Le carte dell'archivio familiare Cuffari a Naso
L'archivio privato della famiglia Cuffari, di cui ho avuto il privilegio di consultare le carte, è costituito da una raccolta di atti relativi alla permanenza di questo antico casato presente a Naso fin dagli inizi del XVI secolo, da cui è stato possibile ricostruire la formazione dell'albero genealogico e le dirette appartenenze riguardanti l'asse ereditario, a cominciare dall'illustre medico Giovan Giacomo Cuffari, cioè dal Seicento sino ai nostri giorni. La minuziosa ricognizione dei documenti è stata fattibile grazie alla generosa disponibilità del compianto Santino Cuffari, attento e geloso custode delle memorie familiari(1).
Le preziose testimonianze manoscritte, anche se pervenute in modo poco organico, mi hanno consentito di ricostruire la linea parentale di una delle principali e più antiche famiglie di Naso, in assenza di atti pubblici o dei diari personali che avrebbero completato il quadro delle relazioni interpersonali oltre che penetrare nelle vicende e negli specifici interessi del casato(2). Si è trattato, pertanto, di accertare i percorsi e gli intrecci degli imparentamenti attraverso l'affidabilità dei dati e delle sparute informazioni desumibili dai rogiti notarili inerenti, soprattutto, ai contratti dotali e alle disposizioni testamentarie sui lasciti e sui legati oppure di ricostruire la consistenza patrimoniale attraverso i dispositivi di compravendita e di donazione, alcuni databili fin dalla seconda metà del XVI secolo, che hanno colmato in modo eccezionale il vuoto dovuto alla mancanza degli atti ufficiali andati perduti.
A queste carte, quindi, viene affidata la memoria storica della casa e della famiglia Cuffari per poter attestare le prerogative ed il ruolo che questo nucleo familiare svolse, con la sua costante presenza, nella partecipazione alla vita pubblica cittadina attraverso alcuni dei loro componenti che furono valenti professionisti, medici ed uomini di legge, e membri attivi di una nobiltà civica oltre che personalità emergenti nelle cariche religiose ed efficaci promotori di benemerite istituzioni e di iniziative a carattere sociale.
In verità, anche se l'archivio Cuffari è costituito da un numero di documenti poco ordinati cronologicamente, tuttavia esso riesce a dare un quadro abbastanza completo della sequenza delle successioni primogeniturali, oltre che consentire di identificare con certezza i rami familiari secondari e le parentele per linea femminile di cui non abbiamo indicazioni nei riveli o nei rogiti notarili, lasciando irrisolta e problematica l'individuazione dei ceppi parentali derivanti per via materna. Qui, certo, non ci troviamo in presenza di un archivio gentilizio capace di tramandare alle generazioni future il senso di appartenenza ad un ceppo nobiliare preminente; ma queste carte inedite possono costituire nel tempo un serbatoio di informazioni e di dati utili per arricchire la microstoria locale, sì da meglio definire le vicende della vita civile ed economica di Naso al di fuori di una persistente storia della feudalità.
Alla ricerca nell'archivio Cuffari, che costituisce sicuramente un unicum, per il particolare ambito di conoscenza di un ben definibile gruppo familiare, è stata affiancata quella delle fonti pubbliche costituita dai riveli che sono serviti a completare le informazioni sulla consistenza patrimoniale dei vari nuclei familiari a partire dalla seconda metà del XVI secolo, cioè fin dall'epoca dei censimenti ufficiali, cui dovranno aggiungersi i dati anagrafici, laddove esistono, desumibili dall'archivio parrocchiale.
2. Le prime testimonianze dei Cuffari a S. Marco d'Alunzio e a Palermo
Il primo documento, ritrovato tra le carte private, che attesta la presenza di un componente della famiglia Cuffari a Naso è costituito da un contratto originale stipulato tra un tale Andrea Morteo, forse rappresentante della chiesa di San Pietro dei Latini, e mastro Federico Cuffari per la concessione ad enfiteusi di un uliveto posto nella contrada Rumbiali o della Vergine Maria; l'atto fu redatto dal notaio nasitano Pietro Todaro in data 22 ottobre 1509, e rimanda ad una precedente stipula con il presbitero Matteo Cuffari risalente al 1505. Questa testimonianza è particolarmente interessante perché documenta l'esistenza di un notaio che certamente rogava tra il '400 ed i primi del '500 di cui si sconosceva l'esistenza, né risulta nel lungo elenco dei notai compilato da Carlo Incudine nel libro Naso illustrata, edito nel 1881, dei quali troviamo scarse tracce nell'Archivio messinese(3).
La presenza relativa ad un omonimo gruppo familiare è testimoniata nel 1482 ed è attestata dalla registrazione del nome di due funzionari regi, Francesco e Riccardo Cuffari, originari della vicina terra di S. Marco, che vengono qualificati come commissari della Corte, per la riscossione delle tande, cioè il donativo destinato alla Corona; un Antonino Cuffari è residente nel 1489. Nel 1492 Francesco Cuffari viene incaricato dal viceré d'Acuña di esigere la riscossione delle tasse dovute alla giudaica di S. Marco(4).
In una lista di un centinaio di creditori in cui potrebbero figurare anche cittadini nasitani, presentata dal mercante eoliano Anfuso Bellacera (†1499) alla Cancelleria a Palermo nel 1487, al fine di riscuotere somme di denaro, si rileva il nome di un Giovanni Cuffari, di cui non abbiamo trovato ulteriori indizi circa la provenienza(5). Dal testo quattrocentesco viene desunto che il Bellacera doveva richipiri alcuni summi et quantitati di dinari di multi et diversi persuni precise dili terri et lochi di Valdemine, tra l'altro nel documento si ribadisce, li quali erano et su obligati per li servici dilu trappitu di cannameli che fachia in lu territoriu di Nasu; evidentemente, si fa riferimento all'antico trappeto che venne dato in affitto dal conte Artale Cardona nel 1467; l'azienda zuccheriera era gestita dal figlio Giacomo e dal genero Giovanni Pietro Blundo, soprastante(6).
La fiorente attività economica del mercante di Lipari venne messa in crisi dai creditori insolventi, come è testimoniato da un documento del 1487 relativo ad un importo di 400 ducati dovuti dal suo concittadino Cola Cauteri, di cui si erano perdute le tracce, per una partita di 200 càntara di zucchero. Nello stesso periodo il Bellacera doveva riscuotere un credito di 50 onze dal notaio Filippo Arcabaxio di Ficarra per la vendita di tessuti di panno e di berretti(7).
La famiglia Bellacera coltivava forti interessi economici nel territorio; infatti, il fratello Paolo arrendatario nel 1473 di un arbitrio di cannamele a Patti richiese nel 1492 alla Cancelleria la licenza di costruire in flomaria Sancti Juliani territorii et districtus terre Nasi quandam turrim seu casam fortem: la contrada di S.Giuliano si trova sulla sponda opposta della Fiumara di Naso posta a levante al confine con il territorio di Ficarra, a quel tempo appartenente alla famiglia Lanza(8). La motivazione della richiesta di fortificarsi veniva giustificata da un'esigenza vitale, per defensione et tutela arbitrii vostri cannamelarum sive zuccarorum: questa precisazione ci informa che l'antico trappeto di zucchero non era localizzato a Malvicino.
Il 13 aprile 1491 Anfuso aveva chiesto alla Regia Corte di poter fortificare il baglio nel trappeto di cannamele della Milicia vicino Palermo, segno evidente che la stabilità dell'attività economica in quel territorio gli suggeriva di proteggersi da eventuali aggressioni dall'interno e dalla costa; nel 1481 l'imprenditore originario di Lipari è riconosciuto cittadino palermitano.
Sulla presenza dei Cuffari, stanziati a S. Marco, abbiamo sparute indicazioni nei riveli del 1593, in cui troviamo un nucleo familiare costituito dal capofamiglia Giuseppe di 37 anni, dalla moglie Paola e dal figlio Pietro di 13 anni, Domenico di 8 e Melchiorra; egli gestiva una bottega nella piazza principale del centro urbano ed un vigneto nella contrada Calandrone. Un Antonino Cuffari, nato nel 1572, risiedeva nel centro aluntino assieme alle sorelle Caterina ed Isabella con un nipotino di tre anni; una vedova di nome Agatuzza abitava assieme al figlio Paolo (a.18), oltre ad una Giovanna Cuffari(9). Girolamo Cuffari, originario della stessa terra, richiese alla Corte la concessione di tabellionatus per l'esercizio di pubblico notaio nel 1619.
Da queste scarne informazioni possiamo trarre alcune considerazioni sull'esatta dizione onomastica, così come ci viene tramandata dalle fonti originali, che permane nella forma Cùffari e non Coffàro o Cuffàro, come indica nelle sue varianti il Mango nel Nobiliario di Sicilia, in cui l'autore annovera un ramo palermitano nobilitato nel 1798 per il matrimonio tra Pietro Cuffari, nipote di Antonino maestro razionale (1735) e segretario della Suprema Giunta di Sicilia, con Maria Maddalena Ristori dando origine al casato dal doppio nome, estintosi per via maschile agli inizi del XX secolo(10).
Tra i principali esponenti della famiglia Cuffari nel XVI secolo, secondo il Mango, viene annoverato un Giuseppe, che fu generale del duca d'Alba, insignito nel 1558 dell'ordine militare di S.Giacomo della Spada, deceduto nell'assedio di Ostia; il nipote di questi Giuseppe fu nominato Maestro di Campo dell'esercito ispano: quindi, ci troviamo in presenza di valenti uomini d'arme al servizio della Corona.
Un Ottavio Cuffari ricoprì la carica di giudice pretoriano a Palermo sin dal 1577, successivamente della corte civile dal 1591 al '93; di un omonimo abbiamo traccia in un documento inedito datato 16 ottobre 1585 in cui Livia Spatafora offrì in locazione per 70 onze annuali una domus magna che apparteneva a Ludovico Spatafora, ubicata nella strada della parrocchia di S.Nicolò dei Latini alla Kalsa, distrutta nel 1853, vicino l'attuale sito della fontana detta del cavallo marino; forse, ci troviamo in presenza dello stesso personaggio, che occupò importanti cariche civiche a Palermo nel XVI secolo.
Girolamo Lazzaro, maiolicaro, fratello di Paolo e di Cono, diede nel 1599 a Giovan Domenico Rubino una catenella d'oro che gli fu affidata da fra Giuseppe d'Eterno dei M. O. di S. Maria di Gesù di Palermo per la donazione fattagli da Ottavio Cuffari UJD, allo scopo di istituire la dote ad una giovane orfana, da cui si desume che il Cuffari palermitano traeva origine da Naso. In una nota di spese presentata dall'Ospedale degli Incurabili di S. Bartolomeo a Palermo si registra, nel 1730, l'onere di 10 onze da prelevare sul lascito dell'eredità di Ottavio Cuffari per officiare delle messe. A riguardo della presenza dei nasitani a Palermo dobbiamo ricordare Giovanni Raffaele, personaggio illustre che si distinse nella professione di medico e fu eletto sindaco della città nel 1879/80; autore di importanti opere a carattere scientifico, alla sua morte avvenuta nel 1882 il Municipio palermitano gli intestò una strada(11).
Sono ben noti, d'altronde, i frequenti rapporti economici fra questo centro dei Nebrodi e la capitale del Regno, aspetti inediti che meriterebbero un maggiore approfondimento ed una più attenta considerazione da parte degli storici locali.
3. La presenza dei Cuffari a Naso nel '500
I rapporti tra Carlo Ventimiglia e l'Universitas di Naso, identificabile nel suo complesso di norme e di privilegi sanciti dai Capitoli assegnati alla civitas il 5 aprile 1539 da Susanna Gonzaga vedova di Pietro Cardona e da Antonia Cardona contessa di Collesano, furono fortemente intaccati da un episodio che rimase impresso nell'animo dei nasitani ed incrinò il rapporto di fiducia nei confronti del nuovo feudatario, il quale richiese al presidente Carlo Aragona principe di Castelvetrano la concessione del titolo di conte di Naso, che gli venne accordata il 20 maggio 1575 e ratificata il 1° giugno 1582 dal re Filippo II(12). Il Ventimiglia del ramo di Geraci aveva ricoperto la carica di pretore di Palermo negli anni dal 1568 al '70, fu strategoto di Messina nel '72 ed elevato a deputato del Regno nel 1579 e nell'82; inoltre, gli era stato donato dalla Corte, con privilegio emanato da Madrid il 2 settembre 1567, un vitalizio di onze 216.20 all'anno pari a 500 ducati, che dovevano essere prelevate dalla Secrezia di Palermo.
