Rassegna Siciliana di Storia e Cultura - N. 17

Recensioni

Dino D'ERICE, Punti luce sulla strada di pietra (poesie 1965-2001), Palermo, Thule, 2002, pp. 223.

Come già in altra occasione si è avuto modo di osservare, ciò che in primo luogo seduce della vicenda poetica di Dino D'Erice è l'impertubabilità rispetto alle sollecitazioni di correnti, tendenze, gruppi e movimenti accanto ai quali la sua produzione si svolge. Punti luce sulla strada di pietra nasce innanzi tutto dalla necessità di rendere fruibile al lettore il lungo percorso della poesia di Dino D'Erice "in un quadro organico e lungo un itinerario cronologico" - come lo stesso autore sottolinea nella nota iniziale. Ma i quattro titoli che confluiscono in questa raccolta complessiva - Cielo Nudo, C'è un segno, Il verde sulle pietre e Mia incomparabile terra (con l'aggiunta di alcuni inediti e poesie varie) - sono anche la testimonianza ufficiale di come in poco meno di un quarantennio (1965-2001) l'autore ericino sia riuscito a sfuggire alla tentazione di apparire un autore prolifico e contingente, pronto a inseguire la moda letteraria del momento. Di come semmai questo autore si sia abbandonato, senza traccia di polemica o scissione, a una tentazione forse ancora più aberrante: quella di essere fedele fino in fondo a se stesso.
Inserendosi nel solco meno profondo di una tradizione postermetica, Dino D'Erice è riuscito nel corso degli anni a produrre, da una posizione appartata e con esemplare discrezione, una poesia "personale" in cui la dimensione del vissuto, sempre celebrato nella sua concretezza emotiva, si stringe attorno a un ideale di umanesimo che attraversa coerentemente anche tutti gli slanci civili politici o religiosi che sono particolarmente presenti nei testi più recenti, segnati dall'urgenza di un nuovo impegno per tornare alla fonte di una civiltà "antica". La cifra vagamente elegiaca e la compostezza formale che l'autore da sempre esprime e predilige affondano le radici in quella onestà di derivazione sabiana (oggi tanto in voga da essere diventata un luogo comune interpretativo) che caratterizza l'impronta di molta produzione poetica attuale. In questo caso, tuttavia, la scelta di usare un registro tendenzialmente "basso" non equivale a esibire un modello privilegiato o una mascehera linguistica da ripristinare dopo anni di scritture criptiche e oscure, ma piuttosto a garantire una pratica insostituibile che il poeta esercita fin da tempi non sospetti e in pieno regime di sperimentazione, se si pensa al fatto che il libro d'esordio risale al 1966. La pacifica e a tratti sconcertante naturalezza di questa voce poetica si affida, fin dall'inizio, a un dettato di grande trasparenza espressiva in cui ogni parola tende a essere essenziale (senza per questo essere assoluta), ogni paesaggio accessibile e ogni alone di mistero mai completamente violato. Come nell'indimenticabile incipit del poemetto Ad ogni avvento, forse l'esito più felice, e finora insuperato per misura espressiva, di tutti i testi qui raccolti (in coda a C'è un segno, a sua volta la prova sicuramente più matura dell'intera produzione di Dino D'Erice): "Sono morto e nato più volte nella mia vita, / come foglia d'albero / che vento d'autunno strappa / e linfa di primavera / ricrea / di verde più intenso. / Ad ogni avvento / gli occhi hanno pupille nuove, / le cose altra forma altro colore / e mutato / di dimensione / i sentimenti / le parole".
La luce evocata dal titolo non diviene mai invasiva o accecante: nella poesia di Dino D'Erice la luminosità è appena sufficiente per riconoscere luoghi e figure lungo la "strada di pietra" dell'esistenza, indicata come un sentiero spesso insidioso e poco visibile - tanto che per illuminarne la percorrenza diventa un atto di necessità orientare lo sguardo verso i "punti luce" delle piccole rivelazioni, dei sentimenti tangibili, della memoria in divenire. Ma Dino D'Erice è consapevole del fatto che la protezione della luce serve al poeta soltanto per svolgere il suo compito di custodire l'ombra. Come molto puntualmente scrive in prefazione Francesco Grisi (alla cui memoria questo libro riassuntivo è implicitamente dedicato): "Dino D'Erice non trasferisce il passato nel presente. Non si illude. Il vissuto è la contemplazione della distanza. E così attraversa sentieri luminosi e gallerie tortuose con la stessa allegria fintamente distratta e non si preoccupa di confrontare, definire, misurare".
I componimenti d'occasione - raccolti nella sezione Epigrafi del XX secolo - sono, in questa traversata del sentiero, parte inscindibile della visione: lo sguardo del poeta-testimone si confronta con il vissuto storico del Novecento (dalla seconda guerra mondiale al crollo doloso delle Twin Towers), che affiora nei versi sotto forma di pura annotazione e ricordo lapidario. Il bilancio che Dino D'Erice traccia in questo libro, dunque, è da considerarsi di specie epocale oltre che personale e letterario.

Francesco Vinci



Un secolo di magnanime virtù: I Carabinieri nei documenti degli archivi siciliani, Catalogo delle mostre documentarie, Palermo, Presidenza della Regione Siciliana, 2002, pp. 312.

"Pieno l'animo di riconoscenza per ciò che mi riguarda, e per l'avvenire del vostro bel Paese, mi è grato lo indirizzarmi a voi, miei affezionati e buoni signori Ufficiali, sott'Ufficiali e Carabinieri per annunciarvi cose che vi riguardano personalmente e disposizioni che nobilitano sempre più l'arma, e vi pongono in situazioni per ogni verso invidiabile. Ogni giorno il nostro Corpo acquista maggior lustro e considerazione, ed il Governo che sapientemente regge quest'Isola ne dà replicate prove di benigno interessamento...".
Così esordisce Angelo Calderoni, Brigadiere Comandante il Corpo dei Carabinieri di Sicilia in un "ordine del giorno" del 12 ottobre 1860 indirizzato "Ai signori Uffiziali, sott'Uffiziali, carabinieri". E Calderoni, dopo avere annunciato che "l'egregio Pro-Dittatore, già appartenente onorevolmente all'Esercito, per offrire al nostro Corpo, ed al Pubblico una prova dell'alto pregio in che tiene, e deve essere tenuta l'arma nostra, assume il comando del Corpo medesimo facendosi rappresentare da un Brigadiere comandante" annuncia che "... il personale del Corpo sia portato a 2400 uomini, forza che sarà proporzionalmente ripartita per tutte le Province in Compagnie, Luogotenenze e Stazioni... La tranquillità pubblica e la pubblica sicurezza sono affidate all'onore del Corpo dei Carabinieri..., il corpo dei Carabinieri di Sicilia saprà corrispondere alle benefiche cure del Governo ed alla pubblica aspettazione".
L'Arma, avrà, poi, in Sicilia, non solo uno squadrone di carabinieri a cavallo "fissati e pronti a marciare nel Capoluogo d'ogni Provincia", ma anche la possibilità che "potranno riunirsi in un luogo determinato tutti i sette squadroni coll'imponente forza di 483 uomini a cavallo. La quale forza combinata con quella degli altri carabinieri, nel mentre sarà spavento ai malvagi, riassicurerà il Paese da ogni aggressione individuale e da ogni tentativo collegato".
Queste parole, che ci riportano agli albori della storia dell'Arma dei Carabinieri, di cui quest'anno, in tutti i capoluoghi di provincia siciliani, è stata celebrata l'attività e la presenza nell'Isola, con nove mostre storico-documentarie, ci fanno ben considerare la fervida atmosfera iniziale.
Ed il catalogo delle nove rassegne espositive, a poco più di secolo dall'insediamento siciliano dell'Arma, si apre con una presentazione di Nicola Bono, Sottosegretario di Stato per i Beni e le Attività Culturali, il quale evidenzia che per l'occasione - ed è auspicabile anche in futuro - sono state messe "in sinergia competenze professionali diverse come quelle operanti presso gli Istituti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nello specifico gli istituti archivistici siciliani, e quelle operanti presso le Soprintendenze ai Beni Culturali e Ambientali dell'Assessorato regionale ai Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Siciliana".
L'occasione di ricostruire la storia della presenza dell'Arma dei carabinieri in Sicilia a partire dal 1860 ha presupposto uno scandaglio complesso, epperò fruttuoso, ed una riproposta di documenti conservati non solo negli Archivi di Stato, ma anche in quelli privati e degli Enti Locali.
Il Gen. Carlo Gualdi, Comandante dei Carabinieri Regione Sicilia, nell'introduzione al catalogo, analizza, poi, il ruolo dell'Arma ma "quale filo conduttore, una sorta di simbolico trait d'union, impercettibile, ma fortemente legante, fra il popolo e le Istituzioni..., dialogo ancora attuale e vivo più che mai". L'Arma, dunque, al servizio del cittadino sin dalle origini siciliane.
E proprio alle origini, il Corpo, infatti, "riceve... testimonianze di simpatia dalla egregia e nobilissima Guardia Nazionale, dagli altri distinti corpi militari nonché da tutti i cittadini che ne comprendono il valore e l'importanza...".
"Mostra-evento" per Fabio Granata, Assessore Regionale dei Beni Culturali, "in una particolare temperie politica e culturale nelle quali i valori della legalità, dell'appartenenza e dell'identità - ad un corpo, alla nazione - trovano la loro legittimazione nella tradizione e nella fedeltà secolare, come recita il Motto stesso dell'Arma".
I Carabinieri e la Sicilia. "Una storia difficile e tormentata, certo a lieto fine", secondo Giuseppe Giarrizzo, "ma che non ha trovato finora l'attenzione che merita": dall'ingresso in Sicilia "seguito da difficoltà destinate a determinare tensioni e contrasti che dureranno a lungo nel rapporto tra i Reali Carabinieri ed il popolo siciliano, alimentando da entrambe le parti nell'immaginario e nella realtà distanze e differenze. Ed il difficile, tormentato e lento processo di ricomposizione "nazionale del ceto politico della Sicilia unitaria" fa del corpo dei Carabinieri Reali "il gruppo forse più esposto all'incomprensione". Sono, perciò, lo "spirito di corpo", la relativa autonomia ed il riferimento al re "come simbolo del Potere e dello Stato, se anche, nel breve periodo, nei decenni tra il Sessanta e l'Ottanta del secolo XIX, i carabinieri non sono stati in Sicilia costretti alla difensiva e abbiano trovato le difese immunitarie essenziali di fronte alla violenza del rigetto, culturale, sociale, politico".
Ed il fatto, come sottolinea Giuseppina Giordano, Sovrintendente Archivistico per la Sicilia, che "molte testimonianze dell'attività dell'Arma siano oggetto di collezioni private, dimostra lo stato di conquista di questo ruolo presso la cittadinanza e la sua consolidata appartenenza alla vita dell'Isola. E non si tratta soltanto di raccolte documentarie di studiosi della storia dei carabinieri, ma si ricoprono anche campi e interessi più diversi che coinvolgono una vasta categoria di collezionisti, dal modellismo, ai figurini militari, ai diorami. Oltre archivi e collezioni private sono stati esplorati esemplificativamente anche altri archivi del territorio, fra i quali uno dei più ricchi si è dimostrato quello della Provincia Regionale" di Palermo.

Umberto Balistreri

Giuliana SALADINO, Terre di rapina, Palermo, Sellerio, 2001.

La casa editrice Sellerio, ha recentemente ripubblicato Terre di rapina, uscito per la prima volta per i tipi della Einaudi nel 1976.
Anche in questo lavoro, la Saladino, come in Romanzo civile, uscito anche questo per Sellerio qualche anno fa, dà prova di saper intrecciare in maniera davvero raffinata, racconto narrativo, fatti politici della nostra recente storia ed efficace indagine sociologica.
Il filo conduttore del libro, (anche se ciò pare più un pretesto), è la vicenda umana dell'ignoto Giuseppe Di Maria da Cianciana, in provincia di Agrigento, la cui storia apre, appunto, il racconto.
Un giorno, il suo corpo malridotto, viene infatti consegnato ad un ospedale vicino Torino, salvato da un linciaggio, dopo una rapina andata per lui male, dove ha perso la vita una persona. La sua sorte, come apprendiamo poi dalle ultime pagine, sarà quella di una condanna all'ergastolo inflittagli dal Tribunale di Torino.
Per tutto l'arco del racconto, sono incastonate, come spesso accade per i lavori della Saladino, vicende umane e pezzi di storia della Sicilia del secondo dopoguerra; stagione che l'autrice ha vissuto in prima persona: la miseria della gente, lo sfruttamento dei contadini, le lotte per le occupazioni delle terre, la pagina tragica del banditismo, ma soprattutto la speranza che da quella epopea potesse uscire una società migliore, così per la Sicilia, come per il resto del Paese.
Ed ecco che via via le due storie si incontrano: quella singola del Di Maria che lascia la zappa per il mitra, nella speranza, secondo la sua visione, di approdare verso una vita migliore e quella corale di tanti braccianti, come lui, sfruttati, che rimangono in Sicilia a lottare, anche loro per un futuro diverso. Entrambi usciranno sconfitti.
In una sorta di "romanzo civile" (per usare ancora una volta il titolo di un altro suo libro), si alternano storie e vicende di contadini, zolfatari, politici, sindacalisti; testimonianze che quasi inconsapevolmente dividono il libro in tre parti. La prima, dal dopoguerra alla metà degli anni '50, caratterizzata dalle storie di miseria dei braccianti, dall'arroganza della mafia agraria per mezzo dei suoi campieri e gabellati, degli assassini dei sindacalisti, degli arresti degli scioperanti, ma anche dalle speranze di cambiare il mondo. Il secondo corpo narra degli scioperi dei minatori, dell'arretratezza degli impianti, del parassitismo dei proprietari, della morte a cui spesso questi andavano incontro, nelle viscere della terra, per un pezzo di pane. Infine, l'ultima parte, che si sofferma sul fallimento della riforma agraria, che apre il tragico capitolo dell'emigrazione, passando per l'illusione dell'industrializzazione e del petrolio siciliano (svenduto alle cosiddette "sette sorelle" anglo-americane).
Tra quelle pagine, stà la vita disordinata del povero Di Maria, che per uscire da quell'atavico stato di abbrutita miseria e sfuggire ad un destino, (il suo come quello di tanti altri contadini e minatori siciliani), già scritto, organizza, prima, il maldestro sequestro di un notabile locale, certo barone Agnello, che gli costerà dieci anni di carcere, poi uscito, cerca in un primo momento lavoro, ma poi tenta il "colpo". Organizza una rapina nel torinese, che costerà, come accennato, la vita ad un uomo, segnando anche definitivamente la sua, che da quel momento passerà dietro le sbarre.
Interessante è la distinzione, che la Saladino, tra le pagine del libro, fa emergere tra piccolo banditismo siciliano (a differenza di quello, per intenderci, alla Giuliano che fu il braccio armato della mafia, sull'esempio delle strage di Portella della Ginestra), che sostanzialmente fu contro la mafia, come testimonia la vicenda di Vallelunga, in provincia di Caltanissetta.
"Da noi - dice un intervistato - ci furono trentasette o trentotto morti, tra mafia e banditi. Ero il segretario della sezione comunista, era cominciata la lotta per i feudi (...) appena noi ci siamo mossi ci fu subito uno schieramento netto: da una parte i proprietari, i gabellati e tutta la mafia; dall'altra i lavoratori. I banditi si schierarono con noi, e noi non li volevamo. Non sapevamo come liberarcene (...) ce ne volle (...). Per fargli capire che non volevamo il loro aiuto, che li pregavamo vivamente di farsi i banditi".
C'è poi la storia di quegli anni, a partire dall'entusiasmo delle masse per i decreti Gullo, che concedeva la terra incolta ai contadini, varati dal Governo di unità nazionale di cui fece parte anche il PCI fino al 1947, fino, via via, alle difficoltà, in parte prodotte dall'ostilità della burocrazia, in parte interne al movimento bracciantile, circa la gestione collettiva della cooperativa e persino qualche fughe con i soldi della cassa di qualche suo presidente.
In quella fase - evidenzia la Saladino - si fu costretti a venire a patti con i padroni, che quasi finirono per guadagnarci; l'esempio più eclatante ci è dato dalla vicenda delle miniere siciliane e del suo epilogo, - scrive ancora l'autrice -: "(...) salvare gli operai, ma per salvarli bisognava salvare prima i padroni; pagare gli operai, ma per pagarli occorre dare i soldi ai padroni (...) si drenano miliardi dalla casse della regione alle tasche dei proprietari e gestori di miniere (...). Si scopre che è più economico pagare i minatori perché stiano a casa, ai più si propone una buona uscita".
C'è poi, inevitabile, il capitolo dell'emigrazione, che porta via, dal Meridione e dalla Sicilia centinaia di migliaia di persone, tra questi anche i più battaglieri e combattivi, quelli che non si erano piegati agli sfruttatori; una gente e una terra, quella del Sud, rapinata, per usare appunto il titolo che la Saladino, scomparsa nel 1999, dà a questo suo libro.
Questo lavoro, ancora una volta testimonia la grande capacità dell'autrice di mescolare testimonianze di fonte orale, che altrimenti sarebbero andate irrimediabilmente perdute, con sue profonde considerazioni critiche, riuscendo a raccontarci in maniera avvincente e mai banale, il contesto storico e umano di quegli anni, con la grande capacità di mettersi di fronte la realtà e raccontarla come essa la vede, nelle grandi speranze di quegli anni, così come nelle grandi delusioni.
Oggi, rispetto a quella stagione, la Sicilia è molto cambiata; è andata verso una modernità, che forse non è quella che la generazione della Saladino si aspettava e sognava, ma certo non si può negare che paesi come Vallelunga o Cianciana, dove il "povero" Giuseppe Di Maria muove i suoi primi passi da delinquente, siano rimasti quelli degli anni '50. Con tutte le distorsioni che la storia porta inevitabilmente con sé, le nostre comunità hanno cambiato volto e questo lo si deve, soprattutto, a quelle migliaia di contadini e zolfatari, che in quegli anni hanno combattuto e sofferto per una terra migliore, che non fosse solo una "terra di rapina".

Filippo Falcone

Michele CURCURUTO, I Signori dello zolfo, Caltanissetta, Ed. Lussografica, 2001

Non è facile imbattersi in ricerche d'archivio, condotte con amore e serietà, che hanno la legittima pretesa della scientificità, ma spesso e volentieri, come nella fattispecie, ciò accade tenuto conto, altresì, dell'impegno, della tenacia e della competenza profusi dall'Autore - siciliano verace, segnatamente nisseno - nell'ideare e realizzare il volume in questione. Il quale, già dal titolo - I Signori dello zolfo - lascia presagire i futuri sviluppi di un lavoro di notevole valenza documentaria, storica, sociale, economica e morale considerate le coordinate di partenza volte a conferire dignità storica, oltreché umana, a quel mondo delle miniere della Sicilia - segnatamente del Nisseno - che resero, in qualche modo, l'isola e l'area interessata la capitale mondiale dello zolfo.
Ambientato in un periodo a cavallo fra la fine dell'Ottocento l'intera metà del secolo scorso, con punte storico-cronachistiche quasi fino agli anni Settanta, l'ampio lavoro del geologo e mineralogo nisseno ha offerto ai suoi concittadini, ai siciliani, agli italiani ed anche ad alcuni paesi europei, ricchi di minerali, la testimonianza più sentita di una società che non c'è più. Società variegata e divisa in strati sì, ma pur sempre incentrata su certi valori anche quando questi ultimi si presentavano lesivi dei diritti e delle dignità di chi a costo di grandi sacrifici e inenarrabili sofferenze buttava il sangue nelle miniere lasciandoci, spessissimo la vita a causa degli inadeguati mezzi tecnici, dalle precarie misure di prevenzione e, perché no, della sfortuna.
Tutto ciò, ha ricostruito, ex professo, Michele Curcuruto, il quale ha ripercorso l'intero universo dell'apparato minerario siciliano; apparato spazzato "in pochi anni, lasciandoci dietro migliaia di chilometri di gallerie abbandonate, migliaia di pensioni d'oro e pochissime memorie". Anzi, continua il prefatore del libro, Enzo Russo, "una volontà di dimenticare, di pensare ad altro, che non ha una giustificazione visibile e perciò lascia ancor più perplessi". Ed ecco l'idea geniale dell'Autore - idea nata occasionalmente nel 1995 - tesa a non far seppellire definitivamente un mondo che pur aveva esercitato una sua funzione e diretta, mediante un lavoro di cospicuo impegno, ad iniziare ciò che egli chiama "modesto saggio sulla borghesia della città di Caltanissetta e sulle sue origini legate alle miniere di zolfo".
Ne è uscito fuori un volume ponderoso e sostanzioso senza il quale uomini, personaggi, di ogni ceto, s'intende, imprese, ingegneri, periti minerari e una folla anonima di tanti operai e di tanta gente che aveva, nel bene e nel male, caratterizzato l'intera comunità di quella irripetibile stagione della fortunata realtà mineraria della Sicilia.
Ma c'è di più perché il volume di Curcuruto si avvale pure di una corposa serie di fotografie d'epoca, fuori testo, che costituiscono la testimonianza più tangibile della comunità nissena, e non solo nissena, di quegli anni cruciali. Tutti personaggi, quelli ritratti, di primo piano a conferma, se ve ne fosse bisogno, della "koiné" prettamente borghese di quel consorzio civile che viveva i propri valori d'appartenenza dimentico dei diritti altrui. E, all'occorrenza, l'Autore dimostra simpatia e partecipazione per coloro non gratificati dalla sorte, mentre non ha alcuna remora a stigmatizzare la vita e gli atteggiamenti dei cosiddetti galantuomini e delle classi nobiliari. A tale riguardo Michele Curcuruto ha anche l'accortezza - ad onta dei rilievi mossi ai ceti citati - di ricordare i veri galantuomini che si batterono per il bene della città e per il successo delle miniere. Le riproduzioni fotografiche del libro riportano anche scene di sofferenza e di dolore di chi - ad esempio i cosiddetti "carusi" - spesso lasciarono la vita nelle miniere senza nemmeno la possibilità di una degna sepoltura.
E l'Autore accenna, verso la fine della propria fatica, anche all' "indifferentismo" religioso degli zolfatari e alla conseguenziale insensibilità della Chiesa cattolica che impediva addirittura che i defunti delle zolfatare potessero meritare i conforti religiosi! Premesso che Curcuruto di pari passo alla storia mineraria ha ricomposto, come in un affresco, le intere vicende della borghesia nissena - abbarbicata da secoli al proprio "particulare", direbbe il Guicciardini - è giocoforza aggiungere che egli è riuscito pure a delineare come si svolgeva la vita quotidiana nella città di Caltanissetta - definita "fedelissima" dai Borboni - fra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX. Vita con l'intera impalcatura dei suoi usi, costumi, delle sue tradizioni e degli atteggiamenti mentali dei nesseni. Gli anni '60 sono quelli meglio esaminati dal nostro Autore sicuramente perché erano gli anni della sua giovinezza allorquando gli entusiasmi e le speranze alimentavano il futuro di questi giovani.
E allora le scuole della città - Liceo classico, Istituto Magistrale, Scuola Mineraria, una delle poche in tutt'Italia, Ragioneria e quant'altro - vengono analizzate nei loro pregi e nei loro difetti così come non sfuggono all'Autore personaggi del calibro di Sciascia, Brancati, Pirandello, ivi compreso il padre Stefano proprietario di una zolfara finita, poi, male, ed altri alti funzionari che resero i propri servigi in una città di impiegati e di cacciatori di posti presso la Regione Sicilia.
A tale riguardo, tanti sono gli strali rivolti ai nisseni considerati da Curcuruto un popolo di indolenti, di burocrati e, talvolta, di parassiti. Non a caso, egli definisce i propri concittadini con queste parole: "Nisseni, tutti borghesi, tutti impiegati".
La critica a tale società di parassiti e di burocrati è sovente feroce ed impietosa anche perché per l'Autore i nisseni hanno subito dimenticato senza nessun rimpianto, il "passato di figli di surfarari".
E allora anche se dotati di laurea, a Milano, Torino e Roma, i giovani nisseni continuano oggi ad essere "tutti disoccupati, tutti a caccia del posto fisso", sempre per usare le parole dell'Autore. La ricchezza del libro non permette altre considerazioni sicché si può concludere asserendo, da una parte, che l'Autore ha colmato una gravissima lacuna - segnatamente intorno alla realtà mineraria nissena che durò, purtroppo, lo spazio di un mattino stanti gli errori connessi in alto loco - e, dall'altra, che egli ha lasciato ai concittadini e ai siciliani una testimonianza insostituibile per comprendere un fenomeno di grande rilevanza e forse per questo irripetibile. Ultimo pregio del libro, l'elegante stile di Michele Curcuruto.

Lino Di Stefano

T. ROMANO, Futuro eventuale, elledizioni, Palermo 2002, pp. 98, C 15,00

Due le caratteristiche fondamentali di questa nuova silloge di Tommaso Romano: una, la piena coerenza con la poetica attuata in quelle che la precedono - la trilogia dell'Anacorèsi in particolare -; l'altra, la presenza di peculiarità specifiche, del tipo di quelle che sono naturali nello svolgimento (o evoluzione) di ogni vera personalità poetica e che quindi, mentre non intaccano quella coerenza e ne sono anzi complementari, valgono anche a giustificare una nuova pubblicazione.
I tratti di queste peculiarità li ha chiaramente definiti Salvatore Di Marco (in "Palermo parla", a.V, n.36, p.14); gli elementi della poetica stanno nell'ampia articolazione dei motivi ispiratori e nella struttura del linguaggio.
Il giudizio estetico insegna che i due elementi, nella realtà concreta di un'opera poetica, formano un'unità perfettamente integrata, ma è concetto anch'esso valido che un giudizio critico, se vuole essere attendibile, deve chiarire distintamente gli aspetti dell'uno e dell'altro di questi due elementi.
Così, rileviamo anzitutto che anche in questa raccolta le liriche attingono il loro impulso dal sentimento profondo di una fede cristianamente religiosa che non conosce incertezze perché "il mistero, dice il poeta, illeggiadrisce il meccanico procedere dei giorni, / mentre di sconfinate certezze / è avvolto il cielo del dubbio" (p. 9). Inoltre, "quante parole / per spiegare ciò che non si può, / senza salvezza... per l'Eterno. [...] Misericordia invocando / dalla Croce ombrata [...] Grammatica del Mistero e speranza / per risorgere alla Grazia / che attendiamo, / ogni momento, / lontani dal clamore / nell'intima ed eterna / percezione di pura luce" (pp. 12-13).
Sono versi, scelti fra i tanti in consonanza, che attestano quella volontà di rinunzia all'esercizio della ragione a tutto vantaggio della fede che è una della virtù sapienziali del cristiano. Non è però rinunzia totale perché nell'io di Romano urge pure l'esigenza di indagare sui valori attuali della sfera esistenziale e di rispondere ai tanti interrogativi che l'intelletto tuttavia propone. E se sul piano conoscitivo i dubbi spesso permangono ("cerco ancora, / caparbio, / il mio antico segreto: / la pietra filosofale." p. 16) sul piano esistenziale Tommaso Romano è approdato da tempo ad un concetto etico - da ethos come mos e non come criterio di moralità - che gli è tanto caro, ed è quello di un'ideale anacoresi che egli vive nell'interiorità ma al tempo stesso coniugandola con una pratica di vita operosamente e validamente attiva in vari campi, quello culturale più di tutti. È dunque con piena ragione che Lucio Zinna, per qualificare una vita siffatta, coniò il composto contempl-attiva (vd. il 1° risvolto di copertina).
Nell'ambito di questo amore per la cultura - arte, letteratura, storia, armonicamente fuse in molti dei componimenti di questa raccolta - la poesia è fatta segno a un vero e proprio culto, al punto che nel Nostro Autore l'uomo viene a fare tutt'uno con il poeta.
Dal suo vivere con consapevolezza, infatti, trae cospicuo alimento la sua opera poetica. La cui tematica, dicevo, è ricca di tanti risvolti, alcuni non nuovi, ma in ogni caso pregevoli per la loro novità di trafigurazione. La bellezza della natura, ad esempio, proposta nella luminosa vivacità dei suoi colori a fare da sfondo e contorno all'immortale mito della nascita di Venere, in una lirica (quella di p.17, che bisognerebbe citare per intero) che felicemente 'patisce' la suggestione del celebre dipinto del Botticelli e ancora una volta invera l'oraziano "ut pictura poesis". Altrove (pp. 26-27), della natura intesa come "Creato", cioè opera di Dio, si loda, con animo grato, la capacità di offrire pace all'uomo stanco delle alienanti incombenze cittadine e "liberazione dal patibolante fare" (p.32).
Frequenti sono anche le liriche che appartengono a un'area più strettamente autobiografica e ci consegnano il ritratto di un uomo che ama rivivere intensamente la memoria di vicende ora tristi ora liete e di luoghi vicini e lontani con tutto quello che di formativo gli hanno donato. Emblematiche a tal riguardo due liriche che anch'esse bisognerebbe citare per intero (stanno alle pp .25-27 e 34-36). Hanno il loro nucleo generativo in un ritorno fisico e memoriale alla casa abitata in anni passati, un ritorno che propizia un dolce seppur patetico, quasi 'crepuscolare', abbandono all'evocazione di figure umane molto care, ora disperse qua e là dalla vita o dalla morte ora logore sotto i colpi inesorabili del tempo che "usura, si sa, più dell'usura / da Pound giustamente odiata" (p.34), accomunando impietosamente in una triste condizione, che il poeta rende quasi visibile, persone e cose, qui parti della casa stessa. Per altro, sono rievocazioni che trascendono i limiti dell'individualità e coinvolgono tenacemente il lettore, qui agevolato da maggiore forza comunicativa del linguaggio.
Che nella sua qualità predominante è linguaggio tutt'altro che semplice. Siamo, infatti, di fronte allo stile di un poeta che, sensibile nella sua prima maniera ai moduli del futurismo, ne ha poi moderato l'incidenza nel suo esprimersi sia per la naturale evoluzione del suo gusto sia per l'inevitabile influsso, in quanto figlio del suo tempo, di altri modelli dominanti, conservandone tuttavia qualche impronta per naturale propensione verso "le possibilità compositive / inaspettate" (p. 19), che infatti ricorrono qua e là, e in maggior misura nella prima delle cinque sezioni in cui si articola l'agile libro. Non certo a caso il poeta si chiede perché "I parlanti / agiscono in capacità comunicative note?" e risponde: "l'ignoto è l'infinito / senza locativi / obbliganti" (p.15). Ed è parimenti spiegabile che in questo stile espressivo abbia largo posto e un ardito uso la metafora, spesso unita all'analogia: "il volume non circonda la logica / oltre i confini / nuova energia / sprigionante sequenze / di sorgenti luminose" (p. 14). Ne deriva che spesso i lessemi sono straniati dalla loro semantica di base e per altro autonomi o aggregati in brevi sintagmi, spesso asintatticamente giustapposti. Si tratta di un linguaggio che è indizio certo di accesa tensione interiore nella ricerca della meno banale e più ardita possibile risoluzione in parola della idea e del sentimento, un linguaggio senza dubbio difficile soprattutto perché inusuale, un linguaggio, quindi, per lettori provveduti di cui certo stimola energicamente l'immaginativa.

Antonino De Rosalia

 

PRIMI SAGGI IL BREVIARIO DELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI NARO di Amelia Pantano

