Non bisogna dimenticare che i giovani sotto i trenta anni costituiscono la fascia più ampia della nazione algerina e quella che ha i maggiori problemi di adattamento. Ma l’Algeria è un paese dalle molte risorse, che, ben gestite, potrebbero efficacemente contrastare il terrorismo e i suoi finanziatori e assicurare stabilità alla nazione e alla regione mediterranea. Un’Algeria instabile o che cerchi di ottenere una leadership militare rispetto ai suoi confinanti potrebbe essere seriamente un problema per la sicurezza del Mediterraneo; non un’Algeria islamica moderata, integrata in una comunità europea allargata a sud e in una rete commerciale ed economica di progressivo sviluppo.
21. Attualmente l’Algeria può rappresentare decisamente un focolaio di insicurezza per la situazione generale strategica attuale, così come lo è la Palestina e il conflitto che la oppone ad Israele. Questi conflitti vanno risolti con la diplomazia e con i governi civili, evitando pericolosi interventi armati, ove possibile. Le missioni di “pace” siano veramente missioni di pace e non ulteriori fattori di instabilità locale. Se i movimenti islamici riusciranno a ricondurre la pace sociale in Algeria, devono essere accettati da tutto il mondo occidentale, con la consapevolezza che ogni popolo, nel rispetto dei diritti dell’uomo, ha il diritto e il dovere di scegliersi le forme di governo che desidera. Gli altri stati del consesso internazionale devono aiutare, soprattutto economicamente, in modo produttivo, gli stati con maggiori difficoltà a trovare la loro via di costruzione o di ricostruzione di una nazione. La popolazione algerina sembra aver compreso che deve risolvere i problemi con la forza della sua volontà. Se il governo al potere è un regime assoluto, deve essere isolato. Se il benessere e la sicurezza dell’Algeria passano attraverso un governo islamico, che rispetta i diritti umani, si accetti questa possibilità, senza respingere alcuna prospettiva, con una chiara condizione: che cessi il terrorismo e relazioni di civiltà riprendano tra i vari gruppi politici, per consentire lo sviluppo e il progresso della popolazione.
22. E’ vero anche i cambiamenti rivoluzionari avvenuti in quello che era l’impero sovietico nonché le accelerazioni politiche e economiche avvenute in Asia e in Africa stanno dando una diversa caratterizzazione ad alcune delle costanti politiche mediterranee e il fenomeno non è da sottovalutare.
23. I popoli del Mediterraneo da sempre si dividono in paesi a prevalente tradizione cristiana, paesi a prevalente tradizione arabo-islamica e un paese a prevalente tradizione ebraica. Pur avendo molto in comune, non sempre queste tradizioni sono riuscite a comprendersi e a convivere, forse anche perché spesso non si conoscono approfonditamente o non vogliono ammettere di conoscersi, rifiutando un dialogo che potrebbe essere invece fonte di benessere economico e sociale, come già lo è dove si è potuto concretizzare. Quello che per ora occorre mutare profondamente, nei paesi di tradizione cristiana, è una percezione convenzionale, stereotipa, dell’Islam. Commentatori, islamici e non, sono propensi a vedere l’Islam più come una religione nel senso occidentale della parola, ma bisogna ricordare che per l’Islam, la religione è la base sulla quale sono fondate e si integrano tutte le attività della società, economiche, sociali, intellettuali. La visione islamica permea di sé l’intera vita della società e degli individui, nel mondo islamico. Questo non vuol dire che la visione o la fede religiosa determinino in modo assoluto l’intero modo di vivere, perché ci sono vari aspetti, soprattutto nel mondo contemporaneo – anche per le influenze occidentali – che hanno una relativa autonomia, ma è pur vero che nell’insieme esercitano un certo controllo e una certa pressione.
