È con un certo senso di pochezza che mi accingo a ricordare adesso la figura di Renato Composto dopo quanto hanno già scritto di Lui Aldo D’Asdia e Salvatore Candido.
Aldo D’Asdia, suo più giovane amico, compartecipe di dolorose vicende di prigionia di guerra e poi collega quale preside di liceo, in un denso opuscolo fuori commercio, Lo ha rievocato tratteggiando la Sua personalità umana con commosse e commoventi parole.
Salvatore Candido, insigne storico del Risorgimento, purtroppo anch’egli scomparso, già collega e amico di Renato, quando erano entrambi studenti nell’Università di Palermo, in un saggio contenuto nel periodico Colapesce ha analizzato con competenza, anzi con autorevolezza, non disgiunta da cordiali reminiscenze, l’opera e gli originali contributi scientifici dati dal Composto.
Ma è anche con una particolare personale emozione che parlerò di Renato Composto, poiché posso dire di averlo da sempre conosciuto, fin dalla mia infanzia, per una relazione di parentela che mi legava a Lui, appena di me maggiore di cinque anni di età. E rivedendo una fotografia di un grande gruppo parentale, vecchia di tre quarti di secolo, mi ritrovo proprio accanto a Lui, come a voler manifestare, già da bambino, la mia ammirazione per Lui, che già nella cerchia familiare si faceva notare per la passione alla lettura e per la sua tranquilla avidità di sapere.
E mi piace subito dire che Renato, come rimase sempre riconoscibile nelle sembianze, pur attraverso le inevitabili modificazioni dovute al tempo, all’età, così conservò la sua caratteristica personalità, ove la serietà si accompagnava alla semplicità, la modestia ad un senso di dignità, con una inequivoca coerenza di comportamento in ogni frangente della vita, senza, nella sua maturità, alcun trasformismo ideologico, giustificativo di più convenienti adeguamenti pratici, e perciò anche severo con se stesso prima di essere severo con gli altri.
Ricordo poi Renato Composto all’Università, proprio al momento della sua felice laurea in Filosofia, mentre io vi entravo come matricola nella Facoltà di Giurisprudenza.
Il destino volle che dopo la seconda guerra mondiale ci ritrovassimo nelle istituzioni scolastiche secondarie (sia pure in ordini diversi, Lui al classico, io al tecnico), ove Egli mi precorse sia come insegnante sia come preside e ove già godeva di grande prestigio. Ma soprattutto ci ritrovammo appassionati alla ricerca storica. E così ricordo che di tanto in tanto mi faceva omaggio delle sue pubblicazioni con affettuose dediche che mi lusingavano (ad Armando caro come cugino e come amico). Negli ultimi tempi la vicinanza delle rispettive abitazioni ci permise una relativa frequenza, finché un giorno di dieci anni fa Renato mi telefonò informandomi che il giorno successivo sarebbe partito per Torino (ove già risiedeva suo figlio Attilio), per cagione della sua salute.
L’andai a trovare a casa. Fu praticamente il nostro addio in questa vita terrena, che effettivamente Renato, non molto tempo dopo, nel 1994, lasciò dal Piemonte, come un esule.
Per comprendere, spiegare e valutare l’attività storiografica di Renato Composto e la sua risonanza nella scienza storica occorre rifarsi alla sua personalità umana e alla sua condizione professionale. Renato, nato a Palermo e quivi cresciuto e, per quanto gli fu possibile, pure vissuto, apparteneva ad una normale ordinata caratteristica famiglia siciliana. Ma Renato, primo di tre figli maschi, quando era poco più che ragazzo, perdette il padre, morto precocemente e di cui quindi soffrì la mancanza, cui cercò di sopperire la madre, donna intelligente e virtuosa, che con saggezza assunse le redini della famiglia, dedicandosi all’educazione dei figli su solidi principi morali.
Con queste basi familiari Renato proseguì negli studi classici, umanistici, a Lui congeniali, con un senso dell’onestà e del dovere non soltanto nella vita privata, ma anche nella condizione di studente, di insegnante, di capo d’istituto e infine nella ricerca e nella pubblicistica storiografica, che è veramente valida se svolta con onestà e obiettività.
