Teco sempre vogl’esser mia dolce Italia
Niccolò Tommaseo
"Il termine "foiba" è una corruzione dialettale del latino "fovea", che significa "fossa"; le foibe, infatti, sono voragini rocciose, a forma di imbuto rovesciato, create dall’erosione di corsi d’acqua; possono raggiungere i 200 metri di profondità. […]. In Istria sono state registrate più di 1.700 foibe"(1). Questa definizione si limita a descrivere una particolarità geologica del suolo carsico, ma non racconta nulla delle brutalità commesse dai partigiani comunisti di Tito nel corso degli anni della seconda guerra mondiale. In quelle cavità (alcune delle quali realizzate dall’uomo per scopi lavorativi), migliaia d’Italiani furono gettati col deliberato proposito di ripulire etnicamente un’area che per secoli aveva visto una nostra forte presenza, soprattutto nelle grandi città dell’Istria e lungo le coste della Dalmazia. Il velo del silenzio, calato per anni sopra questa triste vicenda, pare finalmente dissolversi. Resta, tuttavia, ancora molto da fare affinché il maggior numero di persone possa conoscere questi fatti, le circostanze in cui si svolsero, i personaggi che ebbero responsabilità, i nomi di coloro che ne furono protagonisti, alcuni imprigionati, torturati o uccisi per aver coltivato un’idea d’Italia che, dopo l’8 settembre 1943, non risiedeva più in quella regione.
Le foibe sono ormai divenute un simbolo del sacrificio in nome dell’italianità. Fra quei pallidi cristalli di sale e le immense caverne ove tortuose gallerie percorrono fiumane urlanti, riposano ancora i resti straziati(2) di tanti connazionali che nell’oscurità invocano solo che la loro storia sia narrata, soprattutto ai ragazzi, affinché la memoria non si tramuti mai in un registro esclusivo o peggio ancora adulterato.
Gli intenti formativi sottostanti le presenti pagine esigono un paio di constatazioni a margine, preliminari e reversibili: 1) per un verso è un paradosso che per educare alla vita si sia spesso costretti a parlar di atrocità, di violenze, di morte; 2) d’altro canto non lo è affatto, giacché proprio l’esigenza di promuovere i tratti della personalità umana dei più giovani implica il far capire loro che ogni giorno non è festa, che per le idee bisogna anche saper patire e che i doveri non sono un corollario ipotetico e secondario dei fondamentali diritti, bensì l’orizzonte lontano ma pur sempre radioso in cui si staglia la tersa aurora della libertà.
In questa sede non si vuol proporre una ricostruzione dei fatti concernenti gli avvenimenti che hanno insanguinato quelle terre sorelle fra il 1943/45 e il 1954, bensì offrirne una lettura in chiave pedagogica sulla scorta della legge 92/2004, così da poter tendere una mano a chi, dai profondi abissi del martirio, irrequieto si protende verso la luce per non essere dimenticato.
Come sta scritto all’entrata del cimitero di Zara: "Post tenebras lux".
I. La legge 92/2004: un’occasione per rinsaldare a scuola l’identità nazionale
La legge 28 marzo 2003, n. 53 "Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale", all’art. 2 "Sistema educativo di istruzione e di formazione", comma 1, lettera b. "principi e criteri direttivi", così recita: "Sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea"(3).
La Scuola, dunque, fra i suoi tanti impegni ha quello di contribuire al processo di crescita spirituale e morale degli studenti, orientandone attenzione ed acquisizione dei contenuti attraverso la coscientizzazione dei momenti storici che costituiscono l’importantissimo mosaico dell’identità locale e nazionale, costantemente rivolte alla più ampia prospettiva della comune "civiltà europea". Diventare cittadini europei non vuol dire affatto trascurare l’idea di Patria(4) né accantonare eventi, uomini ed episodi che ne hanno segnato a fondo gli usi ed i costumi, l’immenso patrimonio storico ed artistico, la sua filosofia. L’Italianità è un valore da tutelare(5).
Gli insegnanti "di ogni ordine e grado"(6) hanno l’obbligo di spingersi oltre l’importantissimo momento didattico per fare degli alunni dei cittadini responsabili e sentitamente ispirati ai principi della democrazia, all’amore della libertà nel rispetto delle persone e delle leggi. Tale compito per l’istruzione pubblica, pur svolto in stretto contatto con i genitori, va assunto in completa autonomia rispetto agli indirizzi privati di questi, che nel far frequentare ai propri figli una scuola statale hanno scelto di affidarli alla responsabilità civica dei docenti, che assolvono sì un servizio, ma che al contempo esercitano inscindibilmente una precisa funzione pubblica. "Nessuna nazione moderna – sostiene il pedagogista tedesco Wolfgang Brezinka - può lasciare l’educazione dei suoi giovani soltanto alle loro famiglie ed alle più ampie comunità di sostegno familiare. La straordinaria diversità dei gruppi e degli interessi privati va controbilanciata da sforzi educativi, mirati a qualità personali propizie alla coerenza sociale ed all’identità morale dello Stato. Le scuole pubbliche sono il mezzo principale per assicurare un minimo di competenze comuni ed il consenso morale tra i suoi membri. Questo minimo è espresso in ideali di personalità di base, che servono come scopi generali educativi della nazione"(7). Chiunque oscuri od intralci per lassismo o peggio ancora per cupi interessi di parte la lodevole opera di chi si spende instancabilmente per un’equilibrata "pedagogia civico-nazionale"(8), ispirata anche alla Costituzione così come alle altre leggi, compie un’azione riprovevole, agisce contro la propria Nazione, ostacola la possibilità degli studenti di acquisire più fiducia nel sistema politico-istituzionale nonché di coltivare una sana coscienza critica, umilia la deontologia dell’educatore, offende i principi della giustizia ed attenta al desiderio di comunità(9). Impegnarsi è scegliere di fare il proprio dovere. Fino in fondo e senza lasciarsi mai raggelare dai tanti ostacoli, dalle fitte trame intessute dai mediocri figuri che affollano lo scenario circostante, dall’insidiosa tentazione di pensare che "tanto tutto è inutile". Non è così! Non è vero che le prospettive comuni, talune visioni del mondo consolidatesi lungo lo scorrere del tempo, non abbiano più consistenza o forza evocativa. Tutto sta nel dirimere la propaganda destruens da quei concetti che possono ancora liberamente offrire ampie vie da intraprendere per una "pedagogia dei valori"(10). Non si tratta di invocare assurde unità livellatrici, in nome di un unicum valoriale dai risvolti pericolosi perché liberticida, ma di dichiarare ancora aperto il cammino progettuale dell’uomo(11) verso l’ambiziosa meta della perfettibilità morale, delle virtù personali e civili, anche a costo della lotta più dura (soprattutto con se stessi). I corteggiatori del nulla, del nichilismo immobilizzante hanno spesso prestigiosi pulpiti da cui poter esercitare il loro omologante ministero del "baratro costante". Ma occorre respingerne l’urto mistificatore, tenere duro sulle posizioni. Tali maîtres à penser amano sciogliersi in più o meno contorti ragionamenti para-ermeneutici per indurci a deporre le armi dello slancio ideale(12), abbandonandosi perlopiù inconsapevolmente al vuoto che obnubila, in cui il tutto apparente ed il niente concreto combaciano in modo promiscuo. Essi, al di là dell’algida analisi, pare non si curino affatto di rilanciare e riallacciare quelle "illusioni necessarie"(13) che da sempre hanno rappresentato la mistura propulsiva dell’agire morale. Non c’è volontà nei loro discorsi, né forza nei loro precetti dottrinali.
Le parole sono come dei sassi. Se ben utilizzate sono capaci di consentire l’edificazione di armoniosi scenari di convivenza possibile; al contrario, esse possono ridursi ad un cumulo di polverose macerie in cui la pulsione vitale è assente. Solo nello sforzo continuo e partecipato, condiviso, all’architettura sociale e politica si potrà finalmente tornare ad educare ai valori. Invocare la complessità (concetto di gran moda che riempie ogni sorta d’intervento sull’odierna società occidentale, con l’unico e vezzoso scopo di fotografare il caos ma che non prospetta nient’altro che l’attesa-presenza di un nulla incombente) è un modo semplice ed infido per diffondere un verbo che non parla, incapace di incidere in quanto privo di senso ma che possiede la capacità di rimandare a tristi visioni post-moderne. "Occorre insomma che chi educa ritorni a pensare in grande, non scoraggiandosi di fronte agli insuccessi. È costitutivo della figura dell’educatore il non perdere mai la pazienza nell’esercizio della propria attività, essendo la ripetizione una "necessità pedagogica", come lo è il non perdere mai la speranza e la fiducia nel cucciolo d’uomo, con la "grazia del poter-iniziare-di-nuovo, sempre di nuovo, ancor sempre di nuovo". Ma a questo scopo, è necessario riconoscere, oltre l’ineludibile riferimento dei valori, la centralità della relazione educativa, del rapporto io/tu nell’azione della scuola"(14).
La scuola pubblica costituisce una delle istituzioni più importanti dello Stato moderno; vero serbatoio dell’Italia di domani, essa assume oggi un ruolo guida che con gli anni diventa sempre più importante e delicato. In un contesto socio-politico internazionale in cui tutti i punti fermi paiono vacillare, ove tutto si mostra incerto e sbiadito, quasi liso, la scuola ha il gravoso onere di istruire al passo coi tempi, senza mai scollarsi dalle reali esigenze del circuito lavorativo né tanto meno sottraendosi al suo ruolo cruciale di luogo di cultura e di formazione umana. Il carico degli obblighi d’ufficio, dei tanti progetti ed obiettivi ormai sembra intasare le vie dell’organizzazione scolastica, che tuttavia in ogni modo cerca di adottare nuove e più duttili strategie di sviluppo del sistema.
Non si tratta di individuare una disciplina specifica che si occupi da sola di instradare ai valori della cittadinanza e della legalità, com’era negli intendimenti dell’istituzione nel 1958 della (purtroppo) assai poco praticata, se non eterea, Educazione civica(15); questa, per lasciare davvero il segno, avrebbe invece avuto bisogno negli anni di ben altro spazio e spessore rispetto a quello sinora distrattamente concessole. Una simile prassi educativa, invece, merita senza alcun dubbio una compartecipazione di tutti gli insegnanti, che devono intraprendere tale iter in modo pluri-disciplinare e dunque condivisibile. "La prospettiva storica – come si legge, infatti, nell’enciclopedia pedagogica diretta da Mauro Laeng - è certamente quella più strettamente collegata all’ed. civ. […]. Tuttavia, poiché una proposta di utilità sociale e di disciplina formativa dell’individuo è inevitabilmente insita in ogni ricerca culturale e in ogni suo studio organico, tutte le discipline possono e debbono dare il loro apporto all’ed. civ., che pertanto assume un aspetto trans-disciplinare"(16).
Il trascorrere degli anni ha però richiesto necessarie e radicali modifiche alle finalità del D.P.R. 585/1958. Nuovi bisogni formativi e grandi cambiamenti sociali hanno così agevolato l’ideazione della circolare n. 58 del Ministero della Pubblica Istruzione dell’8 febbraio 1996. In essa si sanciscono le linee guida per la "realizzazione degli obiettivi propri dell’educazione civica", tese a rafforzare le nuove istanze culturali, giuridiche e pedagogiche. L’esigenza di un rafforzamento istituzionale dell’educazione civica è da tutti avvertita anche in riferimento ad una più ampia e condivisa cultura costituzionale. La direttiva si sviluppa in 8 articoli. Il primo focalizza la sua attenzione su quattro punti, tesi a porre in evidenza gli obiettivi dell’educazione civica, che si perseguono anche attraverso: A) tutte le materie; B) attività extracurriculari; C) vari momenti della vita scolastica; D) l’insegnamento specifico dell’Educazione civica. Il 2° ed il 3° articolo si riferiscono al Progetto Educativo d’Istituto (P.E.I.). L’art. 4 sancisce l’istituzione della commissione come da D.M. 23 marzo 1995, mentre l’articolo successivo fissa entro 90 giorni dalla data d’emanazione della direttiva il termine ultimo per la pubblicazione del documento definitivo di revisione. L’art. 6 affida nel biennio della scuola secondaria di II grado l’insegnamento dell’Educazione civica al docente di Economia e Diritto; nel triennio, invece, tale disciplina è affiancata alla Storia. La formazione in entrata e in itinere del personale docente e direttivo sull’educazione civica pertiene l’art. 7. L’ultimo punto sancisce, infine, che con i decreti ministeriali posteriori alla commissione il predetto D.P.R. sarebbe stato abrogato(17).