24. E’ indubbio che i media occidentali attualmente presentino al proprio pubblico per lo più gli aspetti più inaccettabili dell’Islam: nella stampa quotidiana e in quella politica, l’Islam è quasi sempre rappresentato come una forza militante e violenta, intollerante, espansionista e ostile, rigidamente conservatore, arcaico e anacronistico e in ultima analisi, spesso brutale. E non viene fatta nessuna differenza fra quanto scritto dal Profeta e quelle che sono le interpretazioni degli scritti, elasticamente adattate, spesso, a una ricerca di potere o di pressione. Il sacro Libro del Corano non è solo uno dei più grandi e illuminati tra i libri profetici, ma è anche un capolavoro letterario di tutti i tempi. Accettato dai musulmani senza alcun dubbio, come rivelato a Maometto da Dio per mezzo dell’angelo Gabriele, 1300 anni fa, il Corano rappresenta la legge di base, le regole principali della condotta fondamentale per la vita degli arabi di osservanza musulmana. Certamente gli eventi della rivoluzione islamica in Iran, il modo in cui la legge islamica è stata imposta in Sudan, l’estremismo islamico in Egitto che ha portato all’assassinio di Sadat o il fanatismo dei militanti sciiti in Libano sono un esempio che fanno pendere la bilancia della percezione di questo mondo verso il modo in cui l’occidente vede l’Islam. Ma queste sono semplificazioni, banalizzazioni di quello che è in realtà l’Islam. Per esempio, le motivazioni per la militanza e la violenza, per la militanza violenta sono spesso assai complesse, e vanno da una innata pulsione che si può trovare nell’individuo di ogni società (la società cosiddetta occidentale ne ha molti esempi) alla reazione contro la militanza e la violenza di altre ideologie e spesso include anche un alto grado di auto difesa. Queste caratteristiche non sono confinate solo al mondo islamico, anche se molto spesso a questo si fa riferimento, quando si parla di fondamentalismo e integralismo. Le relazioni fra le autorità cristiane a Gerusalemme sotto il dominio degli ottomani, e la politica dei mandati, l’invasione sovietica dell’Afganistan, la liberazione teologica dell’America Latina, l’estremismo dei Sikh in India, l’attività del gruppo Baader-Meinhof e di altre simili organizzazioni sono esempi di quello che può suscitare la violenza ideologica e un fanatismo distruttivo. In molte discussioni l’Islam è stato troppo spesso presentato come qualcosa di molto diverso e ostile al mondo occidentale, anche se si deve riconoscere che da qualche anno a questa parte, in parte dovuto alla sempre più massiccia presenza di immigrati nella parte nord del mediterraneo, si stanno facendo notevoli sforzi per tentare di comprendere meglio quella civiltà e quei costumi. Ci sono molti parallelismi tra questa fede e le altre due che sono nate nella stessa culla, cristianesimo e ebraismo: lo stesso valore, ad esempio, viene dato al pellegrinaggio, alla coralità ecclesiale dell’adorazione, al valore spirituale del digiuno, alla morigeratezza e a una certa severità di costumi. Quasi le stesse proibizioni si riscontrano nelle tre religioni, e sia consentito aggiungere, lo stesso misoginismo. Concretamente ci sono differenze nei dettagli, nel modo di articolare il simbolismo. La sorgente dell’ispirazione può essere diversa, ma come Ibn Khaldun, Ibn Taaymiyya, al Mawardi e altri, nel passato e nel presente, hanno chiaramente riconosciuto, gli imperativi del potere da raggiungere nell’arena politica non sono differenti. L’applicazione pratica dei codici di comportamento è identica. Così come lo sono le regole di base per un vivere civile, per un vivere da essere umani, figli di uno Spirito Eletto, come lo si voglia chiamare, Jahvé, Dio o Allah. Indubbiamente, molti dei valori fondamentali etici e morali dell’Islam non sono sconosciuti, anzi sono molto familiari agli abitanti del mondo occidentale: la virtù, l’onestà, la compassione, la cura del bisognoso e del deprivato, la giustizia, la libertà, l’eguaglianza, la moderazione, il rispetto degli interessi altrui. Non tutto naturalmente viene sempre applicato nella vita di tutti i giorni, perché la natura umana è aggressiva, prepotente e per questo necessitano le regole di civile convivenza, sotto tutte le latitudini: e non ci sono primi della classe in nessun angolo del mondo