Gli scritti di Angelina Lanza (1879-1936) offrono brevi, intensi flash sulle vicende storiche e sociali del suo tempo. Gli eventi drammatici della propria vita e la profonda Fede l’avevano portata a guardare con distacco gli avvenimenti storici anche a causa di tragiche coincidenze, come la fine della guerra che si traduceva in motivo di grande tristezza familiare: “4 novembre […]. La data della vittoria – scriveva nel suo Diario spirituale – ma anche la data della malattia di Antonietta”(1). La morte della figlia(2) – annotava nel Quaderno di pensieri (1898-1918), in una traccia di articolo sul Femminismo che per la prima volta viene pubblicato in appendice al presente lavoro – la faceva riflettere sull’importanza del distacco dalla vita tanto da farle dire di non potere più generalizzare sull’argomento e di avere ormai solo una forma di vita: “il silenzio in Dio, il dovere per piacere a Dio”(3).
I cenni alla guerra ci svelano il dolore per i caduti, l’amor di patria ma anche la profonda pietà verso il nemico: “Anche i nemici – scrive la Lanza ricordando un pensiero di Antonietta – sono uomini e soffrono e combattono con fede per il loro paese”(4).
Spesso una lettura le dava la possibilità di meditare sulle drammatiche piaghe della società moderna come quando, nel settembre del 1935, un anno prima della morte, rilegge La Capanna dello zio Tom, libro che aveva conosciuto per la prima volta da bambina. A distanza di tanti anni il romanzo di Harriet Beecher Stowe – autrice, a suo avviso “cattolica”, “tanto è il vero e profondo spirito del Vangelo che anima tutto il libro” – le sembrava un inno contro la schiavitù. In quel romanzo ella vi trovò una critica acerba contro i pastori protestanti che prendevano a testo la Bibbia per giustificare la schiavitù e nei protagonisti Evangelina e Tom vi trovò, come ella scrive, “due anime che si offrono vittime per liberare il loro paese dall’orrore della schiavitù”(5), due anime, una appartenente alla classe degli oppressori, l’altro a quella degli oppressi.
Dalle riflessioni di Angelina Lanza si desume una concezione della realtà storica non completamente autonoma ma che ha un intrinseco rapporto con la Provvidenza divina; una storia che – come affermava Sant’Agostino, autore caro alla scrittrice palermitana(6) – è retta dalla Provvidenza superiore che ha nel Cristo l’alfa e l’omega, il significato ultimo(7). La Lanza riprende tale concezione agostiniana e vichiana(8) della storia, secondo cui il mondo delle nazioni non si può intendere se non in rapporto all’ordine provvidenziale e alla storia ideale eterna(9). Nella lotta tra bene e male, pertanto, quest’ultimo non avrà mai peso sul fine dei fini poiché la ragione storica è la costante tensione degli uomini verso il bene.
Ella cercava di interpretare tutti gli eventi politici o sociali alla luce del messaggio evangelico. In pieno fascismo, ad esempio, non troviamo giudizi o prese di posizione; una sola volta, nel suo Diario spirituale, riferisce che le parole di Mussolini sul riarmo le avevano dato da pensare(10) ma che meditare su tali cose significava per lei deconcentrarsi dal suo cammino spirituale convinta che le distrazioni “mondane” e il troppo parlare mal si confacevano con una vita dedicata a Dio(11). Dai suoi scritti, invece, emergono più volte sintetiche e intense critiche alla potenza sovietica. Le drammatiche notizie che apprendeva sulla vita politica e sociale russa la spingevano a pregare Dio affinché le nazioni cattoliche fossero liberate dal pericolo del comunismo. La “Voce”(12) la rassicurava e le diceva che le “lordure” ammassate dagli uomini sulla terra erano talmente tante che sarebbe stato indispensabile che le colpe fossero espiate e che “un immenso incendio”, con la sua grande opera distruttrice, finalmente ricostruisse una terra di pace e di ordine(13). Già nel 1899, ella, nonostante dichiarasse di non considerare le rivoluzioni “veramente sintomi di progresso” poiché “quasi sempre dopo […] le cose tornano allo stato antico”(14) a causa della forza del “partito conservatore”, finiva per affermare che l’evoluzione, e dunque il progresso, dopo molti tentativi e dopo “un lungo lavorio segreto […] si compie inesorabilmente, e non v’è conservazione possibile”(15).