Renato Composto, seguendo le sue inclinazioni, si dedicò inizialmente alla speculazione e alla pubblicistica filosofica, ma poi, a partire dal 1954, Lo vediamo anche impegnarsi nella storiografia del Risorgimento con il saggio La borghesia siciliana di fronte al problema unitario nel 1860, pubblicato nella Rassegna storica del Risorgimento.
Il Composto in seguito pubblicò altri saggi nello stesso periodico, forse il più importante per la storia del Risorgimento, e parecchie memorie, note e recensioni nell’Archivio Storico Siciliano, nei Nuovi Quaderni del Meridione e in tanti altri periodici siciliani e anche non isolani. Varie volte intervenne con originali contributi in diversi convegni riguardanti fatti e personaggi del Risorgimento. Pubblicò, con i tipi di varie case editrici, diverse monografie attinenti sempre fondamentalmente l’Ottocento siciliano, mostrando conoscenza anzi padronanza di tutta la storiografia siciliana del Risorgimento, e particolarmente della pubblicistica periodica dell’Isola. Gli eventi su cui più particolarmente si soffermò vanno dalla Costituzione del 1812 alla rivoluzione del 1848-49, alla restaurazione borbonica, agli eventi connessi all’impresa dei Mille. I personaggi storici più particolarmente da Lui presi in considerazione furono Francesco Crispi, Michele Amari, lo storico e il suo omonimo Conte di S. Adriano, Francesco Ferrara, Francesco Paolo Perez, Gaetano De Pasquali da Licata. Ma tali fatti e personaggi, che danno luogo ai titoli dei suoi lavori, non sono che gli angoli visuali da cui viene prospettata dal Composto la società siciliana dell’Ottocento, nei suoi vari risvolti dalla famiglia alle varie istituzioni politiche.
Il Composto non è il semplice ricercatore che scopre un documento e lo pubblica, ma è un attento analista del documento, che anzitutto lo cerca nel luogo ove presuntivamente ritiene possa trovarsi. E non è il semplice narratore di ciò che ha appreso a seguito delle sue ricerche, né tanto meno il semplice coordinatore dei racconti altrui, ma è l’indagatore acuto, il narratore forbito e preciso e soprattutto, a conclusione della sua fatica, il critico, l’interprete dei fatti e dei personaggi per la ricostruzione della verità storica.
Renato Composto non parte da una precostituita tesi storica, che potrebbe anche essere, dietro le quinte, una tesi politica. Tra parentesi ricordo che Egli non svolse mai alcuna attività politica. E nella ricerca e nella pubblicistica storiografica Egli non mostra di seguire alcun maestro. Egli è un indipendente, che si è formato da sé, e come tale non può inquadrarsi in alcuna categoria o corrente di storici. Non liberale, non marxista, non clericale, né anticlericale, né unitarista di tendenza accentratrice, né antiunitarista di tendenza separatista etc. Potremmo dirlo uno storiografo puro, con una sua metodologia, con la quale, per la ricostruzione del personaggio o del fatto, va alle radici, a cominciare dall’anamnesi familiare dei soggetti, del loro ambiente, anche con una materiale visitazione dei luoghi ove vissero i personaggi o si verificarono gli eventi storici e con una stringata analisi non soltanto cartacea, ma anche e soprattutto delle cause psicologiche e sociali che determinarono le azioni dei singoli e i comportamenti delle masse.
Così il Composto non è mai un fanatico del personaggio o del movimento collettivo studiato, ma un indagatore che cerca di spiegare azioni e fatti, senza alcun punto esclamativo e senza tema, viceversa, di lasciare tanti punti interrogativi. Con la conseguenza che Egli non dà un giudizio sul personaggio, né tanto meno sull’avvenimento storico, lasciando al lettore, ad altri studiosi un eventuale discutibile giudizio.