La direzione pedagogica appena riportata s’inserisce nella più ampia Educazione alla convivenza civile(18), che fra le sue diramazioni interne, difatti, non manca di indicare come fondamentale l’Educazione alla cittadinanza(19). Tutti i docenti, non solo quelli d’area umanistica, sono chiamati a perseguire trasversalmente questo fondamentale obiettivo educativo, magari tentando di incrementare ulteriormente i loro sforzi progettuali, di collaborazione e compresenza. Numerose, infatti, sono le occasioni che il calendario istituzionale offre per un simile proposito: "4 novembre" (Giornata dell’Unità nazionale e festa delle FF.AA.)(20) – "25 aprile" (Festa della Liberazione)(21) – "2 giugno" (Festa della Repubblica)(22); ma anche il 12 ottobre (Giornata Nazionale in memoria di Cristoforo Colombo; D.P.C.M. 20 febbraio 2004)(23), il 9 novembre (Giorno della libertà in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino; L. 15 aprile 2005, n. 61)(24) il 12 novembre (G.N. in memoria dei marinai scomparsi in mare; L. 31 luglio 2002, n. 186)(25), il 7 gennaio (G.N. del Tricolore; L. 31 dicembre 1996, n. 671)(26), il 27 gennaio (G.N. della memoria della Shoah; L. 20 luglio 2000, n. 211)(27) ed il 10 febbraio (G.N. del ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata; L. 30 marzo 2004, n. 92)(28).
A queste date ormai consolidate se ne potrà presto affiancare un’altra, preannunciata dal Ministro dell’Istruzione il 20 settembre 2005 presso il complesso monumentale del Vittoriano in Roma per l’inaugurazione dell’A.S. 2005-06 e sancita con un provvedimento ad hoc lo scorso mese di marzo, dedicata al tema della "legalità"(29).
Da sottolineare, inoltre, il proficuo equilibrio-rapporto fra il sentimento nazionale e quello ricollegabile alle specificità locali e regionali(30). Sarebbe buona prassi, dunque, oltre a quanto predetto, far riprendere corpo a quella ritualità civile in occasione di tutte le ricorrenze pubbliche e non trascurare le celebrazioni ufficiali sull’identità nazionale(31), capaci di suscitare nei ragazzi il contagioso "germe" dell’attaccamento. "È evidente, in definitiva, - scrive Deiana – che il capitale sociale delle festività civili di una comunità si accresce anche con la valorizzazione delle festività civili perché queste costituiscono una concentrazione simbolica che trasmette memoria, esprime compartecipazione e identità sociale. Ma è soprattutto dai programmi scolastici che deve essere nutrita la memoria collettiva e accresciuta la coscienza civile, affinché nelle nuove generazioni l’amnesia storica non si trasformi in amnesia morale"(32). Strumenti come la bandiera(33), gli inni, le feste e la partecipazione attiva alle celebrazioni delle ricorrenze nazionali, il contatto col territorio(34), la conoscenza dei monumenti, statue e lapidi, la lettura dei discorsi presidenziali(35), di determinati atti parlamentari e/o provvedimenti governativi, la stessa toponomastica(36), non rivestono solamente una valenza di mera scenografia politico-sociale, la cui rilevanza è ben altro che secondaria, ma possono concretamente contribuire ad incrementare il senso del patriottismo repubblicano(37).
Tutto ciò apre la strada ad un momento di riflessione su di un genocidio del ‘900(38), per tanti anni sottaciuto, al più oggetto di polemiche e contrasti politici limitati ad una ristretta zona di confine, in realtà poco o affatto conosciuto alla maggioranza degli Italiani, sminuito e/o volontariamente rimosso per biasimevoli convenienze. La tragedia degli Istriani e dei fatti che hanno investito l’intera Venezia Giulia, città come Trieste e Gorizia, così come Capodistria, Fiume, Pola, Zara e tante altre località, durante e dopo gli esiti dell’ultimo conflitto mondiale, per lunghi anni non hanno fatto parte del patrimonio condiviso di memoria nazionale. È ora di porvi rimedio. Numerose e diffuse le iniziative in tal senso. Il "10 febbraio" 2005, infatti, si sono svolte in tutta Italia, per la prima volta in modo ufficiale dopo l’avvenuta introduzione della legge 30 marzo 2004, n. 92 - Istituzione del giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati(39), ben 176 manifestazioni, un minuto di silenzio in entrambi i rami del Parlamento, una cerimonia a Trieste alla presenza dei ministri Fini e Tremaglia e la deposizione di una corona d’alloro da parte del Presidente della Repubblica al sacello del milite ignoto(40). Da sottolineare anche sul sito dell’A.N.V.G.D. (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) la pubblicazione di un dettagliato calendario relativo a dibattiti e conferenze sul tema, da cui si evince che le molteplici attività si sono concentrate in un arco temporale piuttosto ampio. Su questa fonte sono state riportate le città più attive per numero e qualità delle iniziative: Torino – Trieste – Firenze – Roma – Milano – Venezia – Genova – Bologna – Ancona – Brescia – Udine – Verona – Gorizia – Salerno – Rovereto – Trento – Pordenone – Belluno – Como – Carpi (MO) – Spinea (VE) – Sabaudia (LT) – Amalfi (SA). Non meno piena d’appuntamenti pubblici ed approfondimenti è stata per il 2006 l’agenda della II ricorrenza del "giorno del ricordo". Fra le innumerevoli attività degne di menzione sicuramente quella dell’8 febbraio al Quirinale per la consegna da parte del Presidente Ciampi delle medaglie ai parenti di alcuni infoibati. In quella sede il Capo dello Stato ha detto: "Il riconoscimento del supplizio patito è un atto di giustizia nei confronti di ognuna di quelle vittime, restituisce le loro esistenze alla realtà presente perché la custodisca nella pienezza del loro valore, come individui e come cittadini italiani. L’evocazione delle loro sofferenze e del dolore di quanti si videro costretti ad allontanarsi per sempre dalle loro case in Istria, nel Quarnaro e nella Dalmazia, ci unisce oggi nel rispetto e nella meditazione. Questo nostro incontro non ha valore solamente simbolico; testimonia la presa di coscienza dell’intera comunità nazionale. L’Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro. La responsabilità che avvertiamo nei confronti delle giovani generazioni ci impone di tramandare loro la consapevolezza di avvenimenti che costituiscono parte integrante della storia della nostra patria"(41). Nella stessa cerimonia è stata premiata anche la signora Licia Cossetto, la quale ha ricevuto una medaglia d’oro al merito civile in memoria della sorella Norma. Questa la motivazione ufficiale del riconoscimento che ne sintetizza il supplizio e la lode: "Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio"(42). La vicenda di questa ragazza poco più che ventenne ha da sempre accompagnato gran parte delle ricostruzioni storiche che hanno tentato di divulgare e far conoscere l’orrore di quegli anni in Istria. Norma Cossetto, col suo sorriso fresco e fiducioso, i suoi occhi colmi di futuro (negatole) ed i suoi abiti semplici e colorati sono ormai scolpiti nel cuore di tutti gli Italiani, che nell’esaltarne la figura esplicitano il dovere della memoria. Nello stesso periodico dell’A.N.V.G.D. sono riportate le celebrazioni svoltesi quest’anno in tutta la Nazione, fra cui la deposizione di una corona all’Altare della Patria da parte del Presidente del Senato della Repubblica Marcello Pera e di altri rappresentati delle istituzioni, la conferenza in Campidoglio alla presenza del Presidente della Camera dei Deputati Pierferdinando Casini e delle autorità locali, nonché il significativo incontro a Palazzo Chigi fra una delegazione degli esuli ed il Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, che ha pronunciato le seguenti parole:
Il Parlamento italiano ha proclamato il 10 febbraio Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale, affinché tutti sappiano quali aberranti azioni siano state compiute dall’uomo accecato dall’odio e dal desiderio di dominio. È, questa, un’altra pagina dolorosa della nostra recente storia scritta dalla violenza di popoli su altri popoli, dallo spirito di vendetta, che ha seminato morte, dolore e costretto migliaia di persone all’esilio. È una pagina che appartiene ad un tempo a noi ancora troppo vicino per poterlo guardare solo con gli occhi distaccati della storia. Sono infatti le stesse persone che hanno vissuto quel periodo di terrore a portare una dolorosa testimonianza dinnanzi al mondo. La loro presenza, la loro voce, come quella di sopravvissuti ad altri eccidi, esprimono la più forte condanna di ogni forma di violenza in nome dei valori fondamentali dell’umanità: il rispetto della vita umana, il rispetto della dignità della persona. Nel commemorare, insieme a tutto il popolo italiano, le vittime delle foibe e nell’onorare gli esuli istriani, fiumani e dalmati dobbiamo ascoltare queste voci e trarne insegnamento per le azioni di governo, per promuovere la pace e la convivenza fra i popoli. Dobbiamo ricordare per consolare tutti coloro che di questi errori portano ancora ferite profonde nell’anima, quando anche nel loro corpo. Dobbiamo ricordare anche perché i nostri giovani, nati e cresciuti in un clima di libertà, pace e democrazia sappiano che questi sono valori preziosi, valori che loro stessi devono essere pronti a custodire e difendere con tenacia se vogliono che episodi così tragici non si ripetano mai più. Ricordare per guardare avanti, superando antichi rancori e barbarie ideologiche, affermando i valori condivisi che sono a fondamento della nostra identità. Per costruire un mondo libero e giusto(43).
L’auspicio intrinseco a queste righe è quello di offrire soprattutto agli studenti un ulteriore momento di riflessione su questo avvenimento che ha segnato la nostra recente storia nazionale, affinché anche tramite di esse possano ritrovarsi e rinnovarsi come Italiani consapevoli del proprio passato, vigili nel divincolarsi nell’intricato dedalo di trabocchetti e manipolazioni intessuti per anni da chi ha tramato per scompigliare il policromo mosaico di una memoria davvero condivisa.
Il Liceo Statale Regina Margherita(44) di Palermo, secondo quanto previsto dalla legge 92/2004, sin dal primo anno d’istituzione di tale norma ha realizzato momenti di riflessione su questo scottante tema(45). Nel 2005, difatti, l’Istituto s’è reso promotore di una manifestazione, realizzata in collaborazione con la Provincia Regionale ed avente per titolo Il silenzio squarciato, svoltasi il 21 febbraio presso la sede dell’Ente locale in via S. Lorenzo Colli in Palermo, inserendosi in un quadro generale di mostre, dibattiti, conferenze e seminari che hanno visto nello stesso mese coinvolte numerose altre scuole e svariate realtà istituzionali e culturali in tutta Italia. Gli interventi e le immagini proiettate in power-point sull’argomento hanno interessato i ragazzi, che con la loro attenzione hanno apertamente manifestato tutto il loro coinvolgimento. "Ciò che maggiormente ci ha colpito – hanno avuto modo di scrivere due studentesse – sono state le foto e i volti delle persone costrette ad abbandonare la propria terra per non essere uccisi. Alla conferenza è intervenuta anche la signora Anna Bruno, figlia di un poliziotto ucciso nella triste circostanza, la quale ha condiviso con noi la sua triste esperienza ed il suo dolore. Dopo quest’incontro quello che più ci sta a cuore è di essere testimoni per le generazioni successive perché ci si ricordi degli orrori e delle atrocità affinché queste non si ripetano"(46).
Quello appena tratteggiato è solo un esempio di come tale giornata possa diventare un’ottima occasione di studio per analizzare meglio certi eventi del XX secolo e per discutere con gli alunni sul valore della "solidarietà nazionale"(47) e della necessità della collaborazione fra i popoli in prospettiva europea, al fine di instillare in loro un’autonoma e seria riflessione sui temi civici e morali più alti della convivenza democratica. È nelle aule di tutti gli Istituti scolastici che ogni giorno si rinnova e conferma il composito plebiscito dell’appartenenza(48).
La legge n. 92/2004 è solennità civile ai sensi dell’art. 3 della L. 260/1949(49) e come tale ricopre una funzione importantissima nella formazione spirituale e civile dei ragazzi. La conoscenza approfondita della tragedia di migliaia di connazionali giuliano-dalmati nonché della "questione giuliana" abbisogna ancora di tanti altri sforzi. Occorre discutere ed informare, scrivere, promuovere incontri e far parlare la gente, sensibilizzare le nuove generazioni, muoversi indefessamente affinché le testimonianze dei profughi(50) e delle loro famiglie incidano sulla coscienza di tutti e sia così scongiurata la minaccia dell’oblio. Il deputato che ha promosso alla Camera il progetto di legge in un suo intervento, tra le altre cose, ebbe a dire nel febbraio 2001: "Non credo che si debba vivere perennemente con il ricordo del dolore, ma non è neppure giusto che di tutto questo non resti nulla. Mi opprime e mi rattrista vedere che passano gli anni e le generazioni e, piano piano, scompaiono tasselli di storia. In tal modo scompaiono le storie tragiche che vi ho raccontato, anche se sono testimonianze e memorie che contengono una spiritualità che fa spavento: sono storie e memoria che debbono tornare a far parte dei miti unificanti della nazione. Mi spaventa vedere che pian piano il vecchio dialetto di coloro che venivano da Cherso, da Lussino, da Pola e da Capodistria stia scomparendo; scompaiono le vecchie tradizioni e le storie e di tutto ciò all’Italia non resta quasi più nulla; eppure, quegli uomini e quelle donne hanno dato tanto e il loro sacrificio è stato, prima di tutto, un sacrificio di italianità. Con la proposta di legge di mia iniziativa non chiedo nulla di più e nulla di meno di una semplice medaglietta: ovvero, il riconoscimento, a cinquant’anni di distanza, da parte dell’Italia (la loro Patria) al loro sacrificio. Non si chiedono benefici economici o assegni; non si chiede nulla del genere, ma si chiede una semplice medaglietta che dimostri che l’Italia li ricorda. Quelle famiglie e quella gente non chiedono nulla di più. Come dicevo, mi spaventa constatare che nell’Italia di oggi nessuno più conosce i nomi di quelle città o la storia di quelle terre"(51).
