CRISPI E MUSSOLINI CONVERGENZE E CONSEGUENZE di Michelangelo Ingrassia

Il viandante e la sua ombra

 

In una celebre biografia del ventennio dedicata al capo del fascismo è raccontato un episodio della giovinezza del futuro Duce la cui trama, mitica e profetica al tempo stesso, suscita non poca curiosità. La scena si svolge nella piazza di Predappio e vede coinvolti un giovanissimo Benito e il padre, Alessandro Mussolini. Al figlio deluso per avere invano bussato per un impiego al Comune di Predappio, il padre si rivolge esclamandogli: "non ti avvilire, tu sarai il Crispi di domani!".(1) Da quel momento, e da quella piazza, iniziano il proprio cammino il viandante e la sua ombra: Benito Mussolini e Francesco Crispi.

 

Questo piccolo fatto, apparentemente senza importanza, non va considerato come un equivoco culturale; non va classificato tra quegli avvenimenti minori catalogabili come semplici risvolti della storia. L’intreccio delle vite di Crispi e Mussolini rappresenta invece una traccia decisiva per comprendere la parabola storica di Benito Mussolini e del fascismo. È interessante, dunque, verificare se il parallelismo tra Crispi e Mussolini, evocato dall’immaginario collettivo e dalla cultura del Regime come mito, sia effettivamente approdato nella realtà della politica e quali conseguenze vadano eventualmente tratte, oggi, sul piano della storiografia, a proposito del fascismo.

 

È noto che lo stesso Mussolini contribuì volenterosamente ad organizzare e valorizzare questa immagine simbolica delle affinità elettive tra il vecchio statista siciliano ed il giovane capo della Marcia su Roma. Nel 1924, infatti, inaugurando a Palazzo Chigi una lapide a ricordo della Presidenza di Francesco Crispi, dirà: "Non solo prendo in consegna questa lapide nella quale stanno incise parole solenni, ma oserei dire che prendo in consegna lo spirito di Francesco Crispi, una delle figure dominanti e centrali del Risorgimento italiano".(2)

 

Commentando le parole del Duce, lo storico Giuseppe Tricoli osserverà che "quando Mussolini, divenuto capo del governo, "prende in consegna lo spirito di Crispi", suggella con un atto solenne l’aspettazione di antiche e nuove generazioni italiane di uno Stato nazionale che rappresenti eticamente gli ideali del Risorgimento".(3) Ecco dunque che il mito diventa realtà. Ed ecco la necessità di comprendere storicamente questo passaggio delicato che ha lasciato un’impronta nel fascismo e sul quale hanno pesato, nel tempo, polemiche e pregiudizi che ne hanno annebbiato l’importanza.

 

 

 

Esperienze parallele

 

Crispi è stato accusato o celebrato come precursore del fascismo; Mussolini è stato osannato o denigrato come l’imitatore di Crispi. E non c’è da stupirsi dal momento che le loro vite sembrano fatte apposta per essere confrontate e sintonizzate. Ambedue hanno alle spalle un passato di formazione tutt’altro che liberale e moderata ed anzi decisamente di sinistra e rivoluzionaria: Crispi è l’eretico del mazzinianesimo, Mussolini del marxismo; dotati di senso pratico, hanno sempre agito con la fredda determinazione del politico; giunti al potere hanno proceduto alla modernizzazione del paese con metodo autoritario più o meno accentuato. Crispi è l’uomo della riforma delle amministrazioni comunali, è l’uomo del riordinamento bancario e finanziario, è sensibile alla propaganda, cura l’informazione giornalistica; insomma tutti aspetti che ritroviamo, dal riformismo autoritario alla organizzazione del consenso, più o meno aggiornati nella vicenda di Mussolini. Ci si rende conto di come non sia stato difficile accostare Crispi a Mussolini additandoli o esaltandoli, durante e dopo il ventennio. L’affilata penna di Piero Gobetti, per esempio, definì Mussolini un "garibaldino in ritardo come Crispi, ma forse meno cocciuto di lui e per il suo convinto arrivismo più duttile";(4) un giudizio decisamente polemico (e politico).

 

Più sereno (e più storico), invece, il giudizio di Antonio Gramsci per il quale Crispi aveva creato "le prime cellule di un socialismo nazionale che doveva svilupparsi più tardi impetuosamente".(5)

 

Da destra Susmel ha osservato che Crispi "fu un esempio per Mussolini: un esempio da imitare";(6) da sinistra, invece, Vittorio Emiliani ha ricordato che Mussolini "verrà accusato agli inizi del fascismo da alcuni suoi avversari politici, per esempio dal sindacalista anarchico (e romagnolo) Armando Borghi" di essere il nuovo Crispi;(7) un’accusa che gli pioverà addosso anche da alcuni suoi ex compagni socialisti quando il futuro Duce verrà espulso dal Psi.(8)

 