La lotta, l’antagonismo, il conflitto, diventavano fattori distruttivi ma necessari per l’avanzamento sociale e umano. Ed è l’eterogenesi dei fini, come azione costante e interna all’uomo che lo spinge ad elevarsi e realizzarsi razionalmente – segno dell’intervento divino – a farle dire che anche la “cecità” degli uomini di governo rientrava in un disegno divino.
Il Cristianesimo, pertanto, aveva avuto e avrebbe continuato ad avere una sua funzione storica. E a favore del continuo progresso del cattolicesimo la Lanza annotava due argomenti: uno inverso “il più forte del mondo” e uno diretto con un “valore tutto interiore e spirituale”(16). Il primo argomento scaturiva dal fatto che il grande disordine, la “troppa follia collettiva sulla terra” avrebbero inevitabilmente portato ad un grande urto dal quale sarebbe nato un nuovo ordine indirizzato proprio dal Cristianesimo. L’argomento diretto, invece, partiva dalla considerazione che c’era troppa “santità nascosta”, troppa ricchezza spirituale che “serpeggiava per la terra” anche attraverso le missioni; c’era troppo spirito di sacrificio, troppa “volontà di immolazione” perché “da questa linfa segreta non [dovesse], al momento segnato da Dio, prorompere una generazione nuova, un popolo d’anime elette, o almeno una classe di “conduttori di plebi”, che [risolvesse] tutti i problemi più spaventosi d’oggi, con una formula sola: quella del Vangelo attuato e vissuto”(17). La stessa giustizia intesa non solo come “santità personale” ma anche come equità pubblica, tanto “ardentemente invocata” da milioni di persone, certamente, prima o poi, attraverso “tutte le crisi e tutti i disastri politici e sociali” avrebbe raggiunto il suo fine.
L’appassionata Fede nella Provvidenza divina e nel progresso umano le faceva capire che forse l’”imperversare dello spirito di follia dispotica – vera “follia imperatoria” che [appariva], in Russia e altrove, come fenomeno storico – [fosse] un’altra permissione divina”. La Russia aveva ristabilito la schiavitù come ultimo termine di civiltà e tale degenerazione, a suo avviso, sarebbe stata superata dalla violenza di una “disperata volontà di giustizia” che avrebbe portato l’umanità agli ultimi eccessi e, oltre questi, al raggiungimento del suo fine. La sua spiegazione era che quel disordine doveva arrivare sino al suo culmine poiché “l’urto [doveva essere] castigo, e, insieme, incendio purificatore”.
Angelina Lanza scriveva tali considerazioni negli anni 1932-1936 caratterizzati dall’intensa attività di “lavoro di formichetta” – come amava definirlo – nella missione di apostolato rosminiano(18). Sono gli anni in cui scrive il suo Testamento spirituale, in cui pubblica anonimo il volumetto La completa offerta di sé(19).