Per ciò che riguarda l’insegnamento, alla luce delle precedenti considerazioni, parrebbe almeno opportuna una revisione e/o un ampliamento del tema sui libri di testo di Storia(52) nonché una didattica specifica sul punto per gli stessi docenti in formazione ed in servizio(53). Non si tratta di stravolgere ciò che è fondamentale che i nostri allievi conoscano, ma di ricomporre tutti i pezzi della storia nazionale, affinché da grandi conoscano bene ciò che li ha preceduti, senza mistificazioni né tagli censori. Un tale e meticoloso intervento offrirebbe un’ulteriore garanzia sul difficile sentiero di crescita a cui abbiamo la responsabilità di introdurre gli allievi e che conduce a quel traguardo chiarificatore e privo di acredine che il Capo dello Stato ha auspicato il 9 febbraio 2005 alla vigilia della prima "giornata del ricordo": "È giunto il momento che i ricordi ragionati prendano il posto dei rancori esasperati"(54). In tal modo si consentirebbe infine di soddisfare pure la mai sopita e legittima richiesta d’attenzione da parte della Scuola che da anni oramai gli esuli richiedono, cui va l’indubbio merito di non aver mai cessato di far sentire la propria voce cercando di far conoscere le brutture di un simile capitolo della storia contemporanea(55).
A chi ancora oppone delle indecorose resistenze sul tema e magari per tanto tempo, celandosi dietro il proprio ufficio, ha scientemente taciuto tale accadimento ed ha storto il naso al solo accennare l’argomento "foibe" e gli avvenimenti del confine orientale, a volte puntando persino il dito e cercando di screditare chi avesse solo tentato discuterne, oppure ancora lamentandosi dell’assenza di legislazione in materia, valga allora come "promemoria" che questa, così come qualsiasi altra legge della Repubblica, termina con la medesima e solenne dicitura che impegna ciascun cittadino: "È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato".
II. Luigi Bruno: un uomo al servizio dell’Italia(56)
Una mano. Solo una mano e il cuore in gola. Questo l’ultimo ricordo di una bimba di circa 6 anni che inspiegabilmente per la sua fresca e incontaminata visione del mondo si vede strappata da una delle figure di riferimento più importanti per ogni fanciullo, quella del padre. Eppure, quella mano che stentatamente, solo per qualche attimo, si fa largo con tutte le forze fra le sbarre di quel carcere per salutarla ancora, quante volte aveva accarezzato la sua testa, attraversato con amore i suoi capelli nelle notti d’inverno o rinfrescato la sua fronte nelle giornate di caldo, quante volte le aveva asciugato il volto rigato da lacrime per futilità, quante meravigliose e semplici cose della quotidianità li aveva uniti sino a quel momento, quante volte saldamente alla sua avevano passeggiato per le strade del corso, quante volte quelle mani avevano manifestato l’apertura totale di un abbraccio paterno che a quell’età pare come il premio più dolce ed ambito, capace di racchiudere in sé il senso delle cose, il calore della famiglia, i sentimenti più intimi. Quante volte! Ma quel giorno tutto era diverso, stravolto, grigio.
Un’esistenza conchiusa esclusivamente nella routine quotidiana al più merita spazio fra i ricordi delle persone più care. Ma quando un individuo riesce a superare l’atavica tendenza alla mera e diretta soddisfazione egoistica con la costanza del dovere nel segno di un ideale alto, quando un uomo soffre e perisce per servire il proprio Paese, anche se nessun gesto eclatante o particolarmente meritevole di encomio pubblico sembra averne segnato l’attività, nel ripercorrerla nei suoi tratti umani e drammaticamente più intensi è la poesia struggente del vivere che s’impone alla nostra attenzione, consentendoci di entrare in sintonia con ciò che in ogni tempo costituisce la cifra nobile di ciò che decifriamo come senso di umanità.
È attraverso la storia di Luigi Bruno che è possibile simbolicamente ripercorrere quella di migliaia di altri infoibati, uccisi perché Italiani. Il caso emblematico e tragico di questa guardia di Pubblica Sicurezza è simile a quello di numerosi altri cittadini e tutori dell’ordine che per primi furono oggetto delle violenze dei comunisti jugoslavi, poiché, ieri come sempre, in chi indossa una divisa si concretizza più facilmente il bersaglio dell’odio di chi disconosce il limite, di tutti coloro che nello Stato non riescono e non vogliono vedere altro che un nemico.
Nato a Caltanissetta il 29 aprile 1893, Luigi Bruno compie gli studi elementari sino alla 6ª classe. Svolge da ragazzo il mestiere di fabbro, ma già nel settembre 1913 viene chiamato a compiere il servizio militare presso il 6° Reggimento Artiglieria da campagna. L’insorgere del conflitto mondiale fa poi sì che il Nostro venga trattenuto alle armi in territorio dichiarato in stato di guerra oltre il periodo strettamente necessario di leva.
Già caporale del Regio Esercito nel settembre 1915, assume il grado di caporalmaggiore il 1° gennaio 1916 e l’anno successivo quello di sergente fra le fila del 51° Rgt. art. camp. Passa successivamente al 4° Rgt. art. camp. il 22 aprile 1917, quindi al 55° Rgt. art. camp. il 4 dicembre 1917. A guerra conclusa Luigi sarà trasferito nel 1919 per otto mesi nella sua città natale in forza al 36° Rgt. art. camp. Dal foglio matricolare e caratteristico risulta che "durante il tempo passato sotto le armi ha tenuto buona condotta ed ha servito con fedeltà ed onore". Il congedo, tuttavia, non distacca il giovane nisseno dalla volontà di continuare a vestire l’uniforme. A seguito di sua richiesta viene quindi riammesso in servizio il 1° febbraio del 1920 nel Corpo della Regia Guardia col grado di vicebrigadiere presso la Legione Territoriale di Palermo. Nel luglio dell’anno seguente giunge presso la Legione Territoriale di Bologna, ove presterà la sua opera per circa quattordici anni. Pronuncerà il suo giuramento alle istituzioni il 27 luglio 1926. Sarà sempre nella città emiliana che troverà moglie nel marzo del 1929 e dalla cui unione nasceranno i figli Vincenzo e Luciano.
Promosso brigadiere nel febbraio del 1922, Luigi passa nel ruolo specializzato CC.RR. col grado di Appuntato vigilante. Tre anni dopo, questi è assegnato definitivamente al Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza(57), rivelando negli anni ottima condotta e attitudine all’attività investigativa. Tale merito professionale trova ulteriore suggello nella medaglia d’argento al merito concessagli con un provvedimento ministeriale del 25 giugno 1937.
Da Bologna Luigi viene infine trasferito alla Questura di Fiume nel febbraio 1935. Dopo appena un anno, scompare prematuramente la moglie Concetta. Questo grave lutto segna a fondo la sua sfera affettiva; ma un nuovo amore riuscirà a colmare quel vuoto inatteso e a ridestare in lui sentimenti sino a quel momento ritenuti ormai svaniti. Sarà così che nel 1938 Luigi sposerà Maria, dalla quale avrà la gioia della tanto desiderata figlia, Anna Maria.
Gli anni trascorsi nella città quarnerina saranno vissuti nelle difficoltà del servizio, negli affetti famigliari cui mai fece mancare le sue premure, nelle asperità del tempo di guerra e della minaccia incombente di un sanguinoso rovescio di sovranità territoriale, nella durezza del clima d’occupazione, in tutte quelle vicissitudini che contrassegnarono quel difficilissimo periodo intercorrente fra l’8 settembre 1943 ed il maggio del 1945(58).
III. Dalle foibe al ricordo della Repubblica Italiana - La testimonianza di Anna Maria Bruno
"Nel periodo della seconda guerra mondiale vivevo a Fiume, al n. 5 di via Milano insieme alla mia famiglia. Mio padre era una guardia di Pubblica Sicurezza in servizio presso la Questura del capoluogo quarnerino(59). Il 4 maggio del 1945, intorno alle due del pomeriggio, si recò al Comando per consegnarsi, così come ordinato dal nuovo regime di Tito. Rammento che mia madre lo pregò di non andare, come presagendo qualcosa di terribile, ma lui rispose che non v’era nulla da temere. In realtà la situazione era già pesante sin da quando i Tedeschi avevano abbandonato la città. Consapevole della gravità del momento e dell’odio dei partigiani slavi per l’elemento italiano e in special modo per qualsiasi forma di autorità che ancora lo rappresentasse, mio padre scelse quindi di rispondere alla chiamata per cercare di tenerci fuori da possibili rappresaglie. In tale circostanza, ciò che insospettì mia madre fu l’insolito invito di un suo collega a costituirsi insieme ed a lasciare a casa il cappotto buono ed altri eventuali oggetti di un certo valore per evitare che gli Slavi se ne potessero impadronire. Quell’uomo, che poi scoprimmo essere un confidente dei titini, tornò la stessa sera a casa, invece mio padre fu trattenuto, non facendo più ritorno. Preoccupata per la sua prolungata assenza, mia madre, già quella sera e poi ancora l’indomani, si affannò a chiedere notizie riuscendo a scoprire che mio padre era tenuto prigioniero nel carcere della città insieme ad altri militari e civili italiani. Dal Comando fecero sapere che i familiari potevano portare cibo ed indumenti, che sarebbero stati recapitati ai detenuti. Riempimmo alcune borse di ciò che potesse tornargli utile e ci recammo di gran corsa presso il piazzale antistante al carcere dove erano riuniti gli altri congiunti per consegnare i pacchi ed avere qualche notizia più precisa. Le vettovaglie e gli indumenti furono ritirati, ma nessuna nuova sulla sua sorte alleggerì la nostra apprensione. L’indomani, tornando sul posto, mentre aspettavamo, mia madre mi disse: "Chiamalo con forza, vedrai che ti risponderà". Con tutta l’energia di cui ero capace cominciai a chiamarlo, ma l’idea si dimostrò assai infelice. Dalla cella dove egli si trovava recluso, nel tentativo di farci capire che aveva sentito la nostra presenza, fece un cenno con la mano, chiamandomi per nome. Mia madre urlò: "Guarda, Anna, lassù c’è papà!". Alzai lo sguardo e lo chiamai ancora con più foga agitando confusamente le braccia, ma ad un tratto giunse un ceffo che iniziò a sparare sulle persone lì radunate. Non so come riuscimmo a rimanere illese; ricordo, però, che mia madre mi tirò con forza e insieme fuggimmo via. Il giorno seguente, nonostante il pericolo corso, tornammo nuovamente sul posto, nella vana illusione di potergli essere almeno quanto più possibile vicine. Pochi, però, questa volta sostavano ammutoliti nella piazza. Ci parve persino di sentire come delle grida soffocate. Tornammo a casa affrante, ferite nell’anima per quei flebili lamenti che ci parve di udire dalla quella dannata cella. Mia madre raccontò l’accaduto ad alcuni amici che abitavano nel nostro palazzo, i quali ci consigliarono di non tornare più al carcere, perché quasi certamente il nostro congiunto, per averci salutate e chiamate, era stato torturato. In seguito, andammo a chiedere notizie ad una famiglia che abitava proprio dinanzi alla prigione, che ci assicurò che nella notte si erano sentiti degli strani rumori e che erano strati visti dei camion sui quali avevano fatto salire tutti gli Italiani reclusi e diretti verso destinazioni ignote. Ci venne detto, inoltre, di non andare più da loro a chiedere e far domande perché anch’essi erano terrorizzati dal clima di paura diffuso e dalle concrete minacce di ritorsioni. Fra tante ed orrende scene che in quei giorni maggiormente s’impressero nella mia memoria di certo vi fu la vista di un giovane carabiniere con l’uniforme tutta a brandelli e vilmente appeso ad un gancio, alle cui orbite erano state apposte due stelle rosse ed al collo un oltraggioso cartello con su scritto: Carne di basso macello. Giorni di odio e crudeltà, in cui la vendetta politica ed etnica commiste a quella privata insanguinarono le strade della nostra bella città.
"Da quel giorno in poi fu una continua ricerca presso quei luoghi ove venivano segnalati gruppi di prigionieri; ma ogni sforzo naufragò miseramente! Ormai, quindi, resici conto dell’inutilità e dell’estrema pericolosità di restare a Fiume, ottenuto con notevoli difficoltà il lasciapassare(60), ci trasferimmo su di un carro bestiame a Udine, dove risiedeva uno zio materno. Furono talmente tanti i disagi e gli stenti patiti che venni colpita da una grave forma d’anemia. Restammo dallo zio ancora per qualche mese, nella speranza che mio padre, finalmente libero, potesse ritrovarci in una località vicina. Uno dei ricordi più vivi che ho di quel periodo è legato alla mia nuova maestra(61), che quasi ogni giorno non mancava di chiamarmi in disparte per manifestarmi con parole e gesti tutto il suo affetto. Tra tanti orrori che segnarono per sempre la mia infanzia, questa donna generosa rivestì ai miei occhi uno spiraglio di luce che per qualche giorno rischiarò i miei pensieri, insozzati da tanta efferatezza e pregni di tristi abbandoni.