A queste assonanze psicologiche corrispondono interessanti affinità politiche. Crispi e Mussolini, per esempio, seguirono in politica estera una linea mediterranea tendente a spostare il centro di gravitazione dell’Italia nel Mediterraneo; in politica interna condivisero il sogno di creare la Nazione portando a termine il Risorgimento. In questo senso Marcello Veneziani innesta l’azione di Crispi e di Mussolini nel solco della rivoluzione conservatrice italiana.(9) Del resto la storiografia più recente è generalmente concorde nell’accusare o nel constatare che "per alcuni aspetti la figura di Crispi anticipa quella di Mussolini".(10) È stato notato che Crispi "associò al trasformismo l’energia, o meglio l’attivismo nel dirigere il governo e l’esecuzione di alcune importanti riforme"(11) come fa il Mussolini trasformista del 1922-25; è stato sottolineato "l’autoritarismo nei confronti dell’opposizione parlamentare e l’ambizione di fortificare la solidarietà nazionale con una politica estera molto attiva";(12) è stato ricordato "l’attivismo e l’amore infelice per la politica estera, che provocò la sua rovina politica e poi quella di Mussolini".(13)

 

Infine, Crispi e Mussolini condivisero la passione per la Germania. L’Italia di Crispi coltivò l’amicizia per la Germania di Bismarck così come quella di Mussolini fece con la Germania di Hitler. Però, "se di Mussolini può dirsi che continua Crispi - osserva Valentini - in nessun modo potrebbe dirsi che Hitler continua Bismarck".(14) E naturalmente l’osservazione del politologo calabrese nasconde delle implicazioni ideologiche capaci di proiettare luce nuova nella comprensione del fascismo. Si tratta adesso di abbandonare la quotidianità della storia per immergersi nelle profondità del pensiero politico.

 

 

 

Dal mito storico alla realtà politica

 

Già negli anni del Regime vi era stato il tentativo culturale "di saldare Crispi con l’Italia fascista e di assolverlo del suo illuminismo e giacobinismo"(15), un tentativo, peraltro, perfettamente riuscito a livello popolare, come documenta Biondi raccontando di un Mussolini salutato dalla folla come un nuovo Crispi(16). Sono elementi che confermano la continuità tra il progetto di governo mussoliniano e quello crispino. Ora, questa continuità tra l’itinerario crispino e quello mussoliniano interferisce nel dispiegarsi del fascismo; affida il fascismo a prospettive diverse da quelle che esso si era attribuito. Prendendo in consegna lo spirito di Crispi, e traducendo il mito crispino in realtà politica, Mussolini si allontana dallo spirito originario ed originale del fascismo. Ne consegue la vocazione autoritaria di derivazione crispina del regime. Ma questa vocazione autoritaria di segno crispino non ha nulla a che vedere con la vocazione rivoluzionaria del fascismo pensato dal Mussolini nel 1919. Mussolini, infatti, proprio come Crispi, conquistato il governo sostanzialmente non rompe quel meccanismo che muove, collegati tra loro, il potere economico, quello militare e quello istituzionale. Con alcune modifiche fortemente autoritarie egli semplicemente insinua, tra gli altri, il proprio potere illudendosi di poter comprimere gli altri ma restandone alla fine schiacciato proprio come il Crispi, le cui ragioni vere della caduta vengono non a caso rintracciate da Tricoli "nella sedizione dello "Stato di Milano", nell’atteggiamento di quel "blocco urbano" industriale-agrario [...] che esprimerà quel quadro organico, politicamente rappresentato dal Giolitti, dell’egemonia settentrionale, da cui sortiranno la permanente disomogeneità dell’economia italiana ed il cosiddetto sviluppo dualistico";(17) invece Mussolini è vittima di quella che Tranfaglia ha definito la commedia degli inganni, recitata nel fatidico 25 luglio dalla monarchia e dalle forze armate, compresa l’arma dei Carabinieri, mentre "le altre istituzioni fondamentali della società italiana - dal Vaticano alla Confindustria - non stanno a guardare. Sono schierate con la dinastia nella valutazione negativa della situazione militare e della permanenza di Mussolini al potere"(18)

 