Il breviario è un libro liturgico che contiene l'ufficio divino secondo il rito della Chiesa romana, "l'invenzione del breviario non è dovuta al clero secolare bensì è una creazione monastica derivante dalla necessità di ridurre la quantità di libri d'uso corale per celebrare l'Ufficio nei monasteri…"(1).
Anticamente l'ufficio divino veniva recitato con diversi libri, fondamentalmente un collettario, un lezionario e un antifonario, ma quando divenne obbligatorio recitare l'Ufficio, non solo in chiesa ma anche privatamente, si sentì l'esigenza di riunire tutti i libri in un volume unico che, proprio perché abbreviava l'ufficio, fu chiamato Breviarium.
Il più famoso Breviario nacque nel XII secolo con il nome di Breviarium secundum consuetudinem Romanae curiae(2) e diffuso ad opera dei Frati Minori conventuali che lo adottarono ufficialmente nel 1123(3). Nel XV secolo si tentò di trasformare il breviario dal punto di vista della latinità, utilizzando un latino usuale.
Dopo pochi anni Papa Clemente VII affidò l'incarico di riformare il breviario al Cardinale Quignorez per "ricondurre le Ore canoniche, per quanto è possibile alla loro forma antica, di sopprimere i punti più difficili di maniera che i chierici non avessero più motivo di trasgredire il dovere della preghiera canonica…"(4); il breviario pubblicato nel 1535 fu accolto con molto entusiasmo ma suscitò anche una violenta opposizione negli ambiti conservatori che lo ritenevano pericoloso soprattutto per l'abbondante lettura della Bibbia.
Nel 1556 il testo così riformato fu soppresso da Paolo IV e sostituito dall'antico Breviario della Curia romana(5).
Oggi gli elementi costitutivi dell'Ufficio sono: il Salterio, le letture e le orazioni.
Il manoscritto di Naro, mutilo di principio e fine, contiene soltanto la parte riguardante il Salterio, raccolta di 150 Salmi, composti per ispirazione divina da David e da altri scrittori ebrei, da utilizzare come formule di preghiera sia nell'uso liturgico che nella devozione privata(6).
Il codice membranaceo è composto da 158 carte, mm. 315x240x41, scritto in gotica libraria o calligrafica, è acefalo ed incompleto in fine. La scrittura è disposta su due colonne di 33 linee divise da un bastone fitomorfo.
È rilegato esternamente con un cartoncino pergamenato arricchito da una iscrizione a penna: "Breviarium in typis ghoticis, pergamena carta".
I titoli sono rubricati, i capoversi sono tutti in azzurro e rosso, 18 carte miniate in oro e colori si presentano istoriate da elementi fitomorfi o figurate in rapporto al contenuto del testo, mentre altre ad inizio dei capitoli sono pregevolmente istoriate con elementi zoomorfi, antropomorfi e fregi fitomorfi. I quattro margini della pagina e l'intercolumnio sono anch'essi ornati da un filetto frondoso arricchito da animali e figurine umane di gusto naturalistico di estrazione gotica. I colori principalmente usati sono l'azzurro, l'oro, il rosa, il verde e il rosso. Le iniziali presentano prolungamenti che denotano la tendenza ad allargare l'ornamentazione a tutta la pagina.
Non si conosce la data esatta della compilazione ma si ipotizza un'età corrispondente alla prima metà del sec. XIV per la presenza, all'interno del Breviario, del nome di S. Tommaso D'Aquino canonizzato nel 1323(7).
La decorazione del Salterio si articola in modo tradizionale, le grandi iniziali sono miniate in fondo oro e colori in campi quadrangolari spesso fregiate di foglie e steli.
Il breviario probabilmente fu acquistato dal Priore dei Minori Conventuali Francescani per arricchire la biblioteca del Convento(8), dalla lettura del manoscritto di Frate Cappuccino del XIX secolo si viene a conoscenza che il Priore Melchiorre Milazzo dell'ordine dei Minori Conventuali Francescani e fondatore, nel XVII secolo, della Biblioteca comunale di Naro, comprò dei libri a Roma "…con altre opere singolari fatte venire di Francia in Roma per nolo e con trasporto per terra da Roma in Naro"(9), probabilmente tra questi acquisti era il detto manoscritto.
Sicuramente il manoscritto è molto legato alla devozione del Santo fondatore, come attesta l'illustrazione alla c. 36. v.(10) della C del capoverso: "cantate Domino…", in cui sei francescani vestiti col saio sono rappresentati nell'atto di cantare lodi al Signore davanti ad un leggio. Tale raffigurazione è molto comune nei salterii in cui "spesso si raffigurano ecclesiastici…usualmente nelle vesti dell'Ordine cui è legata la committenza" (11). Altro esempio è alla c. 129. v. l'iniziale S di "sacerdos in eternum…" con l'elevazione dell'Ostia, anche in questo caso il sacerdote potrebbe essere un francescano con la testa rasata anche se bisogna ricordare come spesso i frati di più ordini portavano i capelli con la chierica.
Non tutte le miniature del codice sono state ideate e realizzate da un unico artista, infatti alcune carte presentano raffigurazioni su fondi colorati ed ornati da piccole decorazioni, mentre altre su pannelli aurei, mostrano una maggior rigidità nei personaggi, nei manti e l'utilizzo di decorazioni più rozze e meno ricercate.
Anche lo scritto è di più mani, quindi è probabile che per la realizzazione del manoscritto siano state occupate più persone. Il testo scritto in due colonne è diviso da un bastone fitomorfo che si sviluppa sino ad incorniciare tutta la pagina. Proprio questo utilizzo di cornice piena, altro elemento di datazione dell'opera, deriva dai prolungamenti delle iniziali, modo riscontrabile nei manoscritti d'oltralpe del XIII secolo(12).
La cornice è arricchita da tondini, elementi geometrici di derivazione islamica e da motivi fitomorfi che, nell'andamento dei racemi con fogliame terminante, derivano dall'arte federiciana e presenti in tutta la produzione artistica coeva ad esempio nel mosaico della volta della Sala di Ruggero nel Palazzo Reale di Palermo(13) oppure nel soffitto ligneo della navata centrale della Cattedrale di Cefalù, risalente al 1263(14) . Lungo l'asse inferiore e superiore della cornice, da racemi a spirale, nascono piccole foglioline policrome e spesso testine umane con copricapi tipici del periodo o mezzi busti di uomini armati con cotte di maglia ed elmi medievali rappresentati nell'atto di combattere.
Elemento di antica origine bizantina sono alcune foglie che sporgono dalla cornice(15), fiori a tre petali con il mediano allungato presenti anche nei mosaici di Monreale(16).
Le decorazioni delle cornici e delle iniziali riprendono motivi ornamentali di età sveva(17) ma anche motivi ornamentali e figurativi che rimandano alle composizioni armoniose ed alle eleganti decorazioni di Jean Pucelle(18), massimo rappresentante della scuola parigina della prima metà del XIV secolo(19), "…la cui fantasia si esprime liberamente nella originale impaginazione dei fogli circondati da un filetto frondoso, nella rinuncia ai fondi dorati e nella nuova preoccupazione plastica che anima composizioni e figure."(20).
La Daneu Lattanzi ha osservato nell'opera una compresenza di elementi tipici della scrittura gotica italiana della metà del XIV secolo, capilettera filigranati ed elementi francesi, filettature rosse e blu; per tal motivo la studiosa ha pensato che l'opera sia stata realizzata in Francia o da un miniatore francese di passaggio in Italia(21) che ha probabilmente visionato i mosaici di Monreale e studiato l'arte siciliana del periodo.
Il ricorrere ad uno scrittorio straniero non era un fatto nuovo nell'isola, durante il XIV secolo, probabilmente per una crisi dell'arte del minio o almeno per una carenza di scrittorii dovuta al periodo di decadimento politico e sociale in cui versava la Sicilia(22).
L'opera,infatti, presenta in abbondanza caratteri compositivi ed ornamentali del periodo naturalistico del gotico francese, nell'animazione e caratterizzazione intensa dei personaggi, nella linea compositiva, nella profusione dell'utilizzo dell'oro di cui gli italiani invece erano più parchi, nell'estrosità dell'ornamentazione, droleries, animali fantastici, aguzzi spigoli a spina, scene di lotta, nella raffinatezza calligrafica del disegno, nella delicata realizzazione dei volti dei personaggi, nei panneggi degli abiti a pieghe multiple e dolci(23), nel colorismo vivo, libero e prezioso, tutti motivi facilmente riscontrabili in altre opere coeve della stessa area geografica, (il Brèviaire de Belleville(24) decorato da J. Pucelle, l'Evangèliaire de la Sainte - Chapelle(25)) oltreché presenti nelle coeve opere scultoree(26).
Ma durante il lavoro l'autore probabilmente ebbe anche presente le opere del maestro delle Bibbie manfrediane, come denota la vicinanza stilistica ed ornamentativa con la Bibbia di Parigi del XIII(27) e la Bibbia Sveva di Palermo(28) dove i motivi ornamentali s'innestano nella lunga tradizione dell'isola in cui si mescolano elementi di origine araba ed elementi di età sveva.
Passando alla specifica osservazione delle carte miniate del codice non solo dal punto di vista stilistico, ma anche da quello iconografico e iconologico il testo risulta mutilo in principio e fine e comincia direttamente dal XXVII salmo con una parola maiuscola "in lacum".
Il breviario nella C. 9.v. presenta un fregio che corre lungo i margini della pagina e fra le due colonne, ornato da foglie trilobate appuntite e aguzzi spigoli di chiara matrice francese arricchiti da piccoli globi d'oro.
Nel margine in alto al centro è raffigurato il mezzobusto dell'Eterno che, con un cappello d'oro a pagoda e che con le braccia distese mantiene unito il bastone fitomorfo. La figura è realizzata con molta cura del particolare, il colore delle ali è così finemente sfumato da dare l'idea di grande leggerezza. Il margine in basso è arricchito da droleries : da racemi a spirale fioriscono testine umane, da un groviglio da cui scaturisce il mezzobusto di un uomo armato di una lunga spada mentre combatte contro un drago dalla testa umana, drolerie diffusa nella miniatura di età sveva(29) come figura ambivalente tra l'umano e l'animalesco, tra il bene e il male.
Nell'incontro del fregio del margine basso con quello destro nasce una testa di una probabile evoluzione del pellicano, figura molto utilizzata da Johensis, famoso maestro di Bibbie manfrediane(30); altra droleries si trova nel bastone fitomorfo dell'intecolumnio che, spezzato in due parti, è ricollegato da due coppie di braccia umane che, nascenti dal bastone, si tengono per mano.
Iniziale D (Dominus illuminatio mea…) in azzurro decorata da crocette in bianco, sul fondo rosa decorato come una vetrata di una cattedrale gotica, stessa decorazione del soffitto della Saint- Chapelle di Bourges, é miniata una figura umana che, con una veste rossa quasi coperta da un mantello, color terra di Siena, con un dito indica la propria testa e nell'altra mano tiene un libro verde.
La studiosa Daneu Lattanzi vi ha riconosciuto il re David con il capo cinto dalla corona(31). Una similare rappresentazione la si può osservare nella c. 184. v del salterio della Bibbia di Manfredi della Biblioteca vaticana in cui è rappresentato un giovane che in questo caso però indica il suo occhio sinistro, probabilmente tale particolare rappresentazione figurata fa presumere uno stretto rapporto con il contenuto del testo.
Stilisticamente la figura, nella lumeggiatura delle vesti, nella particolare acconciatura dei capelli, nella realizzazione dei lineamenti del volto, riprende modi degli alluminatori della miniatura francese coeva(32) e dei Paesi Bassi come nel caso della Bibbia del Museo Meermanno - Westreenianum à La Haie(33). La posizione anatomica e le pieghe della veste che cedono così dritte e rigide denunciano una grande vicinanza con la coeva scultura francese.
Alla 13.v il fregio similare al precedente è decorato con figure grottesche, grovigli fitomorfi e, nel margine inferiore, figurine a mezzobusto di uomini che, armati di lance e scudi, lottano probabilmente rappresentando la lotta tra il bene e il male di cui salvezza di redenzione dell'umanità è S. Francesco alla cui persona è legata la realizzazione dell'opera.
L'iniziale D ("Dixi custodiam vias meas") è in rosa su fondo azzurro decorato ai quattro angoli con fregi geometrici di stampo islamico. Nel campo dell'iniziale su un fondo oro ritorna la figura di David che, in ginocchio, con veste bianca, con un dito indica la bocca e con l'altra mano regge un libro rosa. In questo caso si può fare un più preciso raffronto con la già citata Bibbia di Manfredi che alla c. 187. R. presenta un giovane che indica la sua lingua(34), si può così ribadire il concetto che tale tipo di rappresentazione aveva un determinato significato connesso al contenuto morale del testo.
La figura di David in questo caso sembra essere più curata nei particolari: la barbetta quasi accennata, l'accurata lumeggiatura della veste e la corona ornata da piccoli tondini e decorazioni bianche.
Alla c. 18. v. un fregio corre lungo i margini e tra le due colonne, arricchito lungo il margine inferiore da due grovigli fitomorfi affiancati da cui fuoriescono testine umane e nel margine superiore da testine umane con particolari copricapi e grottesche di animali, il tutto decorato da piccoli globi d'oro.
L'iniziale D (" Dixit insipiens in corde suo…") azzurra decorata da vari tondini bianchi, per evidenziarne la convessità, su di un fondo rosa, con decori simili a quelli delle vetrate gotiche francesi presenta l'usuale figura del Salmo 52 dell'Insipiente o Stolto presentato con la testa calva, con una veste bruna mentre tiene in una mano un globo che accosta alla bocca e nell'altra una grossa clava. L'idea di tridimensionalità viene data da un movimento ancheggiante della figura verso destra e il contrario protendere della gamba col piede quasi al di fuori della iniziale.
La raffigurazione ha sempre destato la curiosità degli studiosi, secondo Gifford "il fool con mantello, bastone e disco, sembra poter alludere ad un'immagine caricaturale di un imperatore, con scettro e globo…"(35). Lo stolto, comunque, non è un pazzo o un malato ma un uomo degradato che allontanatosi dalla legge divina è dedito al male.
La raffigurazione riprende i canoni tipici dell' Insipiens durante il XIV secolo: la calvizie come simbolo del peccato, il globo simbolo del mondo che avidamente divora e il bastone come netta contrapposizione allo scettro regale(36).
Alla c. 23. v il fregio riprende i caratteri delle altre pagine del manoscritto; una particolare droleries presenta un mezzobusto umano che fuoriesce dal bastone dell'intercolumnio, in una mano tiene un globo d'oro con cornice bianca che avvicina alla bocca e con l'altra tiene unito il fregio fitomorfo attraverso un prolungamento del particolare copricapo. Lungo il margine superiore ritorna la testa di un pellicano.
La figura potrebbe essere un giullare o buffone di corte sia per il particolare copricapo sia per il disco che tiene in mano che si potrebbe assimilare al pane o alla pietra della pazzia con cui spesso erano raffigurati i folli(37). Probabile allegoria della insania del mondo che allontanatosi dalla giustizia divina viene riportato nella via della rettitudine da S. Francesco e dall'ordine che porta il suo nome a cui il manoscritto è legato da committenza.
L'iniziale S (" Salvum me fac deus…") in rosa con quadrangolatura in azzurro e fondo oro è divisa su due piani, in alto il mezzobusto del Cristo Pantocrator con una mano benedice e con l'altra regge il globo terrestre, in basso David, nudo, che sul capo porta la corona regale ed è coperto dall'acqua sino alle spalle, tutta la figurazione costituisce una ricorrente iconografia raffrontabile con altri manoscritti del periodo.
Il miniatore conosceva bene i mosaici siciliani che prende a modello per la realizzazione del mezzobusto del Cristo, ma le somiglianze si fermano quando si osserva il piano in basso con la figura di David in cui la rappresentazione dell'acqua con strisce verdognole supera i modelli bizantini con la caratteristica impostazione ad onde parallele e anche il corpo nudo, realizzato in modo libero e naturale, manca della stilizzazione di età bizantina presente nel De Balneis Puteolorum di Pietro da Eboli(38).
Alla c. 30. v il fregio lungo i margini e l'intercolumnio è arricchito da fantasiose droleries antropomorfiche ed elementi fitomorfi. Il margine inferiore ospita le ormai consuete scene di lotta tra figurine armate, ma in questo caso sono presenti anche figurine non armate che sembrano, con l'espressione del volto e il movimento delle braccia, scongiurare la pace in nome di Dio.
Nell'iniziale E (" Exultate Deo") in azzurro racchiusa in una quadrangolatura oro con cornice in rosso, all'interno, su fondo rosa e con decori gotici già osservati in altre iniziali, è rappresentato il re David con veste ocra e mantello rosso dalla fodera bianca e calzari a reticolo, seduto su uno scanno mentre suona con dei martelletti un particolare strumento a tre campanelle.
La rappresentazione si allontana dall'usuale iconografia riguardante tale Salmo che vede David suonare un'arpa, anche se si possono ugualmente trovare confronti con altri manoscritti: Manoscritto di Padova(39), La Bibbia Sveva di Palermo(40). La particolare posizione del corpo così libera dagli schemi riprende quella del Salterio conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli e attribuito ad un miniatore della Scuola di Parigi alla quale è sicuramente legato anche il nostro alluminatore(41).
Alla c. 36.v il fregio corre lungo i margini e tra le due colonne. Particolari droleries si osservano lungo tutto il margine inferiore, nell'incontro tra il listello della colonna sinistra e il margine inferiore dove, da un groviglio fitomorfo, nasce un mezzobusto di una figurina umana armata di una grossa clava; nell'incontro tra il listello della colonna destra con il margine inferiore, da un altro groviglio, spunta un'altra figurina armata di una lancia.
Al centro del margine inferiore la scena di lotta è al culmine, un mezzobusto di uomo con un forcone sta uccidendo un serpente gigante dalla lingua biforcuta chiaro simbolo biblico del male contro il quale, a difesa della fede, si ergono questi mezzibusti fantasiosi. Similare rappresentazione si trova nel Breviario dei Frati minori della Osservanza della Biblioteca Comunale di Palermo(42).
L'iniziale C (" Cantate Domino"), in azzurro con quadrangolatura con cornice rossa e fondo oro, presenta nel campo l'usuale iconografia tipica di molti manoscritti(43), di ecclesiastici in atto di cantare. Il coro, composto da sette monaci vestiti con il saio francescano, è raffigurato nell'atto di cantare davanti ad un leggio sul quale è un libro aperto.
I volti quasi "caricaturali" dei frati e la semplicità delle vesti riprendono il Manoscritto attribuito a Clemente da Padova della Biblioteca Ambrosiana(44).
Alla C. 43.r. (fig. 1) il fregio corre lungo i margini e le colonne continuando gli ormai consueti motivi ornamentali.
Particolare drolerie si trova sul margine superiore dove, da due racemi che si intrecciano, fuoriescono due testine umane con probabili orecchie d'asino, a simboleggiare l'ignoranza dell'uomo, o di coniglio a simboleggiare la paura, la debolezza umana probabilmente nella sua incapacità ad allontanarsi da sola dal peccato.
Il margine inferiore ospita una scena di lotta tra le più vive ed animate, due figurine una vicinissima all'altra, si scagliano contro armate di lunghe spade, sopra la scena due uccellini l'uno di fronte all'altro a simboleggiare la vittoria del bene sul male e, al tempo stesso, esempio di quella rappresentazione naturalistica della realtà tipica del gotico francese.
L'iniziale D (" Dixit dominus domino meo…") in rosa su fondo oro con cornice in azzurro, presenta il Cristo benedicente che seduto su di uno scanno in veste arancione e manto azzurro, con un gesto solenne leva entrambe le mani benedicendo con una e sollevando con l'altra il globo. La quadrangolatura s'innesta con la cornice attraverso una testa di cane che, nascendo dal bastone fitomorfo, addenta l'iniziale, riprendendo un tema figurativo dell'arte sveva presente sia nella Bibbia di Manfredi che nella Bibbia sveva di Palermo(45). L'impostazione della figura nella sua rigidità e fissità riprende quella di una placchetta della Galleria regionale di Palermo risalente al secondo quarto del XIII secolo(46).
Il Cristo benedicente, pur riprendendone lo schema compositivo è ormai libero dalla rigidità del Cristo bizantino della Cappella Palatina e si presenta con movimenti più naturali ed eleganti.
Alla C. 57. r. il fregio corre lungo i margini e l'intercolumnio arricchito dalle consuete grottesche e droleries.
L'iniziale C (" Conditor alme syderum") è in rosa su fondo oro con cornice in azzurro è decorata da racemi fitomorfi e sovracornice in oro. Nel campo dell'iniziale, in alto, si affaccia il mezzobusto del Redentore che, su un fondo azzurro con stelline bianche stilizzate, con una mano benedice e con l'altra tiene il globo. La figurazione riprende l'antica iconografia del Cristo Pantocrator di chiara matrice francese pur avendo maggior libertà e grazia nel movimento. In basso, su fondo oro, un personaggio con veste arancio e manto azzurro ed in testa uno strano cappello, legge un rotolo spiegato.
La C. 70 r, mutila nella parte inferiore, presenta miniature di mano italiana del XIV secolo differenti dalle altre carte, infatti i colori sono meno lucenti e più sfumati, quasi acquerellati, più tenui rispetto ai colori vivi ed accesi delle precedenti carte di matrice francese.
È meno utilizzato il colore oro e sempre sfumato, il disegno del fregio non è delineato da un contorno nero, quasi a dare l'idea di vago ed indefinito.
Il fregio è costituito da mezze foglie d'acanto appuntite, di matrice sveva, che si vanno assottigliando man mano sino a diventare sottili steli terminanti con fiori trilobi d'oro e nastri che si vanno intrecciando in vario modo. Tutta la pagina è decorata da tondini d'oro bordati di nero e raggiati, elemento tipico della miniatura italiana(47). Il margine alto ospita al centro un riquadro a losanga che, su fondo azzurro, presenta un giglio d'oro.
Il fregio è arricchito da uccelli di vario genere e colore che col lungo becco aperto e il fare minaccioso, sembrano scontrarsi con un drago che avanza contro di loro.
La decorazione del fregio riprende quella della Bibbia della collezione Glazier dei primi anni del XIV secolo(48). Tale carta è l'esempio lampante della validità dell'ipotesi di una collaborazione tra Francia, miniatori probabilmente provenienti dalla scuola di Parigi, ed Italia per la decorazione del testo.
Si può ipotizzare che tale carta così diversa dalle altre sia stata aggiunta in un secondo tempo probabilmente per sostituire la originale pagina del manoscritto in qualche modo danneggiatasi.
Alla C. 71 r II coll. Il fregio corre lungo i margini e tra le colonne mantenendo le solite caratteristiche. La pagina è stata miniata da un altro alluminatore dalla tecnica piuttosto mediocre, il fregio pur continuando gli stessi motivi delle carte precedenti presenta una decorazione più rozza e meno delicata; i visi delle figurine umane sono più approssimati ed elementari, i colori si fanno più cupi e più grezzi, sono stesi sulla superficie pergamenacea quasi senza sfumature e le decorazioni così appaiono piatte e senza vitalità.
Con molta probabilità a questa mano sono dovuti i fregi delle pagine successive.
L'iniziale D (Deus qui hodierna die) in azzurro, con una perfilatura e tondini bianchi per dare l'idea di convessità e su quadrangolatura d'oro, il campo è decorato da girali di racemi alle cui estremità nascono piccole foglioline trilobe.
Alla C. 32. v. nell'angolo in basso a destra c'è l'unico caso di un segno di richiamo con la ripetizione della prima parola della pagina seguente.
Alla C. 82 r II coll. L'iniziale A ("Apocalips") senza figure è in rosa su fondo azzurro e cornice in oro. Il fregio corre lungo i margini superiore ed inferiore e nell'intercolumnio. Il lato sinistro delle due colonne di scritto è decorato da filettature in rosso e blu.
Alla C. 87. r. il fregio corre lungo i margini e tra le colonne. Dall'incontro tra il bastone fitomorfo del margine sinistro e quello del margine inferiore fuoriesce il mezzobusto di una figurina vestita come un crociato con una cotta di maglia metallica, un elmo, uno scudo crociato ed una lunga lancia, nell'atto di difendere la Chiesa, ma di fronte a lui ormai non c'è più nessuno, la lotta tra bene e male ormai si è conclusa grazie alla mediazione di S. Francesco. Le testine che fuoriescono dai grovigli fitomorfi del bastone sono frati francescani dalla tipica acconciatura o incappucciati che rappresentano proprio la vittoria contro il male.
L'iniziale E ("Et cum aperuisset sigillum…"), in azzurro su fondo oro, presenta nel campo S. Giovanni nimbato con una veste bianca coperta da un manto arancio, con le mani congiunte e gli occhi protesi verso l'angolo in alto della quadrangolatura da cui fuoriesce un angelo che gli porge un libro, probabilmente il Vangelo del Santo.
Il prolungamento terminale dell'iniziale presenta una infiorescenza a piccolo aquilone riconducibile alla miniaturistica di età sveva in Sicilia e ai codici francesi della città di Palermo del XIII secolo(49).
Alla C. 91. v. ( De epistula Jacobi) il fregio corre lungo i margini e tra le colonne con grottesche e testine.
La seconda colonna è decorata oltre che dal bastone fitomorfo dell'intercolumnio anche da una filettatura rossa e blu tipicamente francese(50).
L'iniziale J ("Jacobus…"), in azzurro decorata da cerchietti bianchi lungo l'asta dell'iniziale e da una cornice d'oro , presenta dei prolungamenti come piccoli fiocchi terminali con efflorescenze e fogliette trilobe. Nel campo dell'iniziale il fondo è arancio quadrettato da linee diagonali e cerchietti bianchi, " la scena composta su fondi e pavimenti a disegni geometrici, quadratini o losanghe d'oro e di colore è una caratteristica francese…"(51).
Sul fondo così ornato è la figura di un re inginocchiato che, con le mani giunte, la veste bianca con decorazioni in azzurro, coperta da un manto verde, guarda Gesù che, in piedi, con una mano sembra benedire e con l'altra regge un libro, che potrebbe essere lo stesso Breviario offerto a Dio, iconografia molto diffusa nella miniaturistica ed anche nell'arte musiva(52).
Alla C. 95. v. II col. (De epistula Johansis) il fregio corre lungo i margini e l'intercolumnio, decorato con testine umane ed uccellini.
Una strana drolerie, un uccello con testa di uomo barbuto poggia sul bastone fitomorfo ed è una probabile reminiscenza del mito delle arpie, mostro a metà tra umano e animale che ha fatto parte degli elementi decorativi della scultura romanica ed é presente anche nei capitelli scolpiti del chiostro del Duomo di Monreale.
L'iniziale Q ("Quod fuit ab initio…") in azzurro, con quadrangolatura in oro e cornicetta rossa, si sviluppa dal corpo di un drago alato che nasce dal bastone fitomorfo dell'intercolumnio.
Sul campo una figura nimbata con veste verde ed un manto avvolto alla vita verde scuro, regge tra le mani un libro che poggia al petto, probabilmente tale figura barbuta è S. Giovanni.
Alla C. 98. r. (Atti degli Apostoli) il fregio riprende i caratteri delle carte precedenti.
L'iniziale C (" Concede quesumus…") è di piccole dimensioni rispetto alle altre e sul campo presenta una figura stilizzata con veste ocra, manto arancio, capelli lunghi e barba, seduta su uno scanno mentre regge un rotolo spiegato, in testa porta uno strano copricapo con un pinnacolo laterale.
L'iniziale P (" Primum quidem…") è in rosa su fondo azzurro con decorazione a crocette e tondini e cornice in oro.
Nel campo è la rappresentazione dell'Ascensione del Cristo, in basso è rappresentata una folla di astanti su fondo oro ed in alto i piedi del Signore e parte della sua veste che sporgono da un lembo di cielo realizzato ad onde.
Le figure in primo piano sono la Vergine con ai lati S. Pietro e S. Francesco con in mano la regola dell'Ordine Francescano.
La rappresentazione riprende un'iconografia comune presente in altri manoscritti, come nel caso del Salterio descritto da M. Manion(53).
Alla C. 113 v. (Libro dei re) l'iniziale F ("Fuit vir…"), in azzurro e rosa con fondo oro, reca nel campo il mezzobusto di Elcana barbuto che con veste verde e manto arancio, regge un rotolo spiegato.
Il fregio, come anche l'iniziale sono stati probabilmente realizzati da un'altra mano, i colori sono più grezzi, le figurazioni più grandi ed elementari.
Alla C. 129 v. il fregio corre lungo i margini e tra le colonne, arricchito da grottesche, figurine umane ed elementi fitomorfi.
L'iniziale S ("Sacerdos in eternum…") è in rosa con cornice oro e sovracornice in azzurro (fig. 2); nel campo, su fondo azzurro decorato da raffinati piccoli grappoli di palline bianche, un Sacerdote, con veste bianca ornata ai bordi e un manto colore oro, è rappresentato dinanzi all'altare sul quale è una croce d'oro con i bracci trilobati, dietro di lui un chierico con una mano tiene il manto del sacerdote e con l'altra regge un lungo cero acceso.
La ricercatezza nei particolari della figurazione, il drappeggio ridondante e movimentato della veste del Sacerdote, lo studio minuzioso delle bordature della veste, la delicatezza dei volti e dei movimenti denotano un lavoro dell'alluminatore minuzioso e raffinato a differenza delle ultime carte che presentano decorazioni più semplici e stilizzate. L'impostazione della figurazione, che riprende la comune iconografia della Elevazione dell'Ostia, è molto similare al Messale di Perugia(54).
Alla C. 138 v. II col. (Dominica II post pentecostem) il fregio corre lungo i margini e tra le colonne, lungo il margine inferiore una drolerie, un mezzobusto di una figurina che prega.
I colori del fregio diventano sempre più cupi e grezzi, anche l'oro sembra meno lucente.
L'iniziale S, non figurata, in azzurro su fondo oro, si collega al bastone fitomorfo dell'intercolumnio con un prolungamento formando un piccolo aquilone. L'iniziale è decorata da tralci con foglie trilobe.
Alla C. 158 v., II col. il testo è troncato e il libro rimane mutilo al II Maccabei, VII, 13.


NOTE

1) Liturgia delle Ore, Tempo e rito, Atti della XXII settimana di studio dell' Associazione Professori di Liturgia, settembre 1993, Roma, 1994, p. 125
2) Enciclopedia Cattolica, vol. VI, Firenze 1949, p. 80
3) Dizionario di Liturgia, Autori vari, Torino 2001, p. 1016
4) M. Righetti, Manuale di storia liturgica, vol. II, L'anno liturgico, il Breviario, Milano 1969, p.. 667
5) Dizionario di…, cit., p. 126
6) M. Righetti, Manuale di…, cit., pag. 698 - 699
7) Rosa Fabrica, Il Codice miniato della Biblioteca Comunale di Naro, tesi di laurea, Università degli studi di Palermo, Facoltà di Lettere e Filosofia, Anno Accademico 1970 - 1971, Relatore prof. P. Collura
8) A. Daneu Lattanzi, I manoscritti ed incunaboli miniati della Sicilia, Palermo 1984, p. 16
9) Storia manoscritta di Naro, manoscritto di Frate Saverio Cappuccino, XIX secolo, foglio 260
10) Carta 36 verso…
11) R. Semizzi, Un Breviario francescano tardoduecentesco in Il codice miniato, rapporti tra codice, testo e figurazione, Atti del III congresso di storia della miniatura, Firenze 1992, p. 131
12) A. Daneu Lattanzi, Lineamenti di storia della miniatura, Firenze 1968, pp. 56 - 57
13) M. Andaloro, Federico e la Sicilia fra continuità e discontinuità in Federico e La Sicilia, dalla terra alla corona, Palermo 1995, p. 15, fig. 16
14) M. Andaloro, op. cit. , pp. 20 - 21
15) A. Daneu Lattanzi, op. cit., fig.10
16) A Daneu Lattanzi, op. cit. , p. 22
17) M. C. Di Natale, La Miniatura di età normanna e sveva in Sicilia, in Federico e la Sicilia. Le arti figurative e le arti suntuarie in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona, Palermo 1995, pp. 385 - 412; 18) A. Daneu Lattanzi, op. cit. , pp. 35 - 64
A. Daneu Lattanzi, op. cit., pag. 17
19) M. Rotili, Miniatura francese a Napoli, Roma 1968, p. 1968; Enciclopedia Universale dell'arte, Vol. IX, coll. 381
20) Capolavori nei secoli, 1961- 1964, vol. IV, p. 134
21) A. Daneu Lattanzi, I Manoscritti…, op. cit., p. 17
22) A. Daneu Lattanzi, Lineamenti…, op. cit., p. 81
23) Capolavori nei secoli, vol. IV, op. cit., p. 136
24) A. Le Coy de Marche, Les manuscripts et la miniature, Paris, pp. 165 - 192; Henry Martin La miniature francaise du XII au XV siècle, Bruxelles 1924
25) A. La Coy de Marche, Les Manuscripts…, op. cit., fig. XLVII
26) Capolavori nei secoli, Dall'arte Carolingia al gotico, vol. IV, p. 134
27) 1 A. La Coy de Marche, Le Manuscripts…, op. cit., fig. VI
28) A. Daneu Lattanzi, Lineamenti …, op. cit., fig. 49 - 50
29) M. C. Di Natale, La miniatura…, op. cit., p. 410
30) M. C. Di Natale, La Miniatura…, op. cit., p. 393
31) A. Daneu Lattanzi, Manoscritti…, op. cit. p. 17
32) Enciclopedia universale…, cit., Vol. IX, tav. 183
33) A. W. Bivanck, La miniature dans le Pays - Bas septentrionaux, Paris MCMXXXVII
34) M. C. Di Natale, La Miniatura…, cit., p. 399
35) M. Assirelli, L'immagine dello stolto nel salmo 52 in Il codice miniato, rapporto tra codice, testo e figurazione, Firenze 1992 , p. 23
36) M. Assirelli, L'immagine dello…, op. cit., pp. 19 - 37
37) M. Assirelli, L' immagine dello…, cit., p. 29
38) A. Daneu Lattanzi, Lineamenti…, cit., fig. 47 - 48
39) H. Buchthal, Miniature painting in the latin kingdom of Jerusalem, Oxford 1957, plate 60a
40) M. C. Di Natale, La miniatura…, cit., p. 408
41) M. Rotili, Miniatura…, op. cit., tav. XVI a
42) M. C. Di Natale, Un codice francescano del quattrocento e la miniatura in Sicilia, Palermo 1985, fig. 12
43) Il codice miniato, rapporti tra il codice, testo e figurazione, Atti del III congresso di storia della miniatura, R. Semizzi Un Breviario…, op. cit., Firenze 1992, p. 131
44) La miniatura italiana tra gotico e rinascimento, Atti del II congresso di storia della miniatura italiana, Firenze 1982, p. 95, fig. 9
45) M. C. Di Natale, La miniatura…, cit., pp. 397 - 412
46) Federico e …, op. cit., scheda n. 56, p. 230
47) M. C. Di Natale, Il Breviario…, cit., p. 104
48) A. Daneu Lattanzi, Lineamenti…, op. cit.,fig. 74 - 79
49) M. C. Di Natale, La miniatura…, cit., p. 438
50) A. Daneu Lattanzi, Manoscritti…, cit., pag. 17
51) F. Pottino, Un libro d'ore miniato franco - fiammingo del XIV secolo nel Museo nazionale di Palermo, Palermo 1929, p. 13
52) B. Rocco La Martorana di Palermo, chiave ermeneutica, BCA, Anno III, 1,2,3,4, 1982, pp. 27 - 29
53) M. Manion, Italian manuscripts in Australian Collections, in La miniatura italiana…, cit., p. 184
54) H. Buchthal, Miniature…, cit., plate 59 a

 

Fare musica fra Palermo e Cefalù l'ottocento musicale negli strumenti del tempo di Antonino Titone

Perché la musica d'oggi soffre, o gode secondo il punto di vista, di una strana condizione archeologica? Perché percepiamo prossima a noi la musica di tempi ormai lontanissimi e dei quali non replicheremmo le abitudini, i vestiti, gli usi? E' difficile rispondere e certamente saremmo costretti ad andare oltre i limiti di questa conversazione(1). Ci limiteremo a considerare come sia un fenomeno mai occorso prima. Nel Sei, Sette, Ottocento la musica contemporanea era proprio quella prodotta in quel momento. Il passato veniva messo via, si era attenti solo alla produzione nuova. Verdi spazzava Cimarosa dai cartelloni dei teatri, così come il cosiddetto "stile galante", in auge nella seconda metà del Settecento, faceva considerare sorpassato J. S. Bach, scomparso solo pochi anni prima. E' stata la condizione archeologica con la quale abbiamo consumato la musica vecchia a creare mezzo secolo fa il fenomeno della cosiddetta "Nuova Musica".
Me ne occupo appunto da mezzo secolo, ma non sono tanto disattento da non accorgermi che - almeno sino ad ora - la musica veramente nuova, che dovrebbe essere dunque quella che sentiamo a noi vicina, ha invece perduto la sua battaglia. Quando una mia allieva, che avrà diciotto o venti anni, diligente e intelligente, mi dichiara che il Mosè e Aronne di Schönberg, che ha studiato con me quest'anno, le è risultato indigesto perché "troppo moderno" e non ha nessuna voglia di conoscere altri lavori del suo autore né di altri che ne hanno adottato il linguaggio, mi confermo nella convinzione che la battaglia è al momento perduta. La mia allieva vuole ascoltare Puccini, non Schönberg. Sono le disavventure di Mimì che la fanno piangere. È lei la sua eroina contemporanea.
Essendo così totalmente dominato dallo strano gusto di sentire attuale la musica di due secoli fa, era naturale che nel nostro musicofilo nascesse il desiderio di ripescare anche una musica meno attuale. Se questa è la mia musica contemporanea, si è chiesto, sempre senza rendersene conto, qual è la mia musica non contemporanea, quella nella quale posso immergermi sapendo che è del passato? E' dovuto andare molto indietro, ma è stato ripagato. Affascinanti ritmi di danza di uno scollacciato medioevo, inconsueti canti affondati nella liturgia gregoriana, improbabili misteri catacombali, strumenti strani che si possono anche costruire da sé: la Musica Antica ha avuto un successo fino a pochi anni fa imprevedibile. Il nostro musicofilo contemporaneo ha così fuso insieme, in un crogiolo di secoli trascorsi, la musica che appaga la sua contemporaneità insieme a quella che placa il suo bisogno di viaggiare in un tempo inafferrabile.
Poi, però, è accaduto un fatto sorprendente. Qualcuno si è accorto che Beethoven o Chopin è possibile accoglierli anche come non contemporanei. Possono suonare un po' lontani, come separati dalla nostra contemporaneità, se frapponiamo un filtro che li allontana e subito che li riavvicina diversi. Questi filtri sono gli strumenti d'epoca. Se la musica antica aveva reso necessario l'utilizzo di strumenti inusitati, che si son dovuti ricostruire sui pochi modelli ancora reperibili in musei o attraverso descrizioni nei trattati, quando ci si è accorti che anche Haydn o Mendelsshon si erano allontanati, è stato naturale chiedersi con quali prassi esecutive e su quali strumenti andavano correttamente riproposti. Ed è stata una scoperta indubbiamente chiarificatrice, che non solo ha riportato alla nostra attenzione gli archi con le corde di budello, adoperati con tecnica mutuata da quella cosiddetta "barocca", ma ha condotto soprattutto - evento memorabile - alla riconsiderazione dello strumento principe dell'età classica: il pianoforte, o meglio un particolare tipo di pianoforte d'epoca che si è preferito indicare con un nome "datato": fortepiano.
Cos'è un fortepiano? Un pianoforte rivoltato? Più semplicemente, un pianoforte più piccolo di quelli che siamo abituati a vedere nelle sale da concerti, non lugubremente tinto di nero ma impiallacciato in noce, o in mogano o in palissandro, illeggiadrito spesso da decori bronzei, senza le corde incrociate, senza elementi metallici all'interno della cassa (al più qualche non ingombrante contrafforte), ma soprattutto senza il grande telaio di metallo che oggi contorna tutta la cassa. Costruito non da una delle grandi case che sfornano i pianoforti attuali, ma da artigiani o da piccole imprese scomparse. Così possiamo trovare un elegante Pleyel datato 1855; o un più solido "Collard & Collard late Clementi", Londra 1835 in stupendo mobile di palissandro; o un elegante Löschen, Vienna 1820; o ancora un filiforme Walter, sempre di Vienna, addirittura alla fine del Settecento. Clavicembali, allora? No, non sono clavicembali. Perché nei clavicembali, la corda viene pizzicata, non percossa. E non se ne può dosare l'intensità. Invece nei fortepiani la corda viene percossa con maggiore o minore intensità. Tanto è vero che la nuova invenzione viene chiamata dal suo primo artefice, Bartolomeo Cristofori, "gravicembalo col piano e col forte".
Questi strumenti esistono ancora. Anzi ce ne sono tanti, disseminati in Europa, in Italia, qui nella nostra città. Non ce ne eravamo accorti e giacevano in case o teatri o musei, malandati e abbandonati. Li abbiamo scoperti, li abbiamo restaurati. Nella mani di particolarissimi esecutori, che non abbiamo chiamato pianisti ma appunto "fortisti", abbiamo ascoltato Mozart, Beethoven, Chopin. Abbiamo ri/ascoltato Mozart, Beethoven, Chopin. Abbiamo ascoltato la loro musica sugli strumenti che loro adoperavano, suonata come loro la suonavano, o almeno come supponiamo che loro la suonassero. Il suono di quei vecchi strumenti è diverso da quello del consueto pianoforte. E' consunto ma personalissimo e fascinosissimo. E ci siamo accorti all'improvviso di una stortura incredibile che era stata commessa lungo tutto l'appena trascorso XX secolo e che aveva contribuito non poco a determinare l'illogica contemporaneità di quelle pagine.
Per decenni, nel Novecento, la musica dell'età classica e romantica - dunque quella che va da Hayden a Brahms per semplificare un po' rozzamente(2) - è stata assurdamente stiracchiata su un orrido letto di Procuste, eguale in tutto il mondo. Appunto gli ovattati auditorium dei quali abbiamo parlato. Sono così simili gli uni agli altri che è come se ce ne fosse uno solo con tanti replicanti. Un po' più grandi, se le città sono più grandi, e così via. Sul palcoscenico di questo unico auditorium troneggia un unico funereo cassone. E' il "gran coda" Steinway. Si parla tanto di globalizzazione, da un po' di tempo a questa parte. Ebbene, la casa di pianoforti Steinway & Sons aveva inventato la globalizzazione già alla fine dell'Ottocento. Anche in questo caso andremmo oltre i limiti di questo scritto se dovessimo ripercorrere l'epopea del pianoforte della quale la newyorkese Steinway & Sons è in certo senso il tratto terminale e trionfale - una sorta di McDonald del pianoforte.
Possiamo solo riassumerne i contorni salienti ricordando che il pianoforte passò attraverso vari stadi. Già Beethoven si infurentiva per le limitate possibilità degli strumenti settecenteschi che aveva trovato giovinetto a Vienna. Voleva strumenti più sonori e resistenti. Glieli costruirono e Conrad Graf realizzò per lui uno strumento con quattro corde sugli acuti. Ma la vera rivoluzione incominciò quando Theodor Steinway a New York nel 1858 adottò all'interno della cassa un unico grande telaio di metallo che consentiva di realizzare pianoforti sempre più grandi con corde sempre più dure e suoni sempre più possenti. Tra quella data e gli ultimi decenni del secolo venne messo a punto il pianoforte moderno. Una Mercedes dotata di un motore perfetto. Ma su quella macchina così potente non si poteva portare in giro per il mondo indifferentemente tanto Rachmaninov che Mozart; tanto le martellanti pagine di Prokof'ev che quella sorta di lettere intime che sono gli Improvvisi di Schubert. Tutto stiracchiato sul nero letto di Procùste del gran coda. Oggi memorabile concerto. Pianista sempre più agguerrito martella accordi sempre più rimbombanti sopra pubblici sempre più intontiti ammassati in auditorium sempre più grandi(3).
La "rivoluzione del fortepiano", se così possiamo chiamarla, rimette le cose a posto. Ancora non è molto visibile, perché la vecchia guardia non vuole cedere: il novantanove per cento dei pianisti, delle orchestre, delle associazioni concertistiche, stenta a riconoscere che bisogna accostarsi alla musica del passato ascoltandola sugli strumenti per la quale fu scritta, in ambienti raccolti. Ascoltare Chopin in una piccola sala suonata su un Pleyel, significa ritrovare il mondo sonoro del compositore, che appunto aveva un pianoforte costruito dall'amico Camille Pleyel. E suonava preferibilmente in piccole sale per pochi ammiratori. Hector Berlioz, nel necrologio che dettò per la morte del grande amico il 27 ottobre 1849, così scrisse: "Sulla mezzanotte….quando i grandi cravattoni se n'erano andati….obbedendo alla muta richiesta di due occhi intelligenti, diveniva poeta e cantava gli ossianici amori degli eroi dei suoi sogni". Camille Pleyel aveva comunque inaugurato in quegli anni una sala da concerti. La "Salle Pleyel", appunto, ancor oggi attiva. Chopin talvolta abbandonò i suoi salotti per esibirsi là, per un più ampio pubblico, per i critici musicali dei quotidiani. Forse a malincuore. Chi conosce la Salle Pleyel sa comunque che non ha la deformante vastità dei moderni auditorium.
Fortepiano, dunque? Meglio, chiamarlo pianforte d'epoca. E fortista? Ma sono pianisti alla fin fine. Suonano pianoforti antichi, faticosamente restaurati, che stentano a tenere l'accordatura, che necessitano di particolari attenzioni. Quando noi diventiamo vecchi dobbiamo talvolta essere sorretti per non inciampare e cadere. Ma possiamo avere grande esperienza ed essere ancora molto utili. Così è per i pianoforti costruiti due secoli fa. Sono dei vecchi molto attraenti e pieni di esperienza. E poi hanno una caratteristica che li rende irripetibili: ciascuno ha una voce diversa. I pianoforti moderni hanno tutti la stessa voce, maschia e imperiosa. Invece qui possiamo avere un Simon che esita sui cantini, un Löschen che è un po' debole nella regione media, un Collard dai bassi tanto sonori. Vanno vezzeggiati e accarezzati. Il pianista deve saper prestare i primi soccorsi, se al vecchio pianoforte si stacca un martelletto o ha qualche altro svenimento, anche se poi occorre un vero medico che in genere è in sala durante il concerto(4).
Noi abbiamo vissuto affascinanti avventure con questi vecchi simpatici amici, con i loro devoti suonatori, con l'instancabile "geriatra", come una spettatrice ha affettuosamente definito il maestro Casiglia, che li ha riportati in vita. Da tre anni l'Associazione degli Amici della musica di Cefalù(5) si è specializzata nella riproposta del grande repertorio classico su strumenti d'epoca. Ha sostituito al concerto il progetto. Non più il grande solista che arriva trafelato da Punta Raisi, suona il programma che ha già suonato in venti città e replicherà altre trenta volte nel corso della stagione, intasca il cachet e riscappa verso l'aeroporto. Non più una stagione fatta da un mosaico di concerti poche volte scelti, molte volte già impacchettati. Ma progetti. Elaborati con esecutori che al denaro - incredibile! - antepongono la passione per la loro attività. Il maestro Malcom Bilson è uno di questi. Americano, di fama internazionale, non ha esitato a seguirci nella elaborazione di un primo progetto nel dicembre del 2000: entusiasmanti esperienze con giovani esecutori della città(6). Il mese successivo l'impresa si replicava con il grande Jörg Demus(7).
Ma con Bilson era possibile progettare più a lunga scadenza. Cosa che abbiamo fatto nei due anni seguenti riproponendo l'integrale delle Sonate per pianoforte di Beethoven, con gli stessi esecutori che le avevano registrate per la Claves e presentate a Firenze. Data la complessità dell'impresa e l'utilizzo in uno stesso concerto di più strumenti(8), tutto il ciclo è stato giocoforza presentato in solo luogo. Si è scelta la Villa Malfitano. Sotto la sua grande magnolia immaginiamo che avvenga questa conversazione: al termine ci trasferiremo nella Sala della Musica, impreziosita dai due arazzi cinquecenteschi. Il luogo ideale, per capienza e qualità di arredi, per ascoltare ancora una volta Malcom Bilson che, insieme al grande violoncellista Anner Bijlshma e alla violinista Vera Beths, ci proporrà nel mese di maggio del prossimo anno preziose pagine che vanno da Beethoven a Brahms. Ma non si limiteranno a questo i nostri amici. Saranno anche docenti di un masterclass che coinvolgerà giovani strumentisti della città e della regione. Così il progetto si amplia e il cerchio si chiude: si ascolteranno impareggiabili concerti e si potrà seguire il momento più specificamente didattico che è destinato a inserire nuovi talenti in ambito non solo locale.
Crediamo nella necessità di un radicale rinnovamento del ruolo delle associazioni concertistiche e ci auguriamo di poter continuare a elaborare progetti organici con la presenza stabile di grandi esecutori che amino fare musica insieme, su strumenti adeguati, in sale raccolte, per pubblici attenti e consapevoli, trasmettendo la loro sapienza alle nuove generazioni.