contemporaneo, detentori dell’unica ricetta per la civiltà umana. Inoltre giustamente i pensatori musulmani insistono con regolarità sul fatto che i principi, le pratiche dell’etica delle altre ideologie erano consustanziali all’Islam fin dagli inizi e sono state spesso articolate, identificate, o definite nella rivelazione e nella prassi musulmana, mentre allo stesso tempo, gli stessi musulmani insistono sopra la distinzione e la separazione dell’Islam dalle altre ideologie. Ma queste interpretazioni di dotti e sapienti, nonché di letterati hanno fatto sì che esse siano state recepite in modo ostile nel mondo occidentale. L’Islam è molto più che una questione di fede o di dogma o di rituali. Offre linee guida per tutte le aree del comportamento umano. La guida viene data non solo per quanto riguarda le questioni concernenti la fede, ma anche per gli aspetti morali, sociali e gli standard culturali. Sono poi nel Corano quei principi generali che devono informare di sé la struttura etica, sociale, civile, economica e politica del mondo musulmano. E in certi casi la guida è data in forma di regole specifiche. La guida è stata elaborata lungo il corso di anni in un ben comprensibile codice di comportamenti. Ma poiché i principi e le regole stabilite nella rivelazione sono ideali e poiché la quasi totalità dell’Islam è influenzato dalla realtà e dalla pratica, la pratica attuale degli individui e della società è un importante elemento modificatore nell’identificare quello che i musulmani credono sia Islam da comprendere e da applicare. L’Islam, in se stesso, come religione e fondamento di pensiero non è un pericolo per la stabilità della regione, così come non lo è il cristianesimo o l’ebraismo. Il vero pericolo è dato dalle componenti politiche che dichiarano di ispirarsi o di uniformarsi alle leggi religiose, nel tentativo di arrivare ad esercitare un potere politico con ogni mezzo e per arrivare a questo fine scatenano la violenza, che è la vera nemica, insieme naturalmente a problemi sociali, come le migrazioni di massa, o a problemi economici, che indeboliscono le economie dei singoli stati, della stabilità della regione mediterranea, in una regione dove gli scontri sono stati poi incontri di civiltà diverse, ugualmente grandi e degne dell’essere umano.
25. E’ indubbio che nel corso degli ultimi cento anni i paesi che si affacciano sul mediterraneo siano molto cambiati, per quanto riguarda almeno il numero della popolazione passata dai 120-125 milioni degli inizi del secolo XIX ai 425-430 milioni dell’inizio del XXI secolo. L’aumento della popolazione è stato dovuto soprattutto alla sponda sud del mare, mentre anche in Europa la popolazione aumenta, ma ad un tasso di crescita decisamente inferiore. Nel già citato volume di André Nouschi(9), viene fatta una analisi molto interessante dei cambiamenti riscontrati nella regione negli ultimi cento anni: lo studioso francese fa notare che nel 1914 gli uomini erano per lo più dei contadini, dal 75 all’85%, mentre nella popolazione del 2000, la maggioranza sono cittadini (tra il 50 e il 70%); le città sono sovrappopolate mentre le campagne sono abbandonate, anche se in gran parte dell’Europa si sta assistendo al lento fenomeno della rivalutazione delle stesse e della vita agricola, organizzata però con metodi manageriali e su base industriale. Sempre più le megalopoli diventano numerose e le bidonvilles fanno parte delle grandi città. Questo accade sia a nord che a sud. Sempre più la forbice tra le varie classi sociali si amplia, invece di richiudersi.
26. Le tensioni sociali sono quindi forti, in un quadro complesso di grandi convergenze e forti contrasti: e su queste tensioni, soprattutto nel mondo musulmano si innestano l’integralismo e il fondamentalismo islamico. Sono due ismi sui quali molto discettano studiosi occidentali e molto discutono, cercando di comprendere a fondo la differenza fra questi due ismi. Volumi di articoli e saggi sono stati scritti su questo argomento. In questa sede non interessano tanto le interpretazioni dell’essenza delle denominazioni, quanto le conseguenze che essi possono avere non solo nel bacino considerato, come forza politica o di sovvertimento politico, che influenzano direttamente le vicende della comunità internazionale, destabilizzando intere regioni.