Nel suo Testamento spirituale la scrittrice palermitana confessa che, nel periodo di crisi spirituale, la Chiesa cattolica le era apparsa tirannica “nei suoi mezzi di governo, umana nei suoi fini, dura nelle sue decisioni in materia di fede, finalmente povera di santità in molti suoi membri, dopo il [suo] atto di fede cieca, [le] apparve come l’edifizio fondato da Gesù Cristo e vivente nello Spirito Santo”(20). L’amore per la Chiesa le faceva apprezzare l’operato e gli scopi dell’Azione Cattolica in quanto istituzione le cui associazioni avevano il merito di educare i suoi membri, tra cui le donne(21), nell’esercizio dell’apostolato, creando una comunione spirituale necessaria affinché ogni fedele divenisse “vero apostolo”. E soprattutto le giovani donne, secondo la Lanza, dovevano essere educate a mantenere “viva la fiamma della volontà della fede”(22) affinché esse potessero godere di una superiorità morale e piena sicurezza di sé che le avrebbe fatte “grandi e sante” agli occhi dei figli. Volontà della fede che, “come tutte le forze doveva essere esercitata per mantenersi”(23) nella lotta “più frequente e più difficile”: quella con se stesse. Ma per imporre la volontà ai propri figli bisognava prima imporla a se stesse poiché “per sapere comandare bisogna prima sapere e volere ubbidire”(24).
Dopo la grande guerra, l’Azione Cattolica aveva ripreso la sua attività diffondendo anche un programma (30 gennaio 1919) per inneggiare “all’educazione della coscienza popolare e alla integra e franca osservanza dei doveri religiosi civili e sociali secondo gli insegnamenti della Chiesa, per rinsaldare sempre meglio il vincolo che deve unire tutti i cattolici italiani per l’affemazione e la difesa dei principi dai quali dipende la restaurazione cristiana della società”(25). E la prima forma di intervento dell’Unione donne consistette nell’assistenza alle famiglie dei reduci, ricovero bambini orfani e abbandonati, sostegno alle vedove(26); la Lanza condivise tale impegno sociale tanto che nel 1916 lavorò a favore dei soldati, nella sezione palermitana dell’”Alleanza femminile” del cui consiglio di amministrazione faceva parte il marito(27).
Sin dagli anni ‘20 ella partecipa alle riunioni del Segretariato Cultura Unione Cattolica Femminile; quegli incontri le facevano sentire il piacere di comunicare con persone della stessa Fede(28) però ella temeva che le troppe occupazioni mal si adattavano alla sua instabile salute; le sembrava che l’equilibrio raggiunto tra il suo essere un po’ Marta, simbolo della vita attiva, e un po’ Maria, immagine della vita contemplativa, fosse profondamente turbato dal predominio della prima sulla seconda: “Marta ridiventa assorbente e vuole comandare troppo”(29) annotava sul suo Diario spirituale.
Il 17 luglio 1933 partecipa alla prima riunione di dirigenti dell’Azione Cattolica(30). Padre Francesco Lauria, assistente ecclesiastico e parroco di Santa Maria Ausiliatrice, il 26 luglio le propone la direzione del gruppo parrocchiale di Azione Cattolica.
La Lanza aveva subito manifestato le sue perplessità circa la difficoltà di accettare un tale incarico ma dietro incoraggiamenti del padre Lauria aveva finito per acconsentire consapevole però che la carica non sarebbe durata a lungo “per le […] forze fisiche insufficienti, pei troppi doveri familiari, per la […] lentezza e incapacità”(31). Ancora una volta, il suo sentirsi più Maria che Marta, l’aveva spinta a chiedere conforto nella preghiera per essere strumento della volontà divina; capì che doveva compiere il suo dovere senza troppo angustiarsi; e dopo non pochi turbamenti e titubanze accettò quell’incarico più che per convinzione, per rispondere a un disegno provvidenziale. Su invito di Padre Lauria, si dedicò alla lettura di testi sulla dirigenza dell’Azione Cattolica e, in particolare, al libro Luci sul cammino, convincendosi sempre più che l’incarico di dirigente era “affar serio, che importa fatica, che richiede tempo e libertà di movimento in famiglia” tutte cose che a lei mancavano(32). Un punto, a suo avviso, non le si confaceva: la responsabilità personale della dirigente. Lauria cercò di risollevare la Lanza da quelle paure, affiancandole, in qualità di segretaria, Maria Migliori. La scrittrice palermitana continuò ad essere impensierita da quella carica: “non so – scriveva nel suo Diario spirituale – ho una sorta di ripugnanza, che non mi par tutta cagionata dalle difficoltà materiali: non è il lavoro per me, forse sono troppo esaurita fisicamente, o forse è il senso, divenuto abituale, dell’opposizione sistematica a tutto ciò che è “chiesa” e simili, che mi preavvisa e mi suggerisce: astieniti, per prudenza e per ubbidienza coniugale”(33).