NOTE

1) Per un primo approccio cfr. Carl Dalhaus, Fondamenti di storiografia musicale, Fiesole, Discanto edizioni, 1977.
2) Numerosi equivoci possono derivare da un malinteso intendimento di classicismo e romanticismo in musica. Chi volesse tentare di orientarsi potrebbe cominciare con la lettura delle corrispondenti voci sul Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, Torino, UTET, 1983/84. Per una visione "tradizionale" del romanticismo cfr. Alfred Einstein, La musica nel periodo romantico, Firenze, Sansoni, 1952. Si consiglia anche, sempre di Dalhaus, La musica dell'Ottocento, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1990; Beethoven e il suo tempo, Torino, E.D.T., 1990 e Storia europea della musica nel classicismo viennese, in "Nuova Rivista Musicale Italiana", anno XII, n. 4, 1978. Utile anche la consultazione di Charles Rosen, Lo stile classico, Haydn Mozart Beethoven, Milano, Feltrinelli, 1979 e Le Forme-Sonata, Milano, Feltrinelli, 1980.
3) È preferibile che gli strumenti che si utilizzano per riproporre in modo filologicamente corretto le composizioni pianistiche del XVIII e del XIX secolo siano quanto più è possibile contemporanei alle composizioni stesse. Pertanto si userà preferibilmente uno strumento di fine Settecento per Mozart, Haydn, il piano Beethoven (per esempio un Anton Walter o una sua copia, perché i Walter originali sono rarissimi) mentre per il secondo periodo beethoveniano sarà adatto un pianoforte del 1810/15. Nei concerti dei citati esperimenti si è utilizzato una copia di un Anton Walter, Vienna 1795, realizzata nel 1996 da Paul McNulty, di proprietà di Malcom Bilson (v. oltre), che per l'occasione ha trasvolato l'oceano e da New York è arrivato sin qui; un Wihelm Löschen, Vienna 1815, e un Johann Jackesh della stessa epoca. Le ultime Sonate di Beethoven sono state presentate su un Joseph Simon, Vienna 1835 e su un Friederic Hoxa, Vienna 1830. Come si vede, questi strumenti, tutti originali a parte il Walter, sono viennesi, anche se l'inventore del pianoforte fu un padovano, Bartolomeo Cristofori (1698), era naturale che Vienna assorbisse i migliori talenti. Tra i massimi dobbiamo ricordare Andreas Stein e Conrad Graf. Gli strumenti francesi o inglesi vennero dopo, ebbero caratteristiche diverse e oggi si ritengono più adatti ai compositori di quei Paesi. Il Museo Mandralisca di Cefalù possiede un bel Pleyel, Parigi 1855.
E i pianoforti italiani? Si attende una loro valorizzazione. Numerosi erano i costruttori operanti in Italia. Epigoni dei viennesi, dai quali avevano imparato il mestiere, e molti da quella Capitale erano venuti nel nostro Paese. Napoli, per esempio, che agli inizi dell'Ottocento contava circa duecento costruttori, era piena di viennesi, anche se il capostipite della scuola napoletana fu un napoletano, Giovanni De Meglio, del quale Ugo Casiglia (v. n. 4) possiede uno strumento del 1826. Molto attivo a Napoli il russo italianizzato Giacomo Ferdinando Sievers (1810/78), che pubblicò anche un trattato (Il Pianoforte, Guida pratica per costruttori, accordatori, dilettanti e possessori di pianoforti, 2 voll., Napoli, Stabilimento Tipografico Ghio, 1868) ricco di 300 tavole, parte intercalate nel testo e parte raccolte in apposito atlante, incise da Richter & C. Un esemplare di questa rarissima opera è reperibile presso la Biblioteca Regionale Centrale di Palermo. Su Sievers cfr. Marco Tiella, Giacomo Ferdinando Sievers, costruttore di pianoforti a Napoli, in "Liuteria, Musica e Cultura", a cura di Renato Mucci, LIM, 1999/2000. Anche Palermo era ricca di costruttori di pianoforti (o fortepiani, o cimbali, come venivano indifferentemente chiamati). E' in fase di elaborazione presso il Corso di Discipline della Musica della nostra Università una tesi di laurea di Giovanni Di Stefano, che ha individuato già più di trenta costruttori siciliani. Citiamo uno strumento di Giuseppe La Manna, Palermo 1795 (prop. privata, Firenze), uno di Salvatore La Grassa, Palermo 1815, restaurato da Edwin Beunk e Johan Wennink (prop. privata, Olanda, e inutilmente abbiamo cercato di farlo ritornare a Palermo per i nostri concerti), uno di Giuseppe Stancampiano, Palermo 1850 (Museo Piccolo, Capo d'Orlando). Tra gli studi recenti ricordiamo Rosamund Harding, The Early Piano, Oxford University Press e Stewart Pollenz, The Early Piano, Cambridge University Press, 1995.
4) Palermo per sua fortuna ha in Ugo Casiglia uno dei più stimati restauratori di pianoforti d'epoca a livello internazionale. Gli strumenti che egli riporta in vita vengono acquistati da collezionisti ed esecutori in Italia e all'estero. Un Joseph Simon del 1835, da lui restaurato, è ora di proprietà di Bilson, mentre il collezionista norvegese Aalmud Bejer ha acquistato un Johann Fritz, Vienna 1815. La nostra Associazione (v. n. 5) ha un suo Simon del 1845. L'Hoxa utilizzato negli ultimi nostri concerti è invece in partenza dal suo laboratorio verso il Conservatorio di Perugia per la Classe di Fortepiano (la seconda in Italia, dopo quella di Parma). Dei pianoforti presenti in questi anni a Villa Malfitano, solo lo Jackesh non era di Ugo Casiglia, ma della Fondazione "Teatro Massimo" che lo aveva gentilmente messo a disposizione. Anche questo strumento era stato restaurato da Casiglia, così come il Pleyel del Museo Mandralisca, su iniziativa di Giuseppe Palmeri (v. n. 5) e per la generosità di alcuni sponsor privati. Sia per lo Jackesh che per il Pleyel va considerata l'insidia di un loro troppo raro utilizzo. Questi strumenti una volta restaurati devono suonare, altrimenti torneranno a essere malaticci come prima.
5) L'Associazione degli amici della musica di Cefalù veniva fondata nel 1966 da una ligure estrosa, Pepita Barbarossa, che aveva sposato un cefaludese, Salvatore Misuraca, e si era pertanto trasferita a Cefalù. Ne fu l'instancabile animatrice per una diecina d'anni, poi la presidenza passò a Francesco Agnello, quindi a Ruggiero Paderni. Nel 1986 l'Associazione modificò la sua ragione sociale per inserirvi la memoria del concittadino Salvatore Cicero, insigne violinista prematuramente scomparso. Spalla dell'Orchestra Sinfonica Siciliana, Cicero fu una delle figure più rappresentative della vita musicale siciliana negli anni Settanta.Aveva costituito con il violoncellista Giovanni Perriera e il pianista e compositore Eliodoro Sollima il "Trio di Palermo": probabilmente la nostra città non ha visto, prima e dopo, una compagine cameristica di eguale livello. Aveva inoltre fondato (e ne era direttore) l'orchestra "I Giovani Cameristi Siciliani", anch'essa un evento non replicabile. L'Associazione Amici della Musica "Salvatore Cicero" è oggi presieduta da Giuseppe Palmeri, raffinato studioso di memorie della vita intellettuale siciliana, che i lettori di questa rivista ben apprezzano; Vicepresidente è la vedova di Cicero, Angela Maria Giardina; Agostino Messina ne è il Segretario Generale. Dichiarata di "interesse provinciale" secondo i criteri adottati dall'Assessorato dei Beni Culturali della Regione, di fatto l'Associazione rimaneva chiusa in ambito locale. Solo nel 1998 la sua attività ha oltrepassato i confini della cittadina normanna con il ciclo di concerti denominati "Conversazioni in Musica". Essi si tengono sia a Palermo, a Villa Malfitano, con la preziosa collaborazione della Fondazione Withaker, sia a Cefalù presso il Museo Mandralisca. Per attingere altre notizie riguardanti l'Associazione e per gustare un amabile profilo della sua fondatrice cfr. Giuseppe Palmeri, Pepita, Palermo, Ilapalma, 2000.
6) Il tratto più accattivante di Bilson è la sua grande capacità di dialogare con i giovani, di "empoisonner les jeunes", come egli ama celiare. Da questa inclinazione è nato il sorprendente affiatato gruppo di pianisti, suoi antichi allievi oggi colleghi, che lavorano con lui (il belga Tom Beghin, il canadase David Breitman, la svizzera Ursula Dütschler, l'israeliano Zvi Meniker, l'olandese Bart van Oort, l'americano Andrew Willis). Insieme hanno registrato nel 1997 per la "Claves" il ciclo integrale delle Sonate per pianoforte di Beethoven su nove strumenti d'epoca (solo tre originali), replicando poi l'impresa a Firenze, presso l'Accademia "Bartolomeo Cristofori", una delle pochissime in Italia, oltre alla nostra Associazione, che si dedichi esclusivamente alla riproposta delle musiche dell'età classica con criteri filologici. Tra i giovani strumentisti palermitani che hanno lavorato con Bilson ricordo il violinista Gaetano D'Espinosa, la violoncellista Viviana Caiolo, la pianista Elenlucia Pappalardo. Particolarmente importanti i risultati raggiunti con l'esecuzione del Quintetto D. 667 ("La Trota") e della Fantasia D.940 di Schubert, nonché di alcuni capolavori di Brahms (Trio op. 101, Sonata op. 78).
Memorabile, è il caso di dirlo, l'esecuzione della Sonata in la maggiore per pianoforte e violoncello op. 69 di Beethoven con Giovanni Sollima.
Abbiamo presentato le Sonate non in ordine cronologico, come nei cd della Claves a Firenze, ma alternando opere dei tre periodi, in modo da porre in risalto il contrasto tra le diverse "maniere". Questo ha reso necessaria la presenza sul palco di tre strumenti. Il ciclo è stato diviso in due parti. La prima (ottobre 2001) ha proposto esecuzioni di Bilson, Meniker, van Oort e Willis; nella seconda (maggio 2002) con Bilson erano gli altri tre colleghi. Dunque quattro solisti per ciclo, che si alternavano nel corso di uno stesso concerto, il che ha costituito una delle principali attrattive dell'iniziativa.

 

Il domani. un quindicinale democristiano ortodosso: dal caso milazzo al compromesso storico di Giuseppe Palmeri

Il 25 marzo del 1957 furono firmati a Roma tra Germania occidentale, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo i trattati istituitivi della Comunità economica europea e dell'Euratom per promuovere uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento accelerato del tenore di vita e più strette relazioni tra gli Stati che vi partecipano, come è indicato nell'art. 2 del trattato istitutivo della C.E.E..
Fu l'inizio concreto del processo di integrazione europea: un drastico voltare di pagina nella storia delle secolari contese militari tra le potenze firmatarie e, nello stesso tempo, la scelta solenne - tra modello economico e politico occidentale e capitalista e modello comunista e collettivista - del primo, con l'impostazione di fondo del sistema produttivo dei sei Paesi sottoscrittori secondo le regole di mercato, di libertà di impresa, concorrenza e libera circolazione di capitali, lavoro e persone. Di conseguenza, la proposta anticapitalista e statalista del comunismo apparve agli occhi degli europei ancora più scardinante e rivoluzionaria.
Dopo pochi giorni dalla firma del Trattato di Roma, il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, in risposta ad una lettera del Presidente degli USA Eisenhower, esprimeva una posizione sul Medio Oriente molto vicina alle vedute ed alle esigenze espresse dai Paesi arabi. Il Governo, presieduto da Antonio Segni, non condividendone l'indirizzo, rifiutò la controfirma. Si temeva che una apertura al mondo arabo potesse favorire l'infiltrazione del pensiero di Mosca, allora sensibile alle rivendicazioni del c.d. terzo mondo, e si pensava che quella civiltà fosse nei suoi interessi inconciliabile col mondo occidentale e soprattutto con la politica degli USA cui l'Italia doveva mostrare indiscussa adesione (allora!). D'altra parte, erano attuali le cronache dell'invasione dell'Ungheria da parte dei carri armati sovietici, avvenuta il 1° novembre dell'anno precedente, e si andava manifestando un certo travaglio morale, espresso in certi casi con dimissioni, da parte di intellettuali ed uomini politici comunisti che non avevano condiviso l'atteggiamento del P.c.i. nei confronti di quella brutale repressione da parte dello Stato-guida del comunismo.
In una tale situazione di fondo, la Democrazia cristiana era più che mai convinta del proprio ruolo di baluardo insostituibile delle libertà individuali e della religione cattolica nel nostro Paese. I consensi, del resto, non le mancavano, essendo attestata intorno al 40 per cento dei voti contro una percentuale del 22 per cento di voti comunisti ed un 14 per cento di voti socialisti, mentre i governi a guida democristiana (Segni, Zola) potevano contare ancora su un consistente appoggio dei partiti di destra.
Analoga era la situazione in Sicilia, dove, alle elezioni del 1955, la Democrazia cristiana superava il 38 per cento dei voti, contro il 20 per cento del P.c.i. ed il 10 per cento dei socialisti, mentre i monarchici erano ancora forti di oltre il 13 per cento dei consensi ed il M.s.i. sfiorava il 10 per cento. Il che, nel solito caotico susseguirsi di crisi e di brevi governi, consentiva comunque alla Democrazia cristiana di essere sempre la guida fondamentale nel governo della regione.
Ciò che accadeva, invece, in Sicilia negli anni intorno al 1957, aveva una forza esplosiva al di fuori del rigido computo di voti e della contrazione di alleanze, tale da non potersi considerare e valutare con la comune logica delle segreterie politiche. Il concentramento degli interessi di multinazionali come la Gulf-oil, l'Edison, la Sir per un polo petrolchimico siciliano; la venuta di Mattei in Sicilia, con tutto l'interesse dell'Eni per lo sfruttamento del petrolio siciliano; la legislazione nazionale incentivante investimenti nel Sud; il tramonto dell'industria zolfifera con tutti i problemi di chiusura o riconversione e, quindi, la forte dialettica tra Governo nazionale e Regione circa l'effettiva titolarità della direzione politica dello sviluppo industriale della Sicilia, erano tutti temi idonei per un riaccendersi di certe rivendicazioni indipendentiste o comunque di acceso autonomismo.
In questo contesto si cominciavano a fare verifiche sull'effettività del ruolo della Regione nella difesa degli interessi siciliani; mentre nel clima che ne scaturiva, fortemente ancorato al segmento di storia in cui quella situazione si era determinata, il 9 marzo 1957 nasceva Il domani, quindicinale politico, economico, sindacale. Ne era direttore Nino Muccioli(1), esponente di spicco della Cisl, e direttore responsabile Giuseppe Maggio Valveri(2). Dal 1959 il nuovo giornale, che avrebbe avuto vita lunga, durando fino al 1986, divenne un settimanale sotto l'esclusiva direzione di Maggio Valveri, sostituendo all'aggettivo "sindacale" quello di "finanziario".
Nel "fondo" di presentazione si diceva: "Abbiamo deciso di lanciare questo foglio con la presunzione non della sua utilità, ma della sua non inutilità … Vuole essere libera palestra per tutti coloro che vogliono combattere la battaglia di una sana politica regionale in tutti i suoi settori e non vuole trascurare il problema sindacale, che sta alla base di un dignitoso e responsabile vivere". Si spiegava, poi, che "il profondo rinnovamento delle vecchie strutture del paese, auspicato dalle nuove generazioni e dagli uomini più avveduti di quelle passate, è oggi senza dubbio sulla via di essere attuato. Troppe remore, troppi interessi, troppe clientele, ritardano tuttavia questo processo di liberazione della realtà contemporanea dalla paludosa staticità delle posizioni precostituite". Circa la linea politica, si informava che "Il domani non è portavoce, né organo di alcun partito … Siamo con la povera gente della quale sentiamo anzitutto l'ansia di una sempre più giusta distribuzione redditiva, e per la quale saremo paghi se, dei più umili e più meritevoli, sapremo essere stati un portavoce disinteressato ed autentico. Siamo appunto per una più reale democrazia che, superando la retorica ottocentesca della democrazia formale, realizzi la democrazia sostanziale, che affermi nel suo senso l'inserimento autentico dei lavoratori nell'indirizzo del nostro Paese".
Come orientamento politico-ideologico, il giornale fu chiaramente democratico-cristiano e apertamente a sostegno di alcuni uomini politici siciliani della D.c.; basti vedere i numeri che precedettero le elezioni politiche del 25 maggio 1958, in cui sono riprodotte ripetutamente, sotto il titolo I nostri candidati, le foto di Bernardo Mattarella, Franco Restivo, Gullotti, Pecoraro, Muccioli, Paola Tocco Verducci, Magrì e Gioia(3); tutti candidati, appunto, della Democrazia cristiana.
In una visione di fondo dei problemi siciliani dalla parte della D.c., si prospettava un'azione critica e promozionale di un ruolo meno effimero per la Regione. Maggio Valveri avrebbe chiarito così questa posizione all'inizio del terzo anno di vita del giornale: "continueremo ad appoggiare la D.c., giacché crediamo che oggi più che mai soltanto dalla Democrazia cristiana la Sicilia può attendere la propria salvezza e la propria crescita. Naturalmente, continueremo ad essere amici della D.c. non risparmiando ad essa critiche quando ci sembreranno giuste, giacché la nostra non è fiducia mitologica o aprioristica: Amicus Plato sed magis veritas diceva il vecchio filosofo. Così, anche noi siamo e saremo amici della D.c. fino a quando essa sarà vero ed efficace baluardo e strumento insieme dell'Autonomia(4)".
Commemorandosi il 15 maggio del 1957 il decennale dell'Autonomia siciliana, si notava poi che "Primo e secondo parlamento non delusero le attese e le speranze; la stessa cosa sinceramente non si può dire del terzo: troppi equivoci si addensano sulla sua attività. Un certo provincialismo, un certo indulgere a perniciose accademie, una certa permanente atmosfera da congiura di palazzo [pareva già presagirsi quello che sarebbe successo con il secondo governo La Loggia e oltre]; una certa forma di deteriore machiavellismo che coglie uomini e partiti non possono non riverberarsi sulla vita stessa della Regione, sulla sua azione e sull'efficacia di questa azione… È l'ora di svegliarsi e di riprendere il cammino; altrimenti l'Autonomia fallirà"(5).
Data la stabilità del quadro politico cui pareva potersi fare, malgrado tutto, affidamento, era come se il giornale volesse svolgere un ruolo di incentivo per un migliore utilizzo degli strumenti disponibili e, visibilmente, di quelli offerti dalle partecipazioni statali nelle imprese. Visibile era una certa attenzione alla politica dell'ENI. Ma l'episodio che presto avrebbe rilevato ancora meglio la linea ortodossamente democristiana del giornale ed, insieme, una sorta di fede convinta nell'inevitabilità che fosse solo con l'intervento di questo partito che certe azioni politiche utili alla Sicilia si sarebbero potute sviluppare, fu quello della ribellione di Silvio Milazzo e dei suoi seguaci al partito cattolico.
Il caso era esploso già il 4 agosto 1958 con la bocciatura in Assemblea regionale, in sede di voto a scrutinio segreto, del bilancio della Regione. Questo fatto, contenente già in sé il chiaro disfavore da parte di molti democristiani per il capo del governo che aveva presentato il documento finanziario, portò, dopo un duro braccio di ferro, alle dimissioni di La Loggia (3 ottobre). Il giornale commentò molto severamente ed aspramente l'accaduto, parlando di proditorio attacco e paragonando i voti contrari, segretamente espressi dai membri della maggioranza, alle "lupare" che, questa volta, dalle contrade dell'interno dell'Isola si erano trasferite a Sala d'Ercole: "Stavolta hanno sparato sulla Sicilia! Hanno sparato non per colpire un uomo, ma un programma, un indirizzo di politica economica e sociale, il progresso della Sicilia, il rinnovamento delle sue vecchie e logore strutture, la riscossa dei lavoratori. Per questo hanno sparato in agguato, dietro le siepi e con la maschera sul volto: se La Loggia doveva essere rovesciato per un indirizzo politico, perché aveva sbagliato, perché si dovevano raggiungere fini confessabili, si sarebbe dovuto fare il processo nella sua sede competente: il Parlamento regionale, ed i voti sarebbero stati espliciti e conseguenti ad una onesta e dignitosa dichiarazione"(6).
Quindi, come è noto, la ribellione (o "spaccatura") dei deputati democristiani di Sala d'Ercole continuò quando, dopo le dimissioni del governo presieduto da La Loggia, al candidato ufficiale della Democrazia cristiana, Barbaro Lo Giudice, vennero a mancare in sede di elezione del nuovo presidente della Regione (23 ottobre) ben 16 voti democristiani, mentre risultò eletto con i voti di parte dei democristiani, dei socialisti, dei comunisti, dei missini e dei monarchici Silvio Milazzo, deputato della Democrazia cristiana. Milazzo, chiamato immediatamente a Roma e caldamente invitato ed allettato con serie promesse da Rumor e dai capi del partito a dimettersi, non si dimise, dando invece luogo, il 30 ottobre, ad un governo di unità siciliana, cui parteciparono deputati democristiani dissidenti, socialisti, un indipendente di sinistra eletto nelle liste comuniste, missini e monarchici. Solo alla vigilia delle elezioni regionali del 1959 sarebbe nata, come secondo partito cattolico, l'Unione siciliana cristiano-sociale, di cui fu segretario politico Francesco Pignatone. Ciò, per l'iniziativa di Ludovico Corrao e di Pignatone, ma con una certa riluttanza da parte di Milazzo.
Molte sono state, in sede di analisi storica, le interpretazioni della Operazione Milazzo e del convergere intorno a lui dei consensi di sinistra e di destra(7). Per lo più si è ritenuto però fondamentalmente che il governo Milazzo era sorto come l'epilogo di un diffuso sentimento di ribellione al centralismo fanfaniano di Roma che, facendosi interprete dei grandi industriali del Nord, tendeva ad ostacolare le nuove spinte autonomistiche che, attraverso la società finanziaria a capitale pubblico Sofis, pareva potessero staccare la Sicilia dalle linee generali del Governo nazionale e della Confindustria, in fatto di interventi nell'economia del Sud e, particolarmente, nell'impostazione del sistema di sfruttamento dei promettenti giacimenti petroliferi scoperti in Sicilia. E ciò con grandi prospettive di sviluppo per la Sicilia. Tra la Confindustria e la sua sezione di Palermo, la Sicindustria presieduta dall'ingegnere La Cavera, si era determinata, del resto, una seria spaccatura.
Sulla base di questa interpretazione dei fatti che vedono nell'operazione Milazzo l'ultimo conato di indipendentismo della Sicilia, Milazzo fu moralmente sostenuto, popolarmente, da quanti vivevano in un clima di rivalsa sicilianista, di illusoria euforia per la scoperta del petrolio e di speranza, finalmente, di un possibile ribaltamento della condizione "meridionale" della Sicilia, data una certa fiducia in una Regione che potesse mostrarsi veramente autonoma da Roma. In sede politica, Milazzo fu sostenuto da quanti avevano visto in La Loggia un uomo legato ai grandi monopoli del nord ed alla corrente fanfaniana: donde la diffidenza per una politica che avrebbe potuto sfuggire dalle sedi siciliane ed un certo ostruzionismo verso le sue proposte in Assemblea regionale, e le conseguenti critiche alla staticità del suo governo. Tutte tali condizioni, che i socialcomunisti avevano colto al volo nella loro strategia di scalata del potere, avevano portato alla bocciatura a scrutinio segreto (con il tradimento di molti franchi tiratori democristiani) del bilancio della Regione per l'anno finanziario 1958-'59, presentato appunto dalla Giunta La Loggia.
Né erano mancate, naturalmente, le ragioni personali dell'uomo politico Milazzo il quale aveva visto convergere sul suo nome l'attenzione delle opposizioni altre volte. Già nel 1955, egli era stato eletto presidente della Regione con i voti dell'opposizione, ma si era dimesso e, in occasione del primo governo La Loggia, sebbene non proposto dalla maggioranza ufficiale, era stato eletto ugualmente come assessore; ma questa volta non si dimise: fu solo relegato in un Assessorato secondario. Ma queste ultime ragioni furono soltanto una condizione favorevole, il brodo di coltura di un fenomeno destinato comunque a verificarsi, a compimento d'una certa storia ormai svoltasi e nella quale la condizione di Milazzo era stata probabilmente attentamente studiata da chi sognava la rivolta anti D.c.
Ricordàti brevemente i fatti, sui quali vi è un'ampia critica storica, va detto che Il domani non ebbe esitazioni a condannare immediatamente l'operazione. Già nell'edizione dell'1 novembre si definiva re travicello il nuovo presidente della Regione e si avvertiva che egli nient'altro sarebbe stato se non un comodo sgabello per i socialcomunisti: "I partiti di sinistra sperano di veder collaudata ancora una volta la politica togliattiana del tanto peggio-tanto meglio". Ed ancora: "Si qualifichi perciò questo governo come coalizione sostenuta dai comunisti al solo e dichiarato scopo di combattere la Democrazia cristiana; si qualifichino gli assessori come complici coscienti o involontari del gioco comunista; si qualifichi quella che si vuol gabellare per una radiosa aurora come l'estremo tentativo di avvalersi di alcuni errori della D.c. per tentare di arrestare il cammino di rinnovamento della Sicilia"; ed addirittura: "Lotta ad oltranza contro il mito Milazzo(8) … e gli uscocchi(9)".
Innumerevoli furono gli articoli di critica sull'inconcludenza ideologica e programmatica e sulla pericolosità dell'operazione. A riassumerne lo spirito potrebbero servire da sole le vignette di Franco Nicastro e specialmente quella che il giornale pubblicò nel numero del 15 novembre 1958, in cui si vede Milazzo al suo scrittoio sotto i ritratti di Kruscev, Mussolini ed Umberto II: sintesi di pensieri inconciliabili.
Inconciliabile con la dichiarata permanenza di Milazzo nell'area cattolica sembrava la presenza incombente, nell'operazione, di Emanuele Macaluso, leader regionale del P.c.i., il cui attaccamento al comunismo sovietico si manifestava proprio in quei giorni: "L'onorevole Macaluso va a Mosca al XXI congresso del Partito comunista russo - informava l'editoriale del 2 gennaio 1959 - è una notizia che dovrebbe far meditare in Sicilia l'on. Milazzo… nel rigido mondo comunista infatti un viaggio a Mosca, in una occasione simile, costituisce un premio che viene attribuito in base ai meriti e all'importanza del personaggio invitato: è una specie di consacrazione ufficiale che si riceve ad limina in riconoscimento dei servizi prestati. E l'on. Macaluso, guida effettiva del comunismo siciliano, ha reso un grosso servizio al comunismo italiano: è riuscito infatti a dimostrare che, malgrado tutte le tragiche esperienze a cui il comunismo, fin dal suo sorgere, ha sottoposto l'umanità, esistono ancora all'interno del mondo occidentale i cosiddetti utili idioti, disposti a credere che col comunismo sia possibile scendere a patti, percorrere strade insieme, servire scopi che siano diversi da quelli che in quel determinato momento sono utili per il Partito comunista …".
In questo tono il giornale proseguì fino alle elezioni per il rinnovo dell'Assemblea regionale, svoltesi il 12 giugno 1959, per le quali l'U.s.c.s., il partito di Silvio Milazzo, si presentò col simbolo della croce latina sul profilo della Sicila. I risultati confermarono "l'insostituibile funzione della Democrazia cristiana", come annunziò il giornale(10). In effetti. La D.c. aveva "tenuto" ma i cristiano-sociali avevano conseguito oltre il 10 per cento dei voti, erodendo l'elettorato di destra.
Si presentò dunque una "situazione nebulosa"(11) per la formazione del nuovo governo, perché "l'atteggiamento dei partiti di destra è stato almeno in sede di segreterie nazionali drastico e chiaramente preclusivo ad ogni ulteriore collaborazione in sede di governo regionale con i comunisti, comunque camuffati … ma non abbiamo ancora il parere degli onorevoli Grammatico, Occhipinti, Mangano, Marullo, Pivetti circa le prospettive di formazione del prossimo governo".
Il citato onorevole Grammatico, protagonista di quei fatti in quanto deputato, allora, del M.s.i. e poi storico degli stessi fatti, assicura ora che il suo partito non aveva un patto con la D.c. per la conclusione dell'operazione, prima delle elezioni; ma che l'impraticabilità del suo proseguimento scaturì dalla volontà del P.c.i. di partecipare direttamente alla giunta(12), il che, sebbene nei fatti non sia avvenuto, segnò uno spostamento verso sinistra delle intenzioni di Milazzo e soprattutto dei suoi più stretti collaboratori: specialmente di Corrao. Da qui, ancora una giunta presieduta da Milazzo dal 20 agosto al 17 dicembre 1959, eletta con l'appoggio dei comunisti ma senza una solida maggioranza, in un'Aula dimezzata, sebbene fosse stata tentata prima una maggioranza U.s.c.s. - D.c.
In vista di un tale sbocco, il giornale, divenuto possibilista, aveva spiegato: "Il dilemma che si offre alla D.c. è: collaborare con Milazzo o passare all'opposizione (…) e non è esatto che si tratterebbe di collaborare con il P.c.i., dato che l'U.s.c.s. si è dichiarata disposta a formare un governo con la D.c., cui partecipino rappresentanti del P.l.i. e del P.d.i. (49 voti): rappresenterebbe una soluzione democratica del problema"(13). Ma, come ora si sa, la storia correva verso l'esaurimento delle ragioni e delle energie che avevano determinato quell'esperimento.
L'8 dicembre, con una edizione straordinaria e titolo a caratteri enormi su nove colonne, il giornale annunziava: "Finalmente. L'on.le Silvio Milazzo ha rassegnato le dimissioni dal governo regionale", e spiegava: "È caduto perché ha tramutato l'obiettivo autonomistico con il quale si era sforzato di accreditarsi dinanzi alla Sicilia con l'opportunistico pericoloso obiettivo del fronte popolare". Altro titolo diceva: "La nostra Sicilia riprende il cammino della rinascita". In effetti, il motivo "tecnico" delle dimissioni era stato, come per la caduta del governo La Loggia, la bocciatura a scrutinio segreto del bilancio.
Ma l'euforia durò poco: il numero del 18 dicembre annunziava, nuovamente su nove colonne: "Milazzo rieletto Presidente della Regione: riesumato il cadavere del Fronte popolare". Quindi il clima confusionale che porterà appena due mesi dopo all'affaire Corrao-Santalco, ossia al tentativo di corruzione, svoltosi all'albergo delle Palme, per l'acquisto del voto mancante alla ex maggioranza (avendo, Benedetto Majorana della Nicchara, lasciato la coalizione milazzista) e quindi alla chiusura definitiva della c.d. Operazione Milazzo. Era, secondo il giornale, il "naturale rigurgito di un movimento di affarismo e corruzione"(14); mentre la fine di Ludovico Corrao, l'odiato artefice di tutte le più spericolate ed oscure trame anti-D.c., veniva commentata con particolare rigore, con sarcasmo e perfino con disprezzo. Eloquentemente, una tale sconfitta personale, era descritta puntualmente nella vignetta di Franco Nicastro, con Corrao in abiti da Napoleone che, in un triste tramonto, cavalcando un somaro, si avviava alla sua S. Elena, la natia Alcamo. E tutto ciò perché Silvio Milazzo aveva respinto l'accordo con la D.c., "solo perché la D.c. non volle fare da madrina al battesimo democratico del Partito comunista, che lo stesso Milazzo intendeva pregiudizialmente celebrare". Aveva rifiutato un'alleanza con la D.c., una larga maggioranza ed un programma sinceramente autonomistico "perché più importanti per lui erano le suscettibilità dei ventidue deputati comunisti"(15).
Quello che dell'operazione Milazzo è messo in evidenza dal giornale, come pericolo per le sorti del nostro Paese, è soprattutto l'intento comunista di servirsi di essa per accreditarsi come partito di governo perfettamente democratico e, comunque, per conquistare il potere in qualsiasi modo.
Analogo pericolo, ma questa volta su basi di violenza, il giornale vedeva nelle manifestazioni comuniste di piazza, con annessi scontri con le forze dell'ordine, esplose in molte città d'Italia, dichiaratamente contro l'intenzione del M.s.i. di tenere il proprio congresso nazionale a Genova il 2 luglio del 1960, ma sostanzialmente contro il governo presieduto da Tambroni, reggentesi col voto determinante del M.s.i.
In Sicilia, nel corso delle manifestazioni di Licata (5 luglio) e di Palermo (8 luglio), si registrarono due morti e diverse decine di feriti. Il domani commentava, sotto il titolo "Le grandi manovre del colpo di Stato": "I comunisti si trovano oggi in una tipica situazione di isolamento, poiché i socialisti non sono più legati a filo doppio con loro come una volta: sicché è logico che tentino disperatamente di conquistare il favore delle masse popolari con tutti i mezzi e con ogni sistema, cercando quindi di partecipare prima e di guidare poi qualsiasi manifestazione di protesta. Approfittando del congresso che incautamente i neofascisti volevano tenere a Genova, i comunisti hanno esasperato le dimostrazioni di protesta, non tanto in qualità di vergini vestali dell'antifascismo ma solo con lo scopo fin troppo apparente di colpire il governo Tambroni pesantemente appoggiato a destra… Sono state e saranno organizzate squadre, anzi squadracce di ragazzini, i quali accettano con entusiasmo il compito di prendere a sassate i poliziotti, sicuri di avere alle spalle dei validi difensori che, le loro intemperanze e le loro violenze, chiameranno sempre manifestazioni di protesta (…) nella speranza di pescare nel torbido e di ricreare un clima da 1922, dal quale dovrebbero essere loro, questa volta, ad uscire vittoriosi"(16): perché, come titolava il numero successivo, "hanno il fez nel cassetto"(17).
Quel clima, la cui conseguenza era stata il Fascismo conclusosi appena quindici anni prima, poteva tutto sommato riaccendersi, dato il perdurante ed accanito massimalismo antioccidentale ed anticapitalista che caratterizzava ancora la base comunista, specialmente nel nord d'Italia, e quindi non potrebbe dirsi ora azzardato il commento del giornale.
Conclusosi, comunque, il periodo del milazzismo e postosi fine al governo Tambroni, tornava a rafforzarsi l'interesse del giornale per la politica industriale ed economica del governo regionale, alla cui testa la D.c. era tornata definitivamente (ossia per durare fino agli inizi degli anni Novanta, quando questo partito cesserà di esistere). Si poteva così annunziare con autentico entusiasmo che, alla presenza di Enrico Mattei, si erano presentati i primi impianti di raffinazione del petrolio estratto nella Sicilia meridionale: "Con l'inaugurazione del complesso petrolchimico di Gela è nata per la Sicilia una nuova speranza". Le lunghe e dettagliate cronache parlavano del "Texas dell'Europa" e della "fase d'una poderosa trasformazione economica"(18).
Del resto, con i governi di centro-sinistra presieduti da Giuseppe D'Angelo, si era raggiunta una certa stabilità nella composizione delle maggioranze, ormai di centro-sinistra, essendosi definitivamente conquistato all'area, sicuramente democratica e moderata, il Partito socialista italiano di Pietro Nenni. L'8 settembre 1961 il giornale aveva annunziato: "Eletto D'Angelo. Il centro-sinistra formula necessaria per l'avvenire della Regione. Destra e comunisti posti ai margini del gioco" e spiegava come ormai il P.s.i. avesse imboccato la via della democraticità staccandosi sempre più dal modello più ortodossamente marxista ed antioccidentale del P.c.i. Della quale spiegazione vi era certamente bisogno per i lettori, perché l'atteggiamento culturale di tutti quelli che non avevano fatto una scelta anticapitalista era sempre quello che i socialisti fossero marxisti, legati al P.c.i. e quindi a Mosca. Gli Stati Uniti, d'altra parte, guardavano con sospetto alla riconversione del partito di Nenni verso la socialdemocrazia ed ai governi di centro sinistra, temendo che obiettivo di tali operazioni, da parte del P.s.i., potesse essere la creazione di un grande fronte sotto il controllo dei comunisti(19).
Mentre la partecipazione dei socialisti ai governi regionali, appunto di centro-sinistra, è sostenuta dal giornale come idonea forma di reggimento della cosa pubblica in quel segmento di storia, salvo polemizzare con i singoli responsabili socialisti per i loro giochi tattici per la conquista di piccole fette di potere, in occasione delle lunghe e frequenti crisi avutesi sul finire degli anni Sessanta(20), con i comunisti la posizione di netta chiusura restava quella pregiudiziale dell'inconciliabilità ideologica di fondo.
Proprio nell'autunno del 1968 si era avuta, del resto, l'occupazione sovietica della Cecoslovacchia che il giornale commentava così: "Un'altra tragedia si è compiuta nel cuore dell'Europa: ed essa non riguarda solo i cecoslovacchi, ma ci coinvolge tutti ed avrà ripercussioni sul destino di tutti (…). I comunisti italiani hanno condannato l'intervento russo come un errore degli attuali dirigenti sovietici: un errore che può essere corretto. Essi sanno però che non si tratta tanto di un calcolo sbagliato dei dirigenti russi quanto del corollario inevitabile della concezione comunista della lotta politica. Certo è evento notevole il fatto che il P.c.i., almeno pubblicamente, rinneghi il concetto dello Stato-guida: ma non è sufficiente a far sì che il P.c.i. possa essere assimilato ad un partito democratico. Il nodo è costituito dal leninismo: dal concetto di partito-guida e non da quello di Stato-guida. Ed è un nodo che il P.c.i. deve ancora affrontare; e gli altri partiti aiuteranno il P.c.i. a sciogliere questo nodo non con dialoghi improvvisati ma ponendo come condizione preliminare al P.c.i. il rinnegamento di quegli schemi ideologici e operativi che inevitabilmente portano ad eventi come quelli ceki di questa settimana(21)".
Quando, in mezzo alle ricorrenti crisi governative alla Regione, accadde nel 1968 il terremoto del Belice, con oltre trecento morti ed interi paesi da ricostruire ed assistere, parve al giornale che i comunisti volessero sfruttare l'occasione per una loro avanzata verso il quadro governativo e commentò così: "La pertinacia con la quale i comunisti, ad ogni occasione, rispolverano la proposta di una formula unitaria di governo è veramente degna di miglior causa. Tutte le occasioni sono buone: ultima, quella del terremoto. Già da qualche giorno il quotidiano paracomunista palermitano, nei commenti al disastro, suggeriva la formazione di un governo che comprendesse i comunisti: adesso ha reso più esplicita la proposta suggerendo o facendo suggerire, da una serie di sindaci, la costituzione di un governo di unità siciliana (…). Non varrebbe, forse, neanche la pena di fermarsi a commentare queste proposte, se esse non rivelassero, a prima vista, il loro reale contenuto: che è quello di utilizzare ogni occasione, compresa quella tragica del terremoto, per perseguire un fine che con i terremotati e con la Sicilia non ha altro rapporto che quello strumentale, tipico dei comunisti. E' auspicabile che anche coloro che incautamente, seppur con le migliori intenzioni del mondo, si prestano al gioco dei comunisti si rendano conto che un governo di unità, cosiddetta popolare, sarebbe (e noi siciliani ne abbiamo esperienza) un effetto del terremoto: e invece che ad accelerare servirebbe a ritardare la ricostruzione e la rinascita della Sicilia occidentale. Sarebbe cioè un rimedio che, piuttosto che guarirli, aggraverebbe i mali antichi e recenti(22)".
Malgrado tutto ciò, il giornale pare volesse essere la spinta occorrente alla Democrazia cristiana per un uso quanto più utile del potere. Si parlava così della necessità d'una profonda riforma burocratica, come del resto si è sempre fatto in Italia dalla fine della seconda guerra mondiale in poi.
Gli impiegati statali erano circa un milione e mezzo; più di tanto i pensionati; per cui si informava che una tale situazione "ingoia(va) più della metà dei fondi disponibili dello Stato"; conseguentemente, perdurando una tale condizione, "lo Stato dovrà accontentarsi di fare le funzioni dello sportello-cassa, anzi di semplice passamano: incassare tasse e tributi e pagare impiegati e funzionari. Non ha altro da fare, non ha altre possibilità"; quindi si avvertiva che "l'Italia si trova oggi nell'impellente necessità di scegliere senza perdere tempo e senza possibilità di scappatoie: o fa la riforma dell'amministrazione, cominciando col disboscare la selva burocratica di una parte dei dipendenti, riducendo il numero di questi ultimi all'indispensabile, oppure si appresta a lasciarsi asfissiare sul suo letto burocratico assieme alla sua economia(23)".
E si parlava anche della programmazione economica: c'era in vigore allora il Piano verde per l'agricoltura; lo Stato preparava il Piano nazionale di sviluppo; nelle scuole di pubblica amministrazione si studiava programmazione economica e sociale ed anche l'Assemblea regionale discuteva un piano (1966-1970) perché, come diceva Il domani, "il futuro della Sicilia è nella programmazione" e "adesso la programmazione procede spedita" perché "in ogni caso l'attività politica della Regione sarà influenzata dal piano(24)". Si combatteva perciò l'uso smodato delle leggine che piovevano a dirotto ad ogni conclusione di legislatura, appesantendo ed ipotecando i bilanci della Regione per molti anni futuri, soltanto per fini clientelari. Il 16 marzo del 1967, poco prima delle elezioni regionali del giugno successivo, il giornale comunicava: "All'Assemblea regionale siciliana si sta smobilitando: è tempo di leggine!", e commentava quanto sarebbe stato utile viceversa procedere "globalmente" ad una revisione della legislazione vigente onde depurarla di fonti di spese inutili ed addirittura dannose per lo sviluppo reale della Sicilia.
La quale Sicilia era vista, oltre che nell'ottica d'una utile azione politica della Regione, anche nel contesto della Questione meridionale(25). Erano, del resto, i tempi in cui si poneva particolare attenzione, nelle sedi scientifiche soprattutto, alla fragilità del tessuto sociale del Mezzogiorno d'Italia ed al sistema di energie che in tale area operava ancora fuori dal quadro di uno Stato moderno. Erano ancora i tempi di Danilo Dolci e della sua Inchiesta a Palermo (1956), delle opere di Rocco Scotellaro e di riviste come Nord e Sud, Cronache meridionali, Prospettive meridionali, ecc.
Eppure, nella consapevolezza che la Sicilia era parte della "questione meridionale", Il domani criticò severamente Danilo Dolci e i suoi progetti esprimendo un certo orgoglio sicilianista, forte forse del suo alto livello - siciliano - di vedere le cose. Non tutti i mali della nostra terra erano una esclusività siciliana: "Quante non se ne sono dette e scritte sulla Sicilia. Sono state tirate in ballo la società retrograda siciliana, la mentalità semi-civilizzata dei siciliani, l'innata tendenza dei siciliani a delinquere, o nella migliore ipotesi all'omertà, la loro asocialità congenita, le eredità ancestrali, l'ignoranza, la depressione economica, l'abbrutimento sociale, le collusioni tra mafiosi e politici, e non sappiamo più quante altre cose ancora. A forza di sentircene dire di tutti i colori, abbiamo finito col farci un complesso, col convincerci che noi siciliani siamo una maledetta razza a parte, che siamo nati tutti con la mafia nel sangue. E in tutta Italia siamo guardati come bestie di altra specie, e tutto quello che facciamo porta l'impronta indelebile della natura mafiosa. Ricordiamo che una quindicina di anni fa, o giù di lì, fu eletta Miss Italia una siciliana. Ebbene fu detto e scritto, anche da giornaloni seri e a tiratura nazionale, che in quell'elezione c'era lo zampino della mafia. Perché? ma perché l'eletta era una siciliana, che diamine! Se però ci proviamo a parlare di una delle centinaia di situazioni di mafia che prosperano in Italia, allora lì la razza particolarmente dotata non c'entra più, non si parla più di inclinazioni particolari, non si scrivono più trattati, non si fanno più films, non ci sono inviati speciali, non ci sono casi Genco-Russo, né commissioni Pafundi, né mobilitazioni di polizia e di magistratura, né motivi di legittima suspicione"(26).
Con gli occhi di oggi e considerando le accuse di filomafiosità che negli anni Ottanta saranno rivolte a personaggi della D.c., spesso dai comunisti e talvolta anche dall'interno della stessa D.c., è chiaro che questi articoli toccavano incautamente un tasto pericoloso. Ora sarebbero spiegati come indizi di quel disimpegno che gli antidemocristiani hanno spesso rimproverato al partito che per oltre mezzo secolo ha avuto la responsabilità di governare il nostro Paese. Qualche scusante, tuttavia, potrebbe derivare da una considerazione storicistica del tempo in cui furono scritti, non essendo ancora esploso negli anni Sessanta l'attacco frontale delle cosche mafiose contro lo Stato e permanendo una certa diffusa e superficiale cultura secondo cui l'onorata società era nient'altro che l'inevitabile, marginale aspetto malavitoso e perfino pittoresco della Sicilia, come in molte altre città del mondo, come la guapperia delle canzoni napoletane ed il romantico brigantaggio della Barbagia.
Saranno però, poi, la sinistra, la società laica ed un certo mondo cattolico e del volontariato (che per questo si sarebbe allontanato, agli inizi degli anni Settanta, dall'ortodossia democristiana), a pretendere una qualificazione antimafia decisa ed espressa in ogni azione politica. Il domani, dopo l'uccisione del giudice Terranova, del suo collaboratore Lenin Mancuso, del capo della squadra mobile Boris Giuliano, del segretario provinciale di Palermo della D.c. Michele Reina, in uno sfondo di decine di persone uccise a Palermo per varie cause, nel 1979, commentava che "ormai a Palermo non si salva più nessuno: L'escalation della violenza e del sangue non ha avuto soste in questi mesi", ed osservava che "gli attuali mezzi di prevenzione e di repressione sono del tutto inefficaci di fronte al crimine organizzato e al terrorismo mafioso"; ma non si spingeva fino a chiedersi se la crescita della delinquenza organizzata fosse anche il frutto di commistioni nell'amministrazione pubblica di poco limpidi interessi affaristici di organizzazioni delinquenziali. Si chiedeva, invece, se fosse veramente attuale parlare di morte della prima Repubblica, come facevano sociologi ed economisti come Ardigò, Scoppola, Pedrazzi, che il giornale indicava criticamente come "i cattolicissimi del nord" ed ai quali contestava che, sebbene formatisi nel pensiero sociale cristiano, con i loro progetti di rivoluzionarie riforme sociali, facessero tutto sommato il gioco dei comunisti: "vogliono una società cattolica-marxista"(27).
Ma il malessere che colpiva la polis, costruita dopo la guerra con tanta fiducia nella democrazia e nella guida dei cattolici italiani, pervadeva sul finire degli anni Settanta proprio la coscienza sociale ed era avvertita finanche dai poeti. Mario Luzi scriveva:

Muore ignominiosamente la Repubblica.
Ignominiosamente la spiano
i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti.
Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto.
Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani,
si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi sciacalli…

Ed Il domani non poteva non registrare una tale situazione, sebbene a malincuore, alla fine del 1980; tale era lo stato di malessere a livello sociale: "Questo 1980 che se ne sta andando sarà annoverato certamente come uno degli anni peggiori; se non il peggiore dal dopoguerra ad ora. E se questo è vero in campo internazionale, è certamente indiscutibile per l'Italia".
Citava due crisi di governo, il terrorismo (strage della stazione di Bologna; uccisione di Piersanti Mattarella, Gaetano Costa, Vittorio Bachelet, Walter Tobagi, di diversi magistrati e funzionari pubblici); il terremoto in Campania e Basilicata con circa seimila morti; l'aereo DC-9 precipitato a Ustica; l'accentuazione dell'inflazione; l'esplosione della questione morale; ed osservava: "In questi ultimi mesi, poi, la cadenza degli eventi infausti ha assunto un ritmo settimanale e non accenna a finire. Ultimissima notizia, l'aumento del prezzo del petrolio deciso a Bali dall'OPEC (…)". Occorreva affrontare la questione morale "e questo è compito che spetta in gran parte alla D.c.; essa deve rinnovarsi dall'interno, sciogliendo davvero e finalmente le correnti che sono all'origine del suo malessere", perché la Democrazia cristiana non era un partito politico, sia pure il più forte, ma era la vera guida del Paese e pareva che questo ruolo non potesse avere alternative; per cui ogni riforma che si potesse suggerire al Paese, prima occorreva chiederla alla Democrazia cristiana ed il problema che essa dovesse rinnovarsi, ricomponendo la propria unitaria e morale autorevolezza, cominciò ad essere il problema non solo di questo partito, ma di tutta la nazione ed il termine rinnovamento fu il vessillo ostentato dagli uomini politici democristiani fino a quando, tentando vanamente di essere un nuovo partito, per una nuova politica, per una nuova Italia, la D.c., nel 1993, cesserà di esistere.
Ma forse Il domani, oltre che nel rinnovamento della D.c. ed in alcune necessarie riforme, non credeva tanto in possibili rivoluzioni né in profondi mutamenti politico-sociali e, constatando una certa inamovibilità della Democrazia cristiana dal governo del Paese (ma chi credette seriamente al contrario negli anni Settanta?), auspicava e studiava il possibile.
Oltre che richiedere una riforma dell'Amministrazione, nel suo aspetto di riorganizzazione degli uffici e del personale, il giornale avrebbe col tempo maturato anche il convincimento che, per un'efficace azione pubblica, occorresse una riforma più profonda: quella di tutto l'apparato regionale, dei suoi uffici periferici, dei suoi enti, dei Comuni e delle Province. E ciò decentrando soprattutto verso questi ultimi competenze e mezzi finanziari; cosicché nel corso della crisi tra il governo Bonfiglio ed il primo governo Mattarella (febbraio 1978) il giornale notava che, prima di ogni riforma cosiddetta di struttura e prima di ogni intervento nel settore economico, occorresse riformare l'amministrazione centrale, quella periferica e quella degli enti locali perché "la Sicilia autonomistica è stata costruita male: una testa gigantesca su arti deboli (…); si vitalizzino le articolazioni periferiche dell'apparato pubblico oppure la paralisi, la lentezza e le occasioni sprecate si andranno moltiplicando".
Eppure il governo presieduto da Piersanti Mattarella (marzo 1978), che volle la prima seria legge di decentramento, in favore di comuni e province, di significativi settori delle competenze regionali (legge regionale 2 gennaio 1979, n. 1), non fu accolto con favore dal giornale. Mattarella, infatti, aveva accettato la disponibilità del P.c.i. per un cambiamento di equilibri nell'assetto dei poteri, in modo soprattutto da riscattare la Sicilia da certi condizionamenti locali, ormai consolidati e soprattutto da quelli di certi potentati affaristici e perfino mafiosi(28).
Il giornale faceva pesare il suo meditato anticomunismo rilevando l'inefficienza del governo Mattarella, consentito appunto dal P.c.i. mediante la partecipazione alla relativa maggioranza, sebbene non partecipando ufficialmente alla relativa compagine governativa. I titoli del giornale sono eloquenti: "Contestato al neo-eletto il suo voltafaccia sulla linea politica ufficiale della D.c."(29); "Varato il governo Mattarella con l'ausilio del P.c.i.: dopo 90 giorni (di crisi) hanno fatto il colpo"(30); "Permane l'immobilismo alla Regione: i comunisti minacciano il governo Mattarella"(31); "Alla Regione, in vista della ripresa (dopo la pausa estiva) parole, parole … Piersanti Mattarella a caccia di farfalle"(32), ed il 15 febbraio del 1979 titolava: "Alla Regione c'è un governo pieno di nebbia" e "Non passa giorno che non salti sù qualcuno a denunziare l'immobilismo e le inadempienze del governo regionale, il quale però rimane là, fermo immobile, tanto da potere apparire tranquillo. Primeggiano in queste denunce i comunisti i quali, almeno dall'autunno dello scorso anno, sottopongono il governo regionale alla pratica delle docce scozzesi (…). Il rappresentante del P.c.i. ha cominciato con l'affermare d'avere l'impressione che la maggioranza cominci a girare a vuoto".
In marzo si parlò già di "crisi latente", il cui motore era ovviamente il P.c.i. "con le sue dichiarazioni, interviste, documenti che hanno messo sotto accusa il Presidente della Regione ed il governo da lui presieduto", in attesa di ricevere da Roma l'incoraggiamento ad una collaborazione con la D.c., mediante la formazione di un governo La Malfa con astensione comunista. Ma l'incoraggiamento da Roma non giunse perché La Malfa rinunziò all'incarico, dato il rifiuto della D.c. ad un diretta partecipazione dei comunisti al governo, mediante la nomina di due ministri della sinistra indipendente (Altiero Spinelli e Silvio Spaventa). Da qui la crisi in Sicilia del governo Mattarella.
La contrapposizione del giornale al P.c.i. e alle sue proposte di un "compromesso storico" restò sempre netta, tanto che il 26 aprile poteva comunicare con soddisfazione: "Un logico No al governo con il P.c.i.: questa è la conclusione alla quale è arrivato, sia pure faticosamente, il Consiglio nazionale della Democrazia cristiana". Conseguentemente, si accentuava il disfavore per le aperture a sinistra di Mattarella. Forse il giornale contribuiva così - seppure inconsciamente - a determinare quello stato di isolamento nella coscienza popolare in cui Mattarella cadrà presto e che favorirà la sua uccisione per mano di mafia il 6 gennaio 1980.
Ma il giornale, attentissimo ai temi tecnici dello sviluppo possibile della Sicilia, fino a produrre serie indagini sui problemi dell'industrializzazione, dei rapporti tra la Sicilia e l'Eni, degli interventi della Cassa per il Mezzogiorno, del ruolo dei due grandi istituti di credito siciliani, dell'azione degli enti economici regionali e del progressivo incidere della politica comunitaria sugli interessi della Sicilia, non fu forse estremamente attento a certi contraccolpi che la società opponeva all'immobilismo che la "democrazia bloccata" determinava. Non poté comunque esimersi, nel 1968, dal gettare uno sguardo, sia pure dalla finestra, su quello che stava succedendo nel mondo giovanile e che si andava manifestando non solo nelle piazze e nelle scuole, ma addirittura nella coscienza collettiva, per il diffondersi del verbo "contestatore" di Cohn-Bendit e del suo seguace italiano Mario Capanna.
L'atteggiamento fu quello dei borghesi benpensanti che, più che altro sbalorditi, vedevano nel fenomeno una sorta di parata fuor di luogo di velleitarismi pseudo-rivoluzionari causati dal solito malessere edipico dei figli contro i genitori(33): stranamente di figli cui, non avendo essi provato i rigori della guerra, appartenendo, per lo più, a ceti borghesi benestanti e non avendo ancora provato i problemi del lavoro, sembrava addirsi quella che Montanelli definiva una "colossale sbornia provocata da un cocktail ideologico nel quale Marx e Marcuse, Ho Ci Min e Che Guevara, Rudy Dutschke, Freud e Mao ed un operaismo fumoso si mescolavano disordinatamente"(34).
Più che altro, Il domani, abituato a considerare i problemi delle nette contrapposizioni delle ideologie storicamente consolidatesi (socialismo, fascismo, liberismo, marxismo, socialità cristiana, ecc.) e delle tradizionali classi sociali (operai, proprietari, media borghesia, disoccupati, ecc.) si limitò a rilevare le illogicità dello strano trambusto recato da quei giovani ad una società che, a fatica, stava affrontando problemi più gravi.
Solo alla fine dell'anno, dunque, il giornale si espresse così: "La contestazione comincia a darci il voltastomaco e, dei contestatori, cominciamo ad avere piene le tasche, non tanto perché essi turbano i nostri tranquilli (?) sonni borghesi, ma più perché cominciamo a sentirci presi per il fondo dei pantaloni. Abbiamo lo stesso sentimento che si prova quando, al cinema, ci si accorge di avere buttato via i quattrini per vedere una solenne bidonata (…). Questi figli di papà, viziati, sazi e stufi di tutto, recitano a soggetto, si fanno un sacco di pubblicità gratuita, si pagano tutte le tournées che vogliono e vanno a spasso allegramente nella Costa Smeralda o al lido di Venezia, a braccetto col fior fiore della società dei consumi, come sarebbero dive e divette del cinema, miliardarie celebri ed altri specimen della bella vita e del dolce far niente(35)". E siccome il tempo della contestazione fu anche il tempo in cui si rifletteva più che mai sull'opportunità che gli U.S.A. continuassero a spendere vite umane e a far pesare la propria forza militare in difesa del Vietnam del sud, problema di geopolitica estraneo agli americani, la contestazione aveva assorbito tra i propri interessi anche quello di … opporsi agli U.S.A. nella guerra del Vietnam. Il domani, osservando gli scioperi nelle scuole ed i cortei di studenti che, anche a Palermo, tifavano con passione per Ho Ci Min e contro l'America imperialista, esponeva così il proprio pensiero: "… la cosa comincia a diventare irritante quando queste grida di Viva il Vetnam vengono lanciate di rimando ad operai che protestano perché nel palermitano si sta male. Questi giovincelli forse ignorano che il nostro Vietnam noi lo abbiamo, appena fuori di Palermo, a Roccamena, a Montevago, a Salaparuta, a Villalba, a Leonforte: in cento paesi di questa Sicilia irrimediabilmente depressa (…). Questi allegri studenti che si rovinano i polmoni per un Paese dopotutto lontanissimo, che ostentano formazioni culturali avanzatissime, con conoscenze approfondite di Marcuse, che considerano ogni loro atto una contestazione, che criticano con tanta sicumera la civiltà dei consumi, ignorano la realtà più vicina, che non è meno tragica delle altre… ma la lotta per il Vietnam non costa altro che chiacchiere e carnevalate; la lotta per questo nostro Vietnam comporta impegno, partecipazione, attività. Nel Vietnam vero nessuno andrà a lasciarci la pelle; nel Vietnam siciliano, chi vuole andare a dare una mano deve fare sacrifici e metterci del suo(36)".
Più tardi, alla ripresa contestativa del 1977, quando si svilupperà quel certo modo di parlare da rivoluzionari, ma insieme elegante e ricercatamente moderno, fatto di parole-chiave e di classicizzate espressioni convenzionali, tale da aver creato, dentro la lingua italiana, un vero nuovo gergo, detto ironicamente "sinistrese", Il domani osservava, con la stessa decisa avversione: "Giorgio Bocca, che di sinistrismo si intende, per esserci dentro da sempre, così ha definito il sinistrese: un'invenzione borghese, un prodotto delle scuole medie e dell'università, messo insieme con i cascami degli studi borghesi su Marx, sulle rivoluzioni asiatiche e sudamericane e con un pout-pouri d'opere figliate o aborrite dalla scuola di Francoforte o da quella di Lukács. L'analisi è quanto mai precisa, ma non completa. Ad essa bisogna aggiungere che tutto questo fumo di parole che significano tutto o niente, questa insalata di termini marciti, rubacchiati qua e là senza nesso e ripetuti nei collettivi, nelle assemblee, nei salotti radical-chic, con monotonia ossessionante, è assortita d'una abbondante dose di manicheismo, per cui il rivoluzionario che parla sinistrese, per questo solo motivo, è il solo detentore della verità e il solo conoscitore del bene e del male. È grazie al sinistrese che, per esempio, la tortura fa male nel Cile mentre è carezzevole nell'U.R.S.S., che chi spara ad un non-comunista fa opera di giustizia mentre chi spara ad un comunista commette assassinio(37)".
Ma la psicosi giovanile della ribellione e della lotta non si fermava nell'ambito dei contestatori e degli ambienti radical-chic; perché "a Palermo la destra cominciava a svegliarsi", come titolava Il domani nel luglio del 1969. Iniziava infatti a farsi sentire la "tensione degli opposti estremismi", per cui ad ogni azione giovanile di sinistra corrispondeva un'azione di destra e viceversa. Si trattò ovviamente di organizzazioni delle ali estreme delle due parti; tali, comunque, da determinare negli anni Settanta vere stragi di giovani, dell'una e dell'atra parte.
E il giornale evidenziava l'alba del fenomeno fornendo la mappa palermitana dei gruppi ribellistici di destra, commentando che "la destra dei manganelli germina e prolifica ogni volta che l'insipienza della sinistra fornisce l'occasione ai benpensanti di invocare aiuto per la patria in pericolo e li induce a guardare con fiducia agli uomini di azione, che scendono in lizza per ristabilire l'ordine e salvare gli istituti democratici…". Questo atteggiamento tradiva forse il disappunto per il mancato abbandono di certo massimalismo da parte dei socialcomunisti ai fini di una possibile più utile collaborazione col mondo cattolico; mentre la storia avrebbe dimostrato, poi, che il fenomeno delle azioni degli extra-parlamentari sarebbe stato molto grave nel nostro Paese, fra trame dei servizi segreti deviati, tentativi di golpe, violenze di estrema destra, Brigate rosse, ecc., fin dalla strage di Milano alla Banca dell'agricoltura del 12 dicembre 1969 e per tutto il decennio successivo, non per nulla passato alla storia come il tempo degli "anni di piombo". La storia avrebbe dimostrato anche che la mafia non era né questione trascurabile né aspetto del costume, né un'esagerazione dei comunisti o dei nostri concittadini del nord.
I collaboratori de Il domani furono molti, anche perché il giornale, avendo avuto vita lunga, consentì ampi ricambi, sebbene sempre sotto la direzione di Giuseppe Maggio Valveri, autore assiduo degli editoriali di quasi ogni numero. Tra i più assidui autori, vanno ricordati Francesco Cammarata, scrittore e, poi, dirigente dell'ufficio stampa della Presidenza della Regione, i giornalisti Tonino Zito, Nicola Ravidà, Mario Obole, Salvatore Tomasino, Mario Palumbo, Giancarlo Licata, Riccardo Sgroi, Franco Colombo, Agostino Mulè, Mauro Turrisi Grifeo, Michele Russotto, Vito Vaiarelli, ed inoltre: Giuseppe Mannino, Ferdinando Russo, Alberto Vinci, Alfredo Daidone, Antonio Falcone, Giulio Santoro, Maresti Savona, Antonino Saracino, Alfio Mangiameli, l'architetto Rodo Santoro, Franca Colonna Romano, Eugenio Guccione, professore di storia delle dottrine politiche, l'etnologo Aurelio Rigoli, Anna Barbera, autrice di interessanti pezzi sulle tradizioni popolari di Palermo, lo storico delle Madonie Antonio Mogavero Fina, il saggista di economia Pietro Cellino, il giurista Eugenio Di Carlo, Salvatore Crucillà, Francesco Giunta, Manlio Valli, Harriet Fahrig Emmer, Domenico Pulejo, Girolamo Leto, Giuseppe Gebbia. Ma, oltre agli articoli dei redattori e collaboratori, il nostro giornale conteneva spesso anche interventi di uomini politici di primo piano su questioni di fondo nella dialettica tra i vari orientamenti.
Intervenivano così Vincenzo Carollo, Mario Fasino, Graziano Verzotto, Paolo Bonomi, Mario D'Acquisto, Angelo Bonfiglio, Nino Muccioli, Rosario Nicoletti, ecc., realizzandosi nelle pagine del giornale una specie di tribuna semi-ufficiale per il dibattito e la diffusione delle idee dei vari opinion leader del partito di maggioranza e l'espressione di posizioni ufficiali : un po' come accade oggi con la partecipazione ai vari talk-show della televisione pubblica e dei canali privati locali. Il domani, del resto, fu un giornale d'ampia diffusione ed appare di solide basi economiche, come è dato dedurre dalla costanza, per un trentennio, di approfonditi servizi, di una eccellente impaginazione, di ricca documentazione fotografica, di numeri speciali di molte pagine e dalla presenza di pagine intere di pubblicità pagate da enti economici nazionali e regionali, banche ed industrie nazionali di primario livello (per es.: Shell, Rasiom-Esso, Sochimisi, IMI, Stet, Cassa di Risparmio, Banco di Sicilia, Enel, Fiat, ecc.).
Non secondario, anzi particolarmente curato, fu l'aspetto culturale del giornale. Nei primi anni vi comparvero, settimanalmente, come saggi di cultura contemporanea slava, racconti di Emiliano Stanov, Krum Grigorov, Dimitri Tavel, Vassili Papou; successivamente anche scritti letterari di Alberto Bevilacqua, Castrenze Civello, Tonino Zito e Massimo Bontempelli; note dell'etnologo Antonino Uccello e poesie di Antonio Osnato. Costanti furono la critica cinematografica di Gregorio Napoli e le recensioni di spettacoli musicali, teatrali e televisivi di Egle Palazzolo, le cronache e le critiche d'arte di Antonina Di Bianca Greco, i saggi culturali di Salvatore Orilia e le note di storia di Vladimiro Agnesi: fino a potersene auspicare ora delle interessanti antologie.
Va infine ricordato che la robustezza organizzativa del giornale e la sua lungimiranza nel cosiddetto campo dei media fu tale che, nel volgere degli anni Settanta, esso ebbe come proprio completamento un canale televisivo, Telesicilia, con studi a Palermo e buone collaborazioni giornalistiche. Morto, nel 1985, Giuseppe Maggio Valveri, il giornale proseguì per alcuni mesi, ma nel corso dell'anno successivo concluse la propria pubblicazione.


NOTE

1) * Nino Muccioli, siciliano, è nato a Milano il 2 marzo 1912. Laureatosi in lettere, si dedicò agli studi sulla storia e le tradizioni popolari della Sicilia. Fu contemporaneamente sindacalista, divenendo segretario regionale della Cisl; quindi deputato regionale della Democrazia cristiana ed assessore per la pubblica istruzione. Successivamente fu nominato presidente dell'IRFIS. Oltre ad avere fondato il periodico Il domani, pubblicò una serie di volumi di poesie e di studi di etnostoria. È morto nel 1998.
2) Giuseppe Maggio Valveri è nato nel 1924 ed è morto a Palermo nel 1985. Fu giornalista ed editore. Oltre ad aver fondato e diretto per circa trent'anni Il domani, fondò anche il periodico sportivo e di attualità Giorni di Sicilia e l'emittente televisiva Telesicilia cui collaborò anche il fratello Vito, più noto come giornalista sportivo. Tra gli anni Settanta e Ottanta, Telesicilia fu tra i più vivaci e seguiti canali televisivi tra quelli privati siciliani, sia per l'organizzazione tecnica di alto livello che per la sua attenzione ai problemi della politica e della crescita civile della Regione. L'attività di giornalista di Maggio Valveri è documentata soprattutto dalle centinaia di editoriali contenuti ogni settimana e per tanti anni ne Il domani, articoli che oggi costituiscono una continua e profonda interpretazione della storia politica di quegli anni: soprattutto nella ricostruzione storica del caso Milazzo e dell'avvento del Partito socialista tra le forze di governo della Regione siciliana.
3) Il domani, nn. 16,19-20,21-22 del 1958.
4) G. Maggio Valveri, Il domani, n. 1 del 9/1/1959.
5) Il domani, n. 5 del 17/5/1957.
6) Il domani, n. 16 del 24/5/1958.
7) Per inquadrare storicamente gli articoli de Il domani circa la c.d. operazione Milazzo, si suggeriscono le seguenti opere: Renda F., Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, Palermo 1987, vol. III; Grammatico D., La rivolta siciliana del 1958, Palermo, 1996; Chilanti F., Ma chi è questo Milazzo?, Firenze 1959: Hamel P., Da Nazione a Regione, Caltanissetta, 1984, pp. 64-76; Di Fresco A.M., Sicilia, trent'anni di Regione, Palermo 1976, pp. 46-55; Menighetti R. - Nicastro F., Storia della Sicilia autonoma, Caltanissetta 1998, pp. 97-122; Brancati S., Enrico Mattei? Un pescatore di trote, Palermo 1997, pag. 192; Spampinato A., Operazione Milazzo, Palermo 1979. Santalco C.; Quel 15 febbraio a Sala d'Ercole, Palermo 1993.
8) Il domani, n. 2 del 16/1/1959.
9) Così vennero chiamati dispregiativamente gli aderenti all'U.S.C.S., partito fondato da Milazzo, paragonandosi i suoi seguaci ai guerrieri slavi che, dopo la conquista turca dei Balcani del 1526, iniziarono una tenace lotta contro i nuovi dominatori, praticando la pirateria ed il brigantaggio. Uskok in serbo-croato significa transfuga o fuoruscito. L'appellativo per i cristiano-sociali siciliani nacque proprio nelle pagine de Il domani. Vedi, per es., Il domani, n. 9 del 15/5/1959: Gli uscocchi al crepuscolo.
10) Il domani, n. 23 del 12 giugno 1959.
11) Il domani, n. 24 del 19/6/1959.
12) Grammatico D., La rivolta siciliana, cit., pag. 103.
13) Il domani, n. 30 del 31/7/1959.
14) Il domani, n. 7 del 19/2/1960. Nel racconto di Santalco ( cfr. op. cit.), i fatti sono sostanzialmente quelli descritti dal giornale ed è confermata la circostanza, riferita da Renda (op.cit.), della particolare attenzione prestata dalla Questura di Palermo in corso di operazione.
15) Il domani, n. 49 del 13/12/1959.
16) Il domani, n. 27 dell'8/7/1960.
17) Il domani, n. 28 del 15/7/1960.
18) Il domani, n. 25 del 24/7/1960.
19) Cfr. Mieli P., Le storie, la Storia, Milano 2000, pag. 330.
20) Cfr. Il domani del 3/8/1967, n. 32 (crisi di governo antecedente al monocolore di emergenza "Giummarra"): "I socialisti vogliono anche il braccio" e "Chi ha fatto saltare il centro sinistra: il P.s.u."; n. 36 del 21/9/1967: "Centrosinistra. Non basta la formula, occorre anche la volontà politica". Si ricordi che proprio in piena era di centrosinistra, nei quattro anni decorsi tra il 1967 ed il 1971, si ebbero ben sei governi, con oltre trecento giorni di crisi. La legislatura era iniziata con un monocolore democristiano capeggiato da Vincenzo Giummarra, durato 35 giorni. A Giummarra successe il primo governo Carollo (180 giorni) che cadde l'11 aprile 1968. Dopo 15 giorni di crisi, Carollo fu rieletto e durerà fino al 17 dicembre dello stesso anno. Ai due governi Carollo successero quindi i tre governi Fasino: il primo ebbe la fiducia il 13 marzo del 1969 e cadde il 20 gennaio del 1970, a causa dell'uscita dei socialisti; il secondo ebbe la fiducia il 14 maggio del 1970 e si dimise il 3 dicembre del 1970; il terzo ebbe la fiducia il 26 febbraio del 1971 e si concluse con la chiusura della legislatura, il 3 aprile del 1971. Cfr. i commenti di Di Fresco A.M., Sicilia, trent'anni di Regione, cit. pag. 73.
21) Il domani, n. 33 del 5/9/1968.
22)Il domani, n. 5 dell'1/2/1968.
23)Il domani, n. 12 del 23 marzo 1967.
24) Il domani, n. 18 del 4/5/1967 e n. 22 del 25/5/1967. In effetti, il travaglio normativo della Regione per giungere ad una disciplina legislativa d'una politica di piano durerà fino al maggio del 1988, quando verrà promulgata la legge regionale 19 maggio 1988, n. 6, concernente: Attuazione della programmazione in Sicilia ed istituzione del Consiglio regionale dell'economia e del lavoro; legge approvata sotto la spinta del P.c.i. in una delle intese cosiddette consociativistiche che assicuravano una certa tranquillità a sinistra per i governi regionali, immancabilmente a guida democristiana. Ma già in quegli anni, il mito della programmazione entrava in disgrazia, contrastato dai nuovi principi-cardine di provenienza comunitaria come libera iniziativa, economia di mercato, produttività, concorrenzialità, per cui declinava la fiducia in ogni intento dirigistico o assistenziale, nel concetto di welfare state e nell'idea stessa (ma nell'idea soltanto) di ingerenza della pubblica amministrazione nel campo delle imprese e delle produzioni, soprattutto se attuata mediante l'azione di enti pubblici economici e la partecipazione pubblica nei capitali di certe imprese.
25) Il domani, n. 16 del 18/4/1968.
26) Il domani, n. 43 del 9/11/1967: Riabilitazione della mafia. Il caso "Genco Russo" è consistito nel fatto che il 4.2.1964 questo personaggio, esponente democristiano di Mussomeli ed "uomo ascoltato" in tutta la vallata del Platani, era stato condannato dal tribunale di Caltanissetta a cinque anni di soggiorno obbligato a Lovere (BR) perché ritenuto un capomafia. Nella storia della Sicilia, Giuseppe Genco Russo lo si incontra anche tra le persone della vecchia mafia che interposero i loro buoni uffici tra la popolazione e le forze americane di invasione, nel 1943. Cfr. Renda F. Storia della Sicilia, cit., pag. 28.
27) Il domani, n. 37 del 18/10/1977.
28) Cfr. Menighetti R. - Nicastro F., Storia della Sicilia autonoma, cit. pag. 181.
29) Il domani, n. 7 del 6/2/1978.
30) Il domani, n. 12 del 23/3/1978.
31) Il domani, n. 26 del 22/6/1978.
32) Il domani, n. 32 del 7/9/1978.
33) Cfr. Colarizi S., Storia del novecento italiano, Milano 2000, pag. 390.
34) Montanelli I. - Cervi M., L'Italia degli anni di piombo, Milano 1991, pag. 65.
35) Il domani, n. 34 del 12/9/1968.
36) Il domani, n. 41 del 31/10/1968.
37) Il domani, n. 33 del 10/9/1978.