Venendo alla questione tra l'Università di Naso ed il Ventimiglia, il 25 settembre 1575 fu convocato il consiglio civico in un giorno festivo ed al suono delle campane, come era consuetudine, nell'atrio del castello alla presenza di un nutrito consesso di cittadini e dei giurati in carica, Francesco Nasitano, Giovan Battista Capucci, Pietro Vitale e Lorenzo Cardona, allo scopo di risolvere la questione dell'imposizione e riscossione di una nuova tassa di 25 grani per ogni macina di olive.
I deputati chiamati a dirimere la questione tra le parti in contrapposizione furono Giovan Giacomo Lanza UJD, Cono Pietrasanta, Cono Vitale e Francesco Pandolfo, che richiesero ai presenti il voto su una decisione presa all'unanimità, di cui è interessante registrare la presenza per comprendere l'importanza ed il ruolo che essi avevano nella partecipazione alla vita pubblica cittadina; infatti, il nome dei giurati era preceduto dal titolo di magnifico ed onorevole, proprio per indicare i membri di una nobiltà civica di cui facevano parte Vincenzo Rizzo UJD, Giovanni Cuffari, Giuseppe Lanza, Giovan Matteo La Dolcetta secreto della città, Gaspare Galbato, Giacomo Mercurio, Matteo Lo Cicero, Francesco Rizzo e Cono Calcerano seguiti da un folto gruppo di cittadini(13). L'atto fu ratificato dal notaio Pettinato alla presenza dei magnifici e nobili Giovanni Calogero Pandolfo, Vincenzo Rizzo UJD e Giovan Francesco Rubino.
Il 25 marzo 1576 l'Università di Naso presentò una petizione alla Corona spagnola per chiedere lo scioglimento dal vincolo feudale e passare al regio demanio.
Il 18 aprile di quell'anno il notaio Pettinato registra la stipula dell'affitto di tutti i trappeti d'olio del territorio che furono concessi ad Antonino Bergo e Giovan Giacomo Rubino; l'anno successivo il Rubino chiede alla Cancelleria il rilascio del brevetto per un tipo di telaio ad acqua utilizzabile per segare porfidi, diaspri, marmi ed altri tipi di pietre.
L'abbate di S. Maria de Lacu, Ottavio Perrello, concesse nel 1589 la gabella dell'olio a Giovanni Calogero Pandolfo; i possedimenti di questa antica chiesa esistente nel territorio di Naso facevano parte nel 1581 dei beni dell'abbazia di S. Anastasia di Castelbuono, assieme alle proprietà della chiesa di S. Vincenzo di Mistretta, a quelle del casale di S. Stefano e di S. Giovanni di Caltavuturo, che davano una rendita di onze 120.23; nel 1520 la carica di abbate di S. Maria era stata affidata al reverendo Cesare Imperatore, fratello di Vincenzo e Federico(14).
Tra i numerosi componenti del consiglio civico del '75 troviamo, forse, lo stesso Giovanni Cuffari che richiese nel 1597 l'assenso alla Cancelleria regia per rimondari olivi et insitare ogliastri, assieme a Giovan Francesco Zafarana, per effettuare la potatura e per sgargionarsi, ciò allo scopo di far fruttificare meglio gli alberi; una regia prammatica vietava ai coltivatori l'estirpazione delle piante di ulivo, a conferma del grande valore economico che si attribuiva a quella coltura(15). Il dottor Giovanni Cuffari risiedeva nel quartiere di S. Pietro detto della Marchesana, dal nome di una delle porte urbiche, e confinava con i dottori in medicina Antonino Mercurio ed Antonino Cuffari.
Secondo la testimonianza resa da Cono Pietrasanta (n.1531) il 10 febbraio 1604, viene attestato che il parrastro Paris Calderaro, procuratore del duca di Montalto Antonio Aragona, secondogenito di Antonia Cardona, incominciao a fabricari et far fabricari lo trappito delli cannameli in lo territorio di detta terra nella contrada della Piana et dallora in poi si nomao Malvicino la quali fabrica si pigliao dalli fondamenti con farsi primo li fossi(16). La dichiarazione fatta da Pietrasanta è interessante perché smentisce la presunta continuità dell'attività zuccheriera in quella contrada fino dal XV secolo. Allora che si incomenzao detta fabbrica in detto loco non vi era nessuna sorti di fabrica né edificio ma una terra aratoria del quondam Giovan Pietro Galluzzo della detta terra che allora confinava con li terri del quondam presti Antonio Neglia.
La proprietà di Neglia fu alienata il 16 settembre 1572, e successivamente venne impiantato un agrumeto adiacente al tappeto; poi passò assieme alle terre del dottor Giovan Giacomo Mercurio ad Ottavio Cuffari(17).
Il 31 agosto 1570 il dottor Pietro Marino aveva ceduto a Nicola Gentile, residente a Messina nel 1566, tutto lo zucchero che era stato prodotto in quell'anno, il che dimostra come la forte richiesta del mercato spingesse i mercanti genovesi ad accaparrarsi il prezioso alimento fin nelle zone periferiche rispetto ai principali centri di produzione(18).
Il 27 ottobre 1570 il duca di Montalto stipula un contratto d'affitto a favore di Giovan Domenico Garifo di Termini, per la durata di cinque anni, in cui furono inventariati gli impianti del trappito et arbitrio di Naso seu di Bonvicino esistenti in lo dicto territorio cù tutti soi stantii turri magaseni taverna et tutti altri universi raduni; dal contratto vennero escluse le terre limitrofe della Masseria. I fratelli Francesco e Giuseppe Pietrasanta prendono a gabella il trappeto di cannamele nel 1600 dopo che furono consegnati dal procuratore Paride Pietrasanta al segreto di Naso Francesco Zafarana tutti gli arnesi dell'arbitrio e registrati alla presenza del notaio Giuseppe Astone(19).
In un contratto stipulato dal notaio Luca Giordano nel 1606 troviamo la locazione del trappeto di Malvicino da parte di Girolamo Ioppolo a Giovanni Pietrasanta, padre di Francesco († 1623), per 300 onze annue.
Giovan Francesco Zafarana, padre di Turiano, alienò nel 1595 una serie di appezzamenti di terra a favore di Giuseppe De Angelis; un Francesco De Angelis era stato capitano di giustizia a Naso nel 1576. Il 3 febbraio dello stesso anno Francesco Zafarana assieme alla moglie Beatrice vende alcuni spezzoni di terra per 22 onze disposti nella contrada Rudo al Vallone o di Piraino, nel luogo nominato Cozzolordina alla calcara vicino la Masseria e la prisa delli cannameli sopra via limitrofi alle proprietà del notaio Giovan Francesco Corona(20).
Il 21 marzo 1595 viene stipulata la vendita di Naso tra gli Starrabba ed il messinese Girolamo Ioppolo per una cifra pari a 44000 onze con l'obbligo di armare due cavalli come veniva imposto ai feudatari componenti il Braccio Militare, oltre al privilegio di nomina degli ufficiali della terra tramite il procuratore, compresi gli oneri dei capitali e degli interessi dovuti ai creditori della gestione precedente.
Nel consiglio civico indetto il 5 marzo 1576, confermato il 9 successivo e rinnovato il 1° aprile di quell'anno, furono imposte alcune gabelle allo scopo di reperire fondi necessari al riscatto dal mero e misto impero, onde sottrarre l'Università all'autorità del Ventimiglia; questo antico privilegio feudale di esercitare la giustizia civile e criminale era stato concesso ad Artale Cardona il 29 dicembre 1457 ed acquistato il 28 maggio 1539 per 650 onze da Antonia Cardona, moglie di Antonio Aragona duca di Montalto.
Nella lista dei fuochi del Valdemone del 1570 si registrano a Naso 834 unità pari a 3268 anime, una media di circa quattro abitanti a fuoco (famiglia); nella numerazione del 1582 ne risultavano 961 pari a 3690 abitanti distinti in 1928 maschi, di età compresa tra i 18 ed i 50 anni, costituiti dagli uomini validi alla difesa (852 + 1076), e 1762 donne, che formavano il 48% della popolazione residente(21). Queste cifre tornavano utili all'amministrazione regia per stabilire la quantità di farina che occorreva al sostentamento delle comunità in caso di necessità; poiché queste terre erano scarsamente seminative, l'approvvigionamento di frumento veniva prelevato da altre zone agricole ed importato dai mercanti che traevano un notevole lucro da questa preziosa ed indispensabile mercanzia. Questo fu un problema che si era tentato di risolvere sin dal XV secolo, come si rileva da un documento della Regia Cancelleria del 18 giugno 1476 in cui Bernardo Contruxeri, giurato di Naso, lamentava la mancata consegna di una partita di grano prelevata da Andrea Russo nel territorio di Montalbano(22).
I fratelli Bernardo e Filippo Contruxeri avevano un luogo nella contrada Umbrìa nel 1485(23).
Nell'assemblea civica del 1576 venne discusso il modo di reperire i fondi necessari alla finalizzazione dell'obiettivo prefissato, visto che l'Università doveva provvedere al salario degli avvocati, dei delegati e di altri ufficiali idonei a perorare la causa dinanzi alla regia Corte; la conferma della delibera presa dal consiglio civico trovò ratifica a Palermo il 9 settembre di quell'anno con l'obbligo che venisse rinnovata ogni triennio(24). Furono imposte le gabelle su alcuni generi di consumo a cominciare dal frumento, con una tassa di 4 tarì a salma, e sulla carne, un grano per ogni rotolo, sui salumi e sull'olio con l'imposizione di tre tarì a càntaro, un tarì per ogni salma di mosto, 5 tarì su ogni càntaro di lino, un tarì per ogni libbra di seta, e sulla vendita dei tessuti, sugli utensili di metallo ed altre mercanzie affini, oltre che sul pescato.
Giuseppe Letizia richiese la carica di credenziere o collettore delle gabelle delle marine di Naso nel 1593 per la morte di Antonello Mannuccio, che l'aveva occupata sin dal 1564(25). Un altro ruolo pubblico disposto per le esazioni fiscali era esercitato dal vice portolano addetto al controllo dei traffici marittimi che si svolgevano lungo la costa; quest'ufficio era stato assegnato il 26 settembre 1573 a Pietro Caruso per la morte di Gian Domenico Lanza; nel 1587 egli ricopriva la carica di proconservatore di Naso e di notaio del vice portolano Cono Galluzzo.
La gabella del tarì venne imposta anche sul luogo della fiera nel piano di Bazia e doveva essere pagata sia dai cittadini che dai forestieri, stante il privilegio di franchigia di cinque giorni che era stato concesso nel 1362, rinnovato nel 1539 e nel 1571 durante la fiera di San Cono.
La gabella sulla macina del frumento fu affidata nel 1582 a Santoro Arduino, Cono Todaro e Cono Germanà e nel 1637 a Gaspare Zafarana, quella sul pescato a Giuseppe Cògita e la gabella del luogo e del pilo per la fiera di Bazia a Cono Aglì.
Il 24 marzo 1577 il conte di Naso, Carlo Ventimiglia, dovette presentare una dettagliata relazione al viceré Marco Antonio Colonna, attraverso l'invio di un memoriale, al fine di dare una giustificazione ai gravi episodi che si erano verificati l'anno precedente contro una compagnia di soldati e di cavalieri, cui venne negata la possibilità di alloggio in quel paese(26). Alla richiesta avanzata dal comandante seguì infatti una repentina e violenta reazione, che spinse molti cittadini ad impugnare le armi al grido di fora spagnoli; alcuni di quei malcapitati caddero sotto i colpi micidiali di un nutrito fuoco di archibugi; alcuni soldati rimasero uccisi ed altri feriti, costringendo il drappello a darsi a precipitosa fuga.
Per ordine del luogotenente generale arrivò ben presto un'altra compagnia al comando del capitano Martin Dragot, che fu accolta questa volta dal Ventimiglia; ma dopo otto giorni di permanenza si verificarono altri tumulti che indussero la soldatesca ad un definitivo allontanamento, costringendo il conte ad esercitare il diritto di giustizia colpendo in modo esemplare gli elementi più facinorosi. Ma la tenace opposizione dei nasitani mise in serie difficoltà l'attuazione del pugno di ferro messo in atto dal nobile feudatario, boicottando il suo disegno repressivo; nella notte precedente alla data delle esecuzioni capitali si verificarono alcuni episodi consistenti in minacciosi atti di sfida che lo impensierirono seriamente, come ad esempio il ritrovamento della corda del patibolo troncata e sostituita da una alabarda, oltre alla presenza di numerose scritte inquietanti e disoneste, affisse nelle strade e nelle piazze. Visto il clima pesante di paura e di intimidazione, il conte fu indotto a rinunziare all'applicazione della giustizia perché (sono parole dello stesso conte) si può senz'altro considerare la pertinacia et durezza di quella gente indomita et incorregibile.