Questa continuità tra Crispi e Mussolini irrompe nella classica distinzione defeliciana tra Regime e Movimento sconvolgendone la terminologia storica e politica. Se Mussolini prende in consegna lo spirito di Crispi, allora ne consegue che il Regime non può definirsi autenticamente fascista ma mussolinista. A questo punto la distinzione non è più tra Regime e Movimento, bensì tra fascismo e mussolinismo; ed il Regime diventa un termine mediano tra questi due fenomeni della storia e della politica che sono il fascismo ed il mussolinismo. Alla luce di questa nuova distinzione, il fascismo si presenta come fenomeno ideologico radicalmente rivoluzionario laddove il mussolinismo è fenomeno politico autoritario. Nel fascismo aleggia lo spirito del Mussolini rivoluzionario del 1914-19 laddove nel mussolinismo aleggia lo spirito di Crispi. Il fascismo è una teoria culturale e politica originaria e nuova, italiana e potenzialmente europea laddove il mussolinismo è perfettamente inserito in quel circuito storico-politico la cui tappa iniziale è nell’Italia post-unitaria. Il fascismo vuole completare il Risorgimento fondando una Italia nuova laddove il mussolinismo aspira a concludere il processo risorgimentale restituendo energia e vitalismo all’Italia da esso nata attraverso uno Stato forte. Il fascismo pretende di creare gli italiani di Mussolini laddove il mussolinismo si limita a realizzare l’antico sogno del D’Azeglio. Il fascismo, infine, sogna una rottura rivoluzionaria con le strutture del passato laddove il mussolinismo opera una continuità nella modernizzazione mantenendo le tradizionali strutture che gli preesistevano. Se ne deduce che il Regime ebbe sì la maschera fascista ma il suo vero volto fu mussolinista.

 

Ma se il Regime fu mussolinista e non fascista, allora le colpe ed i meriti del ventennio vanno attribuiti al mussolinismo e non al fascimo che non ebbe la possibilità di realizzarsi compiutamente come autentica rivoluzione sociale, politica e culturale. Lo spirito di Crispi, insomma, esiliò dalla storia lo spirito del fascismo diciannovista: un fascismo non razzista, partecipazionista, comunitario, rivoluzionario in quanto intendeva nazionalistizzare il popolo e socializzare la Nazione liberandoli dall’assedio del collettivismo ed estirpando la malapianta liberale dell’individualismo e dell’utilitarismo.

 

A questo punto è possibile affermare che quel forte Stato nazionale vagheggiato da Crispi e realizzato da Mussolini, non c’entra nulla con le aspirazioni del fascismo rivoluzionario del 1919.

 

In questo scenario, condivisibile è la tesi di Giano Accame il quale afferma che il fascimo ebbe "una propria autonomia concettuale, la quale va al di là della stessa personalità di Mussolini e di quel tanto di trasformismo che gli può essere rimproverato. Nessun dogma [...] oggi può stabilire, insomma, che Mussolini abbia sempre perfettamente capito ed interpretato il fascismo"(19).

 

Mussolini, insomma, esaurì tutte le potenzialità del fascismo il quale, invece, avrebbe potuto inverarsi in forme diverse da quelle assunte dal Regime.

 

È da queste potenzialità rimaste inespresse che è possibile oggi trarre dal fascismo, ormai consegnato alla storia, quelle intuizioni ancora valide ed attuali che lo spirito di Crispi, assunto da Mussolini, lasciò in ombra.

 

Michelangelo Ingrassia

 

 

 

NOTE

 

(1) i. de begnac, Vita di Mussolini, Milano, Mondadori, vol. I, 1936, p. 239.

(2) g. tricoli, Risorgimento e Fascismo, Palermo, Isspe, s.d., p. 26.

(3) Ibidem.

(4) p. gobetti, La Rivoluzione Liberale, Roma, Newton Compton editori, 1998, p. 204.

(5) a. gramsci, Il Risorgimento, Roma, Editori Riuniti, 1991, p. 77.

(6) e. susmel, Mussolini e il suo tempo, Milano, Mondadori, 1950, p. 5.

(7) v. emiliani, I tre Mussolini, Milano, Baldini & Castoldi, 1997, p. 34.

(8) Cfr. p. valera, Mussolini, Genova, Il Melangolo, 1995. La prima edizione di questa biografia venne pubblicata nel 1924, all’indomani del delitto Matteotti; in essa vi si ritrova un capitolo intitolato L’esumazione di Francesco Crispi. Paolo Valera era stato amico e seguace del Mussolini socialista rivoluzionario.

(9) Cfr. m. veneziani, La rivoluzione conservatrice in Italia, Varese, Sugarco Edizioni, 1994.

(10) g. carocci, Storia dell’Italia moderna, Roma, Newton Compton editori, 1995, p. 28.

(11) Ivi, p. 27.

(12) Ibidem.

(13) Ivi, p. 28.

(14) f. valentini, Il pensiero politico contemporaneo, Roma-Bari, Editori Laterza, 2001, p. 341.

(15) g. falzone, Crispi un’esperienza irripetibile, Palermo, Ila Palma, 1970, p. 103.

(16) d. biondi, La fabbrica del duce, Firenze, Vallecchi, 1973, pp. 104-105.

(17) g. tricoli, Crispi nella storiografia italiana, Palermo-São Paulo, Ila Palma, 1992, p. 53.

(18) n. tranfaglia, La monarchia e la commedia degli inganni, in "Ragionamenti sui Fatti e le Immagini della Storia", luglio-agosto 1993.

(19) g. accame, Il fascismo immenso e rosso, Roma, Edizioni Il Settimo Sigillo, 1990, p. 33.

 

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