 

ANTROPOLOGIA, ETICA e politica in rosmini e kant di Salvatore Muscolino

Tra tutti i filosofi conosciuti e criticati da Rosmini un posto di rilievo è occupato dal "padre della filosofia germanica moderna"(1) ovvero Immanuel Kant. Già a partire dagli scritti giovanili Rosmini si confronta con un pensatore che, come apprendiamo da una lettera inviata a Don Giuseppe Eccheli(2) a Milano (16 Ottobre 1827), riteneva ancora poco conosciuto in Italia.
Del pensiero di Kant che, nonostante le note divergenze, influenza in modo positivo la speculazione filosofica rosminiana, Rosmini si occupa in modo significativo in varie opere già a partire dagli Opuscoli Filosofici (1827). Oltre a tale scritto giovanile i riferimenti più importanti sono chiaramente il Nuovo Saggio sull'origine delle idee (1830) che riguarda il problema gnoseologico; la Storia comparativa e critica de' sistemi intorno al principio della morale (1837) che concerne il problema morale; la Filosofia del diritto (1841-45) in cui egli svolge la critica al "principio di coesistenza" kantiano, ossia alla dottrina giuridica del pensatore tedesco; ed infine la Teosofia (1859-74) ed il Saggio storico-critico sulle categorie e la Dialettica (1882) in cui egli critica gli sviluppi idealistici del pensiero kantiano.

a) Il sistema morale rosminiano

Prima di esaminare nel dettaglio le critiche che il Roveretano muove in sede morale al filosofo di Königsberg ci sembra opportuno delineare, seppur a sommi capi, la teoria morale di Rosmini.
Nella divisione delle scienze operata nel Sistema filosofico (1845) l'etica appartiene a quelle che Rosmini definisce Scienze di ragionamento, terza classe dopo quelle di intuizione e di percezione. Se queste ultime sono Scienze di osservazione, le Scienze di ragionamento sono invece basate sulla riflessione che "…seguendo la guida di quei 'principi che le somministra il lume dell'essere a cui si riferisce ogni cosa, discopre nuove verità, e fin anco argomenta all'esistenza di enti che si sottraggono all'intuizione ed alla percezione"(3). Nell'ambito di questa classe si distinguono le scienze ontologiche, ossia basate sugli enti così "come sono" e quelle deontologiche, ossia rivolte al "come devono essere gli enti". L'etica o morale appartiene, chiaramente, a questo secondo gruppo in quanto scienza del dover essere, ossia "…volta a render gli uomini buoni"(4).
Il primo compito che l'Autore si propone è quello di scoprire in cosa consista l'essenza della moralità che non è altro che il principio della morale, ovvero la prima legge da Rosmini espressa nel seguente modo: ""Segui il lume della ragione" formula la più estesa di tutte quelle che si possono assegnare nella scienza morale"(5). Rispetto alla tradizione precedente che pure aveva individuato nel "lumen", impresso nella natura umana, la regola-guida dell'agire umano, Rosmini ritiene di fornire un contributo originale individuando fra tutte le idee quella idea da cui le altre discendono, e che realmente, sia il vero lume dell'uomo nel suo processo conoscitivo(6). L'idea prima cui Rosmini si riferisce è, ovviamente, l'idea dell'essere, già trattata nel Nuovo Saggio, che "…è l'idea colla quale la mente umana forma tutti i giudizi, è l'idea dell'ente universale, idea congenita nello spirito umano, o forma d'intelligenza […] L'essere in universale adunque dee essere la prima legge morale"(7). Dopo avere eletto l'idea dell'essere a rango di guida dell'agire morale dell'individuo, Rosmini definisce il bene "una relazione delle cose colla facoltà di appetire"(8). Definendo il bene una "relazione" ne segue che sono necessari due elementi, il soggetto e la cosa da lui "appetita". Il bene viene distinto da Rosmini in soggettivo e oggettivo; il primo è tale perché dipende dalle differenze soggettive degli esseri umani: ciò che è bene per uno può non esserlo per un altro; il bene oggettivo, che più ci interessa, è tale poiché viene percepito oggettivamente, in quanto si fa oggetto di cognizione(9). Rosmini parla di bene oggettivo come "oggetto di cognizione" poiché, quando noi percepiamo un oggetto, tale percezione gode del carattere della oggettività dal momento che l'uomo conosce per mezzo dell'idea dell'essere. È questa idea universale, infinita, illimitata che "…rende la mente atta alla cognizione di tutti i generi e di tutte le specie de' beni, e a godere di questa cognizione. La natura di questa cognizione e di questo godimento ha una dignità veramente somma nel suo genere, ed infinita, poiché con essa il soggetto intelligente dimentica se stesso per considerare le cose così come sono in sé"(10). Visto che ciò che osserviamo intorno a noi non è altro che "essere", il bene diventa "…l'essere considerato nel suo ordine, il quale viene conosciuto dalla intelligenza che in conoscendolo ne trae diletto: il bene in una parola "è l'essere sentito in rapporto coll'intelligenza", in quanto questa vede ciò che ogni natura esiga a se stessa, ciò che tenda colle sue forze nel modo detto"(11).
Alla stima speculativa segue la stima pratica che può essere conforme o no alla prima secondo che noi consideriamo gli oggetti secondo il loro valore intrinseco o in modo discordante da esso(12). Dovere morale dell'uomo è quello di "riconoscere" l'essere ovunque esso sia secondo il suo grado, secondo l'ordine che esprime. Ed è in questo "riconoscere" l'atto volontario dell'uomo che è chiamato ad aderire all'ordine dell'essere che ha precedentemente conosciuto. E questo atto volontario si realizza grazie alla presenza nell'uomo della volontà, definita da Rosmini "la potenza per la quale l'uomo tende al bene conosciuto"(13).
Il bene morale coincide con l'essere conosciuto dall'intelletto e riconosciuto, cioè amato, dalla volontà secondo il grado dell'essere stesso. Questa possibilità di partecipare all'ordine dell'essere fornisce all'uomo quella dignità che lo innalza al di sopra di ogni altra cosa creata da Dio. "Colla attività morale la persona finita compie lo sforzo di innestarsi nel fine dell'universo, riposto nell'essere morale, cioè compie lo sforzo di rendersi sempre più fine nel fine assoluto, mutuando da quello la sua essenza di persona. Essa costruendo in sé la forma morale coll'amare l'essere nell'ordine suo, costruisce in sé un legame sempre più stretto coll'essere, e quindi ne partecipa sempre più e come conseguenza avviene in essa una crescita d'entità"(14).
Se bene ed essere sono la medesima cosa a Rosmini è possibile affermare che il bene sarà uno e trino proprio come l'essere; se quest'ultimo ha, infatti, una forma reale, ideale e morale (quest'ultima intesa come unione delle prime due) lo stesso varrà anche per il bene. Ciascuno di questi generi di beni permette il raggiungimento dell'assoluto relativo al genere stesso, però solo "un ente per sé", cioè Dio, può partecipare di tutti e tre gli assoluti contemporaneamente: "In Dio le tre forme dell'essere sussistono nell'unità dell'essenza. Vi ha un principio infinito di azione: un principio infinito di cognizione: un principio infinito di amore: questi tre principi infiniti nell'unità formano la beatitudine. L'essere reale è assoluto, perché ha tutta la realità, è la realità: l'essere reale è assoluto, perché ha tutta la conoscibilità, è il conoscibile: l'essere morale è assoluto perché ha tutto l'amore, è l'amore"(15).
Coincidendo bene ed essere, ne segue che il male, come realtà ontologica, non esiste poiché una negazione completa dell'essere è il nulla ed il nulla è nulla, cioè ne male né bene(16). Ma leggiamo un passo della Filosofia del diritto nel quale Rosmini riassume in maniera chiara e distinta la sua posizione, mostrando come il male ed il bene morali dipendano dalla libera volontà del soggetto umano: "La persona umana è un soggetto intelligente, un soggetto di sì fatta natura, che il suo bene consiste nell'aderire all'entità oggettiva, presa questa nella sua pienezza, e perciò nel suo ordine. Il bene adunque della persona umana non nasce da essa persona umana; ma questa lo ritrova nell'oggetto, al quale s'unisce mediante un volontario atto d'intelligenza. La persona dunque in questo fatto esce di sé per trovare l'oggetto, e quest'oggetto da essa trovato la perfeziona: il perfezionamento della persona non è dunque, che una partecipazione, che ella fa, della bontà dell'oggetto, un accoppiamento di lei coll'ente.
Che cosa è poi l'oggetto? Che cosa è l'ente?- Tutto ciò che sta nell'idea, nella verità, nell'entità presa in tutta la sua estensione; in quest'essere eterno, impassibile, pieno di bellezza, divino"(17).
Ma da dove viene l'obbligo per il soggetto di aderire a quest'ordine? Non certo da sé, risponde Rosmini, bensì dalla natura dell'essere oggettivo: "La persona è la potenza di affermare tutto l'essere (il che involge un parteciparne, un compiacersene) quale e quanto esso viene da lei appreso intellettivamente. La necessità di far ciò non è la persona che la impone ma a lei viene imposta dalla natura dell'essere. Perocchè ella, la persona, veggendo l'essere, vede pure ch'egli è immutabile, identico a sé stesso ecc.; vede ancora o sente che se dicesse il contrario direbbe una falsità. Falsità, disordine intrinseco, ed evidente male, sono sinonimi. La natura dell'essere oggettivo dunque è quella onde viene alla persona la necessità di riconoscerlo, pena, facendo il contrario, la propria degradazione, che è il male personale, come dicevo, il male morale, che ne consegue"(18).
Come emerge dai testi, c'è un legame indissolubile tra morale e Verità; l'adesione della volontà alla Verità, che segue l'atto conoscitivo, produce nel soggetto intelligente il sublime diletto(19).
Sottolineare il nesso morale-Verità è importante perché permette a Rosmini di collegare la morale alla religione, o meglio di fondare su quest'ultima la morale stessa. Riconoscere la verità è il primo dovere dell'uomo, dice Rosmini, è un dato che si ritrova ovunque nelle Sacre Scritture: "Quella maniera di favellare, per la quale ogni virtù chiamasi verità, ed ogni vizio menzogna, non dimostra ella assai chiaramente, che si pone il principio della moralità nell'unione della volontà dell'uomo cogli enti a quella guisa che la verità prescrive?"(20). Quando, dice Rosmini, consideriamo religione e morale "…in tutta la loro naturalezza, senza smozzicarle, come pure si fa da troppi, ritornano alla stessa cosa considerata sotto due aspetti diversi. Se si considera quella cosa idealmente, astrattamente, come dovere, chiamasi morale; se si considera realmente, come commercio coll'Essere santissimo, colla santità stessa, chiamasi religione. In una vista astratta e teoretica, questa ci si presenta come parte di quella; in una vista pratica e come di cosa realizzata, quella ci si presenta come parte di questa: differiscono dunque nel concetto, e non nella cosa […] Ma ora, se la morale e la religione riescono alla stessa cosa, considerate nella loro integrità e perfezione, esse poi differiscono certamente l'un l'altra, qualora si considerino ne' gradi di maggiore o minore sviluppo, ne' quali esse trovansi a diverse epoche nell'animo umano.
Avendo la morale per suo principio una regola astratta e ideale (l'idea dell'essere), e la religione all'incontro avendo per suo principio un essere sussistente (la concezione, o la percezione della divinità); esse partono da punti di vista diversi, e tengono perciò stesso un cammino diverso. Solamente quando sono alla fine del loro viaggio, e quando l'una e l'altra suppongonsi già perfette, allora trovansi insieme, anzi veramente diventano perfettamente identiche"(21). Pur essendo distinte, dunque, morale e religione conducono alla stesso risultato; la seconda però serve per dare un fondamento necessario alla prima: "Ella è cosa troppo nota che la moralità non trova nella natura una sanzione sufficiente: e che solamente i premi ed i castighi della vita possono costituire una tale sanzione"(22). È la religione, tramite il concetto di Essere Supremo "legislatore e remuneratore di chi opera bene e male" che esorta l'uomo ad agire in conformità al Sommo Bene (sintesi di felicità e virtù) la quale cosa è perfettamente d'accordo colla naturale inclinazione umana alla felicità(23). È d'altronde la religione vera, ossia il cristianesimo, quella cui Rosmini si appella, la religione che "…comanda la massima attività possibile: trae tutte le forze umane in movimento: <<Amerai, dice, il Signore Dio tuo di tutto il cuor tuo, e in tutta l'anima tua, e in tutta la mente tua. - Amerai il prossimo tuo come te stesso>>"(24). Tale posizione appare al Rosmini radicalmente differente da quella di Kant in cui la dottrina finisce col ridurre la religione a completamento della morale e Dio a semplice postulato della ragione pratica.

b) La critica alla morale kantiana.

Nella Storia comparativa Rosmini inserisce Kant tra quei pensatori che, operando una distinzione nell'ambito morale tra materia e forma, pongono quest'ultima nella ragione, la quale ragione, che per Rosmini è soggettiva, finisce con l'inficiare le premesse stesse del sistema morale, cioè l'universalità dell'agire morale e il rispetto della dignità umana.
É bene ricordare che la lettura che Rosmini fa della morale kantiana è svolta da un punto di vista ben preciso: sganciando la morale dalla religione, o comunque relegando quest'ultima a completamento dell'altra, si perde quel fondamento saldo ed ultimo dell'esperienza morale che invece ogni pensatore dovrebbe ricercare. Questo punto di vista è presente già negli Opuscoli Filosofici: "Ben vero che se toglie alla ragione teoretica il potere di dimostrare la divina esistenza, ricorre alla ragione pratica per ammetterla. Ma è ciò fors'altro che un effigio novello? […] La cognizione pratica non ci dice adunque che vi è veramente Iddio, ma solo ch'egli sarebbe giusto che Iddio vi fosse: ella è una verità di convenienza, è un desiderio della natura, non una verità della mente"(25). Accettare l'esistenza di Dio per motivi di convenienza è assurdo nell'ottica di Rosmini che così continua: "Ricogliamo almeno di buono da così desolante filosofia questa confessione preziosa, che l'esistenza di Dio è pur ciò che riempie il vôto della natura umana, ciò che questa natura sente a sé medesima necessario, ciò a cui incessantemente e irrepugnabilmente sospira: confessione che fa il maggiore encomio alle filosofie le quali insegnano essere questa esistenza dimostrabile, e che fa la maggiore condanna e la maggiore critica del criticismo. Potrà l'uomo abbracciare un sistema, che dichiara impossibile dimostrare ciò, che alla sua natura è assolutamente necessario ammettere? […] Adunque la prova morale, onde Kant vuole dimostrare la divina esistenza o non prova nulla, o se prova, prova insieme colla divina esistenza anche la falsità, e l'impossibilità del kantiano sistema"(26).
Rosmini ha creato un sistema in cui nel "riconoscimento pratico dell'ente" ossia nell'agire morale si opera una sintesi perfetta tra la libertà umana e la Verità oggettiva che la religione cristiana insegna, quella stessa verità che Kant ha rifiutato di porre a fondamento della sua filosofia. Le conseguenze di questo rifiuto sono molteplici e si ripercuotono nello stesso sistema filosofico pieno di contraddizioni e difficoltà. Ecco alcuni esempi.
Kant farebbe convergere il concetto di legge con quello di volontà che invece sono opposti poiché la legge limita la volontà. Tutto il ragionamento kantiano volto a giustificare tale contraddizione è basato sulla supposizione che riconoscersi obbligato, e obbligare se stesso sia la stessa cosa. L'errore di fondo del ragionamento kantiano è di confondere la ricettività della legge con la legge stessa, di non comprendere, come osserva Rosmini, che, mentre la ricettività è soggettiva, la legge non lo è poichè essa non dipende dall'uomo ma è la luce dell'uomo(27). Addirittura, continua Rosmini in una nota, anche la definizione di personalità risulterebbe contraddittoria con quanto affermato prima dal filosofo tedesco. Ecco il testo latino riportato dal Rosmini con il relativo commento: "Personalitas moralis nihil aliud est, quam libertas naturae, rationisque legibus moralibus subiectae. […] Unde sequitur, personam quondam nullis legibus, aliis, quam quas - sibi ipsa fert, subiectam esse! Dall'esser la personalità morale quella libertà che è soggetta e non padrona delle leggi, dovrebbe dedursi per direttissima conseguenza, ch'ella non è quella che fa le leggi, ma quella che le riceve, cioè il contrario appunto di quanto Kant ne deduce"(28). Dal punto di vista rosminiano la critica può essere ritenuta valida ma dal punto di vista kantiano la coincidenza di legislatore ed esecutore della legge è necessaria per affermare quell'autonomia della volontà che dovrebbe garantire da ogni forma di eteronomia morale.
Rosmini continua la sua disamina cercando di mettere in mostra quegli aspetti nascosti del pensiero kantiano che gettano però nuova luce sul significato dello stesso. Già negli Opuscoli Filosofici egli accusa Kant di materialismo(29), ma vediamo cosa dice a proposito nella Storia comparativa: "Basta dire, che Kant non concede, che nulla si conosca, se non ciò che cade sotto il senso: di che deduce, che l'etica non ha uffici da insegnare verso Dio, ma solo verso gli uomini fra loro: il che è veramente un distruggere ogni morale, privandola di quell'assoluto fine […] Ora alle osservazioni che qui facciamo sulla morale kantiana non può che aggiungere luce il considerare appunto, come un sensismo, che s'approssima ad un vero materialismo, trascorra per così dire in tutte le vene del kantiano sistema. A dimostrarlo mi porge buona occasione quel luogo dove Kant spiega che cosa intenda per natura animale. Dalla natura animale non esclude la ragione: "Perocchè, dice, la ragione, secondo la facoltà teoretica, forse può cadere in una natura corporea vivente" Ora non sembra qui che si rinnovi il famoso dubbio di Locke sulla possibilità che la materia pensi?"(30). Ed il ragionamento rosminiano si fa ancora più stringente a proposito del rapporto anima-corpo. Sempre nella nota sopra riportata Rosmini dice: "È perché non resti dubbio circa l'indole più che mediocremente materiale di questa filosofia, che si chiama Idealismo trascendentale, si odano questa altre parole di Kant medesimo:"Quantunque in un rispetto teoretico noi possiamo distinguere nell'uomo l'anima e il corpo, tuttavia non possiamo pensare queste parti come diverse sostanze, onde a noi nascano diverse obbligazioni, affine di aver agio di dividere gli ufficî morali in ufficî verso il corpo e ufficî verso l'anima. Noi né mediante l'esperienza, né mediante argomenti di ragione possiamo bastevolmente apprendere se v'abbia nell'uomo un'anima come sostanza dal corpo diversa che lo inabiti, o non più tosto se la vita sia proprietà della materia"[…] Insomma l'intendimento umano, secondo Kant, non va al di là de' sensi e della materia; e questo non è solo esser sensista, ma esserlo in un grado maggiore di Locke e Condillac"(31).
Alle accuse di sensismo e di materialismo si aggiungono anche accuse al concetto di libertà, che, com'è noto, costituisce il fulcro della morale di Kant. Com'è noto nella Critica della ragione pura (1781) nella parte intitolata Dialettica trascendentale Kant spiega come sia impossibile pervenire ad una conoscenza teoretica della libertà: "La libertà qui è trattata solo in quanto idea trascendentale, onde la ragione pensa di iniziare assolutamente la serie delle condizioni del fenomeno mediante qualcosa di incondizionato rispetto al senso; dove per altro ella s'avvolge in una antinomia con le sue proprie leggi, che essa prescrive all'uso empirico dell'intelletto"(32). Ora, nota Rosmini, dopo aver negato la possibilità di aver esperienza della libertà, Kant dice che essa è un "fatto" scaturente dall'ambito morale: devi dunque puoi. Questa conclusione del ragionamento però è inaccettabile: la libertà, dice Rosmini, non cade sotto l'esperienza esterna, bensì sotto quella interna e l'errore di Kant è di riconoscere solo la forma di esperienza esterna. D'altronde "la libertà, come dicevamo, non è una idea, ma una realità; e le realità non si percepiscono che coll'esperienza, non si intuiscono semplicemente come le idee. Se noi non avessimo sperienza alcuna della nostra libertà, non potremmo dedurla a priori"(33).
A questo punto Rosmini passa ad occuparsi della volontà definita da Kant "facoltà di appetire, considerata non tanto (come l'arbitrio) in rapporto all'azione, e, propriamente parlando, essa non ha per se stessa nessun motivo di determinazione, ma, in quanto può determinare l'arbitrio, coincide con la ragione pratica stessa"(34). Tale definizione appare a Rosmini inefficace, contraddittoria perché non spiega come una facoltà di appetire, cioè la volontà possa essere disinteressata. Da ciò ne segue che il sistema kantiano finisce con l'essere una esaltazione della libertà umana e dell'uomo che "crede d'esser libero, perché nella libertà sola trova il mezzo di soddisfare a quella eccellenza che tanto brama, all'eccellenza ch'egli ravvisa nell'operare con indipendenza. L'uomo adunque è lusingato, tradito da un infinito amor proprio in questo sistema; il quale amor proprio trae l'uomo irresistibilmente a mentire a se stesso, a mentirsi fermamente, a giurare, a perjurare che è libero. […] Indi è, che nello stesso uomo pone Kant il fine assoluto ed ultimo, che pure non può trovarsi che nell'unico essere infinito, a cui tutte le cose sono ordinate; indi l'idolatria dell'uomo, che da mezzo secolo in qua si è manifestata in tante forme, o nelle private o nelle pubbliche cose, e nelle filosofie, e nelle sette, e ne' costumi, e nelle leggi, più o meno mascherata, sola od associata ad altri principî di sacrilego culto"(35).
In conclusione le accuse rosminiane vertono sul soggettivismo che la morale kantiana realizzerebbe, un soggettivismo che, nei confronti di Kant, Rosmini combatte già dal Nuovo Saggio, quando, non accettandone la distinzione tra fenomeno e noumeno, rivendica come forma a priori della conoscenza l'idea dell'essere, cioè verità presente alla mente che fonda l'atto conoscitivo in modo obbiettivo e non trascendentale nel senso kantiano. Il filosofo italiano si è reso conto, infatti, che, ammettendo l'esistenza di una forma a priori da un lato, e la cosa in sé dall'altro, non si riesce a superare completamente la pozione empirista, così che il sistema di Kant potrebbe essere definito un "empirismo trascendentale"(36).