"Rammento, poi, un altro pezzo della mia permanenza friulana. Questa, però, non è legata ad una persona bensì ad un luogo sacro. Era il periodo della settimana santa e approfittando della temporanea mancanza dei miei, mi recai da sola presso la piccola chiesa del Tempio Ossario. Lì, inginocchiata ai piedi del crocefisso, pregai talmente tanto per mio padre che il tempo passò senza che me ne accorgessi. Quando i miei familiari mi trovarono, nessun rimprovero sancì la mia innocente marachella, ma una carezza avvolse nella comprensione il motivo di quel mio gesto.
"Fu sempre in questa città che mia madre si premurò almeno di certificare presso le autorità la scomparsa del marito. Nella copia del verbale di irreperibilità – n. 12, stilato il 1° settembre 1946 presso la 4ª Compagnia delle Guardie di P.S. di Udine, riferendosi a mio padre si affermava che: "[la] guardia scelta di P.S. effettiva Bruno Luigi […], già in servizio presso la disciolta Questura di Fiume, in data 4 maggio 1945, fu prelevato e deportato in Jugoslavia, e da tale data nulla più si è saputo di lui né venne riconosciuto tra gli agenti dei quali fu legalmente accertata la morte. Essendo ora trascorsi più di tre mesi dalla data della sua scomparsa e risultando che le ulteriori ricerche e indagini, esperite in ogni campo, e sotto ogni forma, sono riuscite infruttuose nei di lui riguardi e che pertanto non è possibile nel frattempo conoscere se sia tuttora in vita o sia in effetti deceduto viene redatto il presente processo verbale di irreperibilità a norma dell’art. 124 della legge di guerra, per gli effetti che la legge ad esso attribuisce"(62).
"Dopo circa un anno, anche per non continuare a pesare sul bilancio dello zio, andammo in Sicilia dove vivevano i nonni. Arrivati a Caltanissetta, mia madre continuò ostinatamente a sperare, ma penso ancora con dolore alla sua muta disperazione il giorno in cui giunse una lettera nella quale ci veniva comunicato di non insistere nelle ricerche, perché Luigi Bruno era ormai sicuramente deceduto. Immobile e con gli occhi fissi nel vuoto, si rivolse a me dicendomi a bassa voce solo queste parole: "Anna, papà non tornerà più!".
"In tutti questi anni non ho mai smesso di cercare di ottenere giustizia per la memoria di mio padre. Molti gli ostacoli ed i momenti di insondabile tristezza per così tanta indifferenza intorno a questa storia, sconosciuta dalla maggior parte delle persone, ritenuta marginale o follemente giustificabile da qualchedun’altro! La cosa mi ha sempre destato disgusto, se non rabbia. Mi madre mi diceva sempre di non parlare con gli estranei delle nostre vicissitudini e di dire che papà era morto in Russia! In molti, fra coloro che hanno saputo della vicenda che ha segnato la mia famiglia, mi hanno persino invitata negli anni a poggiare una pietra su quegli eventi; ma io non l’ho mai fatto, e quando tutto sembrava ormai avermi quasi piegato alle loro insidiose ed insensibili ciarle un rinnovato atto di vigore mi ha spronato a muovermi ancora. Il 18 marzo del 2001, così, mi decisi a scrivere di getto al Presidente della Repubblica Ciampi, chiedendo se non fosse giusto istituire una giornata, oltre a quella per commemorare la Shoah, anche per i martiri delle foibe. Gli addetti agli uffici presidenziali preposti ai rapporti con la cittadinanza mi rincuorarono, assicurandomi che i tempi erano ormai maturi affinché il Parlamento se ne occupasse doverosamente. Di lì a pochi anni, infatti, la legge 92 del 2004 ha finalmente reso omaggio ai tanti caduti e concretizzato in tal modo un’attesa durata ben 60 anni! Ma l’entusiasmo per questo mio ritrovato vigore con l’unico scopo di onorare la memoria di mio padre doveva ancora raggiungere il suo culmine nei primi di gennaio del corrente anno, quando da Palazzo Chigi mi è pervenuto un telegramma in cui si diceva: "Riconoscimento ai congiunti dei martiri foibe, legge 92/2004. Informasi che istanza presentata da Lei per riconoscimento in oggetto est stata accolta. Presidente della Repubblica Italiana consegnerà riconoscimenti at Quirinale, Roma giorno 8 febbraio 2006 ore 10,30".
"Alle prime del giorno convenuto, così, mi sono ritrovata di fronte al portone principale del Quirinale, dove nel frattempo si erano radunati altri invitati, aderenti alla Lega Nazionale di Trieste. Nel varcare la soglia di quell’imponente palazzo ho ripensato alle tante ricerche compiute, al pesante fardello interiore che ci ha accompagnato in tutti questi anni, alle infinite attese, agli innumerevoli momenti di solitudine, di vuoto esistenziale. Tutto aveva forzatamente indotto me e mia madre a ritenere che la nostra, in fondo, fosse per gli altri solo una vecchia storia di poco conto! Ora tutto era diverso. Certo, un riconoscimento non cancella anni di ricordi mesti né può riportare in vita un caduto; mio padre rimaneva uno scomparso, un infoibato chissà dove, ma a me bastava. Il suo Paese lo ricordava.
"Entrata nel salone adibito per la cerimonia, una signorina m’ha indicato la sedia riservatami. Mi sono presto accorta con piacere di dover sedere in prima fila, giacché i posti per i familiari dei caduti erano stati assegnanti in ordine strettamente alfabetico. Alle ore 10.30, quindi, ha fatto il suo ingresso il Presidente, seguito da tutte le altre autorità convenute. Iniziati i discorsi ufficiali, mentre ascoltavo Ciampi non potevo non ripensare anche a mia madre, a come sarebbe stata fiera di un simile momento. Ricordo che fra le parole del Capo dello Stato queste mi hanno particolarmente colpita: "L’evocazione delle loro sofferenze e del dolore di quanti si videro costretti ad allontanarsi per sempre dalle loro case ci unisce oggi nel rispetto e nella meditazione".
"Al termine degli interventi del Vice-presidente del Consiglio dei Ministri Gianfranco Fini, del professor De Vergottini e quello del Capo dello Stato, è poi giunto il momento tanto atteso della consegna dei riconoscimenti. Quando ho sentito scandire il nome di "Luigi Bruno" il mio cuore traboccava di forti emozioni. Mi sono avvicinata al palco dove era ad attendermi Ciampi, il quale mi ha dimostrato la sua solidarietà chiedendomi anche della città d’origine. In quegli istanti sono riuscita a dire solo poche parole, ma quel caloroso contatto umano con chi con lode ha rappresentato lungo il suo settennato l’unità nazionale mi ha donato un attimo di gioia e ripagato dei tanti anni di attesa.
"Terminata la consegna delle attestazioni, ancora pervasa da sensazioni difficilmente descrivibili, ho riletto per un minuto con gli occhi lucidi la motivazione apposta sulla pergamena di concessione, che così recita: "… in riconoscimento del sacrificio offerto alla Patria". Attraverso quelle semplici parole veniva finalmente restituita giustizia alla memoria di mio padre.
"Conserverò con estrema cura questa medaglia unitamente alla croce di bronzo che mio padre ricevette per aver combattuto per l’Italia anche nella prima guerra mondiale. Il ricordo di questa giornata costituisce per me un prezioso patrimonio spirituale da tramandare in famiglia e condividere con gli altri affinché la sua triste fine e l’adesione incondizionata al dovere non sbiadiscano, bensì siano rammentate come esempio di rettitudine.
"Non ho mai cessato d’interrogarmi sulla sorte di mio padre, in quale maledetta foiba possano averlo gettato. Credo solo che la sua unica "colpa" sia stata quella di essere un poliziotto, ma soprattutto un italiano. Ho voluto raccontare tutto ciò per fare comprendere quanto quella tragica scomparsa abbia offuscato la mia esistenza e come la crudeltà di certuni abbia tramutato la mia breve infanzia, rendendomi orfana e costretta a fuggire dalla nostra città, ormai perduta.
"Ciò che maggiormente ancora mi addolora arreca ancora angoscia, specie in alcune notti, è pensare che mio padre non abbia una degna sepoltura. Il fatto di non poter adagiare un fiore sulla sua tomba, magari persino sulla stessa foiba dove l’hanno spinto, come un cencio da rifiuto, in cui giacciono sparsi i suoi poveri resti, m’inquieta angosciosamente e rende sovente le mie preghiere più intense ma tormentate e bagnate dal pianto"(63).
Francesco Paolo Calvaruso
NOTE
(1) Cfr. http://www.ades.it (Associazione Amici e Discendenti degli Esuli Giuliani - Istriani – Fiumani - Dalamati).
(2) Cfr. G. De Luna, Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea, Torino, Einaudi, 2006.
(3) Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana [d’ora in poi: G.U. della R.I.] del 2 aprile 2003, n. 77; la stessa indicazione è riportata anche all’art. 1, comma 3 del Decreto Legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 in "G.U. della R.I." 4 novembre 2005, n. 257: "Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni sul 2° ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione".
(4) Nella prima cerimonia di consegna delle medaglie alla memoria per i caduti delle foibe l’8 febbraio 2006 presso il palazzo del Quirinale il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha ricordato che: "Il nostro europeismo non nega, anzi rafforza l’amore per la Patria praticata negli ideali del Risorgimento. Essi ci hanno trasmesso insieme alla coscienza della ritrovata unità nazionale il sentimento profondo di fraternità fra tutte le nazioni libere e indipendenti".
(5) Cfr. A.M. Greco, Cento prof. alla Moratti: "Tuteliamo l’italianità", in "il Giornale del lunedì", lunedì 10 giugno 2002, anno XXXIII n. 22, p. 16. In questo articolo si riportano succintamente i contenuti di un appello rivolto da decine di docenti universitari di vari atenei al ministro del MIUR affinché venga incrementata l’attenzione per le nostre tradizioni. Tale richiesta mira quindi a valorizzare il ruolo chiave della Scuola sulla salvaguardia dell’identità nazionale, che deve porsi come punto centrale in un sì vasto spettro di nuove esigenze sovranazionali. La globalizzazione può essere meglio gestita ed affrontata se le radici di un Paese affondano in un terreno ben tenuto, non abbandonato all’incuria dei distratti. Le materie umanistiche, nonostante il tentativo di dominio tracotante ed invadente della tecnica, mostrano ancora il loro aureo contributo al dispiegarsi dello Spirito.
(6) Come recita la L. 92/2004, art. 2 comma 2, nella "giornata del ricordo" "[…] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado". Data la trasversalità del tema e del mandato educativo teso alla sensibilizzazione civica degli studenti, pare opportuno precisare che la realizzazione di attività culturali di approfondimento, per classi singole o interclassi, non è una prerogativa esclusiva del docente di storia, poiché la prescrizione lascia intendere che l’argomento prescinda dallo sviluppo specifico della propria programmazione. Va da sé che tempi e unità didattiche risentiranno di tale facile constatazione prassico-applicativa. Il messaggio intrinseco della legge è di fare di tutti gli alunni dei cittadini informati e sensibilizzati su simili tematiche, qualsiasi ne sia l’età o l’indirizzo scolastico intrapreso.
(7) W. Brezinka, Scopi dell’educazione nelle famiglie e nelle scuole pubbliche in situazione di pluralismo, in "Pedagogia e Vita", Brescia, La Scuola, gen.-feb. 2005, serie 63 - n. 1, p. 35. L’A. così continua: "Oltre ai doveri, gli insegnanti sono tenuti per legge a fornire un’educazione ai valori nell’ambito della costituzione dello Stato e dei principi morali societari di base. Le scuole pubbliche non sono semplicemente organizzazioni al servizio d’interessi privati dei genitori e dei loro figli in materia di educazione e di progresso individuale. Esse sono nel medesimo tempo i centri nazionali per la difesa e la formazione delle comuni indicazioni d’orientamento e della loro trasmissione alle generazioni successive". In perfetta sintonia con quanto appena riportato il Presidente della Repubblica Ciampi, durante il discorso pronunciato in occasione dell’apertura dell’A.S. 2003-04 presso il complesso monumentale del Vittoriano in Roma, il 16 settembre 2003 ha detto: "Educare significa soprattutto trasmettere valori. Esiste, naturalmente, una sfera privata dei valori. Di questa, ciascuno è responsabile solo di fronte alla propria coscienza. I valori che ci uniscono come cittadini italiani, sono proclamati solennemente nei primi dodici articoli della Costituzione".
(8) Cfr. G. Nevola (a cura di), Una patria per gli Italiani? La questione nazionale oggi, tra storia, cultura e politica, Roma, Carocci, 2003. Sul punto cfr. in particolar modo il capitolo: Quale patria per gli Italiani? Dalla "repubblica dei partiti" alla pedagogia civico-nazionale di Ciampi, ivi, pp. 139-191.