27. Relativamente al problema dell’emigrazione dalla sponda sud del Mediterraneo alla sponda nord, si può concordare con l’opinione di Fuller e Lesser(10), che l’esistenza delle comunità musulmane in Europa sono la sfida più importante all’Islam nel secolo XXI e possono diventare un vero elemento di destabilizzazione all’interno stesso dell’Europa, fin nella mittel Europa. Una destabilizzazione politica all’interno di alcune delle nazioni europee a causa di una non corretta organizzazione del problema immigrazione di matrice islamica o comunque clandestina, anche se non musulmana, può avere delle forti influenze su tutto il Mediterraneo, sponda nord e sud. Vi sono sempre state emigrazioni epocali di grande ampiezza e questi ultimi anni indicano che siamo in una di queste fasi. Grandi comunità musulmane hanno deciso di vivere in società secolari, delle quali non condividono molti aspetti della vita sociale, accettandone però i lati positivi dal punto di vista libertà, democrazia, assistenza sociale. Ma saranno proprio le comunità musulmane che vivono in Europa ad avere un peso influente sulle relazioni fra i paesi europei e quelli a sud del Mediterraneo e quindi ad essere uno degli elementi chiave per il mantenimento di una stabilità mediterranea.
28. Rivediamo ora più approfonditamente la situazione relativa ai fattori ambientali, cioè quei fattori che incidono sulla vita degli esseri umani a quelle latitudini. Da quando sono stati scoperti e sfruttati petrolio e gas, la loro produzione è aumentata in proporzione geometrica fino al 1979, si è ristretta dal 1979, anche a causa della risoluzione islamica in Iran e per il conflitto Iran-Iraq; dal 1985 ha ripreso a crescere continuamente, ma in modo inferiore al primo periodo. L’altalena dei prezzi ha sempre seguito le politiche dei vari stati produttori, e questo ha fatto sì che i grandi consumatori quali l’Europa e il Giappone, abbiano ridotto i consumi, cercando energie alternative, quali l’energia nucleare e l’energia eolica. Dal punto di vista delle energie alternative naturali quali quelle eoliche o solari, il Mediterraneo è ancora una volta pieno di risorse, possedendo in abbondanza queste due ultime energie, visto che le risorse idrocarburi sono limitate nel tempo (dai 50 ai 100 anni, se non si scoprono nuovi giacimenti remunerativi). Algeria, Libia e Egitto hanno petrolio per il prossimo trentennio, mentre le riserve di gas per Algeria e Libia sono più importanti e con più lunghe prospettive. Inoltre uno dei problemi che affanna il Mediterraneo è quello dell’inquinamento delle acque e dell’ambiente in genere.
29. Ben si sa che la vita dipende primariamente dall’acqua che non è inesauribile, come si credeva, fino a relativamente poco tempo fa. Le regioni più favorite sono quelle aperte ai venti dell’ovest e alle zone montagnose: vedi l’Anatolia, in Asia Minore; la catena dell’Atlante marocchino. Per i paesi dell’est e del Sud, l’acqua rappresenta circa il 7% della superficie totale. Al contrario le zone dove le precipitazioni sono inferiori a 400mm all’anno sono numerose, senza contare quelle che subiscono l’influenza del deserto. Le trasformazioni dell’economia e della demografia rendono la questione dell’acqua ancora più preoccupante. L’accrescimento della popolazione costituisce un primo fattore di squilibrio generale: l’esplosione urbana sempre meno controllata costituisce l’altro fattore di squilibrio che accelera il degrado della vita quotidiana. Quindi la crescita demografica, l’estensione delle superfici coltivate, lo sviluppo dell’industria e del turismo comportano un consumo sempre maggiore, soprattutto nelle città e questo aumento si è rivelato consistente soprattutto dopo gli anni ’60. Delle dighe sono state edificate nel Maghreb, in Spagna, in Turchia, in Egitto(11). Bisogna però considerare che le dighe non sono la soluzione più salutare per questi problemi. Si è visto con la diga di Assuan: dopo alcuni anni ha avuto un effetto destabilizzante sulla fauna nel delta del Nilo e sul suolo vicino dove la salinità è aumentata terribilmente. Malgrado tutte le precauzioni degli ingegneri, la diga si invasa sempre più e la quantità di acqua che riesce a fermare diminuisce di anno in anno. Peraltro i francesi