Questo avvenimento getta nuova luce su fatti e situazioni che dimostrano la palese ostilità nei confronti dei contingenti militari spagnoli, forse per reazione alle frequenti manifestazioni di eccesso e per l'arroganza che essi mostravano nei confronti delle popolazioni locali. L'episodio è taciuto da Carlo Incudine, il quale nel suo libro su Naso ci propone un avvenimento analogo, relativamente al 1545, attestato da un presunto tentativo di assalto alle mura della cittadina da parte di un manipolo di armati Turchi che si erano sganciati dall'assedio di Lipari per intraprendere alcune azioni di disturbo sul litorale opposto in direzione di Patti e diretti verso alcuni paesi rivieraschi; di contro, essi trovarono una forte resistenza armata e furono ricacciati indietro, anche con l'intervento, come si tramanda, del santo protettore Conone Navacita. E' significativo al riguardo il motto apposto nel sigillo civico di Naso, che suona quasi a perenne ammonimento: Libera devotos et patriam a peste, fame et bello(27).
E' significativo riportare un altro episodio che mette in evidenza lo spirito combattivo ed il valore di questa gente, relativo ad una richiesta avanzata al presidente del regno Carlo Aragona il 3 settembre 1573 da parte del nasitano Antonio Corasì, al fine di ottenere la licenza di portare armi da fuoco per la difesa personale, poiché gli era pervenuta la notizia del disegno di vendetta tramato nei suoi confronti da parte di Giovan Battista Proiti di Castanea e da altri accoliti al fine di vendicare la morte del fratello Francesco, notorii et famosissimi delinquentis descursoris campanee per multos annos, che lo stesso Corasì aveva decapitato(28).
Il salario delle squadre dei provvisionati del capitano per la prosequutione di banniti, che altro non erano che cacciatori di taglie, gravava sul bilancio civico per 10 onze all'anno, oltre a quello dei guardiani delle marine - i cosiddetti cavallari -, che ammontava ad 80 onze; altre somme erano utilizzate per l'approvvigionamento della polvere da sparo, piombo e meccio, da fornire ai soldati della milizia territoriale e per le munizioni occorrenti alla difesa del presidio marittimo del castello di Capo d'Orlando(29).
Il 18 maggio 1586 viene convocato il consiglio civico con l'autorizzazione del viceré, il conte Alvadaliste, di imporre una nuova tassa per il pagamento delle guardie lungo la costa; precedentemente, il 24 novembre 1583, era stato dato incarico ad Andrea Caruso di fornire le somme necessarie a questa occorrenza. Era tanta la penuria di denaro nelle casse civiche che fu imposto di prelevare 30 onze per pagare il padre predicatore; inoltre, l'11 luglio 1591 venne convocato di nuovo il consiglio cittadino per applicare una tassa di 153 onze occorrenti al salario di due tesorieri, di cui uno si doveva occupare della gestione delle tande regie, mentre l'altro dell'amministrazione civica; nel 1621 venne eletto il dottor Pietro Cuffari, con il salario di 2 onze annue assieme al detentore dei libri contabili, il notaio Luca Giordano, con lo stesso salario; l'altro tesoriere designato fu Mario Piccolo(30).
Il 3 marzo 1622 i giurati di Naso eleggono come sindaco il dottor Giovan Vito Piccolo e contatore per la revisione dei conti Giovan Giacomo Lanza, al posto del dimissionario sindaco, il dottore in medicina Antonino Mercurio, e per la morte del revisore dottor Vincenzo Astone(31).
4. I fedecommessi Pettinato, Pronobis e Riscazzo
Proseguendo nella disamina dei documenti dell'archivio Cuffari, sono stati rilevati alcuni atti notarili riguardanti la famiglia Pettinato per l'imparentamento matrimoniale tra Flavia, figlia in seconde nozze del notaio, con Giovan Giacomo Cuffari, il medico nasitano autore fra l'altro di opere a carattere scientifico e di alcune di contenuto morale e religioso; tra le prime pubblicazioni ricordiamo: I biasmi del tabacco, edito a Palermo nel 1645, sugli effetti nocivi del tabacco da fiuto per la salute dell'uomo.
Il 17 marzo 1577 viene registrato il testamento di Bartolomea, vedova di Cono Pettinato, in cui figura tra gli eredi designati il figlio Giovanni, notaio a Naso dal 1574 al 1597, sposato in prime nozze con Sebastiana Pronobis, figlia di Francesco, dalla quale non ebbe eredi, e poi con Margherita Riscazzo (o Racinazzo) madre degli altri due figli, Susanna e Placido(32).
Nelle ultime disposizioni dettate dalla madre del notaio furono devoluti alcuni legati a conventi e confraternite esistenti a Naso, assegnando 15 tarì al convento di S. Maria di Gesù per le spese di sepoltura e per le messe di suffragio, la stessa somma di denaro fu destinata alla confraternita del Ss. Rosario fondata nella chiesa di S. Pietro dei Latini. La Madonna del Rosario aveva un culto particolare a Naso; infatti, in un consiglio civico del 2 marzo 1581 fu accordato dal viceré Colonna di destinare uno stanziamento straordinario di 60 onze, dato lo stato di povertà in cui versava quel clero, per il completamento della cappella e l'esecuzione di un dipinto che si trova ora collocato sull'altare maggiore della chiesa di San Giovanni Battista, dopo la distruzione dell'antica parrocchia di San Pietro(33). La cappella del Rosario venne ornata ad opera dello scultore palermitano Bartolomeo Travaglia, secondo una attestazione confermata da un documento ritrovato a Palermo, che porta la data del 27 ottobre 1649, in cui si rileva che la decorazione a marmi mischi doveva essere eseguita sul modello di quella realizzata nella chiesa palermitana di Santa Cita; la cappella barocca, dopo la demolizione della chiesa, venne ricostruita nella Chiesa Madre di Naso(34).
Dal lascito testamentario di Bartolomea Pettinato si rileva la vendita a favore del figlio di una casa solerata per 55 onze, oltre ad un censo lasciato alla figlia Angelica; altri eredi furono i figli Paolo ed Elisabetta Astone; qui è da rilevare che il conservatore degli atti del Pettinato fu Giuseppe Astone, dal che possiamo ipotizzare un legame parentale tra le due famiglie. Bartolomea diede, inoltre, alla figlia Mariuccia un censo di onze 4.21, che fu imposto sulla conceria a Bazia gestita da Antonino Martino, da cui possiamo dedurre che l'attività legata alla concia delle pelli e del cuoio era connessa certamente con l'esistenza in quel luogo del macello.
Antonino Martino si trovò indebitato con il fisco; infatti, il 20 gennaio 1584 venne dichiarato prosequuto per l'insolvenza di alcuni debiti, e per questo gli furono sequestrati beni immobili consistenti in una proprietà sita nella contrada della Maddalena(35).
Il 22 aprile 1588 fu depositato il testamento della prima moglie di Giovanni Pettinato, Sebastiana Pronobis, in cui la testatrice dispose di essere seppellita alla sua morte nella parrocchia di S. Pietro, alla quale legò un'onza pro fabrica, lasciando 60 onze ai fratelli Antonino, Giuseppe, Pasquale e Cono, non avendo avuto eredi diretti dal marito(36). Da questo lascito furono beneficati l'antico convento francescano di Santa Maria di Gesù fuori le mura, le chiese parrocchiali del Ss. Salvatore e di San Cono, l'ospedale del Monte di Pietà, la confraternita del Ss.Rosario e l'altare della Madonna dell'Itria posto nella Chiesa Madre, nonché la vedova di Francesco Spinola, Costanza, madre del chierico Paolo, suora nel monastero di Santa Caterina a Naso; non sappiamo se lo Spinola fosse imparentato con la omonima famiglia di origine genovese residente a Palermo.
Passando a un altro legato testamentario, depositato il 24 giugno 1620 presso il notaio Luca Giordano, veniamo a conoscere il ramo parentale di Antonino Riscazzo, costituito dal fratello Giacomo (n.1528) e da Sebastiano, che fece testamento presso lo stesso notaio il 31 agosto 1603; la figlia Costanza, generata da Elisabetta, andò in sposa all'avvocato Giovanni Artale La Dolcetta, rampollo di un'antica famiglia di origine catanese che si era stabilita a Naso fin dalla prima metà del XVI secolo(37). Tra i vari componenti del ceppo familiare troviamo un Giovanni La Dolcetta magister exubearum a Catania nel 1511, e Matteo La Dolcetta, che ricoprì la carica di maestro notaio a Naso nel 1530 e di regio procuratore fiscale in Val di Noto nel '36, e morì nella città etnea nel 1551; gli subentrò come erede universale il nipote Giovan Matteo secreto(38). Un Francesco La Dolcetta fu credenziere della secrezia ed acatapano a Catania nel '50 e Pietro La Dolcetta, residente nel quartiere della Marchesana, fu giurato di Naso nel 1614; era ammogliato con Domenica Collovà, figlia di Francesca, che gli diede due figli, Francesco nato nel 1607 e Giovanna(39). Il dottor Francesco La Dolcetta , figlio di Pietro, ebbe dalla moglie Maria tre figli maschi: Francesco, Pietro e Giuseppe, che rispettivamente nel 1637 avevano l'età di 10, 6 e 2 anni; la sua abitazione si trovava nel quartiere di San Cono vicino alla casa di Orazio Sapienza e alla strada pubblica(40). Un altro figlio di Francesco, Placido, nato nel 1637, sposò Paola, da cui ebbe sei figli maschi: Don Giovanni (n.1665) che divenne arciprete di Petralia, Giuseppe (n.1667), Don Luigi (n.1669), Don Antonino († 1668) e Francesco sacerdoti, Bernardo († 1760) futuro parroco della chiesa di San Pietro(41).
I rapporti di parentela tra i gruppi familiari Cuffari e La Dolcetta si susseguono con una certa frequenza tra i vari esponenti: Maria figlia di Placido UJD prese in marito Carlo Cuffari (1672), proveniente dal ramo del dottor Giovan Francesco Cuffari (n.1568); la figlia di Giuseppe (†1729) e Maria La Dolcetta, Atonia, andò in sposa ad Andrea Cuffari (1703), figlio del dottor Giacomo e Maria.
Da Giuseppe Cuffari La Dolcetta, nato nel 1741, giurato di Naso nel 1797/98, discende Salvatore († 1854), capitano di giustizia nel 1812/13, sposato in prime nozze con Margherita Gamberi († 1825). Antonino Riscazzo - cognome diffuso a Naso nel XVI secolo - lasciò eredi universali la sorella Margherita già vedova del notaio e l'altra sorella Francesca, anch'essa vedova di Giuseppe Scavone.
L'11 marzo 1605 il notaio Luca Giordano effettua un atto di permuta tra Antonino Riscazzo e la contessa Laurea Ioppolo Ventimiglia per una salma di terra posta nella contrada di Santa Lucia a Forno, confinante con le terre di Francesco Pronobis e con quelle dell'abbazia di Santa Maria de Lacu, per un'altra terra posta nella contrada Piana al Piraino o Salicò, di cui 5 tumoli appartenevano a Francesco Rizzo, vicino alle terre del notaio Pettinato, e a Cono Letizia, ed altri erano di proprietà di suor Caterina Ruggeri Merendino.
Il testatore, di cui non conosciamo l'attività professionale, lasciò a Margherita per i buoni servigi resigli la casa solerata nel quartiere di San Giovanni, cum omnibus stivilis et arnesiis, vicino la casa in cui risiedeva la sorella. Dispose, inoltre, il lascito di tre onze a favore di Vincenzo e Francesco Quovadis, da destinare ad opere di ripristino nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, in cui volle essere seppellito e donò 12 onze al nipote, il diacono Cono Biscazzo, per la celebrazione di messe. Assegnò una serie di legati una tantum per lavori di manutenzione in alcune chiese, e 10 onze furono donate al santuario di Santa Maria sul monte a Capo d'Orlando, fondato nel 1599; altri lasciti furono destinati alle confraternite del Ss. Rosario nella chiesa di San Pietro e di San Michele Arcangelo nella parrocchia di San Cono e per la costruzione della cappella della Madonna della Grazia nell'omonima contrada, oltre che per la chiesa della Maddalena.