Nonostante ciò, la Lanza si impegnò con grande operosità nella sua nuova mansione programmando le riunioni del Gruppo Donne dell’Azione Cattolica la cui attività si intensificò a partire dal 4 settembre 1933 dopo che un incontro preparatorio aveva dato inizio alla organizzazione(34); il Consiglio, invece, si riunì per la prima volta il 13 dicembre 1933(35). Nel suo primo discorso, tenuto il 26 dicembre, la Lanza incoraggiò il Gruppo a prodigarsi per il bene della collettività consapevole che l’inesperienza sarebbe stata superata dall’amore di Dio e convinta che la “formazione all’Azione cattolica ognuno deve farsela da sé, avvicinandosi molto a Gesù”(36).
L’impegno della Lanza rappresentò uno strumento di edificazione religiosa e di apostolato quotidiano in un periodo in cui l’Azione Cattolica era appena uscita da quell’adeguamento richiesto dagli accordi del 2 settembre 1931 che avevano smussato l’attrito tra Chiesa e Stato Italiano(37). Le donne guidate da Angelina Lanza si prodigarono in attività caritatevoli a favore dei ragazzi bisognosi della parrocchia. E lei stessa, nel suo Diario spirituale, racconta i pomeriggi passati a distribuire i doni accanto all’albero di Natale preparato con le altre iscritte(38). L’attività iniziata presso la parrocchia S. Maria Ausiliatrice di Palermo, superate le prime confessate titubanze, aveva immediatamente suscitato un grande interesse tanto che – come lei stessa annota – preferiva non uscire e conservare “le forze per andare alle riunioni”(39). I suoi discorsi erano quasi sempre preparati in anticipo e solo il 5 marzo 1934, lei stessa stupita, scrive che per la prima volta aveva parlato a braccio intorno al significato spirituale del distintivo di Azione Cattolica(40).
Ricevere il distintivo significava entrare ufficialmente e “visibilmente”, a far parte del grande movimento sociale, ancora giovane, ma che già si era diramato per tutta la vita della nazione e che doveva avere uno sviluppo ancora più significativo in avvenire. Il distintivo era “la bandiera al reggimento” dell’Azione Cattolica, un segno, un simbolo, una “vera consacrazione”. Nel riceverlo ogni donna, secondo la Lanza, doveva ricordare, se aveva mai assistito alla vestizione di una suora, la solennità con cui “viene consegnato ogni pezzo della […] nuova veste”. Ma queste cose “grandi” non erano per loro, “operaie della vigna”, alle quali era destinato il “semplicissimo e piccolissimo” segno di appartenenza. In quel simbolo ognuna di loro doveva vedere spiritualmente racchiuso tutto ciò che “forma l’appartenenza del soldato, uniforme e armi; e anche ciò che forma la forza segreta della suora, velo, cingolo, e cero acceso”. Il distintivo doveva rappresentare una piccola fiamma generatrice di volontà che per la Lanza si traduceva “in volontà di apostolato vero”. Da quel momento, le donne del Gruppo avrebbero dovuto promettere a Dio di servirLo e di fare in modo che la loro attività fosse tutta indirizzata al bene(41).