avevano avuto una esperienza similare in Algeria nel secolo scorso. Nel 1985 l’Egitto era alla soglia minima di consumo di acqua per abitante (1000 m3) mentre in altri paesi come Israele e Giordania si era già ben al di là di questa soglia. Da molto tempo gli abitanti dell’Algeria hanno acqua solamente per qualche ora al giorno e qualche ora di notte. In tutti gli alberghi del Sud del Mediterraneo si raccomanda ai turisti di economizzare l’acqua. Al di là di questi problemi di natura domestica, il problema dell’acqua ha dei risvolti politici importanti di natura internazionale: ad esempio tra i paesi arabi e Israele per le acque del Giordano; tra la Turchia e i suoi vicini Siriani e iracheni, perché i Turchi vogliono trattenere le acque del Tigri e dell’Eufrate, con il pretesto che le loro sorgenti sono in territorio anatolico. Il far rimanere le acque di questi due fiumi in Anatolia fa correre un grave pericolo per gli altri paesi rivieraschi e bisogna convincere turchi e israeliani che non possono avere il monopolio di quei fiumi nel loro stesso interesse. Le acque del lago di Tiberiade si abbassano di anno in anno e i coloni devono avere la possibilità di irrigare i loro campi. Dove attingere l’acqua? Di già gli ingegneri idraulici israeliani hanno profondamente sfruttato le falde acquifere sotterranee per far fiorire i deserti e continuando così, la colonizzazione ebrea aggiunge minaccia alla minaccia per i palestinesi e la loro autonomia: da una parte interpreta gli accordi di Oslo a suo modo e dall’altra è una minaccia all’equilibrio ecologico delle regione, intesa in senso lato. D’altra parte la deforestazione e l’espansione urbana distruggono l’equilibrio vegetale che poi è indispensabile per trattenere le acque; ci si sforza di rimboschire, come cercano di fare Israele, Tunisia e Algeria chiedendo peraltro alla popolazione di partecipare con giornate apposite, anche per creare una coscienza ecologica. Ma basta tutto questo di fronte al consumo delle acque utilizzate dalle industrie e non riutilizzate, dopo accurata depurazione? E che dire dei rifiuti che le stesse industrie gettano nel Mar Mediterraneo? Ed ecco dunque che l’inquinamento ha dimensioni gigantesche in Europa e soprattutto nelle grandi città del sud. I canali del Cairo sono divenuti delle fogne a cielo aperto. Che dire di un bellissimo quartiere di Damasco, Ghouta, una volta oasi dal grande charme e ora quartiere urbano, mentre ad esempio l’oasi di Gades ha visto impiantarsi delle industrie? In molti porti sia europei che mediorientali, le acque utilizzate fluiscono in mare senza depurazione e continuano ad accrescere l’inquinamento dei mari che a loro volta inquinano le terre. Se l’acqua è importante altrettanto lo è la terra: ma le terre si stanno desertificando. La sterilità delle terre si sta estendendo dalla Grecia, al Maghreb, al Libano. Questa sterilità dei suoli rischia di accelerarsi se non vi sono programmi coordinati di rimboschimento e sfruttamento del suolo, con colture rotate e con l’uso attento delle acque. La lista delle devastazioni che riguardano milioni di ettari è vasta.
30. L’altro problema grave di quelle zone è il forte inquinamento del Mar Mediterraneo, considerato molto spesso la pattumiera di molti stati. L’inquinamento minaccia le coste ma minaccia soprattutto le attività economiche quali la pesca, innestando un ulteriore elemento di difficoltà in quel mare. Questi sono fenomeni che si stendono su un lungo periodo mentre le minacce più immediate dovute alla negligenza o all’indifferenza per preservare l’avvenire sembrano più gravi per la semplice vita degli uomini.
31. I paesi dell’Europa mediterranea hanno in comune l’esigenza di dover risolvere un insieme di problemi sociali che vengono comunemente definiti come problemi del sottosviluppo. E questi problemi hanno le stesse caratteristiche sostanziali sia a nord che a sud. E’ in atto un grande scontro non di religioni, ma di ideologie per il possesso del potere e soprattutto per l’esercizio del potere; di economie sviluppate che tendono alla globalizzazione per sopravvivere e prosperare, soprattutto.
Molti dunque sono gli elementi da valutare per comprendere e tentare di analizzare quanto sta avvenendo nel Mediterraneo.