Tra i testimoni dell'atto risultano Giovan Francesco Cuffari, dottore in ambedue le leggi, il fratello Antonino medico, il notaio Giovan Domenico Buttà (1610-27), il sacerdote Pacifico Merendino, Giuseppe Guaiello, Francesco Todaro, Giuseppe Lento e per ultimo l'abbate Francesco Causagrano, tutti personaggi di spicco nell'ambito cittadino.
5. Il patrimonio del notaio Pettinato
Il 29 aprile 1579 il notaio Giovanni Pettinato effettua la permuta di una potiga nella piazza detta di Filippo, vicino le botteghe di Giovannello Cicone e del reverendo Vincenzo Faxello, forse parente di Benedetta, moglie di Vito Cuffari, ricevendo in cambio un appezzamento di terra che era di proprietà del notaio Bartolomeo Germanò (1539) e del figlio Giuseppe, coltivato da Giovannello Consiglio in parte a lino ed a lavuri, posto nella contrada Piana vicino alle terre di Martino Caranca e Andreotta Caruso e limitato dalla strada regia.
Di un mastro Andrea Caruso si fa riferimento in un atto di cessione di un luogo in contrada Umbrìa tra Francesco Gugliotta e mastro Michele Calabrò, che porta la data del 22 novembre 1552, rogato presso un notaio palermitano, soggetto ad un censo alla chiesa nasitana di San Basilio, filiale dell'archimandritato messinese del Ss. Salvatore lingue fari; Calabrò risiedeva nel quartiere di San Giovanni vicino alla casa di Cono Abiuso e all'abbazia di Santa Caterina.
Nel quartiere di Tutti i Santi o della Porta di Piazza si trovavano alcune botteghe che appartenevano ad Aliberto Manfrè confinante con Cono Di Maio, un'altra di Vincenzo D'Amico era adiacente a quella di Cono Calcerano; Vincenzo Astone teneva una bottega nel quartiere della piazza di Filippo limitrofa a quelle di Pietro Caruso e di Benedetto Marino, il messinese Santo Di Vera ne gestiva una nel quartiere di San Pietro.
Delle cinque potighe a Bazia, due erano di Paolo e Giovanni Lazzaro maiolicari, adiacenti a quelle di Giovanni Copronica, di Pietro Bevilacqua e di Giuseppe Collovà, forse specializzate nella produzione di vasellame in terracotta. Paolo Lazzaro, procuratore del fratello Cono, venne incaricato di saldare un debito di 40 onze a Francesco Palmeri nel 1609; Alonza Palmeri, residente a Naso, dichiara alcune proprietà a Palermo nel 1573 ed un Anto-nino Palmeri (1554) abitava nel quartiere della chiesa madre: pare che questa famiglia provenisse da Pisa.
Nel 1610 venne redatto a Palermo l'inventario dell'aromataria di Antonino Francesco Ponziano, ubicata nel piano di San Sebastiano alla Marina, in cui furono elencate 29 bornie di Naso, ciò a riprova che i prodotti ceramici provenienti da questo centro nebroideo erano particolarmente apprezzati e diffusi(42).
Una delle botteghe ubicate nella piazza detta di Filippo apparteneva nel 1614 a Domenico Babbao alias Failla, e in essa si commerciava seta cruda di manganello; le altre erano gestite da Antonino Pronobis e dall'aromataro Giovan Domenico Scaffidi originario di Piratino, che risiedeva a Naso nel quartiere di Tutti i Santi, vicino alle case degli eredi di Francesco Pietrasanta, Paris e Giovanni, il quale ultimo abitava vicino alla casa-torre di Giovan Giacomo Piccolo (1587); la speziaria di Scaffidi era stata danneggiata, assieme ad altre abitazioni, dal terremoto del 25 agosto 1613, che provocò a Naso ingenti danni alle strutture edilizie. Certamente la violenza del sisma non risparmiò neanche gli edifici religiosi; tra questi subì danni irreparabili l'antico monastero di S. Caterina, che si ridusse in uno stato di completo abbandono, perciò venne deciso il 18 settembre 1622 di imporre una nuova gabella biennale di 2 grani su ogni rotolo di carne che potesse dare un introito di 40 onze l'anno da utilizzare nelle opere di ricostruzione dell'edificio(43). L'altra bottega di speziale vicino a quelle del dottor Giovan Francesco Cuffari, Francesco Zafarana e Giacomo Bergo era gestita da Giovanni Galbato che possedeva una proprietà agricola coltivata ad ulivi, gelsi ed altri alberi, posta nella contrada Rumbiali.
Lo Scaffidi, cinquantenne nel 1614, era sposato con una certa Delfina, da cui aveva avuto due figli a quell'epoca minorenni, Delizia (a. 15) e Gaspare; sembra che fosse rimasto vedovo di Laurea Collovà, figlia di Antonino, gestore del fondaco di San Gregorio nel 1576, come si desume da un atto datato 29 dicembre 1590 redatto da un notaio palermitano, concernente il recupero della proprietà che era stata concessa in dote alla figlia(44).
Alcune delle botteghe ubicate nella piazza di Filippo appartenevano al genovese Cono Botta (a.36); in una di esse a pianoterra era un forno sottostante ad una casa solerata, confinante con Santoro Cartella e Giovanni Galipò; altre tre botteghe, vicino alla chiesa della Misericordia, erano in comune proprietà con i fratelli, di cui una veniva locata per onze 6.5, un'altra apparteneva al fratello, il notaio Giovan Domenico (1610-27), la terza era utilizzata come merceria di sitanzi, terzanelli imbottiti, passoli, fico, chiovami, cordami, azaro, causetti, drogari, candeli ed altre mercanzie.
Francesco Marino (a.33), soldato della nuova milizia, gestiva una bottega di ferraro, per la vendita di attrezzi agricoli e di utensili di ferro nel 1614.
Il notaio Pettinato aveva acquistato per 60 onze un luogo nella contrada Vena o Gazzì da Giovan Pietro Galipò, vicino alle terre di Cono Cianciolo, di Francesco Causagrano e a quelle di Giacomo Crasà alias Mustazzola; tra i testimoni dell'atto, stipulato il 15 gennaio 1594, dal notaio Luca Giordano (1560), figurano Giuseppe Letizia e Giuseppe Guaiello.
Si ha notizia dell'acquisto da parte del notaio Pettinato di un'altra proprietà che era appartenuta a Giovan Michele Pandolfo; l'atto fu redatto il 1° luglio1583 dal notaio Giovan Francesco Corona (1582-1604), abitante nel quartiere di San Giovanni vicino alle case dei fratelli Giovan Matteo ed Assenzio Lanza, di Giovanni Artale Vitale e di Cono Galluzzo; il notaio Pettinato risiedeva a fianco della casa di Vincenzo Astone. Il 7 agosto 1596 venne stipulato dal notaio Luca Giordano un atto di compravendita tra Pettinato e la contessa di Naso per l'acquisto di un luogo che era di Angela Vurrelli detta la Carbonara, confinante con le terre di Duccio e Petruzzo Collovà nella contrada Margi. L'acquisizione di beni fondiari da parte degli Ioppolo viene registrata in date posteriori al 16 aprile 1595, cioè a partire dalla ratifica nella Cancelleria dell'atto di vendita di Naso presso il notaio palermitano Arcangelo Castanea, stipulato il 21 marzo 1595 tra Giovanna Ventimiglia, a quell'epoca già vedova del conte Carlo Ventimiglia († 1583), e Girolamo Ioppolo marito di Laurea Fiordilegge, figlia di Antonio Ventimiglia barone di Sinagra, la quale entrerà in possesso di questa terra per una sentenza della Corte Pretoriana di Palermo emessa l'11 febbraio1593 contro Pietro Afflitto(45). Lo Ioppolo prese l'investitura ed il possesso di Naso l'8 agosto 1595 a Palermo; i due rami familiari Ioppolo-Ventimiglia si unirono con un atto matrimoniale stipulato il 24 febbraio 1588, in cui venne sancito solennemente il vincolo di sangue impresso nelle insegne nobiliari, oltre al testamento comune depositato agli atti del notaio Pettinato il 28 dicembre 1596.
Giovanni Pettinato nel periodo di notariato esercitato a Naso nell'arco di 23 anni, i cui atti erano costituiti da 69 fascicoli andati dispersi, si può considerare il testimone diretto dei principali avvenimenti succeduti a Naso nella seconda metà del XVI secolo; tra l'altro egli aveva redatto l'atto di ratifica della vendita di Naso da parte degli Starrabba ai Ventimiglia il 26 maggio 1580. L'ultimo documento depositato presso il notaio nasitano fu il testamento di Nicola Milio di Ficarra, che porta la data del 1° settembre 1597, anno della sua morte. La figlia di Pettinato, Flavia, era rimasta vedova di Cono Calcerano, depositario e tesoriere delle gabelle nel 1578, il quale ricopriva un incarico di responsabilità nella gestione del denaro pubblico che doveva essere ripartito tra gli oneri fiscali imposti dal governo per sopperire alle spese che gravavano sulle povere casse civiche(46).
6. Le testimonianze sulla famiglia Cuffari desunte dai riveli
I dati desumibili attraverso i riveli a partire dalla seconda metà del XVI secolo ci inducono ad una serie di considerazioni di natura socio-economica, anche se è difficile accertare la veridicità delle dichiarazioni presentate, che veniva affidata alla fedeltà del dichiarante ed avallata dal maestro notaio, che comunque riescono a dare una chiave di lettura sui dati anagrafici, relativi alla composizione ed alla consistenza dei nuclei familiari.
L'indicazione dell'età del capo famiglia e dei figli ci permettono di risalire a quella dei componenti maschi per cercare di individuare la linea parentale di successione diretta; altri dati utili valgono ad accertare la consistenza patrimoniale che si può desumere dagli elenchi dei beni mobili e stabili, questi ultimi costituiti dalle proprietà fondiarie urbane ed agricole, oltre alle gravezze stabili che incidevano sul valore patrimoniale assieme alle gravezze mobili.
Dall'elenco dettagliato dei beni dichiarati si trae un valore che viene capitalizzato in base ad un tasso prefissato in un tarì ogni 50 onze per redditi fino a 150 onze ed incrementato fino a 18 per cifre superiori. Da qui è chiaro che le tassazioni desunte dal reddito netto colpivano i cespiti più elevati e sarebbe interessante capire se la frammentazione delle proprietà agrarie costituiva una scappatoia al sistema fiscale, basato sul ricavato delle coltivazioni agrarie. Le annotazioni, quindi, del capo di casa sulla consistenza del proprio nucleo familiare formato dalla moglie, dai figli, dai servitori e dalle persone a carico, ci danno una fonte inesauribile di informazioni sui gruppi sociali e particolarmente su quelli ad alto reddito, costituiti da un ceto professionale dinamico che formava l'elemento trainante per la crescita e lo sviluppo economico del centro abitato e del suo territorio.
Attraverso la formazione dei riveli di Naso, soprattutto quelli compresi tra gli anni 1614-16, anche se pervenuti incompleti, si possono individuare tra i dichiaranti i rami principali della famiglia Cuffari, costituiti dal medico Antonino e da Giovan Francesco, avvocato, oltre a un Giovanni, forse anche lui medico, che abitava nel quartiere della Marchesina, di cui non troviamo precise indicazioni anagrafiche(47). Dei due primi personaggi, nati rispettivamente nel 1567 e nel '70, non possediamo ulteriori dati fino ad ora, per poter accertare il ceppo comune di parentela; ciò potrebbe desumersi dagli atti di battesimo, laddove esistano, conservati nell'archivio parrocchiale della Matrice a Naso.
Il medico Antonino Cuffari aveva avuto dalla moglie Arcangela sette figli, tra i quali il sacerdote Giovan Francesco nato nel 1589, Giovan Giacomo del '96 anch'egli medico, Giovan Pietro di 15 anni nel 1614, Giuseppe nato nel 1606 diverrà dottore in ambedue le leggi, oltre alle tre figlie Giovanna (a. 16), Dorotea (a. 7) e Maria (a. 4); di quest'ultima conosciamo l'anno della scomparsa, avvenuta nel 1674.