Nelle numerose recensioni apparse qua e là in diversi periodici, Renato Composto mostra non soltanto una grande padronanza della letteratura storiografica dell’età moderna, ma anche un acuto senso critico e tratta con molto garbo, conforme al suo stile, gli autori recensiti, pur senza rinunziare ad opportune osservazioni anche su lavori di insigni storici e soprattutto a severe decise stroncature nei confronti di qualche sprovveduto autore che ha commesso banali errori per assoluta ignoranza di fatti storici elementari.
L’interpretazione complessiva del Risorgimento in Sicilia, cioè dei movimenti politici che portarono dall’inizio del secolo XIX all’impresa garibaldina è delineata sinteticamente da Renato Composto in uno dei suoi primi lavori di storiografia risorgimentale La coscienza politica siciliana dalla Costituzione del 1812 all’unificazione, pubblicato in un Annuario scolastico a Marsala nel 1962. Egli spiega come il movimento di unificazione si realizzò in Sicilia pur partendo da una iniziale aspirazione unionista federalista sentita congiuntamente sia dalla classe intellettuale (che noi ricordiamo essersi formata sulla base della cultura illuministica italiana ed europea in generale, più specificamente francese ed inglese) sia dalla aristocrazia siciliana decisamente antiborbonica, già dagli ultimi decenni del Settecento per i tentativi riformisti del Caracciolo e del Caramanico e poi ancor più per il colpo di Stato effettuato da re Ferdinando con il decreto dell’8 dicembre 1816, per il quale veniva costituito l’unico Regno delle Due Sicilie con l’accentramento dei poteri a Napoli e con la conseguente esclusione da ogni privilegio della classe aristocratica siciliana, che con la costituzione del 1812 si era trasformata, in poche parole, in una casta sociale privilegiata per diritto ereditario.
Il Composto rileva, intanto, l’evoluzione del ceto medio dopo il 1812 e la sua aspirazione a sostituirsi alla aristocrazia come classe dirigente, nonché dei fermenti anche nel ceto più basso, cosicché accanto alla tradizionale istanza indipendentista scorge affiancata una istanza sociale che ovviamente trovava facili agganci extraisolani.
Il Composto, al termine dell’analisi dell’evoluzione della coscienza politica in Sicilia, conclude che “Delle vicende successive all’unificazione alcune nascono da una coscienza popolare inappagata in quelle aspirazioni ad un rinnovamento sociale che avevano pure alimentato la rivolta dell’aprile 1860 ed avevano posto troppe speranze nell’azione garibaldina; quanto all’irrigidirsi delle correnti autonomistiche, esso non può essere scisso dall’imposizione degli angusti criteri accentratori dell’unitarismo piemontese”.
A simile conclusione arriverà il Composto alla fine del successivo e più ampio lavoro Giornali siciliani nella restaurazione borbonica, edito a Palermo nel 1972 dalla casa ed. Manfredi (in cui, con una rassegna della stampa periodica fatta con scrupolosa metodicità, veramente esemplare, vien messa in rilievo la italianità espressa dai redattori non filoborbonici), scrivendo: “Erreremmo a giudicare i sentimenti del decennio attraverso i sentimenti e i risentimenti suscitati dal nuovo stato unitario” (pag. 171).
Fra i contributi specifici dati dal Composto meritano di essere particolarmente segnalati il saggio su Michele Amari, Conte di S. Adriano, membro del Parlamento Siciliano del 1848, e il saggio su Gaetano De Pasquali, pure membro del Parlamento Siciliano, entrambi pubblicati nell’Archivio Storico Siciliano. E per dare la dimensione storica di quest’ultimo personaggio il Composto esordisce con queste sagge parole: “Non sempre e non a tutti coloro che esercitano il mestiere dello storico è dato affrontare i massimi problemi storici – i grandi eventi e le figure dei protagonisti – sì da ottenere che convergano interesse scientifico e motivi di suggestività. Ma la vicenda umana è pur intessuta dal concorrere infinito di azioni e d’eventi, ed assolve un suo compito anche l’operaio che analizza i risvolti particolari, minori, senza presumere che la propria analisi debba avere un valore paradigmatico ed insieme consapevole che soltanto le analisi preparatorie danno fondamento e giustificazione alle successive e più ambiziose sintesi”.