c) Metafisica, etica e antropologia nei due pensatori

Come sottolinea M. F. Sciacca, l'esigenza prima del pensiero rosminiano è un'esigenza metafisica. Contro le pretese gnoseologiche della filosofia moderna Rosmini vuole recuperare "l'istanza critica della metafisica". L'interpretazione kantiana del rosminianesimo professata da Gentile, secondo Sciacca, farebbe perdere di vista il recupero, operato da Rosmini, dell'istanza critica dell'oggettività (principio ontologico) come fondamento del conoscere; tale operazione è diretta proprio contro il criticismo kantiano riconsiderando cioè, contro lo gnoseologismo moderno, il fondamentale problema della metafisica(37). Posta la questione in questi termini, continua Sciacca, è chiaro che "…il Rosmini non si muove sulla stessa linea del Galluppi e del Kant [come vorrebbero gli idealisti], in quanto l'esigenza più vera del suo pensiero non è la gnoseologica, ma quella metafisica che sempre condiziona la prima"(38). Ma se il problema della metafisica è così importante per una "genuina" comprensione del pensiero di Rosmini che non lo riduca, cioè, ad un semplice Kant italiano, quale è il ruolo della metafisica nel sistema di Kant?
È un problema lungamente discusso e da certi studiosi è stata, addirittura, ipotizzata una lettura metafisica della filosofia kantiana. Tale lettura metafisica del sistema di Kant viene sviluppata da autori come Paulsen(39), Wundt(40), e in Italia soprattutto da Martinetti(41), per il quale si parla di intepretazione metafisico-religiosa. Tale lettura metafisica si pone in netta antitesi all'impostazione della scuola neokantiana la quale interpreta la filosofia di Kant come semplice teoria della conoscenza o metodologia della scienza. Contro questa interpretazione, secondo la quale la Critica della ragione pura servirebbe solo a fissare i limiti "negativi" della conoscenza, Martinetti ed altri sostengono esattamente il contrario. Così, ad esempio, Mario A. Cattaneo: "…la stessa limitazione della ragione speculativa all'ambito dell'esperienza ha per fine la fondazione di una metafisica morale; […] La metafisica che Kant vuole fondare è pura, svincolata da qualsiasi elemento empirico, deve essere costruita a priori: la strada autentica per raggiungerla è la via morale, che trova il suo fondamento teoretico nelle idee della ragione"(42).
Anche Giovanni Ferretti in un recente volume, alla luce del dibattito sul rapporto tra ontologia e teologia sorto nel Novecento per l'influsso di figure come Heidegger o Levinas, sostiene che la filosofia di Kant si configura come un ontologia del limite che è al tempo stesso "anche un'ontologia "critica", che porta la ragione ad installarsi "sul limite" tra mondo dell'oggettività fenomenica e mondo dell'ulteriorità e differenza noumenica, vigilando perché la ragione non s'illuda di poter dilagare con i suoi concetti al di là dei suoi limiti, perdendo il senso del mistero che la circonda, ma anche perché alla ragione non sia data ad intendere, con la scusa del mistero, ciò che fa a pugni con la ragione e di fatto si riduce a puro e semplice frutto del fantasticare esaltato (Schwärmerei) dell'uomo"(43). Ed è tramite l'uso analogico dei concetti puri, così come vengono trattati soprattutto nei Prolegomeni, dice Ferretti, che secondo Kant si potrebbe raggiungere "ad una qualche determinazione "simbolica" della natura del nesso che connette i due mondi"(44).
In questo modo la Critica della ragione pura non avrebbe solo un risultato "negativo", ossia volto a fondare i limiti della conoscenza scientifica, bensì "positivo" come lo stesso Kant ci dice nella nota Prefazione alla seconda edizione (1787) dell'opera: "Da uno sguardo fuggevole a quest'opera si crederà di argomentare che l'utilità di essa sia solo negativa: […] Ma essa diventerà anche positiva appena si accorgerà che i principi sui quali si fonda la ragione speculativa per spingersi di là dai suoi limiti, nel fatto non sono un allargamento; anzi, se si considerano più da vicino, portano una inevitabile conseguenza, una restrizione del nostro uso della ragione, in quanto essi in realtà minacciano di estendere a tutto i limiti della sensibilità, alla quale propriamente appartengono, e di soppiantare così l'uso puro (pratico) della ragione. Perciò una critica che limiti la prima, è, in ciò, veramente negativa; ma, in quanto nello stesso tempo con ciò non toglie pur via un ostacolo, che ne limita o minaccia di distruggere affatto l'uso indicato da ultimo, in realtà è di vantaggio positivo e grandissimo, quando si sia riconosciuto che vi è un uso pratico (morale) della ragion pura, assolutamente necessario; nel quale la ragione inevitabilmente si estende di là dai limiti della sensibilità, e non ha bisogno per ciò dei sussidi speculativi, ma solo di assicurarsi contro le loro opposizioni, per non cadere in contraddizione con se medesima"(45).
Questa lunga citazione mostra chiaramente come per Kant valicare i limiti dell'esperienza sia un bisogno umano, una necessità che si sviluppa pienamente nell'ambito pratico. Ecco perché egli parla di primato della ragione pratica su quella teoretica. La Critica della ragione pratica completa la Critica della ragione pura rendendo possibili su base morale le verità che in sede teoretica sono indimostrabili. Questo punto è incontrovertibile: "Nel collegamento, dunque, in un'unica conoscenza della ragione pura speculativa con la ragione pura pratica, quest'ultima detiene il primato; a patto che tale collegamento non sia casuale ed arbitrario, bensì fondato a priori sulla ragione stessa, e, per ciò, necessario. Senza una tale subordinazione si produrrebbe un contrasto della ragione con se stessa, se i due usi fossero semplicemente giustapposti (coordinati)[…] Ma subordinarsi alla ragione speculativa, rovesciando così l'ordine, non è cosa che si possa chiedere alla ragione pura pratica, perché ogni interesse, in ultima analisi, è pratico, e anche quello della ragione speculativa è perfetto solo condizionatamente e nell'uso pratico"(46).
Osserva a questo punto Martinetti che, anche condannando la metafisica dogmatica, Kant insiste sulla necessità di ricercare le origini del bisogno metafisico dell'uomo e vedere in qual modo ed entro quali limiti esso può "condurci a risultati accettabili"(47). Le idee trascendentali sono proprio il frutto del desiderio umano di trascendere la sensibilità e di aspirare alla totalità. Non a caso, le idee sono frutto non dell'intelletto, i cui concetti puri sono le categorie, bensì della ragione, facoltà "…dell'unità delle regole, dell'intelletto sotto principi. Essa, dunque, non si indirizza mai immediatamente all'esperienza o a un oggetto qualsiasi, ma all'intelletto per imprimere alle conoscenze molteplici di esso un'unità a priori per via di concetti; unità, che può dirsi unità razionale, ed è di tutt'altra specie da quella che può essere prodotta dall'intelletto"(48).
Già nella Critica della ragione pura, mentre si occupa delle idee trascendentali, Kant rimanda esplicitamente alla tradizione platonica, dimostrando con ciò questo sfondo metafisico di tutta la sua filosofia. Egli cita Platone lodandone lo sforzo di porre le idee (che per il filosofo greco sono delle entità a se stanti) in ciò che è pratico, cioè svincolato dai sensi e dall'esperienza, e, addirittura, pur riconoscendo certe esagerazioni del filosofo greco, afferma: "Se si toglie quello che è di esagerato nell'espressione, lo slancio spirituale del filosofo per sollevarsi dall'osservazione della copia nell'ordine fisico dell'universo al suo sistema architettonico secondo scopi, cioè secondo idee, è uno sforzo che merita di essere rispettato e imitato; ma rispetto a ciò che concerne i principi della moralità, della legislazione e della religione, in cui le idee, prima di tutto rendono possibile la stessa esperienza (del bene), comecchè non vi possano trovare una piena espressione, egli è un merito al tutto peculiare, che non si riconosce soltanto perché lo si giudica…"(49).
Se le idee hanno la loro sede nella ragione pratica, e se è vero quanto dice Paulsen che il fenomenalismo non è per Kant un fine, ma un mezzo da un lato per rendere possibile la conoscenza a priori dell'esperienza, dall'altro per guadagnare spazio al pensiero (non alla conoscenza specifica) del mondo intellegibile(50), allora per Kant l'ambito pratico diventa l'unico ambito in cui l'uomo possa aprirsi alla conoscenza del noumeno, ossia della Verità. Se di questa Verità empiricamente non dimostrabile (per questo Kant parlerà di fede morale) si può fare esperienza tramite l'agire pratico, noto che c'è una curiosa analogia con quanto detto da Platone nel Fedone proprio sulle modalità di visione del vero: "E allora quand'è, riprese egli [Socrate], che l'anima tocca la verità? Che se mediante il corpo ella tenta qualche indagine, è chiaro che da quello è tratta in inganno. - Dici bene - E dunque non è nel puro ragionamento, se mai, in qualche modo, che si rivela all'anima la verità?-Sì- E l'anima ragiona appunto con la sua migliore purezza quando non la conturba nessuna di cotali sensazioni, né vista nè udito né dolore, e nemmeno piacere; ma tutta sola si raccoglie in se stessa dicendo addio al corpo; e nulla più partecipando del corpo né avendo contatto con esso, intende con ogni suo sforzo alla verità"(51). Si può allora discutere sulla plausibilità o meno dell'interpretazione metafisica della filosofia kantiana, e dei suoi legami con il platonismo, ma è indubbio, come da tali testi si evince, che la via morale, tramite la quale si accede alla Verità autentica, sia per Platone che per Kant, deve essere percorsa rifiutando ciò che è sensibile, corporeo.
Apparentemente, tale concezione della esperienza morale come propedeutica per la conoscenza della Verità, potrebbe far pensare ad un possibile punto di contatto con la filosofia cristiana (dunque anche con Rosmini, per il quale la ricerca del bene morale consiste nella scoperta della Verità).
Ad esempio, Sofia Vanni Rovighi, nel suo volume intitolato Introduzione allo studio di Kant (1968), sostiene che, dopotutto, la morale kantiana, incentrata sull'autonomia della volontà, potrebbe essere avvicinata ad un'etica teologica, ad esempio, quella tomista, se solo Kant accettasse l'idea che, provenendo la natura razionale dell'uomo da Dio, questi non comanderebbe all'uomo dall'esterno, inficiando così il comportamento morale nel senso kantiano.
Ma Kant, continua la Vanni Rovighi, non può accettare tale ragionamento che vede a fondamento della morale e del dovere una volontà intelligente, poiché egli rifiuta una fondazione metafisica della morale mentre per San Tommaso la legge morale è partecipazione della creatura razionale alla lex aeterna cioè al "… piano della divina sapienza relativo ad ogni azione e a ogni moto"(52) . Sebbene Kant non concepisca un discorso filosofico su Dio anteriore alla legge morale, tuttavia non vuole rinunziare al carattere oggettivo della legge morale, fondato invece, nell'etica tomista, sulla teologia naturale. Così, conclude la Vanni Rovighi, la legge morale rimane un dato non ulteriormente analizzabile(53).
In realtà, a nostro parere, la differenza tra la posizione di Kant e quella tomista non sembra risiedere nelle argomentazioni sopra riportate per le seguenti ragioni: primo, perché, come abbiamo cercato di dimostrare, la fondazione della morale in Kant non prescinde interamente dalla metafisica come la Vanni Rovighi sostiene(54); secondo, perché Kant non afferma che le proprietà di Dio siano differenti da quelle umane (non importa a questo punto se da Dio ci siano donate), anzi il seguente passo afferma proprio il contrario: "…mentre si attribuiscono a Dio diverse proprietà la cui qualità si pensa che convenga anche alle creature, con la sola differenza che nel primo caso esse vengano elevate al più alto grado […] ve ne sono tre che vengono attribuite a Dio in modo esclusivo, o senza specificazioni di grandezza. Tutte e tre sono morali: egli solo è santo, il solo beato, il solo saggio"(55). Se, dunque, la Vanni Rovighi sostiene che il riconoscere a Dio quella stessa natura razionale dell'uomo potrebbe eliminare, nell'ottica kantiana, il problema di una legge morale donataci da un estraneo, in realtà tale uguaglianza razionale è già presupposta da Kant; solo che il pensatore tedesco, non riesce a contemplare la piena autonomia morale del soggetto qualora la legge morale non sia creata da quello stesso soggetto che ne sarà l'esecutore. L'impossibilità di accostare la morale kantiana a quella tomistica o rosminiana risiede, invece, nello stesso presupposto per cui Kant non si riconosce in nessun sistema morale a lui precedente: il presupposto per cui solo un sistema morale formalistico-rigorista garantirebbe la necessità e l'universalità propri dell'istanza morale, mentre qualsiasi altro sistema sfocerebbe in qualche forma di eteronomia(56).
Allora l'impossibilità di accostare Kant ad un etica cristiana, e quindi a Rosmini, risiede in questa posizione di fondo su cui si fonda tutta la riflessione morale del filosofo tedesco. È da questo presupposto, secondo cui la purezza morale (sulla scia platonica) si possa raggiungere solo eliminando ciò che vi è di empirico e di prettamente umano (inteso come non conforme alla pura ragione) che scaturisce una visione diametralmente opposta tra l'uomo così come viene inteso dalla tradizione luterano-tedesco, e l'uomo così come è visto dalla tradizione cattolica di cui Rosmini è uno dei più validi rappresentanti. È questo il vero punto insanabile tra la morale kantiana e quella rosminiana.
Citiamo a proposito un passo del Capograssi in cui egli sottolinea la differenza tra la persona kantiana, quella hegeliana (che non riporteremo) e quella rosminiana: "Kant vede la persona come ragione cioè universalità: tutto l'individuale è empirico, non ha significato di verità, e nell'individuale tutta la vita emozionale le profonde correnti vitali del dolore e dell'amore. Essendo ragione, la persona è universalità senza individualità, pensiero senza amore. In quanto persona ogni soggetto è uguale all'altro, è lo specchio dell'altro è la stessa cosa dell'altro: si rispetta l'altro non per l'altro ma per la ragione che è nell'altro. La ragione rispetta sé stessa.[…] Le differenze appartengono all'individuale, ora l'individuo è per Kant il negativo. I vari individuali che sono i vari negativi non hanno in quanto tali legami positivi tra di loro: la ragione non è legame perché suppone cancellate le differenze; ed il legame positivo individualizzante, che è l'amore, non c'è, perché l'amore è negato come forza costruttiva ed etica della vita e gli sono negate le condizioni di vita. […] Ora Rosmini è perfettamente e assolutamente alieno dall'uno e dall'altro messaggio [quello di Hegel] Rosmini considera l'individuo come amore. Egli fonde insieme l'universale e l'individuale che Kant faceva eterogenei e va a ricercare l'universale proprio nel segretissimo centro di amore e di slancio che fa l'individualità umana e viva, l'individuo"(57). La distinzione tra l'uomo kantiano e quello rosminiano operata da Capograssi è chiara e, sebbene per il Kant giuridico riteniamo che le parole di Capograssi siano in parte opinabili, per il problema morale, questo passo è esemplare.
La vera differenza tra Kant e Rosmini in sede morale risiede proprio in questo. La morale rosminiana, in quanto parte di un sistema filosofico cristiano-cattolico, è fondata su un'antropologia positiva come emerge limpidamente dalla opera intitolata Antropologia in servizio della scienza morale (1838). Alla base dell'esperienza morale e, potremmo anche dire, della legge morale, come abbiamo dimostrato, vi sta l'amore per l'essere presente nella molteplicità sensibile che ci circonda; è compito nostro riconoscerlo ed amarlo secondo il suo grado ma amare questa differenza è fare proprio ciò che Kant rifiuta, come abbiamo visto con Capograssi. La legge morale, di cui l'uomo è legislatore ed esecutore, deve prescindere, leggiamo nella Fondazione, da ogni antropologia, cioè da tutto ciò che è contrario alla pura ragione: "Così le leggi morali e i loro principi non soltanto si distinguono per essenza, all'interno della conoscenza pratica, da tutta quella in cui vi sia qualcosa di empirico, ma tutta la filosofia morale riposa interamente sulla sua parte pura e, applicata all'uomo, non trae il minimo elemento della conoscenza di quest'ultimo (antropologia), bensì gli fornisce, in quanto essere razionale, leggi a priori…"(58).
Solo prescindendo da tutto ciò che vi è di empirico è possibile per Kant preservare l'universalità e la necessità della legge morale; in Rosmini, invece, tali requisiti sono rispettati perché la Verità, oggetto per entrambi pensatori dell'esperienza morale, la si scopre proprio là dove Kant non la riconosce: nella molteplicità sensibile a tutti i livelli ossia in quella che Kant definisce, sulla scia platonica, mondo fenomenico, cioè non corrispondente alla verità oggettiva. La valutazione positiva del mondo sensibile è possibile per Rosmini, in quanto la morale, come abbiamo visto, è una delle tre forme dell'essere, ciascuna delle quali "…contenendo tutto l'essere, contiene anche le altre forme, restando sempre diverso il modo della contenenza. L'essere quindi è uno e trino, uno nella essenza, trino nei modi, l'unità spiega e giustifica l'insidenza delle forme, la loro circumsessione. Distinzione ed unità: è una caratteristica dell'essere, è una esigenza della sua costituzione ontologica, non è un modo soggettivo di considerarle"(59). Quindi, proprio l'aver elevato la forma morale a forma dell'essere, determina, da un altro punto di vista, la netta opposizione tra la posizione morale del Roveretano e quella di Kant: il piano morale non rappresenta per l'uomo un assolutamente altro, cioè un noumeno cui si può l'uomo può solo aspirare di tendere a causa degli impulsi sensibili sempre presenti in questa vita: esso invece gli appartiene potenzialmente e lo muove oggettivamente dalla interno della sua costituzione ontologica(60).
Grazie a queste considerazioni la morale rosminiana sfugge all'accusa di eteronomia che Kant lancia a tutti i sistemi diversi dal suo; Rosmini riafferma per l'ambito morale il ruolo positivo dell'esperienza che Kant rifiuta per non inficiare l'assolutezza della legge morale. Vediamo cosa dice Sciacca in proposito: "Il Rosmini, invece, introduce il momento particolare del volere in quello universale, e dà alla forma quel contenuto che la rende veramente completa"(61). Rosmini, con l'obbiettivo di tutelare l'esperienza sensibile nella sua totalità, in quanto espressione dell'essere, riesce, a differenza di Kant, a garantire la formalità e l'universalità della legge proprio facendo ricorso alla volontà come strumento che permette al soggetto, non solo di adeguarsi all'ordine dell'essere ma, al tempo stesso, di realizzare la propria felicità senza cadere in alcuna forma di edonismo: "Il bene perfeziona il soggetto perché questi aderisce all'ordine dell'essere, lo riconosce, lo vuole, lo realizza nell'ordine suo, e in questo riconoscimento trova la propria felicità, il bene eudemonologico. Che l'essere virtuoso abbia diritto ad essere felice, che il bene morale abbia un legame col bene eudemonologico, sicchè il virtuoso sia felice e il malvagio sia punito, lo richiede l'ordine dell'essere. C'è quindi un fondamento ontologico e teleologico nella unione del bene morale col bene eudemonologico, fondamento che si ritrova nella natura del Bene (Dio) che è quella di comunicarsi, e quindi di rendere felice la creatura a cui il bene viene partecipato"(62).
Abbiamo parlato di convergenza tra morale e Verità, della morale come punto di congiunzione tra reale e ideale. Ma se bene e vero sono collegati, non si corre il rischio di ricondurre l'atto morale a puro conoscere? Questo problema ha attirato l'attenzione dei critici e già Sciacca lamenta l'interpretazione di Gentile che, tentando di risolvere il problema, afferma che pensiero e volere, nel pensiero rosminiano, si identificano nell'attività pratica. Così Sciacca controbatte l'interpretazione gentiliana: "La morale rosminiana non è intellettualistica. Il bene coincide con la verità, ma ciò non significa che essa come tale sia bene morale: con la sua contemplazione non usciamo fuori dell'attività dell'intelletto; nel solo conoscere non c'è morale, la quale comincia quando ciò che è vero è voluto come bene, amato come l'essere nel suo ordine"(63).
In realtà, osserva Pietro Prini, Sciacca, nella polemica con Gentile, sembra ribadire il problema più che risolverlo. Il vero aspetto innovativo della morale rosminiana, secondo Prini, risiederebbe, invece, nell'aver accolto l'istanza fondamentale dell'interiorismo agostiniano.: "C'è un'intrinseca reciprocità nel finalizzarsi degli esistenti all'Essere: questi è il loro fine in quanto quelli sono voluti, chiamati, da Lui […] La vita morale è l'esercizio di questa nostra disponibilità ad accogliere il dono dell'esistenza, è la scelta di essere in una vocazione d'amore. Dentro queste modulazioni schiettamente interioristiche il rigore dell'imperativo che ci comanda di "riconoscere l'essere nel suo ordine" si fa corresponsabilità creativa nelle prove della vita a cui ci espone la fraternità delle creature"(64). C'è, dunque, un indissolubile e profondo legame tra etico e teoretico che pone il pensiero rosminiano, secondo Prini, in un legame strettissimo con la tradizione agostiniana. Non era, infatti, Sant' Agostino che nel De vera religione (389-390 d.c.) affermava con forza l'esistenza di una Verità oggettiva da ricercare e che una volta trovata ci avrebbe cambiato irrimediabilmente? Così scriveva il Vescovo di Ippona: "Chi dubita, quindi, se vi sia la verità, ha in se stesso il vero per cui non deve dubitare; ma non v'è vero che sia vero se non per la verità […] Forse che queste verità possono corrompersi in qualche parte, anche se perisce ogni uomo che ragiona…[…] Ma non è il ragionamento che le fa; esso scopre soltanto. Perciò sussistono in sé prima di essere scoperte, e, quando sono scoperte, ci rinnovano [corsivo nostro] "(65).
Infine, se per Rosmini, come abbiamo visto, l'esperienza morale si basa sull'adeguamento dell'uomo all'ordine dell'essere, ossia alla Verità, come non vedere in queste tesi una chiara anticipazione di quanto affermato nell'enciclica Veritatis Splendor (1993) dal Pontefice Giovanni Paolo II. Tutta la teoria morale del Roveretano è un omaggio a quella legge morale che è al centro dell'enciclica papale, la quale enciclica, imperniata sul concetto di persona, intesa come unione di anima e corpo, così recita, non allontanandosi molto dal messaggio rosminiano: "Così nel giudizio pratico della coscienza, che impone alla persona l'obbligo di compiere un determinato atto, si rivela il vincolo della libertà con la verità. Proprio per questo la coscienza si esprime con atti di "giudizio" che riflettono la verità sul bene, e non come "decisioni" arbitrarie. E la maturità e la responsabilità di questi giudizi- e, in definitiva, dell'uomo, che ne è il soggetto- si misurano non con la liberazione della coscienza dalla verità oggettività, in favore di una presunta autonomia delle proprie decisioni, ma , al contrario, con una pressante ricerca della verità e con il farsi guidare da essa nell'agire"(66).
Chiaramente il substrato della concezione morale rosminiana è la religione cattolica con il suo schema di fondo e riteniamo che l'accettare nella concezione kantiana certe categorie cristiane senza accoglierne le conseguenze religiose sia la fonte di certe incongruenze o punti insormontabili del kantismo morale stesso(67).
Ora noi riteniamo di poter fare, nei confronti di Kant, osservazioni in parte analoghe a quelle che Karl Löwith ha fatto nei confronti delle filosofie della storia.
In suo famoso volume, Significato e fine della Storia, Karl Löwith afferma che il fallimento di tutte quelle che egli chiama "filosofie della storia", cioè tutte quelle filosofie che hanno ritenuto di cogliere il senso oggettivo della storia in riferimento ad un significato ultimo(68), sia da attribuire al fatto che tali visioni della storia hanno origine dalla teologia giudaico-cristiana o meglio dall'interpretazione teologica della storia come storia della salvezza. Ma questa, nel suo originale schema, si fonda sulla fede in un Dio creatore, mentre le altre visioni della storia difettano perché si presentano come scientifiche mentre nei confronti del futuro, nota Löwith possiamo avere solo fede.
Ora, anche Kant utilizzerebbe determinate categorie desunte dal cristianesimo, sganciandole, però, dal substrato religioso tradizionale allo scopo di tutelare l'autonomia del soggetto. Così facendo, però, si generano problemi difficilmente superabili. Ad esempio, a proposito dell'immortalità dell'anima e di Dio, da Kant postulati per rendere possibile il raggiungimento della perfezione morale nella vita futura, ciò che non si riesce a capire è, ad esempio, cosa significhi che l'anima progredirà all'infinito dal momento che essa sarà libera dagli impulsi sensibili: "Ed allora, data l'assenza di un conflitto, come giustificare che la sottomissione spontanea alla legge sarà anch'essa soggetta a un progresso all'infinito? Quale l'ostacolo che stimolerebbe una tale dialettica? E in che cosa esattamente consisterebbe la legge morale alla quale l'uomo dovrebbe cercare di adeguarsi in una vita futura, in cui la santità non lo "pone al di sopra di tutte le leggi pratiche, ma al disopra di tutte le leggi praticamente restrittive, e quindi al di sopra dell'obbligo e del dovere"?"(69) Kant non ne fa cenno ed anzi, continua Lambertino: "La moralità verrebbe convertita nel postulato di un dinamismo assoluto. Il senso del destino dell'uomo verrebbe integrato non dalla prospettiva di un possesso, di una conquista, di una sanzione definitiva [come nella visione religiosa cristiana dove le anime che si salvano ottengono la beatitudine eterna e la visione di Dio], ma da quella di una perenne ascesi, che sarebbe tensione verso un non ben definito compimento della moralità. Il progresso indefinito non sarebbe rivelativo di un termine, ma fine in se stesso. Il valore assoluto verrebbe affidato ad un anelito mai placato, col rischio che l'esplicito riferimento alla persistenza della legge morale renda vana la prospettiva della beatitudine"(70).
Allora, o accettiamo l'esistenza di un Dio creatore, e a partire da essa costruiamo il nostro sistema, ed è ciò che fa Rosmini; oppure la rifiutiamo e cerchiamo altre strade. Sicuramente non possiamo recuperare l'idea di Dio o l'immortalità dell'anima per ragioni utilitaristiche come sembrerebbe fare Kant per dare completezza ad un sistema che, nonostante tutto, rimane pieno di punti oscuri.


d) Di fronte al problema politico

Il discorso resterebbe, per così dire, monco se non guardassimo anche agli sviluppi che in campo politico tali pensatori danno al loro pensiero.
Per Rosmini la politica è "l'arte di dirigere la società verso il suo fine mediante que' mezzi che sono di pertinenza del civile governo"(71); dal momento che il principio costitutivo della società è l'uomo, il fine della politica è quello di realizzare il vero bene umano cioè quello che Rosmini chiama appagamento(72) o più precisamente la formazione della sua coscienza eudemonologia. Essa non è altro che un giudizio che l'uomo emette sul soddisfacimento dei suoi desideri; dal momento che l'oggetto di questo giudizio è il nostro stato interno di benessere, tale giudizio, afferma Rosmini, è infallibile in quanto non possiamo ritenerci contenti quando non lo siamo e viceversa. E, addirittura, continua Rosmini, tale giudizio contribuisce esso stesso al formarsi dell'appagamento. L'appagamento umano, infatti, non è costituito solo da semplici atti o dal semplice possesso di beni materiali, bensì da uno stato piacevole, alla cui formazione la coscienza eudemonologia contribuisce direttamente, quasi come in un circolo vizioso: "il diffondersi nel fondo dell'animo, qual effetto di quella sentenza che ci assicura del nostro buono stato, che resta in noi astratto, un cotal piacevole sentimento, che stabilmente ci fa lieti e del tutto paghi"(73).
Che l'appagamento non sia solo un possesso di beni materiali ma un qualcosa di più profondo che coinvolga l'animo dei cittadini ci porta ad altre considerazioni fondamentali del discorso rosminiano sulla politica: in primo luogo la subordinazione della filosofia della politica alla filosofia del diritto, cioè l'affermazione il primato del giusto sul politico ed in secondo luogo l'istituzione dell'organismo del Tribunale politico come strumento per tutelare tale primato. La società civile, infatti, ha il compito di regolare le modalità dei diritti, ma non può violare l'essenza dei diritti perché questo significherebbe ledere la persona stessa visto l'identificazione rosminiana tra persona e diritto(74).
Anche Kant prevede uno stato di diritto in cui le libertà dei cittadini vengano tutelate dall'invadenza del potere sovrano, ma, paradossalmente, nega, com'è noto, il diritto di resistenza affermando che, se esso fosse accettato, l'autorità del sovrano non sarebbe più assoluta. Questo comporta, da parte di Kant, l'accettazione, già a livello teorico, della possibilità che lesioni da parte del potere devono essere accettate in virtù di una concezione assoluta della sovranità; questo per Rosmini è inaccettabile perché il principio supremo di ogni attività umana, ivi compresa la politica, è la persona: e il Tribunale politico ha proprio la funzione di tutelare la persona e i suoi diritti.
Per entrambi i pensatori, quindi, la politica deve essere sottomessa alla morale, però, mentre in Kant già nella teoria politica si verificano certe contraddizioni con quanto affermato in ambito morale, per Rosmini tali contraddizioni sono inammissibili, e il Tribunale politico gli permette, già a livello teorico, di fare un passo in avanti rispetto al filosofo tedesco(75).
Per concludere riportiamo la pagina conclusiva dell'Antropologia in servizio della scienza morale (1838) in cui emerge chiaramente la visione della persona umana che Rosmini professa: "Ciò che fu ragionato in quest'Opera dimostra, che i molteplici elementi, di cui risulta l'umana natura, formano insieme una perfetta unità. Tutto è connesso nell'uomo, tutto tendente ad un solo fine. La materia è investita dal sentimento animale, che tende a dominarla pienamente. Nel sentimento s'inizia e procede e s'acchiude l'istinto: l'unità dell'istinto costituisce l'individuo. Ma sopra l'animal sentimento sorge un principio maggiore, intuendo l'essere ideale, destinato a dominare per intero il sentimento medesimo. Questo principio soggettivo si manifesta sotto le forme di ragione e di volontà: così esiste la persona che esprime la primazia di tutte le attività. Egli è dominato alla sua volta da leggi ideologiche e fisiche, le quali sortono dall'ordine intrinseco dell'essere ideale, e di qui la moralità. La persona in virtù di questo rapporto divien morale, entra nella sfera di quelle cose che partecipano dell'infinito, che acquistano un infinito prezzo. Ma il principio soggettivo di cui parliamo non si lascia però dominare interamente da tali leggi, né ne conserva necessariamente il naturale rapporto; ma o si sottrae alle stesse, o liberamente vi si sottomette: quindi una nuova forma di attività, la libertà. In quest'ultima forma sta il fastigio dell'umana come natura potenziale, non però della sua piena attuazione. Poiché non basta che si consideri questa attività, sì elevata sopra tutte l'altre, in se stessa; conviene meditarla nel suo atto, e ne' maravigliosi effetti di lui. Per quest'atto l'uomo merita; egli s'unisce di proprio moto a tutti gli enti, al fonte degli enti, gli ama tutti, e da tutti riscuote amore, trasfonde in tutti se stesso, e tutti si trasfondono in lui; rallarga allora i proprj suoi limiti, completa la sua natura angusta e deficiente: non fruisce di tutte le l'entità, e nel mare dell'essere essenziale trova e riceve la propria felicità, una felicità morale che non può più disvolere, un bene che non può perdere: questo è il fine dell'uomo, l'altissimo fine della persona, e conseguentemente della natura umana: e questa comunicazione, e questa società mutua degli enti coll'ente degli e tra sé, è il fine dell'universo"(76).
Tali considerazioni sulla natura umana sono il frutto di una filosofia cristiano-cattolica che si oppone a quella di Kant, poiché fa dell'uomo, creato ad immagine e somiglianza del Creatore, un qualcosa di unico, assolutamente positivo in tutte le sue manifestazioni, dotato di potenzialità che lo pongono come centro privilegiato di tutto il creato.


NOTE

1) A. Rosmini, Storia comparativa e critica de' sistemi intorno al principio della morale, in A. Rosmini, Principi della Scienza morale, Città Nuova-Stresa 1990, pag. 240.
2) Cfr. A. Rosmini a Don Giuseppe Eccheli, Rovereto 16 Ottobre 1827, in A. Rosmini, Epistolario filosofico, a cura di G. Bonafede, Celebes, Trapani 1968, pag. 73.
3) A. Rosmini, Il sistema filosofico, a cura di G. Bonafede, Società Editrice Internazionale, Torino 1966, pag. 101.
4) A. Rosmini, Principi della scienza morale, in A. Rosmini, Principi della Scienza morale, Città Nuova-Stresa 1990, pag. 36.
5) Ivi, pag. 99.
6) Ivi, cfr. pag. 60.
7) Ivi, pag. 55.
8) Ivi, pag. 66.
9) Ivi, cfr. pag. 101.
10) Ivi, pag. 98.
11) Ivi, pag. 83.
12) Cfr. A. Rosmini, Storia comparativa…, op. cit., pag. 172.
13) A. Rosmini, Antropologia in servizio della scienza morale, Città Nuova Editrice, Roma 1954, pag. 32.
14) Cfr. Cirillo Bergamaschi, L'essere morale nel pensiero filosofico di Antonio Rosmini, La Quercia, Genova 1982, pag. 115.
15) Cfr. A. Rosmini, Storia comparativa…, op. cit., pag. 435.
16) Cfr. A. Rosmini, Principi della scienza morale, op. cit., pag. 84.
Chiaramente, tale modo di concepire il male, risale a S. Agostino: si vedano in merito Confessioni, Libro VII cap. XII, oppure La natura del bene, Cap. 6. Pur riallacciandosi alla tradizione agostiniana, Rosmini tratta il problema del male con qualche leggera differenza, e sottolineando maggiormente l'aspetto soggettivo del male; in particolare, il male morale (cioè il male autentico) viene analizzato sottolineando l'aspetto del "disordine" che esso crea rispetto al bene, cioè il riconoscimento gerarchico dell'ordine. Tale "disordine" è il risultato della volontà umana che si fa guidare più dal bene soggettivo che da quello oggettivo.
17) A. Rosmini, Filosofia del diritto, CEDAM, Padova 1967, pag. 66.
18) Ivi, pag. 66.
19) A. Rosmini, Principi della…, op. cit., pag. 104.
20) A. Rosmini, Filosofia del…, op. cit., pag. 89.
21) Ivi, pag. 95.
22) Ivi, pag. 97.
23) Ivi, cfr. pag. 100.
24) Ivi, pag. 100.
25) A. Rosmini, Della Divina Provvidenza. Saggio primo, in Opuscoli filosofici, Vol. I, Stresa 1827, pag. 106.
26) Ivi, pag. 108.
27) Cfr. A. Rosmini, Storia comparativa…, op. cit., pagg. 246-247.
28) Ivi, nota 35 pag. 247.
29) Si veda A. Rosmini, Della Divina…, op. cit., pag. 92 e ss.
30) A. Rosmini, Storia comparativa…, op. cit., pag. 248.
31) Ivi, pag. 248.
32) I. Kant, Critica della ragione pura, a cura di V. Mathieu, Laterza, Bari 1996, pag. 360.
33) A. Rosmini, Storia comparativa…, op. cit., pag. 253.
34) I. Kant, Metafisica dei Costumi, Laterza, Bari 1989, pag. 14.
35) A. Rosmini, Storia comparativa, op. cit., pag. 266
36) Cfr. M. F. Sciacca, La filosofia morale di Antonio Rosmini, Edizioni Rosminiane Sodalitas-Stresa 1999, pag. 61.
37) Ivi, cfr. pag. 58.
38) Ivi, pag. 54.
39) Cfr. F. Paulsen, Kant, Sein Leben und seine Lehre, Stuttgart 1898.
40) Cfr. M. Wundt, Kant als Metaphysiker, Enke, Stuggart 1924.
41) Cfr. P. Martinetti, Kant, Feltrinelli, Milano 1968.
42) Mario A. Cattaneo, Metafisica del diritto e ragione pura. Studio sul "platonismo giuridico" di Kant, Giuffrè , Milano 1984, pag. 10.
43) G. Ferretti, Ontologia e teologia in Kant, Rosemberg & Sellier, Torino 1997, pag. 211.
44) Ivi, pag. 211.
45) I. Kant, Critica della ragione pura, op. cit., pag. 21.
46) I. Kant, Critica della ragione pratica, a cura di V. Mathieau, Bompiani, Milano 2000, pag. 247.
47) P. Martinetti, Kant, op. cit., pag. 71.
48) I. Kant, Critica della ragion pura, op. cit., pag. 240.
49) Ivi, pag. 249.
50) Le osservazioni del Paulsen sono riportate da Mario A. Cattaneo, Metafisica del diritto…, op. cit., pag. 15 così come i precedenti riferimenti sul Platone, op. cit. pag. 47 e ss.
51) Cfr. Platone, Fedone, X 65b-66 a,in Tutto Platone, Editori Laterza,Bari 1966, pag. 111.
52) S. Tommaso D'Aquino, La Somma Teologica, Ed. Studio Domenicano, Bologna 1996, I-II, q. 93, a. 1.
53) Cfr. Sofia Vanni Rovighi, Introduzione allo studio di Kant, Editrice La Scuola, Brescia 1968, pag. 246.
54) Su questa negazione della fondazione metafisica della morale si veda anche il più esplicito passo della Vanni Rovighi a pag. 229 del volume Introduzione allo studio di Kant, op. cit..
55) I. Kant, Critica della ragione pratica, op. cit., pag. 265 nota.
56) Su questo si veda Antonio Lambertino, Il rigorismo etico in Kant, La Nuova Italia, Milano 1999. Vedi soprattutto pag. 307 e seguenti in cui è fatto anche un confronto con l'etica tomista.
57) A. Capograssi, Il diritto secondo Rosmini, Opere IV, Giuffrè Editore, Milano 1959 pag. 347-348.
58) I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, traduzione ed introduzione a cura di F. Gonnelli, Laterza,Bari 1997, pag. 7.
59) A. Rosmini -Dizionario filosofico, a cura di Giulio Bonafede, Herbita, Palermo 1977, pag. 100. E' bene precisare che la forma morale, in quanto congiunzione delle altre due forme, ha un primato teleologico sopra di esse. Ma questo non significa che le tre forme abbiano valore ontologico differente. Per questo problema si veda, ad esempio, Cirillo Bergamaschi, L'essere morale di …, op. cit., pag.40 e ss.
60) Cfr. Maria A. Raschini, L'essere morale in Antonio Rosmini, in AA.VV., La forma morale dell'essere- Verità e libertà nel mondo contemporaneo, Atti del XXVIII Corso della "Cattedra Rosmini", Edizione Rosminiane Sodalitas- Stresa 1994, pag. 42.
61) M. F. Sciacca, La filosofia morale di…, op. cit., pag. 181.
62) A. Rosmini- Dizionario filosofico, op. cit., pag. 33.
63) M. F. Sciacca, La filosofia morale…, op. cit., pag.183.
64) Cfr. Pietro Prini, Rosmini e l'esperienza morale come svelamento e compimento dell'essere, in La forma morale dell'essere-Verità e libertà nel mondo contemporaneo, op. cit., pag. 240.
65) S. Agostino, De Vera Religione, introduzione, traduzione e note a cura di Marco Tannini, Mursia, Milano 1987, pag. 139.
66) Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor-Lettera enciclica a tutti i vescovi della Chiesa cattolica circa alcune questioni fondamentali dell'insegnamento della morale della Chiesa, Paoline, Milano1993, pag. 65.
67) Questo il giudizio di Jacques Maritain sulla morale kantiana: "Potremmo dire che la filosofia kantiana è l'esempio di una filosofia morale che l'influenza - mal recepita - del cristianesimo ha contribuito a stravolgere; è una filosofia morale cristiana, ma travisata. Kant ha cercato di trasferire nel registro e nei "limiti" della pura ragione - il che equivaleva a deformarla completamente - la morale rivelata, quale ce la consegna la tradizione giudaico-cristiana" (J.Maritain, Neuf lecons sur les notions primières de la philosophie morale, Editions Pierre Téqui, Paris 1951 (ed. it., Nove lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale, intr. di V. Possenti, Editrice Massimo, Milano 1996, p.52).
68) Cfr. Karl Löwith, Significato e fine della storia, Il Saggiatore, Milano 1998, pag. 21.
69) A. Lambertino, Il rigorismo…, op. cit., pag. 188.
70) Ivi, pag. 188.
71) A. Rosmini, Filosofia della politica, Città Nuova Editrice, Stresa 1997, pag. 122.
72) Su questo tema si veda Mario D'Addio, Libertà ed appagamento. Politica e dinamica sociale in Rosmini, Studium, Roma 2000.
73) A. Rosmini, Filosofia della politica, op. cit., pagg. 368-369.
74) Cfr. A. Rosmini, Filosofia del diritto, op. cit., Vol. I pag. 191.
75) Sul problema giuridico-politico in Rosmini e Kant si veda: S. Muscolino, Osservazioni rosminiane alla concezione giuridica di Kant, in Rassegna Siciliana di Storia e cultura, Anno V, n.14, Palermo Dicembre 2001, pp. 143-163.
76) A. Rosmini, Antropologia in servizio della scienza morale, op. cit., pag. 488.

 

La mattoneria a vapore del cav. Giuseppe Puleo di Marcello Messina

Dopo l'unità italiana la notevole crescita demografica di Palermo e il conseguente sviluppo urbanistico della città favorirono la formazione di numerose fornaci di laterizi(1), che sorsero non solo nelle aree tradizionali, ma anche nella borgata di Acqua dei Corsari, dove era facilmente reperibile l'argilla(2).
In quest'area il cav. Giuseppe Puleo (1839-1918) costituì nel 1878(3) una nuova fabbrica dotata di moderne attrezzature(4), dove impiegò 90 operai, provenienti per la maggior parte dalle province di Milano e Chieti(5). La mattoneria, che ottenne medaglie ed onorificenze(6), produceva tegole(7), tavelloni e mattoni pieni, forati e stagnati(8), ma anche pannelli decorativi per cantoniere(9), oggetti ornamentali(10), e vasellame vario(11), fra cui comuni vasi da fiori e vasi antropomorfi(12).
Gli inventari rogati dal notaio Emanuele Provenzale tra il 20 dicembre 1918 e il 30 agosto 1919 in seguito alla morte di G. Puleo(13) e le testimonianze raccolte consentono di ricostruire le varie fasi di lavorazione all'interno della fabbrica(14).
L'argilla veniva cavata nel terreno di Villa Amanda, o popolarmente Villa Manna, concesso in enfiteusi perpetua a G. Puleo da Giuseppina Giovanna Amanda Favier(15), e trasportata con carretti nello stabilimento che si trovava nel fronte opposto della strada. Nel corso della fase successiva, detta prelavorazione, la materia prima veniva sottoposta ad una serie di operazioni, che con l'ausilio di mulini e macchine a vapore la rendevano adatta alla formatura del prodotto. Quest'ultima fase si differenziava in base al prodotto che si voleva ottenere. I mattoni forati si realizzavano con apposite macchine, mentre per il resto si usavano stampi di legno, forme di gesso, torni e in alcuni casi si modellava a mano, come testimonia la presenza di un tavolo per scultore(16). Dopo l'essiccazione seguiva la cottura, che avveniva in due forni a fuoco continuo, a cisterna Hoffmann(17). Questi forni, assolutamente rivoluzionari per l'epoca, consentivano una drastica riduzione dei consumi termici, ma richiedevano l'assistenza perenne degli operai e degli impiegati, che spesso non riuscivano ad ascoltare la Santa Messa per la distanza e la ristrettezza dell'unica chiesetta, che trovasi all'Acqua dei Corsari(18). L'industriale, per questa ragione, indirizzò il 9 febbraio 1886 una lettera all'Arcivescovo, dove chiese ed ottenne di poter erigere nel proprio stabilimento una cappella(19). Dopo la cottura i pezzi difettosi venivano gettati a mare, mentre il resto della produzione era messo in commercio presso il punto vendita della Cala.
La fornace produceva oltre ad oggetti ornamentali e vasellame, di cui non si è reperito alcun esemplare, anche mattoni da pavimento, che oltre all'usuale forma quadrata in alcuni casi avevano forma esagonale e decori floreali. Queste informazioni, che trovano solo parziale conferma dall'analisi dei sei mattoni individuati (solo 6 contro i 17.413 censiti!), si ricavano dall'inventario, dove leggiamo della presenza di un piano ghisa per mattoni esagonali, di una cornicetta di legno contenente mattoni stagnati fiorati e di quattro album cartoline a fiori per mattoni stagnati(20), che evidentemente dovevano servire da modello. Quadrati con lato compreso fra i 190 e i 230 mm e tutti di spessore di 20 mm tranne uno di 23, i mattoni sono stati realizzati con tre tipi di argilla diversi. La prima, di colore rosso e con numerose piccole impurità, si riferisce ad un esemplare smaltato in azzurro senza alcun decoro, che per i numerosi piccoli difetti e la grossolanità dell'esecuzione deve ritenersi il più antico(21). L'altro tipo di argilla, che si riscontra in tre mattoni, è rossiccia tendente al giallo. Nella decorazione del primo mattone, che per alcuni difetti si avvicina al precedente pur essendo di qualità migliore, è adoperata la tecnica del marmorizzato, effetto ottenuto con smalto bianco ceruleo dalla superficie a buccia d'arancia e con tocchi di pennello in azzurro(22). L'altro, che va riferito alla produzione aulica, è decorato interamente a mano e mostra un mazzetto di fiori lilla e foglioline verdi annodati con un abbondante nastro ocra. Le foglioline e il nastro verde, che serpeggia nella parte inferiore della composizione, creano un sapiente gioco di specchi, che conferisce compiutezza al tutto(23). Un mattone prodotto dalla ditta napoletana Raimondo Di Natale, che è stato rinvenuto nello stesso pavimento (composto da circa 80 unità), verosimilmente fu il modello di questo decoro e, sfuggito, è stato erroneamente venduto insieme al resto della produzione(24). Il terzo mattone mostra una croce di s. Andrea verde con braccia a freccia eseguita a mascherina, e un decoro a spruzzo azzurro su fondo bianco(26). L'ultimo tipo di argilla, individuata in due casi, è migliore rispetto alle precedenti, essendo omogenea e compatta. Il colore, giallo paglierino, è tipico delle argille provenienti da cave prossime al mare e verosimilmente è stata cavata da Villa Amanda. Il primo dei due mattoni, che pertanto sono da ritenersi posteriori al 1911, presenta come il precedente una croce di s. Andrea, ma in blu anziché in verde(27). L'altro propone il ripetersi modulare di un soggetto fitomorfo stilizzato eseguito in azzurro con mascherina(28).
Nei mattoni s'individuano tre tipi di marchi. Il primo è rettangolare, misura 85 mm per 55 ed è illeggibile. L'altro è circolare con diametro di 80 mm, mostra la figura della Trinacria e attorno si legge la legenda "G. Puleo & Co Palermo". L'uso contestuale di questi due marchi è testimoniato dalla loro presenza in un solo mattone, quello ritenuto il più antico. Il terzo marchio, presente solo nell'ultimo mattone, è rettangolare, misura 80 mm per 55 e si legge la legenda "Gius PULEO & C PALERMO". Nel verso dei primi tre mattoni analizzati si osservano, inoltre, una serie di tasselli quadrati dal lato di 10 mm, geometricamente ordinati, che servivano a favorire l'adesione della malta al mattone.
La crisi causata dalla prima guerra mondiale provocò la chiusura dello stabilimento, che rimase inattivo dal 30 novembre 1915(29). Dopo tre anni, il 20 settembre 1918, morì il cav. G. Puleo, che lasciò in eredità il suo cospicuo patrimonio ai sei figli(30). Tre di questi, ovvero Grazia, Maria e Roberto, il 5 maggio 1921 vendettero la propria quota della fabbrica, di Villa Amanda e del punto vendita della Cala ai fratelli Gioacchino, Giuseppe, Salvatore, Cosimo, Luigi e Agostino Di Fazio(31).
I fratelli Di Fazio appartenevano ad una famiglia impegnata nella fabbricazione di laterizi da almeno 3 generazioni ed era gente volenterosa, d'ingegno ma anche irascibile, un difetto che costò la vita al nonno Gioacchino, che possedeva un paio di fabbriche allo Stazzone(32). Alcuni briganti gli tesero un agguato al bivio di Monreale, donde ritornava con la figlia Vincenza, che era educanda dalle suore. All'intimazione o la borsa o la vita fu accecato dall'ira e malgrado la minaccia degli schioppi reagì menando frustate contro i malfattori. Morì centrato in fronte da una pallottola, come si poteva osservare sino a qualche anno fa alle catacombe dei Cappuccini, dove il suo corpo era esposto.
Il padre Simone, che si distinse in famiglia per pigrizia e svogliatezza, sposò la monrealese Dorotea Fontana, che, dovendo provvedere da sola alla numerosa famiglia, spinse energicamente la prole a trovare presto lavoro. Le esortazioni materne andarono a buon fine e così i figli costituirono una fabbrica a Ponte Ammiraglio, comprarono quella ad Acqua dei Corsari e un'altra a S. Agata Militello(33) e costruirono con i laterizi delle proprie fornaci anche tre palazzi. Durante la costruzione dei primi due, che sorsero nel 1902 in via Oreto, perse tragicamente la vita il fratello Antonino appena diciottenne, che audacemente salvò un operaio dal crollo di un muro. Nel 1934 fu costruito il palazzo in via Libertà ad angolo con via D'Annunzio, dove attraverso l'ampio uso di mattoni s'intese creare un'esposizione permanente della produzione(34).
La ditta, che ottenne il diploma d'oro e la medaglia d'oro alla Fiera campionaria di Tripoli del 1939, produceva, secondo un listino prezzi degli anni '60, numerosi tipi di laterizi con lavorazione sia a macchina, che a mano e vasi da fiori comuni e artistici(35). Nello stabilimento ad Acqua dei Corsari, che era stato dotato di forni per calce(36), si fabbricavano dal 1962 anche mattoni in cemento e segati di marmo.
La fabbrica chiuse nel 1975. La cava di Villa Amanda era ormai esaurita e l'argilla, per breve tempo, fu estratta a Vicari, ma il costo del trasporto, la necessità di sostituire i macchinari ormai obsoleti, il disinteresse di molti dei numerosi eredi causarono la sospensione dell'attività.
Il complesso, oggi gravemente degradato, è stato incluso fra i beni isolati del Piano territoriale paesistico regionale, premessa per l'elaborazione di un'adeguata strategia mirata alla sua tutela e valorizzazione(37). Speriamo, tuttavia, che questa non inquieti il fantasma, che molti operai, secondo Salvatore Di Fazio, avrebbero visto aggirarsi per la fabbrica ed ormai in solitudine da oltre cinque lustri.
A conclusione vorrei avanzare, sia pur per celia, un'ipotesi sull'identità dello spettro. Ai tempi di Piddu Puleo, secondo un testimone, un operaio fu assassinato da un collega, che fu assicurato alla giustizia con un espediente: il commissario intervenuto ordinò che tutti gli operai si disponessero in fila e, avendoli osservati attentamente uno ad uno, affermò: io so chi è l'omicida, perché la sua camicia è ancora sporca di sangue! Uno di questi, ingenuamente, si chinò per guardarsi, dichiarando così la propria colpevolezza(38).
Forse il pover uomo, trapassato violentemente dalla vita alla morte, non si è riuscito a distaccare dal luogo, dove ha trascorso gli ultimi momenti della propria esistenza, rimanendovi indissolubilmente legato.