(9) Cfr. Z. Bauman, Voglia di comunità, Roma-Bari, Laterza, 2001. Di forte impatto appare fra le prime pagine del testo, a proposito del concetto di "comunità", l’immagine metaforica del "cerchio caldo". In merito si rende opportuno accennare ad una distinzione sociologica fra "società" e "comunità". Il primo concetto rimanda ad un’unione di soggetti che decidono di stare assieme, vincolati da interessi e con delle responsabilità nette, ove la competizione è persino funzionale all’aggregato umano, in vista di precisi obiettivi. Questo termine rimanda ad un’idea di accostamento di individualità, pronte a sciogliersi dall’unione nel momento in cui le condizioni aggreganti non dovessero più convincere gli aderenti stessi. Nel caso della "comunità", invece, si potrebbe dire che essa è la dimensione della con-fusione di identità in una somma sovra-individuale, un insieme di persone che trova in sé la ragione stessa del gruppo, è una malta densa e rassicurante, in cui c’è meno concorrenza ma più compattezza, tendenza ad una certa omogeneità gruppale. La società vive d’individualità ben definite; la comunità, invece, si mostra come un sé autonomo, vive di parti convergenti in un fulcro condiviso. La tendenza centrifuga è il rischio costante della dinamica societaria, mentre una forte e (a volte) schiacciante forza centripeta caratterizza i momenti del far comunità. Sulle due definizioni cfr. L. Gallino, Dizionario di Sociologia, Torino, UTET, 2004, pp. 143-146 e pp. 601-605.
(10) Basta questa espressione per far storcere tanti nasi sofisticati e saccenti. Certo, ormai la regola è far finta di criticare restando omologati nel dissentire. Un po’ per vezzo o il gusto del dissenso, impegnandosi ad apparire più sottili di quanto non abbisogni. Di questi tempi il vero baluardo controcorrente è quello della tradizione, fra le cui solide mura è importante stringersi affinché, non paralizzati dalla visione delle rovinose macerie dell’ottundimento collettivo circostante, si possano scorgere nuove albe capaci di rischiarare inusitati traguardi. Per una riflessione sulla "pedagogia dei valori" cfr. W. Brezinka, Educazione ai valori? Problemi e possibilità, in Idem, Morale e educazione. Per una filosofia normativa dell’educazione, Roma, Armando, 1994, pp. 115-135. L’A. a p. 115, con lo scopo di chiarificare quello che potrebbe contrariamente sembrare solo uno slogan buono per tutte le stagioni, afferma: "Ogni tipo di educazione è sempre orientata verso determinati valori, e nessuno può educare senza far ricorso a valori precisi. Ciò risulta ovvio a chiunque possiede idee chiare sull’educazione". Conclusa la sua attenta analisi, Brezinka così termina il capitolo: "L’educazione è conseguenza del rinnovamento normativo della società, ma non può provocarlo. Perciò l’utilità dello slogan "educazione ai valori" consiste essenzialmente nello stimolare i cittadini adulti a riflettere su ideali comuni ed a considerarli seriamente nella vita quotidiana. Il buon esempio da parte loro è e rimane il mezzo più efficace per aiutare la giovane generazione nel suo orientamento ai valori". Ma se ciò pare quasi scontato, come mai la società attraversa una fase di stanca pedagogica in cui la scuola pare abbia il fiato corto in questo gioco scorretto di (sospetta) delega al compito educativo, salvo poi lamentarsene in ogni caso? Una risposta plausibile potrebbe risiedere nell’irresponsabile tentazione della "rinuncia all’educazione". "Uno dei massimi sociologi italiani, – si legge su di una rivista specializzata – Franco Ferrarotti, ha definito i cinquant’anni che ci hanno preceduto il periodo senza educazione. Al piccolo d’uomo sono state date cose invece che valori, gli si è creato intorno un mondo virtuale, quello dei mass media, in particolare la televisione, che hanno creato bisogni, sostituendo i sogni: la capacità di immaginare, di esser creativi, di progettare. […] Il tempo che la famiglia riserva all’educazione è stato drasticamente ridotto e le nuove generazioni devono essere affidate alla scuola. Vi è sempre più difficoltà nel trasmettere valori, dato che in casa vi è un ospite fisso, la TV, ben più potente della famiglia, tutto teso a sostituirla"; cfr. R. Zucchi, Riprendiamoci la pedagogia, in "Le nuove frontiere della scuola. Periodico quadrimestrale di cultura, pedagogia e didattica", Trapani, La Medusa ed., maggio 2004, anno III n. 10, pp. 13-26.
(11) Cfr. B. Mondin, L’uomo progetto aperto, in "Pedagogia e Vita", Brescia, La Scuola, lug.-ago. 2005, n. 4, pp. 37-50.
(12) Nell’ambito delle celebrazioni per il 144° anniversario della Provincia di Palermo, presso Palazzo Sclafani, s’è svolto nel pomeriggio del 12 settembre 2005 un incontro culturale con Marcello Veneziani, dal titolo: Il primato delle idee (per uno sguardo d’insieme sull’8ª ed. della "Festa della Provincia" cfr. F. Certa, Si alza il sipario il territorio si accende, in "Palermo", n. 4 luglio-agosto 2005, pp. 2-3; F.C., Incontri ravvicinati con gli autori, in Ib., p. 4). Tale titolo lo si deve all’Assessore alla Cultura Tommaso Romano che, ben cogliendo il vero intento dell’A. in uno dei suoi libri (M. Veneziani, La sconfitta delle idee, Roma-Bari, Laterza, 2003), ha introdotto e moderato l’interessante conferenza. Chi scrive, dopo aver ascoltato gli spunti offerti dall’ospite sulla condizione attuale del pensiero, delle idee e degli intellettuali, alla fine degli interventi, ha avuto modo di rivolgere all’A. una domanda sul ruolo della Scuola nel risveglio delle idee e della coscienza civile degli Italiani. Veneziani ha così delineato un quadro non proprio entusiasmante dell’infelice condizione generale in cui versa, a suo dire, questa importante istituzione del nostro Paese. Per anni, ha sostenuto lo scrittore, essa ha ricoperto un ruolo chiave nella formazione della classe media della Nazione, troppo a lungo divisa internamente ed ambita preda di smanie politico-diplomatiche estere, così come ha anche avuto l’indubbio pregio d’innalzare il livello culturale di tutti gli Italiani. Tuttavia, faceva notare, da anni la Scuola pare stia segnando il passo sul piano delle idee, quasi appiattita, impegnata com’è in progetti d’ogni sorta e sovraccarica di tanti compiti che non le danno il tempo necessario per una sana maturazione dei concetti che impartisce.
(13) Vilfredo Pareto scrisse, sull’importanza delle convinzioni di fede collettive utili alla società, che "niente è così reale e pratico nella vita dei popoli come l’ideale. […] Se dal punto di vista della scienza ogni sorta di dubbio può e deve attaccare ogni principio, dal punto di vista dell’utilità sociale si deve restare tranquilli e lasciare intoccati tali principi che sono alla base della buona riuscita dei sistemi sociali". Al sociologo è altresì possibile affiancare altri pensatori come Unamuno e Nietzsche, persino Leopardi. Tutti accomunati dal medesimo tormento del pensiero per l’irrisolvibile tensione tra sapere e credere, conoscenza razionale e bisogni spirituali.
(14) E. Butturini, L’attuale crisi istituzionale e sociale, e l’impegno educativo, in AA.VV., "L’educazione alla legalità", Brescia, La Scuola, 1994, p. 92.
(15) Cfr. D.P.R. 13 giugno 1958, n. 585 - Introduzione dell’insegnamento dell’Educazione Civica negli istituti e scuole secondaria e artistica - , in "G.U. della R.I." 17 giugno 1958, n. 143. Impossibile non riportare qualche stralcio di questo decreto, solo a tratti datato, che nel suo dispiegarsi non può che suscitare pronta adesione. Nella premessa all’allegato 1 si legge: "L’educazione civica si propone di soddisfare l’esigenza che tra Scuola e Vita si creino rapporti di mutua collaborazione. […] La Scuola a buon diritto si pone come coscienza dei valori spirituali da trasmettere e da promuovere, tra i quali acquisiscano rilievo quelli sociali, che essa deve accogliere nel suo dominio culturale e critico. […]". Terminata la premessa con l’espressione "ogni insegnante prima di essere docente della sua materia, ha da essere eccitatore di moti di coscienza morale e sociale", il decreto passava poi a delineare l’azione educativa in relazione ai cicli scolastici. Sul primo ciclo si diceva solennemente tra le altre cose: "la lucidità dell’educatore rischiari le eclissi del giudizio morale dell’alunno, e si adoperi a mutare segno a impulsi associati, nei quali è pur sempre un potenziale di energia. Conviene al fine dell’educazione civica mostrare all’allievo il libero confluire di volontà individuali nell’operare collettivo". Nelle scuole superiori il docente era esortato a fare ancora di più: "L’azione educativa, in questa fase di sviluppo psichico, sarà indirizzata a costituire un solido e armonico equilibrio spirituale, vincendo incertezze e vacillamenti, purificando impulsi, utilizzando e incanalando il vigore, la generosità e l’intransigenza della personalità giovanile". Nella conclusione alla premessa il legislatore affermava: "Se l’educazione civica mira, dunque, a suscitare nel giovane un impulso morale a secondare e promuovere la libera e solidale ascesa delle persone nella società, essa si giova, tuttavia, di un costante riferimento alla Costituzione della Repubblica, che rappresenta il culmine della nostra attuale esperienza storica, e nei principi fondamentali si esprimono i valori morali che integrano la trama spirituale della nostra civile convivenza". Cfr. direttiva M.P.I. 8 febbraio 1996, n. 58 e il relativo "Documento allegato alla direttiva"; D.P.R. 10 ottobre 1996, n. 567; Circ. M.P.I. 25 ottobre 1996, n. 672. Cfr. anche L. Corardini - G. Rrefrigeri (a cura di), Educazione civica e cultura costituzionale. La via italiana alla cittadinanza europea, Bologna, Il Mulino, 1999.
(16) G. Penati, Civica, Educazione, in AA.VV., "Enciclopedia Pedagogica", vol. II (Cabrini-Düss), Brescia, La Scuola, 1989, pp. 2656-2657. Di rilevanza quanto sottolineato poco più avanti in un’ottica di pluralismo culturale: "Un insegnamento concreto dell’ed. civ., che non intenda limitarsi ad un’arida precettistica e a un’enunciazione di meri rapporti giuridici, ma si fondi invece sull’organicità non occasionale, ma strutturale delle varie componenti della civiltà, storicamente evidenziata, dovrà bensì far conoscere in particolare leggi e strutture giuridiche vigenti, a cominciare dalla Costituzione dello stato democratico". Sui problemi metodologico-didattici relativi all’ed. civ. l’A. (pp. 2658-2659) suggerisce di dar voce all’educazione alla socialità; per far ciò sarebbe buona prassi adottare il "metodo attivo", capace di concretizzare esperienze di partecipazione all’interno della stessa realtà scolastica. Fra i pedagogisti citati Dewey, Freinet, Kerschensteiner e Codignola.
(17) Nel documento in allegato alla direttiva si pone inizialmente una riflessione sul ruolo dell’educazione ("intesa come processo che svolge una fondamentale funzione di umanizzazione") e della scuola nella società contemporanea. La scuola, si legge, deve istruire, ma anche elaborare un sapere inteso "come coscienza dei valori della vita e come capacità di compiere scelte consapevoli e responsabili, per sé e per gli altri". Quali le dimensioni fondamentali, dunque? Quella della persona (area della ricerca della verità e del senso della vita); quella del cittadino (area socio-relazionale, organizzativa); quella del lavoratore (area della produzione di beni e servizi). Da porre in evidenza l’ormai diffusa convinzione che l’adattamento sociale e la preparazione al mercato del lavoro non bastino al fare scuola; essa va sempre più intesa come comunità, un valore, ed anche come una "interazione sistemica fra docenti e discenti", che devono affrontare, con differenti ruoli, le aspre perturbazioni del tempo, che quotidianamente deve svolgere la sua funzione antropologica in modo insostituibile rispetto al ogni altra ipotesi formativa. Nella sua battaglia di civiltà, tesa contro ogni forma di devianza, la scuola deve e può prospettare con serietà e gioia. Per far ciò essa deve sapere certamente mediare: approccio cognitivo ed approccio relazionale; attenzione alle prestazioni ed ai vissuti personali; programmazione rigorosa e promozione della creatività; usare più linguaggi, anche multimediali. Occorre educare, poiché istruire non basta. Bisogni, valori e diritti sono guide pratiche per una corretta azione educativa rivolta alla solidarietà, alla sicurezza, al senso della famiglia, alla nazione, all’Europa e al mondo. Più stretti i contatti con l’extrascuola più efficace ed efficiente il frutto del flusso insegnamento-apprendimento. Un rinnovato patriottismo è possibile lì dove all’educazione civica venga altresì affiancata una solida cultura costituzionale. Il documento si conclude con le parole: "In questo panorama composito, in cui sorgono nello stesso mondo giovanile nuove domande e nuove risposte di senso di legalità e di solidarietà, la Costituzione è una specie di giacimento etico, politico e culturale per lo più sconosciuto, che possiede la singolare caratteristica di fondare in una visione unitaria i diritti umani e l’identità nazionale, l’articolazione autonomistica e l’apertura sopranazionale, la scuola come istituzione e il suo compito di ricerca, d’insegnamento, di garanzia e di promozione della persona".
(18) Cfr. L. Corardini – W. Fornasa – S. Poli (a cura di), Educazione alla convivenza civile. Educare istruire formare nella scuola italiana, Roma, Armando, 2003.