Il reddito dichiarato dal medico nasitano ammontava a 867 onze ed era costituito da una serie di beni fondiari del valore di 638 onze, compresa la sua abitazione nel quartiere della Marchesana stimata 120 onze, limitrofa alla casa del dottor Giovanni Cuffari UJD e a quella di Giacomo Gentile; sotto certi aspetti sarebbe interessante chiarire quali intrecci legavano i vari gruppi familiari rispetto alle dislocazioni territoriali, un fenomeno di aggregazione sociale il cui accentramento è possibile accertare a Naso attraverso le unità familiari legate da vincoli di parentela che si aggregano fisicamente in spazi urbani limitrofi(48).
Le numerose proprietà del medico, costituite dai beni stabili, erano frammentate in vari appezzamenti di terra dislocati in diversi punti del territorio, di cui uno impiantato a gelsi ed ulivi ed a colture differenziate nella contrada Catanzaro stimato per 250 onze assieme alla casa di nutricato, ossia le strutture edilizie agricole destinate all'allevamento del baco da seta; ricordiamo che il territorio nasitano era specializzato nella coltivazione a gelsi e prevaleva nella produzione della seta grezza. Sarebbe interessante capire il meccanismo di acquisizione delle proprietà: se esse provenivano da lasciti patrimoniali, da doti matrimoniali, oppure dai rapporti di clientela tra venditore ed acquirente, tramite le attività professionali svolte dai vari componenti del gruppo familiare, queste ultime invero difficilmente accertabili.
L'avvocato Giovan Francesco Cuffari aveva quattro figli, due maschi e due femmine, tutti nati tra il 1591 ed il 1606: Petronilla primogenita, Pietro nato del 1595 e coetaneo di Giovan Giacomo Cuffari, Giuseppe di 14 anni nato nel 1600 ed ultima Beatrice di 8 anni; la moglie era la figlia della vedova Paola Vitale che coabitava a quell'epoca nella casa del genero. Tra i beni stabili del dichiarante figura una casa solerata con un magazzino, ubicata nel quartiere di San Giovanni adiacente alla casa di Assenzio Lanza e prospiciente la strada pubblica; le proprietà immobiliari dell'avvocato, comprese quelle agricole, formavano un patrimonio di 1060 onze su 1679 complessive, e certamente ci troviamo in presenza di uno dei cespiti più cospicui di quel periodo. Nel rivelo dei beni rusticani figura il possesso di un luogo a gelsi ed ulivi con due case di nutricato nella contrada Rumbiali, vicino alle terre di Antonino Aliberto, Giovanni Artale Vitale, Pietro Antonio Corasì, Cono Consagra e alla strada pubblica, stimato 300 onze. Nell'elenco dei beni mobili, valutati circa 641 onze, furono dichiarati 30 cantàra di olio, circa 24 quintali rimasti dall'anno precedente, per il valore di 100 onze.
Il reddito del dottor Giovanni Cuffari nel 1614 ammontava ad onze 535.25, di cui 271 costituivano parte del valore delle proprietà situate nelle contrade Catanzaro, Sant'Anna, Bollato, Salicò e Samperi, le stesse terre che figuravano nel 1595.
Nel rivelo del 1651 la vedova di Giovan Giacomo Cuffari, Flavia Pettinato, residente nel quartiere di San Giovanni, vicino alla casa di Giuseppe Cuffari, con il figlio Ignazio, ventenne, ed Agnese, dichiara un reddito di onze 247.11; altre proprietà a S. Martino e nella contrada Umbrìa furono valutate 247onze(49).
Il dottor Pietro Cuffari, secondogenito di Giovan Francesco UJD, di 42 anni nel 1637, aveva 5 figli maschi: Giuseppe che diverrà arciprete nel 1652, Francesco nato nel 1626, Giovanni (a. 7), Carlo (a. 5) ed Ottavio (a. 2) e una figlia, Anna; a quella data non figura la moglie, dal che si deduce che il capo di casa era rimasto vedovo con una prole minorenne; occupò la carica di pro conservatore nel 1636(50). Il suo reddito ammontava ad 831 onze ed abitava in una casa solerata a quell'epoca valutata onze 142.27, posta nella contrada di San Pietro dei Latini, confinante con le case di Antonino Piccolo, Assenzio Lanza e Pietro La Dolcetta.
L'illustre medico Giovan Giacomo Cuffari, che aveva l'età di 42 anni nel 1637, probabilmente era rimasto vedovo a causa del terremoto del 1613 in cui perirono 53 persone travolte dal crollo della chiesa di San Pietro; le cronache dell'epoca annoverano tra le vittime la prima moglie del dottor Cuffari, di cui non conosciamo il nome, e quella del notaio Pietro Calabrò. I figli procreati dalla seconda moglie Flavia Pettinato, vedova di Cono Calcerano, furono Giuseppe (a. 13), Placido (a. 10), Antonino (a. 7), Ignazio (a. 5) ed, infine Arcangela, omonima della nonna paterna, che entrerà nel monastero di Santa Caterina con il nome di suor Beatrice Borromea, ancora in vita nel 1677, ed Agnese, tutti nati a partire dal 1623. L'ammontare del patrimonio del dottore consisteva in 466 onze, compresa la proprietà dell'abitazione posta nel quartiere di San Pietro, attualmente ubicata nella strada che gli venne intestata; nel 1645 egli aveva preso in affitto i trappeti d'olio di Naso.
Il dottor Giuseppe Cuffari, trentenne nel 1651, figlio del quondam Giovan Giacomo, da cui si evince che il padre a quell'epoca era già scomparso, aveva avuto dalla moglie Caterina Martines un figlio di nome Antonino, che fu avviato agli studi ecclesiastici, ed altri due: Pietro (a. 8) ed Andrea (a. 4), oltre alle femmine Agnese, omonima della zia, ed Innocenza(51).
Del ramo familiare proveniente dal medico Giovan Giacomo Cuffari siamo in grado ora di ricostruire la linea diretta delle successioni maschili fino ai nostri giorni, attraverso gli imparentamenti del figlio Ignazio († 1714), nato nel 1632, il quale sarà l'alfiere della professione paterna, legatosi in matrimonio con Anna Maria Nardo († 1679). Uno dei figli di quest'ultimo, Placido († 1733), verrà eletto parroco nella chiesa di San Pietro nel 1710, mentre Giuseppe eserciterà la professione di medico, portata avanti dai discendenti della famiglia fino ai nostri giorni dal dottor Alfredo Cuffari (n. 1958). Il dottor Giuseppe Cuffari fece il suo testamento presso il notaio Pietro Franchina il 27 dicembre 1722 e in esso designò eredi universali la moglie Argentina Marchiolo ed i figli Ignazio, Gaetano ed Antonia; l'inventario dei beni venne redatto il 16 ottobre 1741 presso il notaio Vincenzo Lo Re (1721-78).
7. I beni stabili della famiglia Cuffari
Il 27 aprile 1580 agli atti del notaio Giuseppe Astone venne stipulato l'atto di vendita di una proprietà nella contrada San Martino da parte del sacerdote Belmonte, procuratore di suor Cherubina Balsamo, abbatessa del monastero di Santa Barbara a San Fratello, a favore di Colella Corasì e Domenico Forgiaro di Naso per la cifra di 40 onze, con il consenso dell'arcivescovo di Messina, poiché si trattava di alienazione di beni ecclesiastici(52). Il Corasì (1545) abitava nel quartiere delle Mura, vicino a Giuseppe Corasì e Giuseppe Marcazzò, mentre Forgiaro risiedeva nel 1585 nel quartiere del Ss. Salvatore a Naso vicino a Vito Forgiaro e Giovanni Manera.
La ratifica del precedente contratto venne fatta il 7 luglio 1580 in notar Simone Picciuca di Mirto; sono descritti i confini: terras scapulas que erant quondam mag.ci Vincentii Caronisi in territorio Nasi et in contrata Sancti Martini et della Cala confinantes cum terris existentis d.ni Thome de Amato et cum terris existentis d.ni Jo.Jacobi Lanza: questa proprietà venne donata al monastero dalla figlia di Caronisi, Ramondetta Piccolo. Non sappiamo con certezza quando questo possedimento passò in casa Cuffari; forse vi fu traslato dall'eredità dei beni del notaio Pettinato; infatti, tra gli immobili dichiarati da Cono Galluzzo nel 1614 troviamo una terra aratoria di tre tumoli, pagata per tre onze, posta al confine delle proprietà di Pettinato, ed un'altra di cinque tumoli coltivata a frumento, vicino alle terre del barone di San Gregorio e alla via regia.
Il 25 dicembre 1584 venne stipulato da parte del segreto di Naso, Antonio Bergo, un atto di gabella a metà tra Antonino Corasì e Giovannello Di Leo del fondaco di San Gregorio costituito da turrim et magasenum, per sei onze l'anno(53). Ricordiamo che la contrada San Martino si estendeva a monte del territorio una volta di Naso ed ora di Capo d'Orlando sino ad arrivare al borgo marinaro di San Gregorio, di cui abbiamo una testimonianza nella relazione descrittiva del 1583, relativa al dispositivo di difesa marittima indicato dal Camilliani, a partire dal territorio di Brolo fino ad arrivare alla torre di Capo d'Orlando.
In un atto testimoniale del 2 aprile 1598 depositato da Giovanni Martino nella lite insorta tra il conte di Naso e Francesco Lo Cicero, il quale si fregiava del titolo di barone di S. Gregorio, forse imparentato con l'omonimo notaio Giovan Matteo, viene dichiarato: Si fanno anni vintidui (1576) in circa secondo lo suo recordo che Antonino Colliva fici fabricari certi stantii et turri nello suo loco esistenti in lo territorio di Sancto Martino de Marmore et San Gregorio territorio di questa terra di Naso al presente possesso per il dottor Francesco Lo Cicero et che ditto de Colliva in ditti stancii ci inchiudia vino dila sua vigna, con la facoltà di tenervi un fondaco. Antonino Collovà ed il Ventimiglia avevano stipulato precedentemente un accordo per la concessione in gabella del fondaco di S. Gregorio, secondo un contratto depositato presso il notaio Pettinato.
Il dottor Lo Cicero aveva acquistato da Collovà il luogo di San Gregorio il 18 febbraio 1597 con un atto di compravendita registrato presso il notaio palermitano Giovanni Aloisio Gandolfo e trascritto dal notaio nasitano Giovan Francesco Corona, assieme alla concessione, cum jure fundacandi et turri magna de supra mare et scaro nuncupato di sancto Gregorio in contrata di Marmora et sancto Martino secus terras d.no Joannis Jacobi Lanza UJD et heredum quondam Thome de Amato confinantem cum littore marino ex una et terris Nicolai… terris Joseph Gali parte ex altera via regali et aliis confinibus; quindi, dalle indicazioni dei proprietari confinanti si deduce che si tratta dello stesso luogo che fu donato da Vincenzo Caronisi e poi acquistato da Domenico Forgiaro.
Il 27 luglio 1597 Lo Cicero ingabella a Salvatore, Domenico ed Antonino Rappa, padre e figli di Lipari, il fondaco con la torre nella contrada di San Gregorio. Nel rivelo del 1623 troviamo il possesso del luogo di San Gregorio, consistente in un tenimento di terre, vigne ed altri alberi con torre e case dentro nominato la baronia di San Gregorio, confinante con le terre degli eredi del Dr. Antonino Riscasi e con gli eredi di Cono Galluzzo(54). Il sito, ubicato nelle vicinanze di San Gregorio, ci riporta alla mente la torre denominata dei Quadaranini, circondata da magazzini, case di nutricato e con l'annessa chiesetta, posti su un poggio dominante la sottostante contrada detta di Vagnoli. Sulla torre di Bagnoli, come più propriamente viene indicata in alcuni documenti del XVIII secolo, abbiamo una dettagliata relazione nei beni pervenuti in possesso della famiglia Sandoval, trasmessi agli eredi di Giuseppa Sandoval Ioppolo Ventimiglia, principessa di Castroreale, mediante il testamento registrato il 19 agosto 1788 presso il notaio palermitano Antonino Maria Magliocco.