Ma il maggiore e costante interesse il Composto lo ha dimostrato verso Francesco Crispi con diverse opere (La giovinezza di Francesco Crispi, ed. Vittorietti, Palermo, 1972; Francesco Crispi da moderato a democratico, in A.S.S., Palermo, 1980; Una donna fra i Mille: Rosalia Montmasson-Crispi, ed. Novecento, Palermo, 1989) e con parecchie memorie e note apparse in A.S.S. e N.Q.M.
Si può dire che Egli sapesse tutto su Crispi, sui suoi genitori e su tutti i suoi parenti, sui vari luoghi di residenza, sui suoi viaggi, le sue donne, i suoi matrimoni, per mezzo e per effetto della puntigliosa esplorazione di archivi parrocchiali, anche all’estero, dell’Archivio Centrale dello Stato e di vari Archivi locali di Stato e anche privati e anche per la scrupolosa visitazione personale dei luoghi ove il Crispi visse o soltanto passò.
E tutto questo per potere capire, spiegare e in certo modo logicamente giustificare il comportamento e il pensiero politico del Crispi dalla sua giovinezza nella società siciliana alla sua maturità nel più ampio agone politico italiano. E il Composto ritiene di trovare la spiegazione del carattere di Francesco Crispi nelle sue origini: il padre, Tommaso, greco-albanese di Sicilia, precisamente di Palazzo Adriano, trapiantatosi per la gestione dei suoi beni a Ribera, in provincia di Agrigento, ove Francesco nacque e visse nell’infanzia. Il Composto mette quindi in risalto la particolarità delle origini etnico-religiose del Crispi e, nella formazione del suo pensiero politico, anche l’influsso delle origini borghesi. Del Crispi ricorda le prime manifestazioni infantili di ribellione, ma soprattutto di autoritarismo, ereditato dal padre, e l’aspirazione a farsi avanti, manifestata con l’attività giornalistica, con il tentativo di ottenere qualche ufficio nell’amministrazione borbonica, per cui non ebbe scrupolo alcuno ad avanzare anche suppliche alle autorità, ed infine col trasferimento a Napoli per ivi potersi meglio affermare nell’esercizio dell’avvocatura. Per il periodo della rivoluzione del 1848-49 il Composto analizza l’attività del Crispi nell’amministrazione governativa, particolarmente in quella della guerra, in cui mostra, il Crispi, di perorare provvedimenti energici, fra cui, anche, quello, non accolto, di una leva militare obbligatoria per resistere all’azione di riconquista della Sicilia da parte del Borbone. Il Composto si intrattiene anche abbastanza sui rapporti affettivi del Crispi fin dalla sua gioventù e perciò con le donne da lui sposate o non sposate e quindi sulle vicende giuridico-matrimoniali, sfruttate dai suoi oppositori politici, ma riesce a cogliere nel Crispi un velo di malinconia per la perdita della donna amata in gioventù e perduta insieme ai figli da lei aiuti.
Il lettore dei lavori del Composto sul Crispi potrebbe forse essere portato a dare un giudizio sullo stesso Crispi, ma Renato non ne dà alcuno. E non è facile darlo su chi, con tanti diversi aspetti, si è presentato alla ribalta delle vicende politiche italiane dell’Ottocento e la cui personalità, quindi, nella unificazione italiana, non è ad un livello inferiore di quelle di Mazzini, Cavour e Garibaldi.
Concludendo sull’attività storiografica di Renato Composto è da dire che conseguenza del Suo carattere e del Suo comportamento, scevri da ogni specie di servilismo, è che Egli poté arrivare soltanto tardi all’insegnamento, a livello universitario, di Storia del Risorgimento e che la Sua stessa attività, pur riscuotendo i dovuti apprezzamenti, non ebbe quella risonanza che meritava mentre era in vita. Ma la Sua attività, per la metodologia, per la Sua onestà di studioso, per i Suoi contributi nelle interpretazioni storiche è pienamente valida. E noi siamo qui per ricordarlo.