(19) Fra le altre educazioni indicate in tale percorso (che da sole non ne esauriscono il novero) troviamo: – Educazione stradale – E. all’ambiente – E. alla salute – E. alimentare – E. all’affettività; cfr. pure S. Chistolini (a cura di), Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea, Roma, Armando, 2006.
(20) Questa data, pur non costituendo più una Festa Nazionale, ricopre ugualmente un’innegabile valenza storica, tale da non poter comunque essere trascurata. Per il provvedimento che nel primo dopoguerra ne sancì per anni l’esistenza cfr. R.D.L. 23 ottobre 1922, n. 1354 – "Giorno 4 novembre, anniversario della nostra vittoria, è dichiarato festa nazionale e considerato festa a tutti gli effetti civili", in "G.U. del Regno d’Italia", 26 ottobre 1922, n. 252. Il Capo dello Stato durante il suo settennato al Quirinale ha costantemente rammentato come la vittoria della Grande Guerra per l’Italia abbia sancito un momento fondamentale, rappresentandone il compimento del "sogno risorgimentale". Nell’ultimo messaggio inviato in tale circostanza alle FF.AA., il Presidente Ciampi così si è espresso: "Nella storica ricorrenza del 4 novembre, Giorno dell’Unità Nazionale e Festa delle Forze Armate, desidero rivolgere un commosso pensiero a tutti gli italiani che hanno immolato la vita per il bene supremo della Patria, per la nostra libertà, per l’edificazione di uno Stato democratico e repubblicano, per la salvaguardia della pace tra i popoli. È nel loro imperituro ricordo che renderò omaggio alla sacre spoglie del Milite Ignoto, degno figlio d’Italia e di quella generazione che, proprio novanta anni or sono, iniziò l’ultimo conflitto del Risorgimento nazionale. […]". A questi ha fatto eco il Ministro della Difesa Antonio Martino: "Soldati, Marinai, Avieri, Carabinieri, il 4 novembre 1918, dopo quaranta mesi di durissime prove, l’armistizio di Villa Giusti chiuse la Grande Guerra. L’Italia uscì provata ma vittoriosa dal devastante conflitto. Il sacrificio dell’Esercito, sull’Isonzo, sul Carso, sul Pasubio, sull’Ortigara, sul Grappa, sul Piave; l’abnegazione della Marina, che assicurò il controllo dell’Adriatico; l’ardimento dei primi piloti, dimostrarono la tempra delle nostre Forze Armate. I terribili eventi del 1917 non piegarono i combattenti, che riuscirono ad impedire che il nemico dilagasse nella pianura padana. L’intero popolo si strinse intorno ai suoi soldati, che vinsero la decisiva battaglia di Vittorio Veneto. Con la Vittoria del 1918 l’Italia fu finalmente unificata e giunse a compimento il Risorgimento nazionale. […]".
(21) Cfr. Decreto Legislativo Luogotenenziale 22 aprile 1946, n. 185 – Disposizioni in materia di ricorrenze festive, in "G.U. del Regno d’Italia" del 24 aprile 1946, n. 96. All’art. 1 sta scritto: "A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale". L’espressione "totale liberazione", riferita alla data del 25 aprile 1945, in realtà, desta non poche perplessità. La tragedia giuliano-dalmata sembra che a suo tempo non fosse stata adeguatamente presa in considerazione, quasi che l’effettiva perdita di sovranità su ampie zone del territorio nazionale alla porta orientale d’Italia non rivestisse alcuna rilevanza.
(22) Cfr. L. 20 novembre 2000, n. 336 – Ripristino della festa della Repubblica il 2 giugno, in "G.U. della R.I." del 22 novembre 2000, n. 273. Cfr. altresì il Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 maggio 1947, n. 387 – Dichiarazione di festa nazionale e di giorno festivo a tutti gli effetti civili del giorno 2 giugno 1947, primo anniversario del plebiscito popolare che ha instaurato la Repubblica Italiana in "G.U. della R.I." del 28 maggio 1947, n. 387 nonché la L. 27 maggio 1949, n. 381 – Disposizioni in materia di ricorrenze festive, in "G.U. della R.I." del 31 maggio 1949, n. 124.
(23) Cfr. G.U. della R.I. del 16 aprile 2004, n. 86.
(24) Cfr. G.U. della R.I. del 26 aprile 2005, n. 95.
(25) Cfr. G.U. della R.I. del 20 agosto 2002, n. 194. Da notare la coincidenza di questa data con l’anniversario dell’eccidio dei nostri militari a Nassiriya in Iraq nel 2003. La più grande tragedia per le nostre truppe all’estero dopo l’ultima guerra mondiale ha sinceramente ferito tutti i cittadini, che in quei cupi giorni hanno fatto sentire con partecipazione il loro affetto per coloro che in divisa, con onore e professionalità, ci rappresentano ovunque siano chiamati ad assolvere il loro compito. In quel frangente l’Italia s’è sentita toccata nel vivo, mostrando coesione ed orgoglio. "I caduti di Nassiriya nell’autunno 2003 – scrive Gennaro Malgieri a p. 12 nella prefazione al testo di F. Servello, Revisionismo. Memoria ritrovata Patria riscoperta, Roma, Koinè Nuove ed., 2005 – ci richiamarono improvvisamente e drammaticamente al principio pre-politico dell’appartenenza. Perciò ci stringemmo, senza distinzione di parte, a loro e tra noi per marcare, appunto, l’appartenenza a una comunità radicata in un patrimonio di valori morali e spirituali che definiscono un altro sentimento che per decenni non ha avuto cittadinanza in Italia: il patriottismo; sentimento che preesiste al riconoscimento della stessa idea di nazione". Sulle giornate appena successive all’attentato terroristico, solo per citare alcune testate nazionali, cfr. [AA.VV.], Strage di Italiani. Sei siciliani fra i 18 morti, in "Giornale di Sicilia", giovedì 13 novembre 2003, anno 143 n. 311, pp. 1-13; [AA.VV.], La strage degli Italiani, in "il Giornale", giovedì 13 novembre 2003, anno XXX n. 269, pp. 1-17; [AA.VV.], Strage di carabinieri, il dolore dell’Italia, "Corriere della Sera", giovedì 13 novembre 2003, anno 128 n. 269, pp. 1-18; [AA.VV.], La strage degli Italiani, in "La Stampa", giovedì 13 novembre 2003, anno 137 n. 311, pp. 1-16; [AA.VV.], L’Italia colpita al cuore, in "Il Messaggero", giovedì 13 novembre 2003, anno 125 n. 310, pp. 1-15. Questo il prezzo del nostro contributo alla pacificazione di un popolo che per troppi anni ha dovuto subire le cupidigie di un torbido tiranno. Pochi giorni dopo, sulle colonne de "il Giornale", si leggeva: "La Patria non è morta, stava male in salute ma l’abbiamo ritrovata, per fortuna. […]. L’Italia è in lutto ma non lascia il suo avamposto di civiltà e democrazia. Senza illusioni e senza avidità"; cfr. M. Cervi, La Patria ritrovata, in "il Giornale", sabato 15 novembre 2003, anno XXX n. 271, pp. 1-2. In ricordo di quell’infausta giornata (definita dal Ministro della Difesa come "uno dei giorni più tristi nella storia della Repubblica") lo scorso 12 novembre sono state concesse, durante una cerimonia svoltasi al Vittoriano, 19 croci d’onore alla memoria ai familiari dei caduti e 3 ai Carabinieri superstiti; cfr. P. Ciociola, Strage di Nassiriyah due anni dopo: dolore indelebile, in "Avvenire", domenica 13 novembre 2005, anno XXXVIII n. 269, p. 4. Fra i testi consultabili cfr. P. Agnetti, Nassiriya, Milano, Baroli, 2004; E. Conca S, Nassiriya, tragedia e orgoglio, Cagliari, Edizioni della Torre, 2005; R. Orza Palazzo, Gli angeli di Nassiriya, Gorizia, LEG, 2005. Triste si rinnova, a causa di un altro vile attentato, il cordoglio di tutti per l’uccisione, sempre a Nassiriya, di un ufficiale paracadutista della "Folgore" e di due sottufficiali dei Carabinieri il 27 aprile u.s.; cfr. [AA.VV.], Strage a Nassirya. Morti 3 Italiani. Le famiglie: No al ritiro, in "il Giornale", venerdì 28 aprile 2006, anno XXXIII n. 100, pp. 1-9.
(26) Cfr. G.U. della R.I., del 2 gennaio 1997, n. 1.
(27) Cfr. G.U. della R.I. del 31 luglio 2000, n. 177 – Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
(28) Cfr. G.U. della R.I. del 13 aprile 2004, n. 86.
(29) Il ministro Letizia Moratti, a proposito dell’istituzione della "giornata della legalità", aveva concluso così il proprio intervento: "Una giornata che sia da stimolo a vivere nei nostri comportamenti quell’insieme di regole condivise che nascono dal rispetto degli altri e che diventano un contratto sociale per realizzare la migliore convivenza civile possibile. Ricordando che la legalità si realizza anche nei comportamenti e nei piccoli gesti quotidiani, nel rispetto dei propri compagni, nel rispetto delle strutture scolastiche che sono patrimonio di tutti, nel rispetto degli adulti, nel rispetto dell’ambiente. In questa giornata le scuole di tutta Italia, con una serie di eventi e di incontri, rifletteremo tutti assieme su questo valore profondo, chiamando a portare la loro testimonianza quanti ogni giorno operano per il rispetto della legalità e i parenti di coloro che nel nostro Paese hanno pagato con la vita la fedeltà alle Istituzioni e alle leggi" (cfr. http://www.istruzione.it). Cfr. AA.VV., L’educazione alla legalità, cit.; Associazione Nazionale Magistrati – Sezione Distrettuale di Palermo, La memoria ritrovata. Storia delle vittime della mafia raccontate dalle scuole, Palermo, Palumbo, 2005. Il D.M. n. 28 del 16 marzo 2006 prevede che tale giornata coinciderà col primo giorno di scuola di ogni anno. Tale decreto si snoda in 3 articoli, di cui l’ultimo adotta il c.d. "Manifesto Nazionale Cittadinanza, Legalità e Sviluppo".
(30) Sui rapporti fra sentimento nazionale e locale cfr. G. Nevola (a cura di), Altre Italie. Identità nazionale e Regioni a statuto speciale, Roma, Carocci, 2003.
(31) Da segnalare una serie di mostre annuali in vista del 150° anniversario dell’Unità con sede in Roma presso il Vittoriano; cfr. M. Breda, Otto secoli d’Italia. Le radici della nazione, in "Corriere della Sera", sabato 22 maggio 2004, anno 129 n. 121, p. 33.
(32) G. Deiana, Insegnare l’etica pubblica, Trento, Erikson, 2003, pp. 252-253.
(33) Tra i numerosi testi cfr. O. Bovio, Due secoli di tricolore, Roma, Ufficio Storico dello SME, 1996. Il Presidente Ciampi, com’è riportato a p. 234 di un testo a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Il tricolore. Il simbolo, la storia, Roma, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2005, ha affermato: "Il Tricolore non è una semplice insegna di Stato, è un vessillo di libertà conquistata da un popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi di fratellanza, di eguaglianza, di giustizia. Nei valori della propria storia e della propria civiltà".
(34) Un importante fattore educativo per un migliore avvio alla socializzazione degli alunni è ricoperto delle attività extra-curricolari. "L’educazione alla libertà – si legge nel contributo di C. Nanni, L’educazione civica a scuola, in L. Corardini – G. Rrefrigeri (a cura di), op. cit., p. 345 – trova un suo momento e luogo privilegiato nelle attività extra-curriculari: quelle ludiche, quelle espressive, quelle formative. Qualcosa di simile avviene […] con la partecipazione a campagne civili o promozionali, sia all’interno che all’esterno della scuola, in quel tanto conclamato, ma non sempre attuato, interscambio tra scuola e territorio". Una scuola aperta e in contatto diretto con ciò che la circonda è un ottimo modo per avviare i ragazzi alla cittadinanza attiva e responsabile.
(35) Cfr. Presidenza della Repubblica Italiana, Viaggio in Italia. Discorsi e interventi del Presidente Carlo Azeglio Ciampi. 17 gennaio 2001 – 2 giugno 2002, Roma, Ufficio Stampa e Informazione della Presidenza della Repubblica, 2003; D. Pesole (a cura di), Carlo Azeglio Ciampi. Dizionario della democrazia, Milano, San Paolo, 2005. Per una lettura della storia repubblicana tramite l’ottica del Quirinale cfr. M. Staglieno, L’Italia del Colle 1946-2006. Sessanta anni di storia italiana attraverso i dieci presidenti, Milano, Baroli, 2006.
(36) Cfr. S. Raffaelli, I nomi delle vie, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 215-242.
(37) Cfr. M. Viroli, Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia, Roma-Bari, Laterza, 1995; G.E. Rusconi, Patria e repubblica, Bologna, Il Mulino, 1997; G. Nevola (a cura di), Una patria…, op. cit.; W. Barberis, Il bisogno di patria, Torino, Einaudi, 2004.