Il 30 dicembre 1799 viene stipulato presso lo stesso notaio l'atto di enfiteusi tra il Dr. Giuseppe Germanà di Sinagra e le religiose Giovanna Rosalia, Giuseppa Antonia ed Isabella Emanuele Sandoval, moniali nel monastero di Santa Caterina al Cassaro di Palermo, eredi del fratello Cono Giuseppe, per una cifra di 100 onze annuali(55). Gli immobili rurali e quelli urbani, consistenti in una casa grande posta nella contrada del Ss. Salvatore a Naso vicino ad una casa-torre, ammontavano ad onze 631.6. Le case di Bagnoli, formate dalla torre, dalla chiesetta, dalla loggia di manganello e dalle case per il verme, furono stimate onze 544.9, secondo una dettagliata relazione presentata da mastro Filippo Vasile Spaticchia, capomastro municipale, il quale as-sieme a Francesco Giuffrè, aveva l'incarico di sovrintendere alla manutenzione delle strade e delle fontane del territorio di Naso con un salario complessivo di 12 onze annue nel 1802/03.
Il 2 settembre 1786 agli atti del notaio Cono Pizzino viene stipulata una compravendita tra Pasquale Cuffari Lanza e Vincenzo Santaromita per un tumulo di terra sciarosa, posta nella contrada di San Gregorio vicino alla grotta del Bue marino o di Bruca ed al luogo del monastero di Santa Caterina, appartenente agli eredi di Giacomo Lanza, al confine con la spiaggia, per un'onza.
Nell' atto di donazione del 1867 da parte di Ignazio Cuffari Milio ed Anna Cuffari Gamberi a favore del figlio Placido, troviamo l'indicazione relativa al possesso di alcune proprietà costituite da un fondo nella contrada di San Martino coltivato ad ulivi, fichi, gelsi ed altre colture arboree, confinante con Antonino Santaromita, probabilmente figlio di Vincenzo, con l'antica via regia, con il fondo di Vincenzo Di Raimondo, quelli di Cono Raneri e di Basilio Reale e con la riva del mare(56). Il 26 giugno 1825 Placido Cuffari Lanza dichiara che nel fondo a San Martino, contiguo alla sua casina, vi era una antica chiesetta di jus patronatus, dedicata alla Madonna del Rosario.
Oltre alla proprietà a Sant'Anna coltivata ad uliveto, confinante con la strada che conduceva a Munidari e con il luogo degli eredi di Vincenzo Petrelli e di Rosario Lo Presti, viene assegnata una casa posta nella strada a quell'epoca intestata a Giovan Giacomo Cuffari, delimitata dalla casa di Andrea Cuffari adiacente a quella di Domenico Cuffari ed Ignazio Milio, in vico D'Ondes Reggio; di contro, Placido Cuffari rinunziava al padre la terza parte spettantegli dal fondo a Santa Lucia del valore di Lit. 600, che gli proveniva dall'eredità di D. Giacomo Cuffari Lanza. Una parte di questo fondo, consistente in un vigneto, venne espropriata il 13 dicembre 1890 per la costruzione del tronco ferroviario Brolo-Zappulla. La proprietà a Santa Lucia coltivata a vigneto ed agrumeto venne venduta il 19 marzo 1891 a Gaetano Letizia fu Cono per il prezzo di Lit. 3500, secondo un contratto stipulato dal notaio nasitano Gioacchino Buttà (1881), con il diritto di ricomprarla allo stesso prezzo entro 5 anni. Il valore complessivo degli immobili urbani e delle proprietà agricole ammontava a 450 onze, pari a Lit. 5737.50.
E' interessante riportare il valore dell'immobile agricolo a San Martino e quello della proprietà urbana, che furono stimati rispettivamente il 13 settembre 1887 dall'agronomo nasitano Carmelo Bontempo (a. 64) fu Cono per Lit. 11825, mentre la casa fu valutata Lit. 12088.97 dall'ingegnere Raffaele Giordano di Salvatore, residente a Caprileone, secondo una perizia datata 19 dicembre 1889.
I beni patrimoniali donati da Ignazio Cuffari al figlio Placido pervennero per un contratto matrimoniale stipulato il 16 giugno 1844 da Salvatore Cuffari, padre di Anna Cuffari Gamberi, registrato agli atti del notaio Francesco Paolo Incudine, in cui allo sposo viene assegnato il luogo a San Martino stimato 400 onze, pari a 1200 ducati, compresa la proprietà di un casino in quel fondo rustico oltre ad un contante di 2400 ducati (800 onze), pari ad una somma di denaro dotata alla moglie. Il patrimonio immobiliare di Anna Cuffari consisteva in beni valutati 600 ducati, ed era formato da un fondo rustico impiantato a gelsi, a vigneto, ad alberi di fichi e di ciliegi, con case rurali, posto nella contrada Munidari, limitrofo alle proprietà di Ignazio Petrelli Craxì, di Gaetano Bontempo ed altri confini.
Salvatore Cuffari assegna in dote un trappeto d'olio nella contrada delle Mole, assieme ad un castagneto a Santa Domenica, confinante con il fondo agricolo del dottor Francesco Paolo Milio e con quello del cavalier Ignazio Denti, dotario della moglie Anna Trassari; il fratello della sposa Andrea aveva sposato il 26 novembre 1842 Antonia Trassari. Infine, viene donato un fondo agricolo di 800 ducati nella contrada Umbrìa confinante con quelli degli eredi di Placido Cuffari († 1835), degli eredi di Filippo Cangemi e di Giuseppe Lanza.
Nel rivelo del 27 novembre 1651 presentato dalla vedova di Giovan Gia-como Cuffari, Flavia Pettinato, troviamo il luogo a San Martino, adiacente alle proprietà del dottor Giuseppe Cuffari, valutato 42 onze; di un altro luogo nella contrada Rùpila o Catanzaro, acquisito originariamente dalla famiglia Cuffari, si ha notizia in alcuni contratti che indicano con certezza la provenienza di queste proprietà acquisite nel tempo(57).
Il presbitero Giuseppe Aglì, tramite D. Girolamo Lanza STD, procuratore della Chiesa Madre, aveva venduto un fondo impiantato ad oliveto nella contrada Rùpila ad Antonino Cuffari AMD il 4 aprile 1609. Il 3 agosto 1636, in notar Cono Pigadaci (1629-51), Fiorella vedova di Vincenzo Pagano, assieme ai figli Giuseppe e Caterina, stipula l'atto di vendita per 25 onze a favore di Giuseppe Cuffari UJD, figlio dell'AMD Antonino, di una proprietà sita nella contrada Munidari adiacente a quelle dell'acquirente e di mastro Cono Letizia con il patto di ricomprarla; la contrada Munidari è posta a levante rispetto a quella di Sant'Antonio, sulla direttrice stradale Naso-Castellumberto. Un altro possedimento appartenente alla famiglia Cuffari si trovava nella contrada Vina, il cui uso proveniva da un contratto di enfiteusi accordato con un compenso di 12 tarì all'anno tra Pietro Spagnolo e Cono Controxeri, figlio di Domenico, sul luogo sito nella contrada Gazzì, impiantato a castagneto, confinante con il concedente e coi fondi di Pasquale Galipò e Pietro Pipi. Il notaio nasitano Luca Giordano in data 15 gennaio 1594 alla presenza di Giuseppe Letizia e Giuseppe Guaiello redige l'atto di vendita per 60 onze a favore del notaio Pettinato del luogo di Vina, confinante con Cono Cianciolo, Francesco Causagrano e con gli eredi di Giacomo Crasà alias Mustazzola († 1580).
Di un altro luogo appartenente alla famiglia Cuffari abbiamo notizia della vendita effettuata il 21 settembre 1597 da parte di Ottavio Astone al dottore in medicina Antonino Cuffari, sito nella contrada Piana o Serro di Samperi vicino le terre di Giovanni Cuffari AMD, di Pietro Aliberto e degli eredi di Giacomo Bergo(58).
Sulla proprietà in contrada Catanzaro venne effettuata la stima in data 24 luglio 1688; di essa abbiamo la valutazione: per il bosco 35 onze, per gli alberi ed il frutto dei castagni 21 onze, per 120 sacchi di fronda ricavabili dagli alberi di gelso si ha un valore di 80 onze, per 24 salme di olive 85 onze, oltre alla stima delle terre incolte 15 onze e del castagneto vicino il luogo di Mario Gamberi 12 onze; le case rurali attrezzate per la nutrizione del baco da seta furono stimate 24 onze. L'importo totale di questo patrimonio fondiario fu valutato 300 onze compreso il valore delle terre poste in contrada delle Mole (12 onze) ed a Sant'Anna (16 onze).
Nel luogo sito in contrada Umbrìa o Cammà era impiantato un gelseto; esso era attrezzato con una casa rurale difesa da una torre, fornita di cisterna d'acqua e di una pennata, delimitata dalla proprietà di Cono Giuseppe Bongiorno AMD e dall'uliveto di Ignazio Cuffari AMD; un gelseto con abitazione e fondaco si trovava nel Piano di Bazia, vicino a proprietà di Giuseppe Di Marco, alla casa di Cono Pintaloro ed al vallone detto di Giallongo.
La già consolidata presenza dei Cuffari a Naso, sin dalla seconda metà del XVI secolo, viene attestata dall'atto di concessione ad Antonino Cuffari, da parte del parroco della chiesa di San Pietro dei Latini, di un altare dedicato originariamente a Santa Lucia, allo scopo di fondare una cappella di jus patronatus intitolata al Ss. Crocifisso, secondo un contratto stipulato dal notaio Giovanni Bartolomeo Germanò il 18 agosto 1569.
Il 9 aprile 1677 il sacerdote Cono Cuffari concede ai fratelli Ignazio, Francesco ed Ottavio, tramite il procuratore della parrocchia di San Pietro D. Cono Zafarana, di collocare nella loro cappella una immagine dipinta del Ss. Crocifisso e di celebrar messe; forse trattasi della stessa tela esistente nella chiesa di San Cono.
Nel 1672 il parroco di San Pietro D. Giuseppe Cuffari, arciprete in carica sin dal 1662 continuativamente per 14 anni, fu nominato esecutore testamentario dell'eredità di Cono Martino UJD, iscritto all'università di Messina intorno al 1634, divenuto procuratore del tribunale di Palermo, così come risulta nell'ultimo dispositivo conservato presso il notaio palermitano Giuseppe Furno l'11 febbraio 1670, aperto e pubblicato l'11 maggio 1672. Il testatore dispose che alla sua morte venisse inumato nella cappella dell'Immacolata nella chiesa palermitana di San Pietro la Bagnara vicino al Castellammare, distrutta nel 1784, in cui era un dipinto raffigurante San Cono e San Nicola. Ricordiamo, qui, l'esistenza di una tavola dipinta da Vincenzo da Pavia intorno al 1536, raffigurante San Cono circondato da alcune scene della sua vita, che si trovava collocata nella chiesa di Santa Maria di Portosalvo a Palermo.
Il dottor Martino nominò erede universale la sorella Maria, moglie del notaio Pietro Argidione di Tortorici, assieme alla nipote Margherita, suora nel monastero di Santa Caterina di Naso sin dal 1664, al tempo dell'abbadessa Antonina Lanza; lasciò un capitale di 200 onze all'altra nipote Margherita, figlia del dottor Carlo Mirabella, per sopperire alla dote di monacazione richiesta per entrare nel convento di Santa Margherita a Palermo. Martino dettò le seguenti disposizioni: Voglio che la mia casa existente in detta terra di Naso nella piazza nominata di Filippo cioè la parte superiore di essa dopo la morte di detta mia erede si venda o si dia a censo restando sempre le poteghe e furno alla parte inferiore di detta casa senza potersi vendere né alienare.
Non sappiamo quali rapporti di parentela intercorressero tra l'avvocato Cono Martino e quel Giuseppe Martino, forse sacerdote, che nel testamento del 17 maggio 1609 dispone la sua sepoltura nella chiesa palermitana di Santa Maria della Neve nella contrada del Ponticello, in loco ut dicitur sotto li cordi delli campani della ditta ecclesia nudo senza vestimenti eccepto un sacco di confratria grosso, con una cintura del Rosario et cordone di San Francesco con un pezzo di zimbili sotto ex quo sic voluit et mandavit(59). Nominò erede universale la sorella Francesca Pietrasanta, destinando un lascito alla chiesa di San Pietro pro fabrica ipsius ecclesie ed al convento di Santa Maria di Gesù a Naso; infine, lasciò due quadri depositati nella chiesa del Ponticello, raffiguranti un San Michele ed un Ecce Homo, che dovevano essere traslati nella cappella della chiesa di San Pietro.
Il 20 gennaio 1776 Domenico Cuffari STD dispose nel suo testamento, depositato presso il notaio nasitano Nicola Francesco Lo Re (1746-93), di essere tumulato nella cappella del Carmelo; egli era nato nel 1695 da Giacomo e Maria Cuffari, era fratello di Giovan Giacomo UJD, sposato con Francesca Faraci, e di Andrea (n. 1703), marito di Antonia La Dolcetta.