E’ evidente che l’emergere di un Islam duro, purificato dalle sue scorie ‘coloniali’, è la nota dominante dei paesi a sud del Mediterraneo e anche nell’est europeo (qui, insieme a nazionalismi mai sopiti), ma è, da una parte, una reazione di rivalutazione di valori, rispetto ad un degrado degli stessi, che si è andato progressivamente appesantendo nel periodo post bellico nella sponda nord del Mare. Dall’altra è il riemergere di antiche contrapposizioni culturali ed economiche, soprattutto. Per questa ragione con la bandiera dell‘Islam si agitano rivendicazioni socio-economiche e un forte desiderio di esercizio del potere.
Alla pace e ai principi imposti agli inizi di secolo dalle potenze europee, si sono sostituite guerre fratricide, guerre civili per la supremazia del potere e l’imposizione della propria visione di sviluppo economico e di rapporti con i paesi non islamici. Problemi interni che hanno però grande rilevanza esterna. Tanto più ora che l’emigrazione delle popolazioni della riva sud verso il nord ha portato questi problemi fuori dal territorio metropolitano, nei paesi europei di insediamento. Le fratture tra membri delle stesse comunità sono più frequenti di quel che non si pensi e riproducono, anche se in modo diverso, le differenze di ideologia che si presentano nella madrepatria.
Per riassumere sinteticamente quanto fino ad ora analizzato sia pur con brevi note, su problemi sociali, problemi economici, problemi ideologici ed integralismi, peraltro non solo musulmani, si può dire che il Mediterraneo è per eccellenza la regione dei conflitti, delle dominazioni, ma dei forti rapporti, economici e culturali, tra le diverse popolazioni che vivono e vivrebbero ancora di più, complessivamente nello stesso modo. Per evitare un pericolo o combattere un nemico, occorre conoscere bene il nemico e valutare nel giusto modo il pericolo, per evitare soprattutto di avere falsi obbiettivi e disperdere le forze che sono sempre troppo poche.
Il vero pericolo per una stabilità nel Mediterraneo non è l’Islam, come religione o come modo di vivere, anche se alcuni problemi, quali quello del velo per le donne, potrebbero far intendere in tal maniera. Il vero pericolo è l’instabilità economica, la recessione, l’ineguaglianza continua delle risorse e il loro non equo sfruttamento, che può alimentare il fuoco degli ismi, fino a farlo divenire incendio divampato. Un esempio: la guerra fra arabi e israeliani è forse anche guerra di ideologia, certamente, ma è soprattutto guerra per le terre da coltivare e sulle quali vivere, terre che in origine appartenevano a tutti i palestinesi, cristiani o musulmani che fossero. Guerra per vivere sul proprio territorio. Oltre a questo la Palestina è stata anche un terreno di prova e di conflitto per le superpotenze mondiali. Ove la situazione economica è molto carente, estremismi di carattere terroristico, di qualsiasi matrice siano, hanno ottima presa
Il pericolo è una seria mancanza di dialogo, di reciproca conoscenza, di reciproco rispetto, di squilibri economici, di mancato riconoscimento dei più elementari diritti umani: ma questo non avviene quasi mai per motivi ‘religiosi’, ma per la mancanza di una democrazia, peraltro non sempre da intendere secondo i canoni occidentali più integralisti in merito.
Il pericolo va studiato attentamente per non farlo diventare realtà, ma ove sia valutato non correttamente, si rischia a) di contrapporsi ove non vi sia reale bisogno e b) di lasciare varchi ove invece subdolamente si insinua un potere assoluto, politico o economico, che soffoca qualsiasi critica, pur parlando di religione o di democrazia. Questo può avvenire sulle sponde sud o sulle sponde nord del Mediterraneo.
E’ indubbio che la sicurezza post-guerra fredda è slittata dal centro dell’Europa alla periferia, specialmente verso il sud. Il risultato è che il Mediterraneo sta diventando molto importante nel futuro in termini di sicurezza locale e regionale.