(38) Cfr. M. Pirina, Foibe, gli scomparsi della storia, in AA.VV., Memorie di sangue. Genocidi del ‘900, Rimini, Il Cerchio Iniziative Editoriali, 2003, pp. 55-65. Il testo è la trascrizione degli atti di un convegno svoltosi a Piacenza il 21 febbraio 2002, in cui sono stati ricordati lo sterminio del popolo ebraico, il genocidio degli Armeni (su questa pagina storica cfr. F. Amabile – M. Tosatti, Mussa Dagh. Gli eroi traditi, Milano, Guerini e Associati, 2005) e il dramma delle foibe. All’inizio del brano l’A., rivolgendosi agli studenti, sente di dover fare un accenno ai libri di storia e alla sistematica esclusione di certi eventi non in linea con chi ha il potere di imporla: "È la storia di questi uomini che invece ritengo debba essere conosciuta, la storia scomparsa dalle pagine dei libri che nessuno vi dice che dovete conoscere, perché è una storia rimossa, perché la storia, quella che generalmente trovate nell’80-90% dei libri che sono negli scaffali delle biblioteche o delle librerie, è la storia dei vincitori, non la storia dei vinti, non la storia dei protagonisti che hanno subito. Allora, oggi io voglio dare parola a quelli che non ci sono e soprattutto rompere in maniera forte il silenzio dei vivi, perché il silenzio dei vivi è più tragico del silenzio dei morti che non possono più dire nulla". La puntigliosa ricerca con cui Pirina si è occupato negli anni del tema "foibe" è documentabile anche tramite altre pubblicazioni; tra queste, in riferimento all’espressione usata per designare la strage dei giuliano-dalmati, cfr. M. Pirina – A. D’Antonio, Genocidio… (Gorizia, Trieste, Pola, Istria, Fiume, Zara, Dalmazia), 4, Pordenone, Centro Studi e Ricerche Storiche "Silentes Loquimur", 1995.
(39) Cfr. G.U. della R.I., Serie Generale, anno 145° - n. 86, Roma, Martedì 13 aprile 2004. Tale legge è stata presentata alla Camera dei deputati dall’on. Roberto Menia il 26 ottobre 2001. La bozza è dunque stata assegnata alla I Commissione Affari Costituzionali, in sede referente, il 14 febbraio 2002, con pareri delle commissioni III, IV, V e XI. Esaminato il testo dalla Commissione il 26 e 27 febbraio; il 5, 6, 11 e 12 marzo; il 1° e 2 aprile; il 17 giugno 2003; il 3 febbraio 2004, il provvedimento è stato poi esaminato in aula il 4 e 10 febbraio 2004 ed approvato l’11 febbraio dello stesso anno. (Camera dei deputati, atto n. 1874). Per quanto riguarda l’altro ramo del Parlamento, il provvedimento è stato assegnato alla 1ª Commissione Affari Costituzionali, in sede referente, il 17 febbraio 2004, con pareri delle Commissioni 3ª, 4ª, 5ª e 7ª. Esaminato dalla Commissione il 25 e 26 febbraio; il 2 e 3 marzo 2004. Esaminato in aula, infine, il 4 e 11 marzo 2004 ed approvato il 16 marzo del 2004. (Senato della Repubblica, atto n. 2752).
(40) Cfr. MSc, Foibe, tutta l’Italia celebra la prima "Giornata del ricordo", in "il Giornale", giovedì 10 febbraio 2005, anno XXXII - n. 34, p. 8.
(41) Il discorso del Presidente è riportato per esteso in "Difesa Adriatica", marzo 2006, anno XII n. 3, p. 5.
(42) Ib., p. 1.
(43) (Rtg.), Ricordiamo insieme per non dimenticare mai più, in "La voce di Fiume", febbraio 2006, anno XL n. 32, p. 3.
(44) Sulla storia architettonico-monumentale della scuola cfr. S. Ricciardi, Vestigia di un regio monastero basiliano: il SS. Salvatore di Palermo, Palermo, Pezzino, 1988; Idem, Il Real Margherita di Palermo. Una scommessa scolastica nella Sicilia post-unitaria, Milano, Edizioni Ioppolo, 1993.
(45) La giornata è stata preceduta da una discussione dei docenti coi propri alunni il 10 febbraio; in un secondo momento, più classi sono state guidate alla visione di un documentario a cura dell’A.N.V.G.D. – Centro Studi "p. Flaminio Rocchi" dal titolo: Esodo. La memoria negata – l’Italia dimenticata (il filmato è stato posto all’attenzione del grande pubblico sul canale satellitare The History Channel alle ore 21 del 7 febbraio 2005, in replica il 10 febbraio alle ore 23), prodotto dalla Venicefilm e finanziato con i proventi della L. 16 marzo 2001, n. 72 – Interventi a tutela del patrimonio storico e culturale delle comunità degli esuli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, in "G.U. della R.I." del 28 marzo 2001, n. 73.
(46) E. Nuccio – C. D’Alessandro, Alla Provincia un incontro sulle foibe, in "Giornale di Sicilia", martedì 22 febbraio 2005, anno 145 n. 52, p. 30. Alla manifestazione hanno preso parte il presidente della Provincia Francesco Musotto, la prof. Gabriella Portalone dell’Università degli di Palermo ed il sottoscritto. Per quanto riguarda l’anno scolastico in corso, il "Regina Margherita" ha scelto di far incontrare gli studenti con alcuni esuli giuliano-dalmati invitando in Istituto, sia nelle succursali che nella sede centrale, nelle giornate del 9 e 10 febbraio i sigg. Lucia e Roberto Hodl (fratelli di Enrichetta, studentessa diciottenne infoibata a Fiume) e Gino Zambiasi (esule fiumano).
(47) Cfr. AA.VV., L’educazione tra solidarietà nazionale e nuova cittadinanza, Brescia, La Scuola, 1993. Il testo raccoglie gli Atti del XXXI convegno di Scholè del 1992, in cui diversi docenti universitari si sono confrontati sulla carenza del valore dell’identità nazionale negli Italiani, quella coscienza di "sentirsi parte" di una comunità accomunata da un patrimonio ideale, storico-culturale ed orientata allo stesso destino. In questo scenario si aggiunga la società attuale intesa come luogo dispersivo, frammentario e, ancora, la sua trasformazione in senso multiculturale e multietnico. Gli interventi posti si interrogano in che modo gli educatori possano intervenire per gestire questa situazione dalle conseguenze potenzialmente dirompenti per la stessa convivenza civile e democratica.
(48) Cfr. S. Romano, Italiani si diventa a cominciare dai banchi di scuola, in "Inserto speciale in occasione della Festa della Repubblica" allegato al "Corriere della Sera", sabato 1° giugno 2002, p. I. Nello stesso foglio sono altresì affrontati la storia della bandiera e dell’inno nazionale, l’evoluzione dello stendardo presidenziale e si presentano gli stemmi araldici delle FF.AA. (cfr. ib., pp. II e III). A pagina IV, infine, Renato Mannheimer presenta, con un articolo introduttivo intitolato Gli Italiani, il risultato di un interessante sondaggio, da cui emerge che alla domanda: "In generale, in che misura Lei si sente orgoglioso di essere cittadino...", ben l’88% degli Italiani si ritiene orgoglioso di esserlo. Positiva è altresì la percezione di sentirsi cittadino europeo (l’80%). Al quesito-stimolo: "Per Lei la bandiera italiana è soprattutto…", gli intervistati all’84% hanno risposto: "Il simbolo della nazione". Sull’inno di Mameli si sono poste due domande: "In che misura pensa di conoscere l’inno nazionale?" e "Le piace l’inno nazionale?". Alla prima il 34% della gente ha risposto che lo conosce a memoria, il 52% che ricorda la musica e qualche parola; alla seconda, invece, la somma di coloro cui piace molto e/o abbastanza l’inno raggiunge una percentuale di consensi pari all’83%. Sempre sull’ultima pagina si accenna anche all’emblema ufficiale dello Stato (l’iter che condusse la giovane Repubblica ad avere il suo simbolo vide il costituirsi di un’apposita Commissione speciale, presieduta da Ivanoe Bonomi ed i cui componenti furono i deputati: Candela, Cevolotto, Condorelli, Giannini, Guidi Cingolani Angela, Lussu, Maffi, Mazzoni, Pieri e Russo Perez. In un testo della Camera dei Deputati, 50° anniversario della Repubblica Italiana. Dalla Consulta alla Costituente, Roma, Ufficio atti e pubblicazioni, 1996, a p. 62 si legge: "Il 27 ottobre 1946 un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri aveva promosso un concorso per l’emblema della Repubblica. Nessuno dei progetti presentati fu accolto dalla Costituente, che promosse un nuovo concorso, al termine del quale venne adottato il bozzetto di Paolo Paschetto - votazione del 31 gennaio 1948. Al concorso pervennero 197 disegni e parteciparono 96 persone, fra cui artisti affermati e persone di umile condizione". Sia il bozzetto originale che la relativa documentazione dell’emblema statale si trovano adesso presso l’Archivio Centrale dello Stato - ACS. Su quest’ultimo punto cfr. D. Lgs. del Capo provvisorio dello Stato 5 maggio 1948, n. 535 – Emblema della Repubblica). Sulle origini repubblicane inoltre cfr. ACS (a cura di), La nascita della Repubblica. Mostra storico-documentaria, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri – Direzione generale delle informazioni, dell’editoria e della proprietà letteraria, artistica e scientifica, 1987; RAI-EDUCATIONAL, L’alba della Repubblica, opera in CD-ROM, Roma, 1998. È certo merito del Presidente Ciampi se la festa del "2 Giugno" così come la riscoperta del Vittoriano e di tutti i "simboli della Repubblica" (cfr. http://www.quirinale.it) sono tornati ad aggregare tanti cittadini al senso del patriottismo, conquistando lucidi consensi e la passione civica della maggioranza degli Italiani.
(49) Cfr. L. 27 maggio 1949, n. 260 – Disposizioni in materia di ricorrenze festive, in "G.U. della R.I." del 31 maggio 1949, n. 124.
(50) Cfr. F. Rocchi, L’esodo dei 350 mila Giuliani Fiumani e Dalmati, Roma, ed. Difesa Adriatica, 1998; G. Ooliva, Profughi. Dalle foibe all’esodo: la tragedia degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, Milano, Mondadori, 2005. Numerose e sparse le comunità degli esuli in più parti del Paese, soprattutto quella laziale e in special modo quella di Roma; cfr. Associazione per la Cultura fiumana, istriana e dalmata nel Lazio – Archivio Museo Storico di Fiume, Il villaggio giuliano-dalmata di Roma. Cronaca e storia di uomini e fatti (1947-2003) – Atti del convegno di studi del 19 dicembre 2003, Roma, 2003; R. Fidanza, Storia del quartiere giuliano-dalmata di Roma, opera in Cd-rom, Roma, Drengo, 2003; M. Micich, I Giuliano-Dalmati a Roma e nel Lazio. L’esodo tra cronaca e storia (1945-2004), Roma, Associazione per la cultura fiumana, istriana e dalmata nel Lazio – Archivio Museo Storico di Fiume, 2004. Sull’origine del quartiere giuliano-dalmata di Roma all’E.U.R. cfr. Ministero dei Lavori Pubblici – Consiglio Superiore, Opere Pubbliche del Regime: il villaggio per le maestranze dell’esposizione universale di Roma, in "Annali dei lavori pubblici", Roma, Istituto poligrafico dello Stato, anno LXXX - fasc. n. 3, marzo 1942 - a. XX E.F, pp. 172-173. In questo quartiere sorge l’"Archivio Museo Storico di Fiume" che, insieme al "Museo della Civiltà Istriano-Fiumano-Dalmata" di Trieste, è ufficialmente riconosciuto dall’art. 2 della L. 92/2004.
(51) Cfr. il testo della discussione del progetto di legge Menia sul sito http://www.robertomenia.it.: Concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati – Seduta n. 857 del 12 febbraio 2001. Qualcuno potrebbe ideologicamente porre l’accento sulla matrice partitica del deputato proponente un simile provvedimento. A questi basta rammentare, dunque, che come recita l’art. 67 della Costituzione: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione (…)".
(52) Numerosi e marcatamente segnati da una precisa matrice politico-ideologica la maggior parte dei testi che andrebbero riscritti, soprattutto relativamente a simili pagine. Fra questi è attualmente possibile scorgere nient’altro che un piccolo campionario di strane "dimenticanze", di vaghi accenni o di grossolane inesattezze. Sul punto cfr. anche A. SGHERRI, L’editoria scolastica e la questione adriatica nel quadro del progetto "Storia del ‘900", in P.C. Hansen (a cura di), Il confine orientale nel Novecento, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, 2003, pp. 13-15; A. Fares, L’editoria scolastica e la questione adriatica, in ib., pp. 17-33. In un’intervista al prof. Mauri, decano dell’Università Statale di Milano, veniva chiesto un parere sulla recente istituzione della L. 92/2004. Il docente così avanzava due considerazioni: la prima, che le foibe non furono un eccidio contro fascisti o comunisti ma un genocidio per slavizzare quelle terre; la seconda, invece, dava un seguito alla seguente domanda: D. "Ora i nostri libri di scuola aggiungeranno finalmente un capitolo?" – R. "Se non saranno ancora monopolio di autori politicamente schierati come fino a oggi, sì"; cfr. L. Bellaspiga, La Giornata di tutti gli italiani, in "Avvenire", mercoledì 17 marzo 2004, anno XXXVII n. 65, p. 11.