*Si ringraziano: Salvatore Di Fazio, Giuseppe Emanuele, Valeria Ferrante, Rosaria Giordano, Mario Lo Coco, Silvana Prof. Rao, Maria Dott. Reginella, Salvatore Prof. Rizzuti, Paolo Avv. Seminara, Giovanni Dott. Travagliato.


NOTE

1) O. Cancila, Storia dell'industria in Sicilia, Bari, 1995, p. 185.
2) S. Dalia, Scoprire Palermo, Guida alla città moderna, Ottocento - Novecento, Savona, 1999, p. 267.
3) La fondazione della fabbrica avvenne per tradizione della famiglia Di Fazio in questa data.
4) Si fornisce una descrizione della fabbrica tratta dall'inventario della stessa (Archivio Distrettuale Notarile Palermo, d'ora in poi A.D.N.P., Emanuele Provenzale, 30/08/1919, n. del rep. 969): …l'intero stabilimento per uso di produzione di tegole, mattoni ed oggetti ornamentali in ceramica con due forni a fuoco continuo a cisterna Hoffmann con tutte le macchine, mulini, presse, cilindri, torni, caldaie, motori, gazometro, scaffali, annessi, connessi e pertinenze necessarie.
5) O. Cancila, op. cit., p. 186.
6) A.D.N.P. Emanuele Provenzale, 27/08/1919, n. del rep. 963. "Quattro quadri con medaglie ed onorificenze della ditta Puleo".
7) Si veda nota 4. Si segnala, inoltre, che nella collezione dell'autore è presente una tegola di tipo marsigliese con marchio: "GIUS PULEO & C/ PALERMO".
8) Gli inventari del magazzino (A.D.N.P. Emanuele Provenzale, 27/08/1919, n. del rep. 963) e dello stabilimento (A.D.N.P. Emanuele Provenzale, 30/08/1919, n. del rep. 969) forniscono un elenco delle giacenze di produzione. Nel primo sono censiti: "numero ottocento tavelloni/ numero diciassettemilaquattrocentotredici mattoni stagnati/ numero seimila mattoni forati/ numero tremila mattoni pieni/ numero centosettanta pezzi di vasellame vario", nell'altro: "numero cinquemila tavelloni/ numero quarantaduemilacinquecento mattoni forati/ numero duemila mattoni pieni/ numero quattrocentonovanta vasellame vario".
9) A.D.N.P. Emanuele Provenzale, 27/08/1919, n. del rep. 963. "trentasette quadri per cantoniere mattoni stagnati da esporre".
10) Cfr. nota 4.
11) Si veda nota 8.
12) Testimonianza di Rosaria Giordano abitante della borgata di Acqua dei Corsari.
13) A.N.D.P. Emanuele Provenzale, nn. del rep. 728, 801, 803, 893, 963, 969.
14) Le testimonianze sono di Salvatore Di Fazio, comproprietario dello stabilimento, e di Giuseppe Emanuele ex operaio della fabbrica e abitante della borgata di Acqua dei Corsari.
15) A.D.N.P. Salvatore Spinoso, 8 febbraio 1911, n. del rep. 11536.
16) A.D.N.P. Emanuele Provenzale, 30/08/1919, n. del rep. 969.
17) Si veda nota 4.
18) Archivio Storico dell'Arcidiocesi Palermo. Busta 1483. Lettera di Giuseppe Puleo del 9/02/1886.
19) Ibidem.
20) A.D.N.P. Emanuele Provenzale, 27/08/1919, n. del rep. 963.
21) Il mattone proviene dalla collezione dell'autore.
22) Cfr. nota 21.
23) Il mattone proviene dalla collezione di Mario Lo Coco.
24) Cfr. nota 21.
26) Ibidem
27) Ibidem
28) Ibidem
29) A.D.N.P. Emanuele Provenzale, 30/08/1919, n. del rep. 969.
30) A.D.N.P. Emanuele Provenzale, 25/9/1918, n. del rep. 34
31) A.N.D.P. Emanuele Provenzale, 5 maggio 1921, n. del rep. 1606.
32) Tutte le informazioni sulla famiglia Di Fazio sono state fornite da Salvatore Di Fazio.
33) La fabbrica di S. Agata Militello era stata acquistata di nascosto da Giuseppe e Cosimo con l'intenzione di garantire un futuro ai propri figli, ma, scoperti, furono costretti a cederla anche agli altri fratelli, con i quali costituivano una società a nome collettivo e, pertanto, non avrebbero potevano aprire altre attività in concorrenza. La fabbrica chiuse negli anni '80, espropriata dalla Autostrade s.p.a. per realizzare lo svincolo di S. Agata.
34) Testimonianza di Giuseppe Emanuele.
35) Il listino è presente nella biblioteca dell'autore.
36) L'informazione si ricava dal listino.
37) Regione Siciliana, Piano territoriale paesistico regionale, Palermo, 1999.
38) Il testimone, Giuseppe Emanuele, ebbe notizia del fatto dal padre Gaetano.

 

GEORGES SOREL: UNE BIBLIOGRAPHIE di Alain de Benoist

Une toute première bibliographie sorélienne, fort limitée, est parue dans le n° spécial consacré à Sorel par la revue La Rivoluzione liberale, I, 37, 14 décembre 1922, pp. 141-142. Vient ensuite la "Bibliographie sorélienne" publiée par Paul Delesalle dans l'organe de l'Institut international d'histoire sociale d'Amsterdam: International Review for Social History, J. Brill, Leiden, IV,1939, pp. 463-487 [570 références]. Ce travail pionnier, également édité en tiré à part, comporte malheureusement nombre d'erreurs et de lacunes. S'y ajoute le travail de Gian Biagio Furiozzi sur les publications italiennes de Sorel: "Sorel e l'Italia. Bibliografia ragionata", in Annali della facoltà di scienze politiche, Pérouse, 1968-70, pp. 173-206.

A partir des années quatre-vingt, les travaux les plus importants sont ceux de Shlomo Sand: "Bibliografia degli scritti di Georges Sorel", in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, XVI, 1982, pp. 349-382; "Bibliographie des écrits de Sorel", in Jacques Julliard et Shlomo Sand, Georges Sorel en son temps, Seuil, Paris 1985, pp. 425-466 [705 références]. Une autre bibliographie générale, beaucoup plus brève, a été publiée par Michel Prat in Michel Charzat (éd.), Georges Sorel, L'Herne, Paris 1986, pp. 379-387.

Shlomo Sand a également travaillé sur la littérature secondaire, avec sa "Bibliograpie des études sur Sorel " parue in Cahiers Georges Sorel, 1, 1983, pp. 173-206 [plus de 500 entrées]. Ce recensement s'est poursuivi de manière irrégulière, d'abord à l'initiative de Shlomo Sand, puis de Willy Gianinazzi et Michel Prat, dans les numéros suivants de la revue: 2, 1984, pp. 175-185; 3, 1985, pp. 181-189; 4, 1986, pp. 185-189; 5, 1987, pp. 213-215; Mil neuf cent (nouveau titre de la revue), 7, 1989, pp. 219-222 ; 9, 1991, pp. 181-183; 12, 1994, pp. 254-256; 13, 1995, pp. 197-198; 17, 1999, pp. 183-191. Une version révisée et augmentée de cet ensemble a été donnée par Shlomo Sand et Michel Prat, en annexe à Georges Sorel, Decadenza parlamentare, M&B Publishing, Milano 1998 ("Bibliografia degli scritti su Georges Sorel", pp. 197-255).
On peut également consulter les bibliographies figurant in Georges Sorel, Scritti politici e filosofici, Einaudi, Torino 1975, pp. LIII-LXXI (bibliographie établie par Giovanna Cavallari); John L. Stanley, The Sociology of Virtue. The political and Social Theories of Georges Sorel, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1981, pp. 343-368; et James H. Meisel, The Genesis of Georges Sorel, George Wahr Publ. Co., Ann Arbor 1951 ("Selective Bibliographical Chronology", pp. 299-312). Pour le domaine germanophone, cf. surtout le travail d'Armin Mohler, in Julien Freund, Georges Sorel 1847-1922. Geistige Biographie, Carl Friedrich von Siemens Stiftung, München 1977 ("Bio-bibliographischer Anhang", pp. 39-70), ainsi que sa mise à jour par Karlheinz Weißmann in Armin Mohler, Georges Sorel. Erzvater der Konservativen Revolution, Antaios, Bad Vilbel 2000 ("Bibliographie", pp. 59-86).

Particulièrement utiles pour les articles, ces diverses bibliographies restent néanmoins incomplètes pour ce qui est des livres, des travaux universitaires et surtout des traductions.

A. ŒUVRES DE GEORGES SOREL

1889
A1. Contribution à l'étude profane de la Bible, Auguste Ghio, Paris 1889, 340 p. [avec 8 appendices sur "Les prophètes", pp. 285-332].
- ouvrage signé "E.G. [Eugène-Georges] Sorel".
A2. Les Girondins du Roussillon, Impr. Charles Latrobe, Perpignan 1889, 87 p.
- tiré à part du Bulletin de la Société agricole, scientifique et littéraire des Pyrénées-Orientales, Perpignan, XXX, 1889, pp. 142-224.
A3. Le procès de Socrate. Examen critique des thèses socratiques, Félix Alcan, Paris 1889, 396 p.
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995.
- trad. angl. partielle [des pp. 172-179 et 198-216]: "The Greek Oligarchy", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 1 : Essays in Socialism and Philosophy, Oxford University Press, New York 1976, pp. 62-70, trad. John et Charlotte Stanley.
A4. Les représentants du peuple à l'armée des Pyrénées-Orientales, Retaux-Bray, Paris s.d. [1889], 68 p.
- tiré à part de la Revue historique de la Révolution, XIII, 1888, pp. 689 et 153-172, et XIV, 1889, pp. 40-65.

1892
A5. Françoise Ducruix. Contribution à la psychologie des Maratistes, Paris 1892, 50 p.
- tiré à part du Bulletin de la Société agricole, scientifique et littéraire des Pyrénées-Orientales, Perpignan, XXXIII, pp. 387-437.

1898
A6. L'avenir socialiste des syndicats, Librairie de l'Art social, Paris 1898, 31 p.
- première publication in L'Humanité nouvelle, Paris, mars 1898, pp. 294-307, et avril-mai 1898, pp. 432-445.
- 2e éd. rév. et augm.: coll. "Bibliothèque d'études socialistes", 5, Librairie G. Jacques et Cie, Paris 1901, XIX + 86 p. [avec une nouvelle préface et des notes complémentaires].
- 3e éd.: "Avenir socialiste des syndicats et annexes", in Matériaux d'une théorie du prolétariat (1919), pp. 55-167 [avec en appendice le texte d'une préface et de notes rédigées en 1905 en vue d'une éd. italienne qui n'a jamais vu le jour. Cette préface a été publiée, sous le titre "Le syndicalisme révolutionnaire", in Le Mouvement socialiste, Paris, XVII, 166-167, 1er-15 novembre 1905, et partiellement traduite en anglais: "On the Barbarism of Revolution", in Richard Vernon, Commitment and Change. Georges Sorel and the Idea of Revolution. Essays and Translations, University of Toronto Press, Toronto 1978, pp. 111-120] .
- trad. esp.: El porvenir de los sindicatos obreros, F. Sempere y Compañía, Valencia s.d. [1900], XIV + 144 p., trad. et présentation de Soledad Gustavo.
- trad. ital.: 1) in L'Avanguardia socialista, hebdomadaire dirigé par Arturo Labriola, I, juillet-novembre 1903. 2) "La decomposizione del marxismo. Con un'appendice su "L'avvenire socialista dei sindacati"", in Celestino Arena (éd.), Lavoro, coll. "Nuova collana di economisti stranieri e italiani", Unione tipografico-editrice Torinese (UTET), Torino 1936, vol. XIV, pp. 879-918, trad. Celestino Arena. 3) "L'avvenire socialista dei sindacati", in Georges Sorel, Scritti politici e filosofici (1975), pp. 181-222, trad. Giovanna Cavallari [d'après les articles de 1898].
- trad. angl.: "The Socialist Future of the Syndicates", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 1: Essays in Socialism and Philosophy, Oxford University Press, New York 1976, pp. 71-93, trad. John et Charlotte Stanley (2e éd.: in Subrata Mukherjee et Sushila Ramaswamy, ed., Georges Sorel, 1847-1922, Deep & Deep, New Delhi 1998).
A7. La necessità e il fatalismo nel marxismo ("La nécessité et le fatalisme dans le marxisme"), Roux Frassati, Torino 1898, 27 p.
- tiré à part de La Riforma sociale, VIII, 8, août 1898, pp. 708-732.
- 2e éd. : in Saggi di critica del marxismo (1903), pp. 59-94.

1899
A8. Dove va il marxismo? ("Où va le marxisme?"), Roux Frassati, Torino 1899, 12 p.
- tiré à part de la Rivista critica del socialismo, I, 1, janvier 1899, pp. 9-21.
A9. Le idee giuridiche nel marxismo ("Les idées juridiques dans le marxisme"), Tip. D. Puccio, Palermo 1899, 31 p.
- tiré à part de la Rivista di storia e di filosofia del diritto, août 1899.
- 2e éd.: in Saggi di critica del marxismo (1903), pp. 189-223.
A10. L'evoluzione del socialismo in Francia ("L'évolution du socialisme en France"), Roux Frassati, Torino 1898, 26 p.
- tiré à part de La Riforma sociale, IX, juin 1899, pp. 509-525.
A11. Lo spirito pubblico in Francia ("L'esprit public en France"), Remo Sandron, Milano 1899, 9 p.
- tiré à part de la Rivista popolare di politica, Rome, V, 11, 15 décembre 1899, pp. 206-210.
A12. Il Vangelo, la Chiesa e il socialismo ("L'Evangile, l'Eglise et le socialisme"), Tip. Forense, Roma 1899, 20 p.
- tiré à part de la Rivista critica del socialismo, I, 4, avril 1899, pp. 295-304, et mai 1899, pp. 385-394.
- version française: "Eglise, Evangile et socialisme", in La ruine du monde antique (1902), pp. 249-270.

1900
A13. Costruzione del sistema della storia secondo Marx ("La construction du système de l'histoire selon Marx"), Roux e Viarengo, Torino 1900.
- tiré à part de La Riforma sociale, X, juin 1900, pp. 655-673.
- 2e éd.: in Saggi di critica del marxismo (1903), pp. 225-264.
A14. Les polémiques pour l'interprétation du marxisme. Bernstein et Kautsky, V. Giard et E. Brière, Paris 1900, 45 p.
- première publication in Revue internationale de sociologie, Paris, VIII, 4, avril 1900, pp. 262-284, et 5, mai 1900, pp. 348-369.
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995.
- trad. ital.: in Saggi di critica del marxismo (1903), pp. 265-328.
- trad. angl.: "Polemics for the Interpretation of Marxism: Bernstein and Kautsky", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 1: Essays in Socialism and Philosophy, Oxford University Press, New York 1976, pp. 148-175, trad. John et Charlotte Stanley (2e éd.: in Subrata Mukherjee et Sushila Ramaswamy, ed., Georges Sorel, 1847-1922, Deep & Deep, New Delhi 1998).

1901
A15. Essai sur l'Eglise et l'Etat, Librairie G. Jacques et Cie, Paris 1901, 63 p.
- première publication: "L'Eglise et l'Etat", in Revue socialiste, Paris, XXXIV, août 1901, pp. 129-154, septembre 1901, pp. 325-342, et octobre 1901, pp. 402-420.
- 2e éd.: De l'Eglise et de l'Etat. Fragments, coll. "Les Cahiers de la quinzaine", 3e série, 3, Cahiers de la quinzaine, Paris 1901, 72 p.
A16. La valeur sociale de l'art, Librairie G. Jacques et Cie, Paris 1901, 32 p. [texte d'une conférence prononcée à l'Ecole des hautes études sociales].
- première publication in Revue de métaphysique et de morale, Paris, IX, mai 1901, pp. 251-278.
- trad. angl.: "The Social Value of Art", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 2: Hermeneutics and the Sciences, Transaction Publ., New Brunswick 1989, pp. 99-121, trad. John L. Stanley et Charlotte Stanley.

1902
A17. La ruine du monde antique. Conception matérialiste de l'histoire, coll. "Bibliothèque d'études socialistes", 10, Librairie G. Jacques et Cie, Paris s.d. [1902], 281 p. [reprend en appendice, pp. 249-270, le texte de Il Vangelo, la Chiesa e il socialismo, 1899].
- reprise développée de trois articles sur "La fin du paganisme" parus in L'Ere nouvelle, Paris, août 1894, pp. 338-364, septembre 1894, pp. 33-72, et octobre 1894, pp. 170-199.
- 2e éd.: coll. "Etudes sur le devenir social", 19, Marcel Rivière, Paris 1925, XXVIII-323 p., avant-propos de Edouard Berth [avec un avertissement daté de mars 1922, éd. augm. pp. 1-28 d'un texte intitulé "Hypothèses sur la conquête chrétienne", déjà paru in Revue de métaphysique et de morale, Paris, janvier 1912, mais amputée des deux tiers de l'appendice de la 1ère éd. "Eglise, Evangile et socialisme"].
- 3e éd.: Marcel Rivière, Paris 1933, XV + 323 p.
- trad. esp.: La ruina del mundo antiguo. Concepción materialista de la historia, coll. "Arte y libertad", F.Semere y Compañía, Valencia, et Prometeo, Madrid, s.d. [1912], VII + 234 p., trad. Soledad Gustavo (2e éd.: F. Semere y Compañía, Valencia 1915; 3e éd.: coll. "Era - Precursores", série "Historia", 6, Intermundo, Buenos Aires 1946, 290 p.
- trad. angl. partielle: "On revolution and Terror", in Richard Vernon, Commitment and Change. Georges Sorel and the Idea of Revolution. Essays and Translations, University of Toronto Press, Toronto 1978, pp. 76-81.

1903
A18. La crise de la pensée catholique, Librairie G. Jacques, Paris s.d. [1903], 47 p.
- première publication in Revue de métaphysique et de morale, Paris, X, septembre 1902, pp. 523-551.
- reprise d'extraits in Michel Charzat (éd.), Georges Sorel, L'Herne, Paris 1986, pp. 265-269.
A19. Introduction à l'économie moderne, coll. "Bibliothèque d'études socialistes", 13, Librairie G. Jacques, Paris 1903, 385 p.
- 2e éd.: Librairie G. Jacques, Paris s.d. [ca. 1906].
- 3e éd.: coll. "Etudes sur le devenir social", 8, Marcel Rivière, Paris 1911, 386 p.
- 4e éd. rév. et augm.: Marcel Rivière, Paris 1922, XVI + 430 p. [avec un avertissement daté d'octobre 1919 et un texte sur "L'humanité contre la douleur", pp. 399-421, déjà paru comme préface à Georges Castex, La douleur physique, 1905].
- 5e éd.: AMS Press, New York 1975, XVI + 430 p. [reproduction en fac-similé de la 3e éd.].
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995 [d'après la 2e éd.].
- trad. russe: Vvédénié v izoutchenié sovremennogo khoziaïstva, V. Ivanov, Moskva 1908, 261 p., trad. et présentation de L Kozlovski [avec une nouvelle préface datée de 1908].
- trad. ital. abrégée: "Introduzione all'economia moderna", in Georges Sorel, Scritti politici e filosofici (1975), pp. 223-295, trad. Giovanna Cavallari [d'après la 4e éd.].
A20. Saggi di critica del marxismo ("Essais de critique du marxisme"), coll. "Biblioteca di scienze sociali e politiche", 45, Remo Sandron, Milano 1903, XLVIII + 401 p., trad. et présentation [déjà parue sous le titre "Georges Sorel e il socialismo" in La Riforma sociale, XII, 11 novembre 1902, pp. 993-1018] de Vittorio Racca.
- recueil d'articles contenant aussi la trad. de la préface à Napoleone Colajanni, Le socialisme (1900).
- première publication des articles: "Betrachtungen über die materialistische Geschichtsauffassung", in Sozialistische Monatshefte, II, 7, juillet 1898, pp. 316-322, 8, août 1898, pp. 367-375, et 9, septembre 1898, pp. 428-432; La necessità e il fatalismo nel marxismo (1898); "Marxismo e scienza sociale", in Rivista italiana di sociologia, III, janvier 1899, pp. 68-81; "Y a-t-il de l'utopie dans le marxisme?", in Revue de métaphysique et de morale, Paris, VII, mars 1899, pp. 152-175; "Quelques objections au matérialisme économique", in L'Humanité nouvelle, Paris, IV, 24, juin 1899, pp. 657-665, et V, 25, juillet 1899, pp. 30-43; Le idee giuridiche nel marxismo (1899); "Über die capitalistische Concentration", in Sozialistische Monatshefte, IV, 2, février 1900, pp. 72-76, et 3, mars 1900, pp. 141-149; Les polémiques pour l'interprétation du marxisme: Bernstein et Kautsky (1900); "Alcune previsioni storiche di Marx", in Rivista popolare di politica, VI, 8, 30 avril 1900, pp. 147-148; Costruzione del sistema della storia secondo Marx (1900).
- 2e éd.: Samonà e Savelli, Roma 1970, XLVIII + 400 p. [reproduction en fac-similé de la 1ère éd.].
- plusieurs textes ont été repris dans l'anthologie Democrazia e rivoluzione (1975).
- trad. angl. partielle [des chap. 2, 5 et 9]: "Necessity and Fatalism in Marxism", "Is There a Utopia in Marxism?" et "Polemics for the Interpretation of Marxism: Bernstein and Kautsky", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 1: Essays in Socialism and Philosophy, Oxford University Press, New York 1976, pp. 111-175, trad. John et Charlotte Stanley (2e éd.: "Critical Essays in Marxism", in Subrata Mukherjee et Sushila Ramaswamy, ed., Georges Sorel, 1847-1922, coll. "World's Greatest Socialist Thinkers", 18, Deep & Deep, New Delhi 1998); "Marxism and Social Science", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 2: Hermeneutics and the Sciences, Transaction Publ., New Brunswick 1989, pp. 177-189, trad. John L. Stanley et Charlotte Stanley.
A21. Sur divers aspects de la mécanique, Armand Colin, Paris 1903, 31 p.
- tiré à part de la Revue de métaphysique et de morale, Paris, XI, 6, décembre 1903, pp. 715-748.

1905-06
A22. Le système historique de Renan, Librairie G. Jacques, Paris 1905-06, 475 p.
- 4 fasc. en 1 vol.: "I. Introduction" (1905) - "II. Renan historien du judaïsme" (1906) - "III. Renan historien du christianisme" (1906) - "IV. Les premiers temps apostoliques" (1906).
- 2e éd.: Slatkine, Genève 1971, 475 p. [reproduction en fac-similé de la 1ère éd.].
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995.
- trad. russe partielle: Ernest Renan. Kriticheskiï ètûde, Izdaníe N. Glagoleva, St.-Petersburg 1908, 162 p., trad. V.I. [Viatcheslav Ivanovitch] Ivanov.
- trad. angl. partielle: "The Historical System of Ernest Renan", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 2: Hermeneutics and the Sciences, Transaction Publ., New Brunswick 1989, pp. 1-65, trad. John L. Stanley et Charlotte Stanley.

1906
A23. Lo sciopero generale e la violenza ("La grève générale et la violence"), coll. "Biblioteca del Divenire sociale", Tip. Industria e lavoro, Roma 1906, XII + 128 p., trad. Salvatore Piroddi, présentation de Enrico Leone [recueil d'articles].
- première publication: "La lotta di classe e la violenza", in Il Divenire sociale, I, 19, 1er octobre 1905, pp. 294-298, et 20, 16 octobre 1905, pp. 313-315; "La decadenza borghese e la violenza", in Il Divenire sociale, I, 21, 1er novembre 1905, pp. 331-333; "I pregiudizi contro la violenza", in Il Divenire sociale, I, 23, 1er décembre 1905, pp. 359-366; "Lo sciopero generale", in Il Divenire sociale, I, 24, 16 décembre 1905, pp. 374-378; "Lo sciopero generale politico", in Il Divenire sociale, II, 16 janvier 1906, pp. 22-25, et 1er février 1906, pp. 35-37; "Morale e violenza", in Il Divenire sociale, II, 16 février 1906, pp. 51-55; "Lo sciopero generale e la morale", in Il Divenire sociale, II, 16 mars 1906, pp. 86-89; "La morale dei produttori", in Il Divenire sociale, II, 1er avril 1906, pp. 100-103. Révisés et augmentés, ces textes seront repris début 1906, sous le titre général de "Réflexions sur la violence", dans le journal Le Mouvement socialiste, fondé en 1899 par Hubert Lagardelle, puis réunis en livre à la demande de Daniel Halévy.
- cf. Réflexions sur la violence (1908).

1907
A24. Insegnamenti sociali della economia contemporanea. Degenerazione capitalista e degenerazione socialista ("Enseignements sociaux de l'économie contemporaine. Dégénérescence capitaliste et dégénérescence socialiste"), coll. "Biblioteca di scienze sociali et politiche", 60, Remo Sandron, Milano 1907, XXXII + 398 p., trad. et présentation de Vittorio Racca [texte écrit entre 1903 et 1905, dont il n'existe pas de version française, le manuscrit original ayant été perdu].
- reprend certains passages de l'Introduction à l'économie moderne (1903).
- le texte français des pages finales a été publié in Le Mouvement socialiste, Paris, 1er juillet 1905, puis repris sous le titre "Conclusion aux "Insegnamenti"" in Michel Charzat (éd.), Georges Sorel, L'Herne, Paris 1986, pp. 270-276.
- trad. russe: Socíalnye ocerki sovremennoj èkonomíi. Degeneracíâ kapitalizma i degeneracíâ socíalizma, S. Dorovatoskij i A. Tcharushnikov, Moskva 1908, 356 p., trad. G. Kirdecova [avec une nouvelle préface datée de 1908].
- trad. angl.: Social Foundations of Contemporary Economics, coll. "Social Science Classics Series", Transaction Books, New Brunswick 1984, X + 339 p., trad. [d'après la version ital.] et présentation de John L. Stanley, index.
A25. Les préoccupations métaphysiques des physiciens modernes, coll. "Les Cahiers de la quinzaine", 8e série, 16, Cahiers de la quinzaine, Paris s.d. [avril 1907], 93 p., avant-propos de Julien Benda [avec en appendice, pp. 77-79, une recension par Sorel de La valeur de la science de Henri Poincaré, déjà parue in Revue générale de bibliographie française, III, 25-26, octobre 1905, pp. 314-317, puis in Cahiers de la quinzaine, 8e série, 16, avril 1907, pp. 77-81].
- première publication in Revue de métaphysique et de morale, Paris, XIII, novembre 1905, pp. 855-889.
- éd. originale de 1 + 1 + 1 + 10 exemplaires numérotés.
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995.
1908
A26. La décomposition du marxisme, coll. "Bibliothèque du mouvement socialiste", 3, Marcel Rivière, Paris 1908, 64 p. [le titre semble avoir été emprunté à Charles Andler].
- 2e éd.: coll. "Bibliothèque du mouvement prolétarien", 3, Marcel Rivière, Paris 1910, 68 p.
- 3e éd.: Marcel Rivière, Paris 1926.
- 4e éd.: Bona Fide, Saint-Denis 1979, 72 p.
- 5e éd.: in La décomposition du marxisme et autres essais, Presses universitaires de France, Paris 1982, pp. 211-256 [d'un vol. de 262 p.].
- 6e éd.: Hérode, Chalon-s/Saône 1991, 69 p.
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995 [d'après la 5e éd.].
- trad. russe [d'une 1ère version]: " Evoljucija socializma", in Social'noe dvizenic v sovremennoj Francii, S. Dorovatoskij i A. Tcharushnikov, Moskva 1908, pp. 189-229.
- trad. ital.: 1) "La decomposizione del marxismo", in Il Divenire sociale, 1909, pp. 93-96, 107-112, 134-139, 154-158 et 167-170. 2) "La decomposizione del marxismo. Con un'appendice su "L'avvenire socialista dei sindacati"", in Celestino Arena (éd.), Lavoro, coll. "Nuova collana di economisti stranieri e italiani", 11, Unione tipografico-editrice Torinese (UTET), Torino 1936, pp. 879-918, trad. Celestino Arena (2e éd.: La decomposizione del marxismo, Unione tipografico-editrice Torinese, Torino 1936). 3) "La decomposizione del marxismo", in Georges Sorel, Scritti politici, coll. "Classici politici", Unione tipografico-editrice Torinese (UTET), Torino 1963, 802 p., trad. Roberto Vivarelli [d'après la 2e éd.]. 4) La decomposizione del marxismo, coll. "Contra - Argomentazioni antieconomiciste", 7, Il Settimo Sigillo, Roma 2001, 85 p., trad. et présentation de Stefano Boninsegni [d'après la 5e éd.].
- trad. suéd.: Marxismens upplösning, Lysekil, Stockholm 1909, trad. Gottfrid Ljungdahl.
- une trad. jap. a été publiée en 1929.
- trad. all.: Die Auflösung des Marxismus, Gustav Fischer, Jena 1930, VI + 72 p., trad. et présentation de Ernst H. Posse [d'après la 3e éd.], index (2e éd. sans la présentation de Posse: coll. "Bibliothek der Nautilus", Nautilus-Lutz Schulenburg, Hamburg 1978, 67 p., éd. par Attila Eisenherz, index).
- trad. angl.: in Irving Louis Horowitz, Radicalism and the Revolt Against Reason. The Social Theories of Georges Sorel, with a Translation of His Essay on "The Decomposition of Marxism", Routledge & Kegan Paul, London, et Humanities Press, New York 1961.
- trad. turque: Marksizme elefltirel yaklaflimlar, coll. "Soyak Yayinlari", 2, Sokak Yayinlari, Istanbul 1985, trad. Alev Tüker.
- trad. hongr.: A marxizmus felbomlása, coll. "Politikaelméleti füzetek", 1, ELTE, Budapest 1989, 48 p., trad. László Balogh.
A27. Les illusions du progrès, coll. "Etudes sur le devenir social", 1, Marcel Rivière, Paris 1908, 283 p.
- première publication in Le Mouvement socialiste, Paris, XIX, 177-178, août-septembre 1906, pp. 289-328, XX, 179, octobre 1906, pp. 65-129, 180, novembre 1906, pp. 219-249, et 181, décembre 1906, pp. 314-346. - Une présentation du livre, rédigée par Sorel, a paru in La Petite République, 2 juin 1908 (reprise in Michel Charzat, éd., Georges Sorel, L'Herne, Paris 1986, pp. 284-286).
- 2e éd. rév. et augm.: Marcel Rivière et Cie, Paris 1911, 340 p. [avec un nouvel avertissement et un appendice sur les notions de grandeur et de décadence, d'abord paru sous le titre "Evoluzione e decadenza", in Il Divenire sociale, V, 16-31 décembre 1909, pp. 272-275 et 283-285, et VI, janvier-mars 1910, pp. 24-27, 47-49 et 55-56].
- 3e éd. rév. et augm.: Marcel Rivière, Paris 1922, 394 p. [avec un nouvel appendice daté de septembre 1920: "La marche au socialisme", pp. 337-386].
- 4e éd.: Marcel Rivière, Paris 1927, 390 p.
- 5e éd.: Marcel Rivière et Cie, Paris 1947.
- 6e éd.: coll. "European Political Thought", Arno Press, New York 1979, 340 p. [reproduction en fac-similé de la 2e éd.].
- 7e éd.: coll. "Ressources", 121, Slatkine, Genève 1981, 394 p. [reproduction en fac-similé de la 3e éd.].
- 8e éd.: Trident-Librairie française, Paris 1989, 390 p.
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995 [d'après la 3e éd.].
- trad. esp.: Las ilusiones del progresso. Estudios sobre el porvenir social, F. Sempere y Compañía, Valencia 1909, 220 p., trad. M. Aguilar Muñoz.
- trad. ital.: 1) Le illusioni del progresso, coll. "Biblioteca di scienze sociali e politiche", 74, Remo Sandron, Milano 1910, 312 p., trad. et présentation de Agostino Lanzillo [avec en appendice une lettre de Sorel à Lanzillo, pp. 301-309]. 2) "Le illusioni del progresso", in Georges Sorel, Scritti politici, coll. "Classici politici", Unione tipografico-editrice Torinese (UTET), Torino 1963, pp. 423-732 [d'un vol. de 802 p.], trad. Roberto Vivarelli [d'après la 5e éd.]. 3) Le illusioni del progresso, coll. "L'età moderna", 9, Universale Bollati Boringhieri, Torino 1993, XXV + 208 p., trad. Francesca di Montereale-Mantica [d'après la 3e éd.], présentation de Alfredo Salsano.
- trad. angl.: The Illusions of Progress, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1969, LI + 222 p., trad. John L. Stanley et Charlotte Stanley, avant-propos de Robert A. Nisbet, présentation de John L. Stanley (2e éd.: Berkeley-Los Angeles 1972; reprise d'extraits: "First Ideologies of Progress", in John L. Stanley, ed., From Georges Sorel, vol. 1: Essays in Socialism and Philosophy, Oxford University Press, New York 1976, pp. 176-191). - Audiovisuel: un enregistrement audio de l'éd. angl. a été réalisé en 1971 par la CNIB de Toronto (narrateur: Nan Donn, 3 cassettes).
- trad. grecque: Aíflóç, Áèfiíá 1990, 310 p.
- une trad. polon. a été publiée à Cracovie.
A28. Réflexions sur la violence, Librairie de Pages libres, Paris 1908, XLIII + 257 p. [avec en introduction une longue lettre à Daniel Halévy datée du 15 juillet 1907, d'abord parue in Le Mouvement socialiste, Paris, XXII, 189-190, août-septembre 1907, pp. 137-165].
- reprise développée des articles d'abord parus en italien dans Lo sciopero generale e la violenza (1906), première publication française sous le titre général "Réflexions sur la violence" in Le Mouvement socialiste, Paris, XVIII, 170, 15 janvier 1906, pp. 5-56, XVIII, 171, 15 février 1906, pp. 140-164, XVIII, 172, 15 mars 1906, pp. 256-293, XVIII, 173, 15 avril 1906, pp. 390-427, et XIX, 174-175, 15 mai-15 juin 1906, pp. 33-124.
- dédié: "A la mémoire de la compagne de ma jeunesse" [Marie-Euphrasie David, 1845-1897]
- 2e éd.: coll. "Etudes sur le devenir social", 4, Marcel Rivière, Paris 1910, 412 p. [avec un nouvel appendice: "Unité et multiplicité", pp. 391-412].
- 3e éd.: Marcel Rivière et Cie, Paris 1912, 440 p. [avec un nouvel avertissement].
- 4e éd.: Marcel Rivière, Paris 1920, 458 p. [avec un nouvel appendice daté de septembre 1919: "Pour Lénine", pp. 437-454 - la première version de ce "Plaidoyer pour Lénine", intitulée "Apologie pour Lénine", a été publiée en Italie, sous le titre "Chiarimenti su Lenin", dans le Resto del Carlino du 23 juillet 1919].
- 5e éd.: Marcel Rivière, Paris 1921.
- 6e éd. augm.: Marcel Rivière, Paris 1925, 458 p. ["éd. définitive suivie du "Plaidoyer pour Lénine""].
- 7e éd.: Marcel Rivière, Paris 1930.
- 8e éd.: Réflexions sur la violence. Avec un plaidoyer pour Lénine, Marcel Rivière, Paris 1936.
- 9e éd. augm.: Marcel Rivière et Cie, Paris 1946.
- 10e éd.: Réflexions sur la violence, coll. "Etudes sur le devenir social", Marcel Rivière et Cie, Paris 1950.
- 11e éd.: coll. "Etudes sur le devenir social", nouvelle série, 3, Marcel Rivière et Cie, Paris 1972, XLIV + 394 p., présentation de Claude Polin.
- 12e éd.: coll. "Ressources", 118, Slatkine, Genève 1981, 394 p. [reproduction en fac-similé de la 11e éd.].
- 13e éd.: coll. "Grands textes retrouvés", Trident-Librairie française, Paris 1987, 247 p.
- 14e éd.: Seuil, Paris 1990, XV + 329 p., texte établi par Michel Prat, présentation de Jacques Julliard, index [avec en appendice des lettres de Georges Sorel à Daniel Halévy et Marcel Dalbertoz, pp. 307-319].
- sur microfiche: University Toronto of Library, Toronto 1990 [4 microfiches d'après la 2e éd.].
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995 [d'après la 14e éd.] et 1997 [d'après la 5e éd.].
- trad. russe: Razmychleniïa o nasilii, coll. "Voprosy sindikalizma", Pol'za, Moskva 1907, 163 p., trad. V.M. [Vladimir Maksimovitch] Fritché.
- trad. ital.: 1) Considerazioni sulla violenza, coll. "Biblioteca di cultura moderna"), G. Laterza & figli, Bari 1909, XXVII + 307 p., trad. Antonio Sarno, présentation de Benedetto Croce (2e éd. augm.: Laterza, Bari 1926, XXVII + 357 p., présentation de Benedetto Croce; 3e éd.: coll. "Universale Laterza", Laterza, Bari 1970, 380 p., présentation de Benedetto Croce, préface de Enzo Santarelli; 4e éd.: Laterza, Roma-Bari 1974). - La présentation de Benedetto Croce ("Il pensiero di Georges Sorel") a d'abord paru sous le titre "Cristianesimo, socialismo e metodo storico" in La Critica, V, juillet 1907, pp. 317-330, comme recension du Système historique de Renan. Elle a été traduite en français: "Christianisme, socialisme et méthode historique", in Fédération, Paris, 96, janvier 1953, pp. 24-35 (reprise in Michel Charzat, éd., Georges Sorel, L'Herne, Paris 1986, pp. 366-377). 2) "Riflessioni sulla violenza", in Georges Sorel, Scritti politici, coll. "Classici politici", Unione tipografico-editrice Torinese (UTET), Torino 1963, pp. 79-421 [d'un vol. de 802 p.], trad. Roberto Vivarelli [d'après la 10e éd.]. 3) Riflessioni sulla violenza, coll. "Classici della Biblioteca universale Rizzoli", Biblioteca universale Rizzoli, Milano 1997, 358 p., trad. Maria Grazia Meriggi, présentation de Jacques Julliard - cf. aussi Lenin (1946).
- trad. esp.: 1) Reflexiones sobre la violencia, coll. "Biblioteca moderna de filosofía e ciencias sociales", Libreria española y extranjera Francisco Beltrán, Madrid 1912, 330 p., trad. et présentation de Augusto Vivero (2e éd.: Libreria española y extranjera Francisco Beltrán, Madrid 1915; 3e éd. augm.: Reflexiones sobre la violencia. Con un alegato en pro de Lenin, Libreria española y extranjera Francisco Beltrán, Madrid 1934, 316 p.; 4e éd.: coll. "Grandes obras", Ercilla, Santiago de Hile 1935, 287 p.; 5e éd.: Carlos Valencia, Bogotá 1976, 191 p.). 2) Reflexiones sobre la violencia, coll. "Ayer", Actualidad, Montevideo 1961, 143 p., trad. A. Zozaya, présentation de J. Kugelmann. 3) Reflexiones sobre la violencia, coll. "El libro de bolsillo - Humanidades", 626, Alianza, Madrid 1972, 390 p., trad. Florentino Trapero, préface de Isaiah Berlin, trad. de la préface par María Luisa Balseiro (2e éd.: Alianza, Madrid 1976). 4) Reflexiones sobre la violencia, La Pléyade, Buenos Aires s.d. [ca. 1984], 301 p., trad. Luis Alberto Ruiz [d'après la 8e éd.]. 5) Reflexiones sobre la violencia, coll. "Crítica filosófica", 43, Magisterio Español, Fuenlabrada 1987, 198 p., trad. Manuel Olasagasti, présentation de Giuseppe Savagnone.
- trad. angl.: A) intégrale: Reflections on Violence, B.W. Huebsch, New York 1915, 299 p., trad. Thomas Ernest Hulme (2e éd.: George Allen & Unwin, London 1916, X + 299 p., avec une présentation de Thomas Ernst Hulme d'abord parue in The New Age, XVII, 24, 15 octobre 1915, pp. 569-570; 3e éd.: London 1925; 4e éd.: Peter Smith, New York 1941, X + 299 p. [reproduction en fac-similé de la 2e éd.]; 5e éd.: Free Press, Glencoe 1950, 311 p., trad. Thomas Ernest Hulme rév. par J. Roth, présentation de Edward A. Shils; 6e éd.: Collier Books, New York, et Collier-Macmillan, London 1961, 286 p., présentation de Edward A. Shils; 7e éd.: Collier Books, New York 1972, 286 p., 1ère éd. angl. comprenant la trad. des appendices "Unité et multiplicité" et "Pour Lénine"; 8e éd.: AMS Press, New York 1975, X + 299 p. [reproduction en fac-similé de la 1ère éd.]; 9e éd.: coll. "Cambridge Texts in the History of Political Thought", Cambridge University Press, Cambridge 1999, XXXIX + 300 p., trad. Thomas Ernst Hulme rév. [d'après la 14e éd.] et présentée par Jeremy Ralph Jennings, index). B) partielle: "Letter to Daniel Halévy", "The Proletarian Strike" et "The Morality of the Producers", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 1: Essays in Socialism and Philosophy, Oxford University Press, New York 1976, pp. 192-226, trad. John et Charlotte Stanley
- trad. all.: Über die Gewalt, Universitäts Verlag Wagner, Innsbruck 1928, XXIII + 386 p., trad. Ludwig Oppenheimer [d'après la 6e éd.], présentation de Gottfried Salomon, postface de Edouard Berth, XXII + 385 p. [version fr. de la postface in La Révolution prolétarienne, Paris, V, 76, 15 mars 1929, pp. 83-87, et 77, 1er avril 1929, pp. 99-102, texte repris in Edouard Berth, Du "Capital" aux "Réflexions sur la violence", Marcel Rivière, Paris 1932, pp. 169-204] (2e éd.: coll. "Theorie", 1, Suhrkamp, Frankfurt/M. 1969, 392 p., postface de George Lichtheim (trad. angl. de la postface: in Georg Lichtheim, From Marx to Hegel, Orbach & Chambers, London 1971, pp. 93-124); 3e éd.: coll. "Suhrkamp Taschenbuch Wissenschaft", 360, Suhrkamp, Frankfurt/M. 1981, 393 p.).
- une trad. jap. a été publiée en 1928.
- trad. norvég.: Tanker om vold, coll. "Gyldendals Fakkel-bøker", Gyldendal, Oslo 1974, 126 p., trad. Erik Gunnes, présentation de Jens A. Christophersen.
- trad. serbo-croate: Revolucija i nasilje ("Révolution et violence"), coll. "Biblioteka Prometej", 10, Globus, Zagreb 1980, XIX + 325 p., présentation de Rade Kalanj.
- trad. portug.: Reflexões sobre a violencia, Martins Fontes, São Paulo 1992, présentation de Jacques Julliard (2e éd.: coll. "Classicos do pensamento politico", 23, Vozes, Petropolis [Brésil] 1993, 287 p., trad. Orlando do Reis).
- trad. hongr.: Gondolatok az erIszakról, Századvég, Budapest 1994, 333 p., trad. Mónika Burján, Katalin Lukács et Eva Szénási, présentation de Eva Szénási.
- trad. suéd.: Tankar om våld, Farisé, Göteborg 1999, 221 p., trad. Torbjörn Holmgren.