E’ altresì indubbio che specialmente sulla sponda sud di questo Mare sono presenti tutti gli elementi che portano ad una instabilità politica e alla mancanza di sicurezza. Ancora una volta, però, occorre ben comprendere dove sono i veri pericoli, evitando di combattere falsi obiettivi. La situazione si presenta molto complessa e deve essere studiata, non solo con moderni mezzi messi a disposizione dalla avanzata tecnica satellitare e informatica contemporanea, ma con presenze conoscitive e ricognitive sul posto, perché solo la mente umana può dare le giuste coordinate, se a corredo di queste ricognizioni vi è una profonda conoscenza del territorio, della sua storia e dei suoi problemi passati e in essere.
NOTE:
(1) Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bompiani, Milano, 1992, p. 7.
(2) Ben aveva compreso l’importanza del petrolio alla vigilia della prima guerra mondiale Winston Churchill, allora Primo Lord dell’Ammiragliato: era stato interessato da Sir Francis Hopwood all’acquisto, per conto della Marina britannica, delle azioni della Compagnia concessionaria dello sfruttamento del petrolio in Persia. Per fare approvare tale acquisto alla Camera dei Comuni, che tendeva a non accettare l’offerta, egli disse tra l’altro:…nobody cares in war time how much they pay for a vital commodity…but in peace, price is rather an important matter…in years of peace we may acquire proper bargaining prices…the demand for oil is steady and is growing…There is a great potential demand behind…because once people are commmitted to the use of oil for engine….it is not possible for them to go back to coal… Questo parole furono dette il 17 giugno 1914.
(3) Così scrive Bichara Kader in Il Mediterraneo. Popoli e risorse verso uno spazio economico comune di Agostino Spataro- Bichara Kader , Edizioni Associate, Palermo, 1993, p. 3.
(4) Stefano Silvestri, Il quadro strategico del Mediterraneo unità o frammentazione, in Il Mediterraneo quale elemento del potere marittimo, Acta del Convegno di Storia Militare 16-18 settembre 1998 , Roma, 1998, pp. 357-363.
(5) Ben lo sapevano i siriani quando nel periodo 1936-1939 tentarono in tutte le sedi internazionali di fare in modo che il porto di Alessandretta (attualmente Iskenderun, nella regione turca dell’Hatay), nell’omonimo Golfo, e il territorio circostante non fosse annesso ai turchi e fosse invece parte integrante della Siria. Il porto rappresentava la possibilità di sbocco al mare per i prodotti di tutta la regione di Aleppo e una posizione strategica di primaria importanza. Ancora oggi questo porto ha una notevole importanza strategica nel quadro dell’Alleanza Atlantica.
(6) La Méditerranée au 20e siècle, Armand Colin, Parigi, 1999, p.5.
(7) Ian Lesser- Ashley J. Tellis, Strategic exposure. Proliferation around the Mediterranean, Rand Institute, California, 1996.
(8) Cit., p. 171.
(9) Cit., p.333 e seguenti.
(10) Graham Fuller e Ian Lesser, A sense of siege. The geopolitics of Islam and the West, Westview Press, A Rand Study, 1995, p.88.
(11) Si ricorda storicamente la diga naturale di Marib: la sua sparizione, dovuta probabilmente ad un terremoto, comunque a fatti naturali, ha provocato la siccità del territorio dello Yemen del Nord, una volta considerato Arabia felix, per la fecondità della sua terra.