(53) Cfr. F. Salimbeni, Istria. Storia di una regione di frontiera, Brescia, Morcelliana, 1994.
(54) Cfr. G. Benedetti, Il giorno delle foibe. Ciampi: ricordi, non rancori, in "Corriere della Sera", giovedì 10 febbraio 2005, anno 130 n. 34, p. 11. Nell’articolo è possibile rintracciare anche il parere del Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, che ha dichiarato: "Solo il ricordo di ciò che copre di vergogna l’essere umano può impedire di ripercorrere la stessa strada dell’odio e di generare i medesimi mostri, è per questo che nessuna delle pagine della nostra storia può essere cancellata, anche se il ricordo provoca turbamento, dolore, vergogna". Nello stesso foglio, sempre sul "10 febbraio", l’opinione dell’on. Piero Fassino (DS): "Una pagina dolorosa della storia italiana, troppo a lungo negata e colpevolmente rimossa. Nelle foibe morirono donne e uomini colpevoli soltanto di essere Italiani. E l’esodo fu l’espulsione di massa di una intera comunità, con l’obiettivo di sradicare l’italianità di quelle terre". Non è ovviamente mancata la dichiarazione del Presidente del Senato, com’è agevole leggere in G. Galezzi, Nel giorno delle foibe accuse a Toglietti e a De Gasperi, in "La Stampa", venerdì 11 febbraio 2005, anno 139 n. 41, p. 2, che sul tema ha aggiunto: "Un caso non unico nella storia; si tratta di una pagina tragica che una legge ha deciso giustamente di riesumare. La storia, almeno quando è buona storiografia, è uno strumento di conoscenza e non un mezzo di lotta politica, affinché le gravi, drammatiche ed anche gravi divisioni di ieri non tornino a dividerci oggi". Cfr. anche C. Magris, La memoria senza ossessione, in "Corriere della Sera", giovedì 10 febbraio 2005, cit., pp. 1/35; F. Biloslavo, Foibe, l’Italia celebra il giorno della verità, in "il Giornale", venerdì 11 febbraio 2005, anno XXXII n. 35, p. 10.
(55) Cfr. le ragioni degli esuli tra le colonne della collezione del periodico mensile "Difesa Adriatica - Centro Studi p. Flaminio Rocchi", organo dell’A.N.V.G.D. (per una sintesi recentemente data alle stampe cfr. L. Toth, Perché le foibe: gli eccidi in Venezia Giulia e in Dalmazia 1943-1950. I fatti e la loro interpretazione nella storiografia e nella politica, allegato al n. 2, febbraio 2006, di "Difesa Adriatica"), ma anche quella de "L’Arena di Pola" o de "La Voce di Fiume".
(56) Il paragrafo ricostruisce stralci della vita dell’agente di Pubblica Sicurezza Luigi Bruno, scomparso nel maggio del 1945 a Fiume in seguito all’arresto compiuto dai partigiani comunisti titini. Una breve parte della presente testimonianza è già stata resa pubblica in M. Pirina, Dalle foibe…all’esodo 1943-1956, Pordenone, Centro Studi e Ricerche Storiche "Silentes Loquimur", 5, 1996, pp. 304-306.
(57) Cfr. M. De Marco, La Pubblica Sicurezza sul confine orientale 1938-1945. Inediti di una tragedia annunciata, Gorizia (?), s.a. Il testo, scritto da un agente della Polizia di Stato, è reperibile tramite il sito http://www.tuttostoria.it. Esso tratta delle vicende riguardanti la provincia isontina, ma offre un buon contributo alla ricostruzione dell’azione del corpo nella zona del confine orientale. Per una breve inquadratura storica della Pubblica Sicurezza cfr. ib., pp. 8-36; R. Amato, La Polizia Italiana. Aspetti storici ed istituzionali, Palermo, ed. Sophia, 1977.
(58) In una pubblicazione degli Archivi di Stato su Fiume nella seconda guerra mondiale a cura di A. Ballarini e M. Sobolevski, Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947), Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Generale per gli Archivi, 2002, frutto della collaborazione di studiosi italiani e croati, è possibile venire a conoscenza del questore Giovanni Palatucci (in servizio a Fiume dall’aprile alla fine di luglio del 1944, poi deportato a Dachau ed ivi deceduto il 10 febbraio 1945) e della difficile situazione del suo ufficio. A p. 67, a proposito della Questura, leggiamo quanto scritto dallo stesso: "Animato da senso del dovere e spirito di sacrificio, assunsi, nel principio dell’aprile decorso, la direzione della Questura, senza una parola di incoraggiamento o una direttiva del Centro. Eppure avevo raccolto, sia detto senza la minima intenzione d’attacco contro chicchessia, un’eredità onerosa. […] Si trattava di un organismo esautorato nei poteri e depauperato nei mezzi, scosso nel prestigio presso le autorità italiane e germaniche, con i servizi solo parzialmente efficienti e con una compagine disciplinare incrinata. […]". Sul personale Palatucci annotava: "Gli Agenti da lunghi mesi disarmati, intristiti nella ordinaria amministrazione più piatta, scoraggiati da continue angherie da parte germanica, durante lunghi mesi, avevano perduto il gusto del lavoro […]. Non si lamentano, in verità, casi di diserzione, o esempi gravi di indisciplina […]. Si sono tuttavia manifestate nel loro seno, forze centrifughe, eccessivo spirito di critica e quasi controllo sull’andamento della Questura; insomma una specie di tendenza alla socializzazione dei poteri, frutto pernicioso della disfatta […]". Tesi i rapporti con i Tedeschi, come si evince da p. 68: "A tale scopo, fin dall’aprile decorso mi adoperai nel modo più fattivo, per istituire rapporti di comprensione e di fiducia con le Autorità germaniche, civili e di Polizia, da cui mi ripromettevo anche un appoggio materiale che avrebbe ben potuto essere considerato un indennizzo delle gravi perdite a noi inflitte, con la sottrazione, avvenuta sin dal decorso settembre di armi, munizioni ed automezzi […]; è oggi compito estremamente delicato tenere compatta e disciplinata la compagine degli Agenti della Questura di Fiume. In questa lotta asprissima, serrata, talvolta estenuante, pur potendo contare sulla prima solidarietà di tutti di tutti i colleghi sono stato assolutamente solo […]". Alla nota 73 di p. 68 è riportato l’elenco dei nominativi dei sottufficiali ed agenti di P.S. alla Questura fiumana al giugno 1944. In tutto 134 persone, fra cui 12 impegnati presso l’Ufficio Ferrovia, ove prestava servizio Luigi Bruno. La scheda personale del Nostro è consultabile nello stesso testo a p. 311.
(59) La storia di Luigi Bruno e di molti agenti di P.S. si associa a quella di altri militari (Carabinieri, Finanzieri, Guardie alla Frontiera, Militi della M.D.T., etc.) imprigionati, torturati e/o infoibati perché rappresentanti di quell’Italia che i titini nel loro sanguinoso progetto di pulizia etnica detestavano più di ogni altra cosa. Di seguito, solo a scopo di rendergli omaggio con una citazione, si riportano i nomi degli altri Poliziotti scomparsi a Fiume nelle stesse circostanze del Nostro: Atzori Francesco - Avallone Raffaele - Azzaro Salvatore – Bartolomeo Salvatore - Blanchet Gennaro – Bolognini Dino - Buffalini Augusto - Castriota Cosimo - Chiavelli Amelio - Cipolla Salvatore – Cirillo Guglielmo - Coniglio Filippo - Conti Giannino - Corbo Bruno - Corbo Giuseppe - Cozzella Luigi - De Benedetto Ernesto - Delle Fontane Giuseppe – Di Giacomo Salvatore – Ferrara Giovanni - Fiorentini Antonio - Frongia Giuseppe - Ganzardi Ettore - Grillo Edoardo - Grossetti Domenico - Innocenti Ettore - Laruccia Vito Mario - Lazzarini Angelo - Lenzi Ezechiele - Manno Barnaba - Marsala Gaetano - Melosu Ignazio - Minerva Matteo - Murgolo Giuseppe - Nesti Giovanni - Nicoletti Tullio - Nicotra Mario - Olivieri Antonio – Panettoni Secondo - Pirrello Antonio – Pissi Edoardo - Puglisi Antonio - Ranni Antonio - Riccio Aquino – Romagnuolo Fernando - Rosati Filippo – Rutigliano Tommaso - Salvatore Antonio - Santamaria Nicola - Sarcina Luigi - Scaffetta Luigi - Sforza Giovanbattista – Sperduti Francesco - Tamantini Fabio - Valente Guido - Vendegna Mario - Verducci Vincenzo - Zamo Umberto - Zanini Bruno - Zito Mario; l’elenco dei caduti appartenenti alla P.S. in servizio a Fiume ed uccisi dopo il 3 maggio 1945 è tratto da M. Pirina – A. D’Antonio, Genocidio…, op. cit., pp. 138-139.
(60) Il foglio di via con cui si consentiva alla famiglia Bruno di lasciare definitivamente Fiume è datato 9 novembre 1945; esso concedeva appena quattro giorni per effettuare il cambiamento di residenza e in calce non si mancava di marcare il testo con l’espressione bilingue: "Morte al fascismo – Libertà ai popoli / Smrt fasizmu – Sloboda narodu!".
(61) Fra i tanti documenti che Anna Maria Bruno (classe 1938, insegnante in pensione) conserva vi è anche l’attestato di studio relativo al 1° anno rilasciato dalla direzione della Scuola elementare di Fiume, sita allora in p.zza Cambieri (A.S. 1944-45). Benché questa pagella sia stilata in Italiano occorre sottolineare come il momento di transizione rispetto alla sovranità sia anche in esso abbastanza evidente già alla data del 6 luglio 1945; l’intestazione del certificato, infatti, non riporta più lo stemma statale italiano ma una grossa stella rossa, alla cui base sta scritto: "Comitato Popolare di Liberazione – Sezione Culturale di Fiume".
(62) Al verbale seguirà una dichiarazione rilasciata il 7 ottobre 1948 dal Comando Provinciale Guardie di P.S. di Caltanissetta in cui si certifica che: "la Guardia scelta di P.S. Bruno Luigi fu Vincenzo, in data 4/5/1945 è stato dato irreperibile, come da Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Interno n. 11 dell’1/11/1946".
(63) Varie e tutte finalizzate a far rivivere la figura paterna le iniziative poste in essere dalla figlia di Luigi, fra queste anche una lettera al Presidente Ciampi, datata 18 marzo 2001. In essa la signora auspicava che venisse istituito anche per i martiri delle foibe un giorno di pubblica memoria. Seguiva ad essa la risposta del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica (Ufficio per gli Affari Militari – Pos. n. UM/85866 del 30 marzo 2001), in cui si rassicurava la signora che nessun oblio avrebbe offuscato la memoria dei tanti nostri connazionali travolti in quel tragico periodo, "tant’è che nella sua visita a Trieste (23-24 febbraio 2000) il Capo dello Stato ha inteso rendere omaggio a tutte le vittime delle foibe andando personalmente a deporre una corona presso il Monumento Nazionale della foiba di Basovizza". La lettera si concludeva con la seguente considerazione: "Per quanto riguarda la sua idea di una giornata della memoria valutata senz’altro meritevole di attenzione, la stessa potrà essere eventualmente esaminata nel merito dal nuovo Parlamento dopo il suo pieno insediamento alla conclusione delle prossime consultazioni elettorali". Le Camere della XIV legislatura hanno in effetti coronato un’attesa durata troppi anni, riconoscendo la data del 10 febbraio come "Giornata del ricordo" con la succitata L. 92/2004; in applicazione all’art. 3, i congiunti degli infoibati, a richiesta, hanno diritto ad un diploma (su cui sono citate: Gorizia - Trieste - Fiume - Pola - Zara) ed una medaglia sulla cui parte frontale sta scritto: "PRO PATRIA"; sul retro, invece: "La Repubblica italiana ricorda" (insieme all’anno a cui si riferisce il fatto ed ovviamente il nome della persona scomparsa). / Sulla firma del "Trattato di pace" di Parigi del 1947, con cui l’Italia cedeva la propria sovranità su quelle terre, cfr. M. Pirina, Dalle foibe…, op. cit., pp. 338-341; I. Montanelli – M. CerviI, Guai ai vinti in L’Italia della Repubblica, Milano, Rizzoli, 1985, ora in Storia d’Italia 1943-1948, Milano, Edizioni del Corriere della Sera, 2004, pp. 344-365. La questione dei territori giuliani verrà definitivamente chiusa il 10 novembre del 1975 col "Trattato di Osimo". Fra le numerose opinioni consultabili su "Parigi-1947" e su "Osimo-1975" cfr. V. Crisafulli, Fra Patria ed europeismo. Valori obliati, verità conculcate, Palermo, Edizioni Thule, 1984, pp. 37-60. Nella prefazione a questo breve saggio il prof. Giuseppe Tricoli ricordava a p. 9 come quella dell’A., caustica, amara e schietta, fosse "un’utile testimonianza per la conoscenza del sistema del valori morali e politici della generazione dei vinti, [tesa ad] una più alta comprensione delle ragioni dell’ultima ed autentica generazione risorgimentale italiana".