L'arciprete nel suo lascito testamentario nomina erede la nipote Benedetta, figlia di Giovan Giacomo, ed il nipote Placido sacerdote, figlio di Andrea Cuffari. Il testatore donò alla Chiesa Madre di Naso una pisside d'argento e 100 onze da ripartire tra i rispettivi nipoti Francesco e Giuseppe.
Nel 1790 il dottor Francesco Maria Cuffari, figlio di Giovan Giacomo UJD e di Francesca Faraci, redige il suo rivelo, in cui dichiara la consistenza patrimoniale degli immobili costituiti da una casa grande adiacente alle chiese di Santa Maria degli Angeli e di San Nicola lo Vecchierello, che era di sua proprietà. La terza parte indivisa delle proprietà apparteneva agli eredi del dottor Carlo Greco e consisteva in 13 camere ed 8 magazzini, di cui il rilevante poteva utilizzare soltanto 3 stanze e 3 magazzini a causa dei danni provocati dai terremoti del 1783 e del 1786. Nel testamento, stipulato il 29 settembre 1801 in notar Calcedonio Papa di Naso, vengono poi date disposizioni relative alla sepoltura nella chiesa di San Pietro, davanti all'altare del Ss. Crocifisso (1677), il cui parroco a quell'epoca era Antonino Francesco Xilone, visitatore del convento di Santa Caterina, di cui la sorella Benedetta era l'abbadessa. Gli eredi furono la moglie Antonina Cuffari Lanza (n. 1771) ed i figli Maria Teresa, monaca con il nome di suor Francesca († 1876), Rosaria moglie di Nicola Trassari, Giacomo tesoriere della confraternita del Ss. Rosario nel 1819/20 e marito di Petronilla Drago, Gaetano sacerdote († 1882), Benedetta moglie di Emanuele Drago ed, infine, Andrea. Il 18 marzo 1813 agli atti del notaio Papa (1799/1824), residente nella contrada dei Cappuccini, venne registrata la donazione dei beni patrimoniali da parte di suor Francesca ai fratelli: il dottor Giacomo e don Gaetano.
In occasione del terremoto del 5 marzo 1823, l'abbadessa di Santa Caterina, Agnese Milio Gamberi, elesse detentore dei libri del monastero Pasquale Cuffari (n. 1764), figlio di Gaetano Cuffari Marchiolo (1724† 1790), marito di Tommasa Milio, forse parente della suora. Pasquale Cuffari fu un personaggio che percorse tutte le cariche civiche, eletto giurato nell'anno 1790/91, capitano di giustizia nel 1810/11, e infine elevato alla carica di sindaco nel 1835.
Un Gamberi aveva sposato Argentina Cuffari, mentre l'altra sorella Antonia (1771) aveva preso in marito Francesco Cuffari Faraci.
8. L'istituzione del Peculio frumentario, l'Ospedale di San Giovanni di Dio e l'eredità D'Oppo
Le famiglie nasitane Cuffari e Mercurio si resero artefici di importanti istituzioni civiche nel XVII secolo; la prima diede vita alla fondazione di un Monte frumentario detto Peculio, mentre gli eredi del dottor Mercurio furono i promotori della creazione di un nuovo ospedale, che venne fondato nel 1682 sotto il titolo di San Giovanni di Dio detto dei Fatebenefratelli
Il 9 luglio 1645 furono redatti i capitoli relativi alla formazione del Peculio frumentario, depositati agli atti del notaio nasitano Cono Pigadaci (1629-51), per volontà dei sacerdoti D. Giovanni Francesco Cuffari († 1646) e D. Gaspare Graziano, i quali destinarono 150 onze a favore dell'università, rappresentata dai giurati Ludovico Aglì, Placido Riaca e dal notaio Ottavio Spadaro(60). Furono designati sei deputati, fra cui il fratello del fondatore, il dottor Giuseppe Cuffari († 1674), figlio del quondam Antonino, l'arciprete Giuseppe Cuffari († 1682), figlio del quondam Pietro, l'altro suo fratello dottore in medicina Giovan Giacomo Cuffari, il sacerdote D. Giovan Giacomo Mercurio, assieme a D. Pietro Comito e al dottor Giovanni Antonino Albergo(61).
Nei capitoli venne disposto che i deputati fossero eletti dall'arciprete e dai giurati civici il 1° di luglio di ogni anno nella persona di due negoziatori o rabacoti, cioè custodi ed amministratori, i quali potevano acquistare grano in qualunque luogo o tramite dei compratori, che ricevevano un compenso di 5 onze comprese le spese del paliato, l'affitto di un magazzino per il deposito del grano, oltre al salario del misuratore.
Sulla gestione ed amministrazione del Peculio frumentario a Naso si trova soltanto un volume del XVIII secolo, oggi custodito nell'Archivio di Stato di Palermo, relativo al 1738/43, in cui risultano in carica nel 1741 l'arciprete Antonino Piccolo († 1747), tesoriere, e Carmelo Fogliano (1716), figlio di Antonino, negoziatore, oltre ai deputati Ignazio Gamberi, Ignazio Petrelli e Francesco Cuffari, il quale aveva ricoperto la carica di regio collettore negli anni 1734-35(62).
Alcuni componenti della famiglia Cuffari ricoprirono la carica di proconservatore di Naso, a cominciare dal dottor Pietro, nominato con patente regia a Palermo il 26 gennaio 1636. Il dottor Francesco subentrò il 9 dicembre 1655 a Francesco Pronobis eletto nel '45, un omonimo Cuffari occupò la stessa carica il 23 luglio 1680, sostituito dal dottor Giovan Vito Piccolo il 3 dicembre 1687, Giacomo Cuffari fu incaricato nel 1772.
Nella Relazione delle persone facoltose che possiedono la somma di limpio di onze 800 sopra delle città e terre soggette alla milizia ordinaria, del 1° febbraio 1717, troviamo i nomi di alcuni cittadini nasitani con redditi superiori alle 800 onze: al primo posto in elenco Giacomo Cuffari, con 1628 onze, segue Cono Ioppolo con 1433 onze, Blasi Lanza con 1334 onze, Benedetto Di Leonardo con 854 onze ed Antonino Martines con 808 onze; ricordiamo che la popolazione di Naso nel 1714 era di 2174 anime e quasi raddoppiò a 4325 abitanti nel 1792(63).
In un documento risalente al 1712 troviamo in carica Francesco Marino (1703-44), notaio del Peculio, e giurati il sacerdote D. Placido Cuffari († 1733), luogotenente dell'arciprete Cono Aglì, il dottor Ignazio Piccolo, che verrà eletto arciprete nel 1715 e D. Giovan Giacomo Lanza giurato seniore, assieme a D. Cono Augello, D. Giacomo Cuffari e D. Giuseppe La Dolcetta, i quali dovevano decidere sulla proposta avanzata dal Marino circa la riduzione biennale del suo salario, nonostante l'offerta gratuita del notaio Pietro Franchina (1690-1727), che non venne accolta, allo scopo di favorire l'università per la nova fabrica della casa et magaseni [che] si stanno fabbricando, che era nella strada del Castello, confinante con i magazzini d'olio, mentre la parte superiore fu utilizzata come teatro pubblico nel 1828, luogo in cui verrà costruito il nuovo edificio nel 1873 su progetto dell'ingegnere catanese Lorenzo Maddem.
Il 27 dicembre 1647 fu redatto dal notaio Cono Sansiveri (1631-77) il testamento di Ludovico Mercurio UJD, in cui dispone la sua sepoltura nella cappella di San Francesco a S. Maria di Gesù, istituendo una donazione di 400 onze per la fondazione del nuovo Monte di Pietà, i cui Capitoli furono redatti dal fratello Giovan Giacomo UJD, dal dottor Giovanni Astone e da Giuseppe Piccolo(64). Alla morte degli eredi il testatore dispose che i loro beni dovessero essere devoluti all'ospedale del Monte di Pietà, assieme a quelli della sorella Ninfa, vedova dell'avvocato Rocco Arcabaxio di Ficarra, da cui aveva avuto una figlia di nome Marzulla. Inoltre, fece donazione a Lorenzo Faraci di un quadro raffigurante San Giovanni Battista, alto due palmi, che era stato dato in custodia ad Antonino Di Leo residente a Palermo, in attesa che venisse traslato a Naso; potrebbe essere una copia di quello esistente nella chiesa omonima.
Nel 1661 il Di Leo, secreto di Naso, concesse la gabella della carne a Giovan Matteo Galbato, quella della seta e dell'olio a Giovanni Aliberto, la gabella dei mulini a Giuseppe Collica e dei trappeti d'olio a Girolamo Lanza.
Il 23 marzo 1654 presso il notaio Decio Caputo (1628-63) venne eseguito l'inventario dei beni del sacerdote Giovan Giacomo Mercurio UJD, fratello di Ludovico; il testamento, redatto dal notaio Antonino Martino, fu aperto il 18 marzo di quell'anno alla presenza dei rappresentanti dell'ospedale, i consiglieri Girolamo Lanza UJD e Giovanni Martino. Tra le proprietà inventariate si trovava quella nella contrada di San Giorgio, con case di nutricato, pennata, giardino e fontana, confinante con proprietà del notaio Cono Sansiveri, di Francesco Galluzzo, di Francesco Sangari e col luogo di Cono Amatore. Sull'esistenza di beni patrimoniali urbani rileviamo un tenimento di case nel quartiere della Porta Marchesana, adiacente alle case del quondam Pietro Lanzarola e di Giacomo Giallanza, oltre ad una casa solerata delimitata dalla strada pubblica ed adiacente a quella degli eredi del medico Antonino Cuffari.
Ricordiamo che il dottor Antonino Mercurio ed Antonino Cuffari fecero parte della deputazione di sanità durante l'epidemia di peste del 1624, in cui venne istituito uno stretto cordone sanitario intorno ai quartieri urbani, assegnando al dottor Girolamo Piccolo quello della Madre Chiesa, al dottor Giovan Giacomo Cuffari quello di San Giovanni, il presidio del Ss. Salvatore fu affidato al dottor Carlo Germanà ed il quartiere di San Cono venne destinato al dottor Giuseppe Galbato. Furono nominati i chirurghi, Pietro Ricca e Francesco Martino, dal comitato sanitario presieduto dai deputati Francesco Quovadis, Mario Piccolo, Giovan Francesco Corona, Blasco Galbato, Pietro Riaca, Giovanni Antonio Albergo e Giovanni Martino.
Il 22 febbraio 1681 venne redatto l'atto di fondazione dell'ospedale San Giovanni di Dio a Naso, i cui capitoli furono stilati dal notaio Giovanni Drago in data 7 aprile. Nei Capitoli, di cui abbiamo rinvenuto una copia manoscritta del 1781, viene stabilito che la gestione della nuova istituzione fosse affidata a cinque padri della compagnia ospedaliera dei Fatebenefratelli, con l'obbligo di custodire la chiesa e di provvedere a tutte le incombenze relative alla cura ed all'assistenza degli infermi, affiancandovi anche una sezione per le donne(65). La struttura sanitaria doveva avere l'aromataria, cioè la farmacia; inoltre, fu stabilito che i medici e i chirurghi venissero nominati dai responsabili dell'ospedale e che i locali fossero avulsi dal contesto del Monte di Pietà. Nel 1693 i governatori del Monte di Pietà di Naso, Diego Martines barone di San Giorgio a Morabito, il sacerdote D. Antonino Piccolo e Placido Cuffari, affidarono l'incarico di chirurgo dell'ospedale a Giuseppe Canciglia di San Salvatore di Fitalia con un salario annuo di 8 onze; nel 1721 un Antonino Martines occuperà la carica di capitano di giustizia di Naso.
Di un'altra benemerita istituzione si rese artefice il reverendo Domenico D'Oppo, relativa alla gestione di un fondo patrimoniale che doveva servire per la formazione della dote da assegnare ad una giovane appartenente al ramo parentale femminile sino al quinto grado di affinità o ad una fanciulla povera, destinando un contributo di 200 onze che dovevano essere prelevate dalle sue rendite. Il testamento del sacerdote venne stipulato dal notaio Cono Giordano il 18 settembre 1663, aperto e pubblicato il giorno 25 dagli esecutori testamentari, che furono l'avvocato Giuseppe Cuffari (n.1621) e Scipione Nardo, nominati fidecommissari del patrimonio del sacerdote D'Oppo.