A volte le riunioni le apparivano “poco utili e poco significanti” e si rammaricava che Padre Lauria, suo Direttore spirituale, identificasse la “Sintesi della Minima Via delle piccole sorelle”(42), la profondità spirituale della congregazione di contemplative(43), con l’Azione Cattolica(44). Lauria, da “spirito pratico, tanto vivace, tanto fattivo di bene, dei salesiani”, come ella lo definiva, le consigliava di versare tutte le energie e i lumi(45) nella sua azione di dirigente del Gruppo Donne Cattoliche.
Il 16 maggio 1934 in occasione della giornata diocesana dell’Azione Cattolica, la Lanza partecipò alla conferenza tenuta da mons. Rota, sul testo del Vangelo “la trasfigurazione”. Rota riferì parole elevatissime soprattutto nel descrivere l’azione di Gesù quando presceglie un’anima e la prepara a qualche missione; quelle “parole – scrive Angelina Lanza – mi ferivano il cuore, una ad una; egli intendeva una cosa, la missione di dirigente dell’Azione Cattolica, io ne udivo un’altra”(46).
Nella seduta del 25 maggio furono nominate alcune consigliere e, in quella circostanza, ella presentò le sue dimissioni da presidente del Gruppo, dimissioni che don Lauria e la segretaria costrinsero a ritirare(47).
A suo avviso l’Azione Cattolica era ancora lontana dalla sua forma stabile ed efficace ma riteneva che il sentimento religioso di una fanciulla, educata in una famiglia cattolica, potesse essere sempre più affinato attraverso l’Azione Cattolica o le Dame di San Vincenzo de’ Paoli(48).
L’Azione Cattolica aveva il merito di accogliere e incanalare “tante e tante piccole e grandi attività, non solo di beneficenza materiale, ma anche di spirito d’apostolato, di diffuso rinnovamento interiore”(49). Essa aveva offerto ai cattolici l’occasione “di guardarsi in viso, di numerarsi, di darsi la mano”; aveva ricordato doveri e diritti di fronte alla società corrotta. E in tale difesa dei principi cattolici nella vita individuale e sociale stava, secondo la Lanza, la grandezza di tale istituzione.
NOTE:
* L’argomento è stato oggetto di una comunicazione presentata nella giornata di studi su Angelina Lanza. Diario Spirituale, tenuta a Palermo, presso la Facoltà Teologica di Sicilia, il 25 novembre 2000.
(1) A. LANZA DAMIANI, Diario spirituale 1924-1936, a cura di Peppino Pellegrino, Roma, Edizioni Spes – Fondazione Capograssi, 2000, p. 93. Si veda anche 4 novembre 1933, Ivi, p. 459. La Lanza aveva scritto una Preghiera per la vittoria, un vero inno
all’amor di patria e un omaggio ai caduti in guerra. Cfr. A. LANZA, Poesie, a cura di Peppino Pellegrino, Milazzo-Palermo, Spes – Thule, 1995, pp. 344-345. In questa interessante raccolta sono comprese alcune poesie dedicate ad eventi bellici come I reduci per l’arrivo dei primi feriti di Libia (31 ottobre 1911); In morte di Pietro Gullo ucciso a Bengasi il 12 marzo 1912 (Cfr. Ivi, pp. 339-341; 342-343).
(2) Il 12 dicembre 1918 muore di tifo Antonietta. Il 21 agosto 1922 muore di mediterranea l’altra figlia Maria Filippina.
(3) A. LANZA DAMIANI, 18 agosto 1919, in: Quaderno di pensieri (1898-1918). Tali pagine del quaderno – contenenti l’articolo Femminismo del 1899 e le postille aggiunte dall’autrice negli anni 1908, 1918 e 1919 – sono inedite. La copia dello scritto, conservato presso l’Archivio rosminiano di Stresa (Q. V. 7a), mi è stata gentilmente donata dal Prof. Peppino Pellegrino.
(4) A. LANZA DAMIANI, Testimonianze autobiografiche. Le figliuole, in. P. PELLEGRINO, Itinerario spirituale e artistico di Angelina Lanza Damiani, Milazzo, SPES, 19812, p. 33.