NOTE:
(1) Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bompiani, Milano, 1992, p. 7.(2) Ben aveva compreso l’importanza del petrolio alla vigilia della prima guerra mondiale Winston Churchill, allora Primo Lord dell’Ammiragliato: era stato interessato da Sir Francis Hopwood all’acquisto, per conto della Marina britannica, delle azioni della Compagnia concessionaria dello sfruttamento del petrolio in Persia. Per fare approvare tale acquisto alla Camera dei Comuni, che tendeva a non accettare l’offerta, egli disse tra l’altro:…nobody cares in war time how much they pay for a vital commodity…but in peace, price is rather an important matter…in years of peace we may acquire proper bargaining prices…the demand for oil is steady and is growing…There is a great potential demand behind…because once people are commmitted to the use of oil for engine….it is not possible for them to go back to coal… Questo parole furono dette il 17 giugno 1914.(3) Così scrive Bichara Kader in Il Mediterraneo. Popoli e risorse verso uno spazio economico comune di Agostino Spataro- Bichara Kader , Edizioni Associate, Palermo, 1993, p. 3.(4) Stefano Silvestri, Il quadro strategico del Mediterraneo unità o frammentazione, in Il Mediterraneo quale elemento del potere marittimo, Acta del Convegno di Storia Militare 16-18 settembre 1998 , Roma, 1998, pp. 357-363.(5) Ben lo sapevano i siriani quando nel periodo 1936-1939 tentarono in tutte le sedi internazionali di fare in modo che il porto di Alessandretta (attualmente Iskenderun, nella regione turca dell’Hatay), nell’omonimo Golfo, e il territorio circostante non fosse annesso ai turchi e fosse invece parte integrante della Siria. Il porto rappresentava la possibilità di sbocco al mare per i prodotti di tutta la regione di Aleppo e una posizione strategica di primaria importanza. Ancora oggi questo porto ha una notevole importanza strategica nel quadro dell’Alleanza Atlantica.(6) La Méditerranée au 20e siècle, Armand Colin, Parigi, 1999, p.5.(7) Ian Lesser- Ashley J. Tellis, Strategic exposure. Proliferation around the Mediterranean, Rand Institute, California, 1996.(8) Cit., p. 171.(9) Cit., p.333 e seguenti.(10) Graham Fuller e Ian Lesser, A sense of siege. The geopolitics of Islam and the West, Westview Press, A Rand Study, 1995, p.88.(11) Si ricorda storicamente la diga naturale di Marib: la sua sparizione, dovuta probabilmente ad un terremoto, comunque a fatti naturali, ha provocato la siccità del territorio dello Yemen del Nord, una volta considerato Arabia felix, per la fecondità della sua terra.
NOTE:
(1) Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bompiani, Milano, 1992, p. 7.
(2) Ben aveva compreso l’importanza del petrolio alla vigilia della prima guerra mondiale Winston Churchill, allora Primo Lord dell’Ammiragliato: era stato interessato da Sir Francis Hopwood all’acquisto, per conto della Marina britannica, delle azioni della Compagnia concessionaria dello sfruttamento del petrolio in Persia. Per fare approvare tale acquisto alla Camera dei Comuni, che tendeva a non accettare l’offerta, egli disse tra l’altro:…nobody cares in war time how much they pay for a vital commodity…but in peace, price is rather an important matter…in years of peace we may acquire proper bargaining prices…the demand for oil is steady and is growing…There is a great potential demand behind…because once people are commmitted to the use of oil for engine….it is not possible for them to go back to coal… Questo parole furono dette il 17 giugno 1914.
(3) Così scrive Bichara Kader in Il Mediterraneo. Popoli e risorse verso uno spazio economico comune di Agostino Spataro- Bichara Kader , Edizioni Associate, Palermo, 1993, p. 3.
(4) Stefano Silvestri, Il quadro strategico del Mediterraneo unità o frammentazione, in Il Mediterraneo quale elemento del potere marittimo, Acta del Convegno di Storia Militare 16-18 settembre 1998 , Roma, 1998, pp. 357-363.
(5) Ben lo sapevano i siriani quando nel periodo 1936-1939 tentarono in tutte le sedi internazionali di fare in modo che il porto di Alessandretta (attualmente Iskenderun, nella regione turca dell’Hatay), nell’omonimo Golfo, e il territorio circostante non fosse annesso ai turchi e fosse invece parte integrante della Siria. Il porto rappresentava la possibilità di sbocco al mare per i prodotti di tutta la regione di Aleppo e una posizione strategica di primaria importanza. Ancora oggi questo porto ha una notevole importanza strategica nel quadro dell’Alleanza Atlantica.
(6) La Méditerranée au 20e siècle, Armand Colin, Parigi, 1999, p.5.
(7) Ian Lesser- Ashley J. Tellis, Strategic exposure. Proliferation around the Mediterranean, Rand Institute, California, 1996.
(8) Cit., p. 171.
(9) Cit., p.333 e seguenti.
(10) Graham Fuller e Ian Lesser, A sense of siege. The geopolitics of Islam and the West, Westview Press, A Rand Study, 1995, p.88.
(11) Si ricorda storicamente la diga naturale di Marib: la sua sparizione, dovuta probabilmente ad un terremoto, comunque a fatti naturali, ha provocato la siccità del territorio dello Yemen del Nord, una volta considerato Arabia felix, per la fecondità della sua terra