Il 4 novembre 1666 furono soggiogate, con atto registrato presso lo stesso notaio Giordano, 4 onze annue da parte dei fidecommissari al dottore in medicina Ignazio Cuffari Pettinato, figlio del dottor Giovan Giacomo. I beni immobili ipotecati, soggetti a questo censo, furono la casa solerata sita nel quartiere di San Giovanni, il luogo a San Martino limitrofo a quello di Scipione Nardo, proprietario nel 1661 della torre e fondaco di San Gregorio, oltre a quelli in contrada Umbrìa, a Rùpila ed al luogo con fondaco e botteghe nel piano di Bazia.
Le famiglie Cuffari e Nardo si imparentarono tramite il matrimonio di Ignazio, nato nel 1632, con Anna Maria Nardo († 1679), da cui nacquero Arcangela, D. Placido futuro parroco di San Pietro (1707) ed il medico Giuseppe († 1741), nipote dell'omonimo avvocato che gestiva i beni dell'eredità D'Oppo.
Note
(1) Le carte dell'archivio privato della famiglia Cuffari (AFC) di Naso in provincia di Messina, da cui nel 1927 si è staccato il comune di Capo d'Orlando, sono state consultate personalmente nell'abitazione del geom. Santino Cuffari nell'anno 2001. Alcuni di questi documenti inediti sono stati utilizzati dalla Dott. S. Gugliotta per la tesi di laurea in Giurisprudenza (Università di Messina, anno accademico 1998/99, relatore L. Sorrenti) dal titolo: Diritto e società nella Sicilia Borbonica. La gestione dei patrimoni familiari in un comune dei Nebrodi, tesi che ho consultato in copia dattiloscritta.
(2) R. Bizzocchi, In famiglia. Storia di interessi e affetti nell'Italia moderna, Bari 2001.
(3) I nomi dei più antichi notai di Naso riportati dall'Incudine sono Antonino Germanò (1503/1553), Giuseppe Germanò (1504/1559), mancano indizi relativi ai notai del XV secolo di cui ho rinvenuto il nome di Nicola Marino che rogò l'atto di gabella del trappeto di zucchero di Pietra di Roma il 24 gennaio 1495 tra il conte di S. Marco e Giovanni Bonfiglio.
(4) B. e G. Lagumina, Codice diplomatico dei Giudei di Sicilia, Palermo 1884, voll. 3, doc. MXXII.
(5) ASPa. Cancelleria 161, a. 1486/87, f. 362; 3 febbraio,V, 1487.
(6) Tra i residenti del quartiere della Kalsa del 1480 troviamo i componenti del gruppo familiare di Anfuso (Affusio) Bellacera, costituito dalla moglie, dalle due figlie femmine di età a partire da 14 anni e da tre figli maschi di età minore a sette anni, forse il frutto di un secondo matrimonio (cfr.A. Di Pasquale, La popolazione del quartiere della Kalsa nel 1480, Palermo 1975, pag.74). La permanenza di Bellacera a Palermo in quel periodo ci viene confermata da un contratto di enfiteusi di quattro case terrane, poste nella contrada della Gancia, concesse il 5 giugno 1480 da Benedetto Pompeo UJD. Nel testamento di Anfuso redatto a Palermo il 29 agosto 1496 troviamo i nomi degli eredi maschi, Francesco, Simone e Artale.
(7) ASPa. Protonotaro 125, a.1487/88, f.125.
(8) ASPa. Cancelleria 180, a.1491/92, f. 8v.
(9) ASPa. TRP, vol.1256, a.1593, Riveli di San Marco, ff. 607, 665, 673, 897.
(10) A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Palermo 1912, vol. II, pag. 247. Cuffari-Ristori; pag.265, La Dolcetta.
(11) Giovanni Raffaele nacque a Naso il 24 giugno 1804 e morì a Palermo il 4 ottobre 1882; fu un illustre medico, autore di un trattato di ostetricia in due volumi (1841) e di un Trattato del chòlera asiatico, Napoli 1837. Partecipò alla vita politica siciliana fin dal 1848 e fu ministro del nuovo Regno; ritiratosi a Palermo, venne eletto sindaco della città (cfr. M. Di Liberto, Nuovissimo stradario storico della città di Palermo, Palermo 1993, pag. 414).
(12) A. Palazzolo, La terra di Naso dalla feudalità alla Contea, Palermo 1998, cfr. cap. 3, Carlo Ventimiglia conte di Naso e la vendita agli Starrabba, pagg. 15/18.
(13) A. Palazzolo, Il territorio di Naso nel secolo XVI, in Libera Università di Trapani, 1991, pagg.129/175; cfr. doc. n° 2, pagg.158/163.
(14) ASPa. FND, 2511, a.1520/21; 5 ottobre, IX, 1520.
(15) ASPa. Conservatoria 232, a.1596/97, f.221; 10 maggio, X, 1597.
(16) ASPa. Archivio Moncada di Paternò, vol.1327; 10 febbraio, II, 1604.
(17) ASPa. Archivio Notarbartolo Sciara, vol.71; 16 settembre, I, 1572, Nr. Giovan Matteo Lo Cicero.
(18) ASPa.TRP, N.P. 1329, Cautele di Nicolò Gentile mercante genovese, a.1565/66; cfr. L.Salamone, La numerazione provvisoria del Tribunale del Real Patrimonio nell'Archivio di Stato di Palermo, in ASMe, 73, 1997, pagg.7/94.
(19) ASPa. Archivio Notarbartolo Sciara,vol.4,f.5; 3 gennaio, XIV, 1600, Nr. Giuseppe Astone di Naso; cfr. C. Trasselli, Storia dello zucchero siciliano, Caltanissetta-Roma 1982.
(20) ASPa. Archivio Notarbarto Sciara, vol. 71, ff. 1/87: Raccolta e notamento distinto delle terre del territorio di Naso comprate, vendute, legate, donate, rilassate e permutate dall'Ill.mi s.ri Conti di detta terra, incominciando dal sig.D.Carlo Ventimiglia, sig. D. Girolamo Ioppolo seniore, sig.a D. Laurea e sig. D. Antonino Ioppolo e Ventimiglia, sig.ri D. Girolamo, D.Flavia e D. Emanuele Cottone sino all'Ecc.mo sig. D. Girolamo Ioppolo e Ventimiglia duca di Sinagra e conte di Naso (1662); cfr. G. Tricoli, La Deputazione degli Stati e la crisi del baronaggio siciliano, Palermo 1966.
(21) ASCPa. 3Qq.B.69, ff. 426, 446: Ristretto della numerazione del regno di Sicilia fatta d'ordine del viceré il marchese di Pescara (1570).
(22) ASPa. Cancelleria 135, a.1475/76, f. 259.
(23) ASPa. Protonotaro 119, a.1485/86, f.29.
(24) ASPa. Cancelleria 452, a.1576/77, f.12v.
(25) ASPa. Cancelleria 523, a.1593, f.128.
(26) ASPa. Cancelleria 453, a.1576/77, f. 486.
(27) C. Incudine, op.cit., pagg.38-39. A questo presunto, ma non documentato, episodio l'Incudine, figlio del notaio Francesco Paolo (1807-54), attribuisce la distruzione degli archivi notarili di Naso (!).
(28) ASPa. Cancelleria 442, a. 1573/74, f. 5v.; 6 settembre, II, 1573.
(29) ASPa.TRP, Vol. 1356, a.1584, Riveli dell'Università di Naso.
(30) ASPa.Cancelleria 625, a.1620/21, f.212; 14 giugno, IV, 1621.
(31) ASPa.Cancelleria 629, a.1621, f.2 02; 4 marzo, V, 1622.
(32) AFC. Naso, 17 marzo, VI, 1577, Nr. Giovan Matteo Lo Cicero (1569/77).
(33) ASPa.Cancelleria 464, a.1580/81, f. 393v.
(34) ASPa.FND, 1528, II, a.1649/50; 27 ottobre, III, 1649; cfr. R. Termotto, Contributi documentari sulla decorazione seicentesca del presbiterio della cattedrale di Cefalù, in Cefalù e le Madonie contributi di storia e di storia dell'arte tra XVII e XVIII secolo, 1996.
(35) ASPa. Conservatoria 1613, a.1576/85, f. 184.
(36) AFC.Naso, 22 aprile, I, 1588, Nr. Pietro Rizzo(1580/1605).
(37) AFC. Naso, 24 giugno, III, 1620, Nr. Luca Giordano(1590/1638).
(38) ASPA. Cancelleria 362, a. 1552, f. 85, 27 aprile, X,1 551, Nr. Pietro Covello di Catania.
(39) ASPA. TRP., Vol. 1357, a.1614, Riveli di Naso.
(40) ASPA, TRP, Vol. 1362, a.1637/51, Riveli di Naso.
(41) AFC. Naso, 30 maggio, X, 1702, Nr. Lorenzo Vitanza,(1678/1703), testamento di Placido La Dolcetta; cfr. A. Pettinano, Memorie ritrovate. Il testamento di Bernardo La Dolcetta nasitano insigne, Naso 1987, pagg. 1/34, in cui si nota tra i beni inventariati il 6 marzo 1760: Li ritratti del fu Dr.D.Placido La Dolcetta sr. mio padre, del fu D.Giuseppe mio fratello, del fu D.Placido jr.suo figlio mio nipote, del beato Aloisio Dolcetta della compagnia di Gesù mio fratello, del fu Dr.D. Giovanni mio fratello arciprete di Nicosia, il ritratto mio da sacerdote oltre quello nella sala da secolare; testamento di Bernardo La Dolcetta in Nr. Vincenzo Lo Re 12 maggio, II, 1754.
(42) ASPa. FND 8713, a.1610; cfr. Li maduni di lustro dei maiolicari di Naso,1986.
(43) ASPa. Cancelleria 631, a.1622/23, f. 69v; atto di conferma registrato il 17 dicembre, II, 1622.
(44) ASPa. FND. 11612, a.1589/91.
(45) ASPa. Cancelleria 554, a.1599/1600, f.12; investitura di Girolamo Ioppolo su Naso.
(46) ASPa. Protonotaro 371, a. 1579/80, f.340; 12 gennaio, VIII, 1580.
(47) ASPA, TRP. Vol.1357, a.1614/16, Riveli di Naso, 9 febbraio, XII, 1614.
(48) G. Delille, Famiglia e proprietà nel regno di Napoli, Torino 1988.
(49) ASPa. TRP. Vol. 1362, a. 1637/51, Riveli di Naso.
(50) ASPa. TRP. Vol. 1361, a. 1637, f.106. Riveli di Naso.
(51) ASPa. TRP. Vol. 1363, a.1651, Riveli di Naso.
(52) AFC. Naso, Contratti di compra di stabili rusticani ed urbani della casa Cuffari di Naso (1789).
(53) ASPa. Archivio Notarbartolo Sciara, vol. 9, f .21.
(54) ASPa. TRP. Vol. 1358, a.1623, Riveli di Naso.
(55) ASPa. Archivio Notarbartolo Sciara, vol.313; Idem, FND. 38175, f. 779.
(56) AFC. Naso, 16 giugno1844, Nr. Francesco Paolo Incudine. Contratto matrimoniale tra Ignazio Cuffari Milio, figlio di Pasquale e di Tommasa, ed Anna Cuffari Gamberi, figlia di Salvatore e della prima moglie Margherita (= 1825); dalla loro unione nacque Giovanni nel 1853, che sposò nel 1881 Maria, figlia di Ignazio Petrelli Craxì e di Francesca Marchiolo, originari di Galati.
(57) AFC.Naso, Contratti di beni stabili rusticani della casa Cuffari Lanza di Naso.
(58) AFC.Naso, Compra di beni stabili rusticani della casa Cuffari Lanza di Naso, luogo della Piana seu Serro di Samperi oggi detto della torre che lo tiene D. Placido Cuffari Dolcetta STD.
(59) ASPa. FND, 15917, a.1608/09, f. 26v.
(60) C. Incudine, op.cit., pagg. 226-227.
(61) ASPa. Archivio Notarbartolo Sciara, vol. 68, f.59.
(62) ASPa. TRP, N.P., vol. 1316, Conti del peculio frumentario di Naso (1738/43).
(63) BCRS, mas. XIV.D.3/4.
(64) S. Di Matteo-F. Pillitteri, Storia dei monti di Pietà in Sicilia, Palermo 1973, pagg. 407/08.
(65) S. Leone, Storia dei Fatebenefratelli nella provincia romana, voll. 2, Palermo 1999, pagg. 277/82.