(5) A. LANZA DAMIANI, Diario spirituale 1924-1936, 2 settembre 1935, cit., p. 641.
(6) Nel suo Testamento spirituale l’autrice confessa di aver trovato in una pagina delle Confessioni di Sant’Agostino “la parola” che le avrebbe indicato la via, in un momento di sconforto e di crisi spirituale.
(7) Per un approfondimento si veda N. ABBAGNANO, S. Agostino, in: Storia della filosofia, vol. II, La filosofia medioevale (la Patristica e la Scolastica), Torino, UTET, 1993, pp. 64-83.
(8) Sul concetto di storia in Vico, si veda N. ABBAGNANO, Vico, in: Storia della filosofia, vol. IV, La filosofia moderna dei secoli XVII e XVIII, Torino, UTET, 1993, pp. 136-152.
(9)A. LANZA DAMIANI, Diario spirituale 1924-1936, cit., p. 147.
(10) Ivi, 25 maggio 1934, p. 555.
(11) Ivi, 18 agosto 1927, p. 54.
(12) Già nel giugno del 1921, a Mondello (PA), la Lanza aveva avuto le prime manifestazioni di ordine soprannaturale; ella comincia a percepire “locuzioni interne”, pronunciate da una Voce che esercita su di lei “un potentissimo ascendente per la straordinaria ricchezza di lumi, di grazia, di compensi celesti, con cui l’accompagna e la sostiene nella via della perfezione”. (P. PELLEGRINO, Nota bio-bibliografica, in: Diario spirituale, cit., p. 692)
(13) A. LANZA DAMIANI, Diario spirituale 1924-1936, cit., 20 marzo 1933, p. 358.
(14) A. LANZA DAMIANI, Femminismo,1° giugno 1899, in: Quaderno di pensieri (1898-1918), Archivio rosminiano, Stresa (Q. V. 7a).
(15) Ibidem.
(16) A. LANZA, Lettera a Silvia Reitano, 19 agosto 1934, in: Lettere, prefazione di P. Giuseppe Bozzetti, Milazzo-Stresa, SPES-SODALITAS, 19822 p. 144.
(17) Ibidem.
(18) La Lanza si impegnò per la diffusione di libri su Rosmini facendo in modo che le librerie San Paolo e Tumminelli di Palermo accettassero il deposito di materiale rosminiano. La scrittrice palermitana si impegnò anche a coinvolgere importanti studiosi come Giuseppe Amato Pojero, Giuseppe Maggiore, Giulio Bonafede, i sacerdoti Mariano Caldarella, mons. Mariano Campo. (Si veda P. PELLEGRINO, Nota bio-bibliografica, cit., p. 696).
(19) Il libricino, alla morte dell’autrice, suscitò l’interesse di Luigi Sturzo che, da Parigi, ne consigliò la lettura al fratello filosofo Mario, Vescovo di Piazza Armerina. Si veda L. STURZO – M. STURZO, Carteggio, IV, 1935-1940, a cura di Gabriele De Rosa, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1985, pp. 219; 226; 231.
(20) A. LANZA, Lettere, cit., pp. 251-252.
(21) Sul ruolo delle donne negli scritti di Angelina Lanza si veda C. GIURINTANO, La riflessione di Angelina Lanza sulla donna nella Chiesa e nella società,in: “Rassegna Siciliana di storia e cultura”, anno I, n. 2, dicembre 1997, pp. 57-64.
(22) A. LANZA DAMIANI, Femminismo, cit., testo riportato in appendice.
(23) Ibidem.
(24) Ibidem. “Saper comandare e ubbidire” era la virtù civica aristotelica quella, cioè, che distingueva il buon cittadino dall’uomo buono. Cfr. ARISTOTELE, Politica, III, 4, 1277 a-b.
(25) G. DE ANTONELLIS, Storia dell’Azione Cattolica, Milano, Rizzoli, 1987, p. 142.
(26) Ivi, p. 143.
(27) Cfr. P. PELLEGRINO, Nota bio-bibliografica, in: Diario spirituale, cit., p. 690.
(28) A. LANZA DAMIANI, Diario spirituale 1924-1936, 24 novembre 1926,cit., p. 35.
(29) Ivi, 18 luglio 1928, p. 76. Si veda Luca 10 (38-42).
(30) Ivi, 17 luglio 1933, p. 403. Nella parrocchia S. Maria Ausiliatrice di Palermo non risultano verbali delle riunioni del Gruppo Donne di Azione Cattolica.
(31) Ivi, 26 luglio 1933, p. 406.
(32) Ivi, 6 agosto 1933, pp. 415-416.
(33) Ivi, 6 agosto 1933, pp. 415-416.
(34) Ivi, 11 settembre 1933, p. 432.
(35) Ivi, 13 dicembre 1933, p. 477.
(36) Ivi, 26 dicembre 1933, p. 485.
(37) In base a tale accordo veniva stabilito che l’Azione Cattolica era essenzialmente diocesana e dipendente direttamente dai Vescovi “i quali ne scelgono i dirigenti ecclesiastici e laici” con esclusione di coloro che appartennero a partiti avversi al regime”. Il secondo punto del compromesso affermava che l’Azione Cattolica non ha nel suo programma la costituzione di associazioni professionali e sindacati di mestiere. Inoltre, i Circoli Giovanili facenti capo all’Azione Cattolica si sarebbero chiamati Associazioni Giovanili di Azione Cattolica. L’accordo di settembre portava una novità nei rapporti tra Azione Cattolica e appartenenza al Partito Nazionale Fascista poiché sopprimeva la precedente disposizione del 10 luglio 1931 sulla incompatibilità tra iscrizione al partito fascista e iscrizione alle organizzazioni dipendenti dall’Azione Cattolica. Si veda G. DE ANTONELLIS, op. cit., p. 171 e L. CIVARDI, Cenni storici dell’Azione Cattolica italiana (1865-1931), Estratto dalla VII edizione del “Manuale di Azione Cattolica”, Pavia, Editrice Vescovile Artigianelli 1933, pp. 107-111.
(38) A. LANZA DAMIANI, Diario spirituale 1924-1936, 11 gennaio 1934, cit., p. 495.
(39) Ivi, 15 gennaio 1934, p. 498.
(40) Ivi, 7 marzo 1934, p. 518.
(41) A. LANZA, Il distintivo di Azione Cattolica (1934), in: Pagine spirituali, II, Le virtù nascoste e altri scritti, Domodossola, Sodalitas, 1950, pp. 200-201.
(42) A. LANZA DAMIANI, Diario spirituale 1924-1936, 15 marzo 1934, cit., p. 519.
(43) Ivi, 7 marzo 1934, p.517.
(44) Ivi, 20 marzo 1934, p. 542.
(45) Ibidem.
(46) Ivi, 16 maggio 1934, p. 551.
(47) Ivi, 25 maggio 1934, p. 554.
(48) A. LANZA, Lettera a Giovanna Bellora-Sironi, 12 settembre 1932, in: Lettere, cit., p. 195. La signora Bellora-Sironi era un’ascritta rosminiana di Gallarate (Varese) che dopo la morte del marito rimase a capo di una avviata azienda tessile. (Si veda Diario Spirituale, nota a piè pagina 135).
(49) A. LANZA, Lettera a Silvia Reitano, 19 agosto 1934, in: Lettere, cit., pp. 143-144. Silvia Reitano era una scrittrice di novelle e poetessa legata alla Lanza da profonda amicizia testimoniata da ben 162 lettere conservate nell’Archivio rosminiano di Stresa. (Ivi, nota a piè pagina 79).