1909
A29. La religione d'oggi ("La religion d'aujourd'hui"), coll. "Cultura dell'anima", 19, R. Carabba, Lanciano s.d. [1909], 127 p., trad. Agostino Lanzillo [avec une préface inédite de Sorel, rév. et augm.].
- trad. de "La religion d'aujourd'hui", in Revue de métaphysique et de morale, Paris, XVII, mars 1909, pp. 240-273, et mai 1909, pp. 413-447.
- 2e éd.: R. Carabba, Lanciano 1911.
- 3e éd.: R. Carabba, Lanciano 1918.
- 4e éd.: Carabba, Lanciano 1974, 127 p., présentation de Giuseppe Santonastaso.
A30. La révolution dreyfusienne, coll. "Bibliothèque du mouvement socialiste", 8, Marcel Rivière, Paris 1909, 64 p.
- 2e éd.: Marcel Rivière et Cie, Paris 1911, 72 p. [avec une nouvelle préface datée de décembre 1910].
- 3e éd.: Trident-Librairie française, Paris 1988, 73 p. [reproduction en fac-similé de la 2e éd.].
- trad. angl. partielle: "On the Course of Revolution ", in Richard Vernon, Commitment and Change. Georges Sorel and the Idea of Revolution. Essays and Translations, University of Toronto Press, Toronto 1978, pp. 120-125.

1910
A31. Le confessioni. Come divenni sindacalista ("Les confessions. Comment l'on devient syndicaliste"), coll. "Biblioteca del Divenire sociale", Libreria editrice del Divenire sociale, Roma 1910, 6 + 38 p.
- texte d'abord conçu comme préface à un livre sur le syndicalisme révolutionnaire. Le titre et le sous-titre ont été ajoutés par le traducteur et l'éditeur. Le texte français, dont le manuscrit avait été perdu, a été reconstitué par Sorel à partir de la version italienne, puis inséré sous le titre "Mes raisons du syndicalisme", in Matériaux d'une théorie du prolétariat (1919), pp. 239-286.
- première publication: "Confessioni", in Il Divenire sociale, VI, 1er mars 1910, pp. 45-47, 16 mars 1910, pp. 66-68, 1er avril 1910, pp. 84-96, 16 avril 1910, pp. 113-114, et 16 mai 1910, pp. 131-133.
- 2e éd.: Cadmo, Roma 1984, 38 p., présentation de Gian Biagio Furiozzi.
- 3e éd.: in Georges Sorel, Decadenza parlamentare (1998), pp. 162-179.

1919
A32. Georges Sorel et Enrico Leone, La Dalmazia è terra d'Italia. Socialisti francesi e italiani per l'italianità della Dalmazia ("La Dalmatie est terre d'Italie. Les socialistes français et italiens pour l'italianité de la Dalmatie"), coll. "Le città ancora irredente", 2, Tip. E. Armani, Roma 1919, 10 p., trad. Enrico Leone.
- première publication du texte de Sorel: "La Dalmazia", in Il Tempo, Rome, 14 février 1919.
A33. Matériaux d'une théorie du prolétariat, coll. "Etudes sur le devenir social", 15, Marcel Rivière, Paris 1919, 415 p. [avec un avant-propos daté de juillet 1914, manuscrit remis chez l'éditeur avant le début de la Première Guerre mondiale].
- dédié à Paul et Léona Delesalle.
- reprend le texte de L'avenir socialiste des syndicats (1898) et Le confessioni (1910), plusieurs articles déjà parus, ainsi que deux préfaces.
- première publication des articles: "Annales de l'Institut international de sociologie" [= "Sur l'usage des fabriques", pp. 161-167], in Le Devenir social, Paris, II, 8, août-septembre 1896, pp. 767-774; "Les grèves" [= "Grèves et droit au travail", pp. 395-413], in La Science sociale, Paris, XXX, octobre 1900, pp. 311-332, et novembre 1900, pp. 417-436; "Le syndicalisme révolutionnaire" [= "Préface de 1905", pp. 57-75], in Le Mouvement socialiste, Paris, XVII, 166-167, 1er-15 novembre 1905; "Le caractère religieux du socialisme", in Le Mouvement socialiste, Paris, XX, 180, novembre 1906, pp. 282-293; "De l'esprit du gouvernement démocratique", in Le Mouvement socialiste, Paris, XX, 180, novembre 1906, pp. 291-293; "D'un écrivain prolétarien", in L'Indépendance, III, 25, 1er mars 1912, pp. 19-36.
- 2e éd. augm.: Matériaux d'une théorie du prolétariat. Deuxième édition suivie d'Exégèses proudhoniennes: classes, justice supplétive, patrie, Marcel Rivière, Paris 1921, 455 p.
- 3e éd.: Marcel Rivière, Paris 1929.
- 4e éd.: Arno Press, New York 1975, 455 p. [reproduction en fac-similé de la 2e éd.].
- 5e éd.: coll. "Ressources", 117, Slatkine, Genève 1981, 449 p. [reproduction en fac-similé de la 2e éd.].
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995 [d'après la 3e éd.].
- trad. angl. partielle: "Introduction" et "The Organization of Democracy", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 1: Essays in Socialism and Philosophy, Oxford University Press, New York 1976, pp. 227-256, trad. John et Charloftte Stanley; "The Religious Character of Socialism", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 2: Hermeneutics and the Sciences, Transaction Publ., New Brunswick 1989, pp. 1-65, trad. John L. Stanley et Charlotte Stanley.

1921
A34. De l'utilité du pragmatisme, coll. "Etudes sur le devenir social", 16, Marcel Rivière, Paris 1921, 471 p.
- 2e éd.: Marcel Rivière, Paris 1928.
- trad. angl. partielle: "On the Origin of Truth" et "A Critique of "Creative Evolution"", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 1: Essays in Socialism and Philosophy, Oxford University Press, New York 1976, pp. 257-290, trad. John et Charlotte Stanley; "Experimentation in Modern Physics", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 2: Hermeneutics and the Sciences, Transaction Publ., New Brunswick 1989, pp. 139, trad. John L. Stanley et Charlotte Stanley.

1928
A35. Ultime meditazioni ("Ultimes méditations"), Bestetti e Tumminelli, Roma 1928, 21 p. [texte posthume, rédigé en janvier 1920].
- première publication in Nuova Antologia, Rome, LXIII, 1361, 1er décembre 1928, pp. 289-307.
- 2e éd.: in "Da Proudhon a Lenin" e "L'Europa sotto la tormenta" (1974), pp. 413-434.
- trad. fr.: "Ultimes méditations", in Yves Guchet, Georges Sorel, 1847-1922. "Serviteur désintéressé du prolétariat", L'Harmattan, Paris 2001, pp. 311-330, trad. Yves Guchet.

1932
A36. L'Europa sotto la tormenta ("L'Europe dans la tourmente"), coll. "Cultura contemporanea - Biblioteca di letteratura, storia e filosofia", 30, Corbaccio, Milano 1932, LXIV + 292 p., présentation de Mario Missiroli [recueil d'articles parus entre le 12 mai 1919 et le 3 mars 1921 dans le journal de Bologne Il Resto del Carlino].
- 2e éd.: coll. "Documento - La grande attualità", 7, Corbaccio-dall'Oglio, Milano 1941, VII + 308 p.
- 3e éd.: in "Da Proudhon a Lenin" e "L'Europa sotto la tormenta" (1974).

1935
A37. "D'Aristote à Marx". L'ancienne et la nouvelle métaphysique, coll. "Etudes sur le devenir social", 24, Marcel Rivière, Paris 1935, 275 p., avant-propos de Edouard Berth [textes de jeunesse].
- première publication: "L'ancienne et la nouvelle métaphysique", in L'Ere nouvelle, Paris, II, mars 1894, pp. 329-351, avril 1894, pp. 461-482, mai 1894, pp. 51-187, et juin 1894, pp. 180-205.
- trad. ital.: "L'antica e la nuova metafisica", in Georges Sorel, Scritti politici e filosofici (1975), pp. 61-179, trad. Giovanna Cavallari.

1946
A38. Lenin ("Lénine"), coll. "Collana di studi politici", 2, Guanda, Modena-Roma 1946, 91 p., trad. et présentation de Aldo Valori.
- trad. du plaidoyer "Pour Lénine" incorporé à la 4e éd. des Réflexions sur la violence (1908).

1949
A39. Da Proudhon a Lenin, L'Arco, Firenze 1949, 222 p., présentation de Mario Missiroli [recueil d'articles sur la révolution russe parus entre le 12 mai 1919 et le 3 mars 1921 dans le journal de Bologne Il Resto del Carlino].
- 2e éd.: in "Da Proudhon a Lenin" e "L'Europa sotto la tormenta" (1974).

1974
A40. "Da Proudhon a Lenin" e "L'Europa sotto la tormenta". In appendice: Lettere a Mario Missiroli (""De Proudhon à Lénine" et "L'Europe dans la tourmente". Avec en appendice des lettres à Missiroli"), coll. "Politica e storia - raccolta di studi e testi", 31, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1974 [page de garde: 1973, achevé d'imprimer: mars 1974], XIV + 762 p., présentation de Gabriele De Rosa [avec en appendice, pp. 435-734, le texte français de 243 lettres à Missiroli].
- reprend le texte des Ultimi meditazioni (1928), de Sotto la tormenta (1932) et de Da Proudhon a Lenin (1949), ainsi que les lettres déjà parues in Georges Sorel, Lettere a un amico d'Italia, L. Cappelli, Bologna 1963.


1978
A41. Le teorie di Durkheim e altri scritti sociologici ("Les théories de Durkheim et autres écrits sociologiques"), coll. "Contributi di sociologia "readings""), 3, Liguori, Napoli 1978, 221 p., trad. Paola Reale, présentation de Orlando Lentini.
- recueil de textes sur Durkheim, Gustave Le Bon, Vacher de Lapouge, Charles Darwin, Herbert Spencer, Alfred Fouillée, Théodule Ribot, Max Nordau, etc. parus dans Le Devenir social entre 1895 et 1898 [avec en appendice, pp. 209-221, le sommaire de tous les numéros parus de cette revue].

1983
A42. Considerazioni politiche e filosofiche. Saggi vichiani e lettere a Lagardelle ("Considérations politiques et philosophiques. Essais sur Vico et lettres à Lagardelle"), coll. "ETS Universita", 23, ETS, Pisa 1983, 273 p., trad. Nicole Maroger Ragghianti et Renzo Ragghianti [pour le français] et Domenico Corradini [pour l'allemand], présentation de Renzo Ragghianti. [contient deux essais sur Vico et, pp. 118-208, des lettres adressées à Lagardelle entre juillet 1898 et décembre 1910].
- première publication des textes sur Vico: "Etude sur Vico", in Le Devenir social, II, 9, octobre 1896, pp. 785-817, 10, novembre 1896, pp. 906-941, et 11, décembre 1896, pp. 1013-1046; "Was man von Vico lernt", in Sozialistische Monatshefte, II, 6 juin 1898, pp. 270-272.
- première publication (en français) des lettres à Lagardelle: "Lettere di Giorgio Sorel a Uberto Lagardelle", in Educazione fascista, Rome, XI, 3, mars 1933, pp. 229-243, 4, avril 1933, pp. 320-334, 6, juin 1933, pp. 506-518, 8-9, août-septembre 1933, pp. 760-783, et 11, novembre 1933, pp. 956-975.

1984
A43. La scienza nell'educazione ("La science dans l'éducation"), coll. "Classici", 20, Armando Armando, Roma 1984, 183 p., trad. et présentation de Antonio Sassone, index.
- trad. du texte "La science dans l'éducation", paru en 1896 dans Le Devenir social, dont la réédition sous forme de livre avait été annoncée par Edouard Berth en 1935 (cette édition française n'a jamais paru).
1992
A44. El marxismo de Marx ("Le marxisme de Marx"), coll. "En el lomo - Alfa", 57, Talasa, Madrid 1992, 219 p., trad. et présentation de José Ignacio Lacasta Zabalza.

1998
A45. Decadenza parlamentare, M&B Publishing, Milano 1998, 255 p., présentation de Marco Gervasoni [avec une bibliographie établie par Michel Prat et Shlomo Sand, pp. 197-255].
- recueil reprenant le texte des Confessioni (1910), ainsi que divers articles parus en Italie entre 1898 et 1912. L'article qui donne son titre au volume a été publié in Il Divenire sociale, 16 mai 1908, pp. 169-171.

B. ANTHOLOGIES

1931
B1. El sindicalismo expuesto por Sorel ("Le syndicalisme exposé par Sorel"), textes choisis et présentés par Edmundo González Blanco, coll. "Los grandes apóstoles de la revolución mundial", 3, Agencia general de librería y artes gráficas Yagües, Madrid 1931, 258 p. [anthologie à partir de la p. 97, l'origine des textes n'est pas indiquée].
- 2e éd.: Agencia general de librería y artes gráficas Yagües, Madrid 1934, 258 p.

1944
B2. Der falsche Sieg. Worte aus Werken von Georges Sorel ("La fausse victoire. Extraits de l'œuvre de Georges Sorel"), coll. "Frankreich in deutscher Sicht", 2, Duncker u. Humblot, Berlin 1944, 119 p., textes choisis et présentés par Michael Freund [extraits et citations].

1947
B3. Giovanni Spadolini ("con la collaborazione didattica di Leone Bortone"), Sorel, coll. "Biblioteca politica", 1, L'Arco, Firenze 1947, LV + 182 p., trad. et présentation de Giovanni Spadolini [anthologie].
- 2e éd.: Il pensiero politico di Georges Sorel ("La pensée politique de Georges Sorel"), coll. "Collana di filosofia e pedagogia ad uso delle scuole", nouvelle série, Le Monnier, Firenze 1972, 199 p.
1963
B4. Scritti politici, coll. "Classici politici", 14, Unione tipografico-editrice Torinese (UTET), Torino 1963, 812 p., trad. et présentation de Roberto Vivarelli, index.
- contient la trad. des Réflexions sur la violence (1908), des Illusions du progrès (1908) et de La décomposition du marxisme (1908).
- 2e éd.: coll. "Classici della politica", Unione tipografico-editrice Torinese (UTET), Torino 1971, 812 p.
- 3e éd.: Unione tipografico-editrice Torinese (UTET), Torino 1996.

1973
B5. Le illusioni della democrazia ("Les illusions de la démocratie"), coll. "L'architrave - serie marrone", 5, Giovanni Volpe, Roma 1973, 121 p., trad. Paolo Pastori.
- anthologie autour de deux thèmes: "Le illusioni del progresso", pp. 23-52, et "La critica della democrazia", pp. 53-112.

1975
B6. Democrazia e rivoluzione ("Démocratie et révolution"), coll. "Le idee", 78, Editori Riuniti, Roma 1975, 246 p., textes choisis et présentés par Anna Maria Andreasi, index.
- recueil de 12 textes et articles, dont plusieurs déjà parus dans Saggi di critica del marxismo (1903).
B7. Scritti politici e filosofici ("Ecrits politiques et philosophiques"), coll. "Piccola biblioteca Einaudi - Testi", 11, Einaudi, Torino 1975, LXXI + 311 p., trad. et présentation de Giovanna Cavallari, index.
- contient la trad. de L'avenir socialiste des syndicats (1898), de l'Introduction à l'économie moderne (1903) et de L'ancienne et la nouvelle métaphysique (1935), ainsi que celle d'un article: "Essai sur la philosophie de Proudhon", in Revue philosophique, XXXIII, juin 1892, pp. 622-638, et XXXIV, juillet 1892, pp. 41-68.

1976-90
B8. John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, 2 vol., 1: Essays in Socialism and Philosophy ("Essais sur le socialisme et la philosophie"), Oxford University Press, New York 1976, 388 p., index (2e éd. augm.: Transaction Books, New Brunswick 1987, XXII + 388 p., index), 2: Hermeneutics and the Sciences ("L'herméneutique et les sciences"), Transaction Publ., New Brunswick 1989, LVI + 219 p. (2e éd.: New Brunswick 1990), trad. John L. Stanley et Charlotte Stanley, textes choisis et présentés par John L. Stanley.

1978
B9. Scritti sul socialismo ("Ecrits sur le socialisme"), coll. "Pensiero militante - Testi e documenti", 2, Pellicanolibri, Catania 1978, 185 p., trad. et présentation de Gian Biagio Furiozzi [recueil de textes, avec en appendice, pp. 171-176, le texte français de six lettres inédites adressées à Gabriel Deville entre 1899 et 1910].

1982
B10. La décomposition du marxisme et autres essais, coll. "Recherches politiques", Presses universitaires de France, Paris 1982, 262 p., textes choisis et présentés par Thierry Paquot.
- comprend, en plus du texte principal, 7 articles parus entre 1893 et 1902, ainsi que "L'éthique du socialisme", pp. 118-140, texte d'une conférence prononcée le 20 février 1899 au Collège libre des sciences sociales, à Paris (première publication in Revue de métaphysique et de morale, Paris, VII, mai 1899, pp. 280-301, repris dans le recueil La morale sociale, Félix Alcan, Paris 1899, pp. 280-301).
B11. Larry Portis (éd.), Georges Sorel. Présentation et textes choisis, coll. "Petite collection Maspéro", 272, série "Histoires", François Maspéro, Paris 1982, 333 p., textes choisis et présentés par Larry Portis, trad. Martine Echard et Christiane Passevant, index.
- 2e éd.: La Brèche-PEC, Montreuil 1989, 333 p. [reproduction en fac-similé de la 1ère éd.].
- version originale de la présentation: Larry Portis, Georges Sorel, coll. "Pluto Ideas in Progress", Pluto Press, London 1980, 120 p.

1998
B12. Subrata Mukherjee et Sushila Ramaswamy (ed.), Georges Sorel, 1847-1922, coll. "World's Greatest Socialist Thinkers", 18, Deep & Deep, New Delhi 1998, XX + 285 p.
- reprend la trad. de L'avenir socialiste des syndicats (1898), des Saggi di critica del marxismo (1903), des Réflexions sur la violence (1908) et du texte sur "L'éthique du socialisme".
C. ENTRETIENS (LIVRES)

1935
C1. Propos de Georges Sorel recueillis par Jean Variot, coll. "Blanche", Gallimard, Paris 1935, 273 p. [propos recueillis entre 1908 et 1913, avec un appendice sur "La brouille de Sorel et de Péguy", pp. 250-268, et une note de Paul Delesalle].
- éd. originale: 25 + 10 exemplaires numérotés.
- première publication: "Entretiens avec Georges Sorel", in Les Nouvelles littéraires, Paris, 27 février, 5, 12, 19 et 26 mars 1932.

D. CORRESPONDANCE (LIVRES)

1899
D1. Antonio Labriola, Socialisme et philosophie. Lettres à Georges Sorel, coll. "Bibliothèque socialiste internationale", 5, V. Giard et E. Brière, Paris 1899, IV + 263 p. [lettres envoyées à Sorel d'avril à septembre 1897].
- trad. de: Discorrendo di socialismo e di filosofia. Lettere a G. Sorel, Ermanno Loescher, Roma 1898, 178 p. (2e éd. rév. et augm.: Ermanno Loescher, Roma 1902, VIII + 195 p.; 3e éd.: coll. "Biblioteca di cultura moderna", Laterza, Bari 1939, IX + 228 p., présentation de Benedetto Croce, avec en appendice le texte de préface de Georges Sorel aux Essais sur la conception matérialiste de l'histoire d'Antonio Labriola, Paris 1897; 4e éd.: Gius. Laterza & figli, Bari 1944, VIII + 213 p.; 5e éd.: Bari 1947, XII + 234 p.; 6e éd.: Bari 1953; 7e éd.: coll. "I classici del pensiero sociale", Ediesse, Roma 1997, 170 p., présentation de Roberto Finelli).
- trad. angl. [d'après la 3e éd. ital.]: Socialism and Philosophy, Charles H. Kerr, Chicago 1906, 260 p., trad. Ernest Untermann [d'après la 2e éd.] (2e éd.: Chicago 1912; 3e éd.: Telos Press, St Louis 1980, présentation de Paul Piccone).
- trad. esp.: Socialismo y filosofía, coll. "El libro de bolsillo - Humanidades", 218, Alianza, Madrid 1970, 204 p., présentation de Manuel Sacristán [contient les lettres à Sorel].

1947
D2. Lettres à Paul Delesalle, 1914-1921, Bernard Grasset, Paris 1947, 238 p., introduction de Robert Louzon, avant-propos de Jean Prugnot [65 lettres, juillet 1903-novembre 1921].
- éd. originale de 20 + 12 exemplaires numérotés.
- l'introduction de Robert Louzon est également parue, sous le titre "Georges Sorel, théoricien de l'ouvriérisme", in La Révolution prolétarienne, Paris, 8 novembre 1947, pp. 1-15.
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995.

1963
D3. Lettere a un amico d'Italia ("Lettres à un ami d'Italie"), L. Cappelli, Bologna 1963, 319 p., trad. et présentation de Mario Missiroli, index [240 lettres adressées à Mario Missiroli de 1908 à 1921].
- 2e éd. augm.: in Georges Sorel, "Da Proudhon a Lenin" e L'Europa sotto la tormenta", Edizioni di storia e letteratura, Roma 1973, pp. 437-734 [243 lettres].

1980
D4. Lettere a Benedetto Croce ("Lettres à Benedetto Croce"), coll. "Ideologia e società", De Donato, Bari 1980, 304 p., trad. et présentation de Salvatore Onufrio.

1982
D5. Gabriele De Rosa (éd.), Carteggi Paretiani, 1892-1923, Banca nazionale del lavoro, Roma 1962, XL + 223 p., portrait [contient de nombreuses lettres de Vilfredo Pareto et Georges Sorel].

1983
* Considerazioni politiche e filosofiche. Saggi vichiani e lettere a Lagardelle - cf. section A.

1991
D6. Robert Michels, Socialismo e fascismo, 1925-1934. In appendice: lettere di G. Sorel a R. Michels e un inedito de G. Mosca ("Socialisme et fascisme. Avec en appendice des lettres de G. Sorel à R. Michels et un inédit de G. Mosca"), coll. "Valori politici", A. Giuffrè, Milano 1991, 174 p., trad. Giuseppe Panella, présentation de Enrico De Mas.

1995
D7. "Cher camarade…" Georges Sorel ad Agostino Lanzillo, 1901-1921, coll. "Annali della Fondazione Luigi Micheletti", 7, Fondazione Luigi Micheletti, Brescia 1995, LX + 299 p., trad. et présentation de Francesco Germinario, avec un essai de Aurelio Macchioro [137 lettres de Sorel à Agostino Lanzillo].

E. PREFACES

1897
E1. Antonio Labriola, Essais sur la conception matérialiste de l'histoire, coll. "Bibliothèque socialiste internationale", 3, V. Giard et E. Brière, Paris 1897, 349 p., trad. Alfred Bonnet, préface de Georges Sorel [avec en appendice une traduction du Manifeste du parti communiste de Karl Marx et Friedrich Engels].
- 2e éd.: V. Giard et E. Brière, Paris 1902, IV + 373 p.
- 3e éd.: Giard, Paris 1928 (sans la préface de Sorel).
- 4e éd.: Gordon & Breach, Paris-Londres-New York 1970, IV + 316 p. [reproduction en fac-similé de la 2e éd., amputée du texte du Manifeste].
- comprend sous les titres "En mémoire du Manifeste du parti communiste", "Le matérialisme historique" et "A propos de la crise du marxisme", la trad. des trois livres de Labriola: 1) In memoria del Manifesto dei comunisti, Ermanno Loescher, Roma 1895, 96 p. (2e éd.: Uffici della Critica sociale, Milano 1895, 96 p.; 3e éd. augm.: Ermanno Loescher, Roma 1902, VIII + 118 p., avec en appendice la traduction par Labriola du Manifeste du parti communiste; 4e éd.: in Antonio Labriola, Tre preselezioni sulla storia e il materialismo critico - In memoria del Manifesto dei comunisti, coll. "Classici del marxismo", Studio Editoriale Vive, Brescia 1945, 88 p.; 5e éd.: coll. "Biblioteca socialista", Edizioni Avanti, Milano 1960, 167 p., présentation de Bruno Widmar; 6e éd.: coll. "Paperbacks marxisti", Newton Compton, Roma 1973, 142 p., présentation de Umberto Cerroni; 7e éd.: Mursia, Milano 1973, 168 p.; 8e éd.: Newton Compton, Roma 1978, 142 p.; 9e éd.: coll. "Centopaginemillelire", TEN, Roma 1994, 95 p.). 2) Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, Ermanno Loescher, Roma 1896, 153 p. (2e éd. augm.: Ermanno Loescher, Roma 1902, VIII + 156 p.; 3e éd.: coll. "Piccola biblioteca marxista", Editori Riuniti, Roma 1963, 158 p., présentation de Valentino Gerratana; 4e éd.: coll. "Le idee", Editori Riuniti, Roma 1970, 158 p.; 5e éd.: Roma 1974; 6e éd.: coll. "Paperbacks marxisti", Newton Compton, Roma 1972, 154 p.; 7e éd.: coll. "Le idee", Editori Riuniti, 158 p.; 8e éd.: Newton Compton, Roma 1965; 9e éd.: coll. "Piccola biblioteca marxista", Editori Riuniti, Roma 1980, 132 p.). 3) A proposito della crisi del marxismo, Tip. Editrice degli Olmi, Grosseto 1899, 15 p. (tiré à part d'un article paru in Rivista italiana di sociologia, III, 3, mai 1899). - Les trois textes (augm. d'un 4e) ont également été publiés ensemble, sous le titre général Saggi intorno alla concezione materialistica della storia: Uffici della Critica sociale, Milano s.d. [ca. 1895] (2e éd.: Edizioni di cultura sociale, Paris 1939, 384 p.), puis sous celui de La concezione materialistica della storia: coll. "Biblioteca di cultura moderna", 323, Gius. Laterza & figli, Bari 1938, 312 p., avec en appendice un texte de Benedetto Croce sur la critique du marxisme en Italie de 1895 à 1900 (2e éd.: Bari 1942, VII + 312 p.; 3e éd.: Bari 1945; 4e éd.: Bari 1947; 5e éd.: Bari 1953; 6e éd.: coll. "Universale Laterza", 8, Laterza, Bari 1965, LXVII + 365 p., présentation de Eugenio Garin; 7e éd.: Bari 1969; 8e éd.: Bari 1971; 9e éd.: Bari 1973).
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995 [d'après la 4e éd. ital. de La concezione materialistica della storia].
- trad. angl.: Essays on the Materialistic Conception of History, Charles H. Kerr, Chicago 1904, 246 p., trad. Charles H. Kerr (2e éd.: Chicago 1908; 3e éd.: coll. "Socialist Classics Series", 2, Monthly Review Press, New York 1966, 246 p.).
- reprise de la préface in Michel Charzat (éd.), Georges Sorel, L'Herne, Paris 1986, pp. 258-264.
- trad. ital. de la préface in Antonio Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia (1898), 3e éd., Laterza, Bari 1939, pp. 179-191.

1898
E2. Francesco Saverio Merlino, Formes et essence du socialisme, V. Giard et E. Brière, Paris 1898, XLV + 294 p., préface de Georges Sorel.
- première publication de la préface: "Pour et contre le socialisme", in Le Devenir social, Paris, III, 10, octobre 1897, pp. 854-890.
- la version française du livre de Merlino résulte de la fusion de deux publications distinctes: Pro e contro il socialismo. Esposizione critica dei principii e dei sistemi socialisti, Treves Fratelli, Milano 1897, 387 p. (2e éd.: Milano 1898) et L'utopia collettivista e la crisi del socialismo scientifico, Treves Fratelli, Milano 1898, 132 p.
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995.
- trad. portug.: Formas e essencias do socialismo, coll. "Sociologia", 4, Livraria Editora Guimaräes, Lisboa 1909, 238 p., trad. Campos Lima.
- trad. angl. partielle de la préface: "On Science and Revolution", in Richard Vernon, Commitment and Change. Georges Sorel and the Idea of Revolution. Essays and Translations, University of Toronto Press, Toronto 1978, pp. 81-92.

1900
E3. Napoleone Colajanni, Le socialisme, V. Giard et E. Brière, Paris 1900, trad. M. Tacchella [d'après la 2e éd. ital.], préface de Georges Sorel.
- trad. de: Il socialismo, Filippo Tropea, Catania 1884, VIII + 396 p. (2e éd.: coll. "Biblioteca della Rivista popolare", Remo Sandron, Milano 1898, XVI + 328 p.).
- reprise de la préface in Matériaux d'une théorie du prolétariat (1919), pp. 175-200.
- trad. ital. de la préface: in Saggi di critica del marxismo (1903), pp. 383-400 (texte repris dans l'anthologie Democrazia e rivoluzione, 1975, pp. 125-139).

1901
E4. Bibliographie générale des éditions de la Librairie Jacques, Librairie G. Jacques et Cie, Paris 1901, lettre-préface de Georges Sorel.
E5. Gerolamo Gatti, Le socialisme et l'agriculture, coll. "Bibliothèque socialiste internationale", V. Giard et E. Brière, Paris 1902, 342 p., préface de Georges Sorel.
- trad. de: Agricoltura e socialismo. Le nuove correnti dell'economia agricola, coll. "Biblioteca di scienze sociali e politiche", Remo Sandron, Milano 1900, VIII + 516 p.
- trad. russe: Agrarnyï vopros i sotsializm, Novoé tovarichtchestvo, Moskva 1906, 255 p., trad. [Boris Grigoriévitch] Billit et [Mme] Tchernova (2e éd.: Sotroudnitchestvo, Moskva 1907, 255 p.).
- reprise de la préface in Cahiers de la quinzaine, Paris, 3e série, 14, avril 1902, sous le titre "Socialismes nationaux", puis in Matériaux d'une théorie du prolétariat (1919), pp. 201-237.
- trad. all. partielle de la préface: "Soziale Ideen und Organisation der Arbeit", in Sozialistische Monatshefte, VI, 12, décembre 1902, pp. 943-949.

1902
E6. Fernand Pelloutier, Histoire des Bourses du travail. Origine, institutions, avenir, Schleicher frères, Paris 1902, XX + 232 p., préface de Georges Sorel, avec une notice sur Fernand Pelloutier par Victor Dave [ouvrage posthume].
- première publication partielle in Revue politique et parlementaire, Paris, XXI, 1899, pp. 493-544.
- 2e éd.: A. Costes, Paris 1921, 340 p.
- 3e éd.: A. Costes, Paris 1946.
- 4e éd.: coll. "L'esprit des lois", Gordon & Breach, New York, et Publications Gramma, Paris 1971, 342 p. [avec en appendice un choix de documents, reproduction en fac-similé de la 3e éd.].
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995 [d'après la 2e éd.].
- sur microfilm: Library of Congress, Washington 1991.
- trad. esp. partielle: Autonomia y federalismo. Extrato de la obra póstumo de Fernand Pelloutier, "Histoire des Bourses du travail" ("Autonomie et fédéralisme. Extrait de l'œuvre posthume de Fernand Pelloutier, "Histoire des Bourses du travail""), Impr. R. Altuna, San Sebastian 1922, 64 p., trad. Manuel Buencasa, notice de Victor Dave, préface de Georges Sorel.
- trad. ital.: Storia delle Borse del lavoro. Alle origini del sindacalismo, coll. "Di fronte e attraverso - Pocket", Jaca Book, Milano 1976, 233 p., notice de Victor Dave [ne contient pas la préface].
- trad. angl. de la préface: "On Revolution without Politics", in Richard Vernon, Commitment and Change. Georges Sorel and the Idea of Revolution. Essays and Translations, University of Toronto Press, Toronto 1978, pp. 93-111.
E7. Edwin R. A. [Robert Anderson] Seligman, L'interprétation économique de l'histoire, coll. "Etudes sur le devenir social", 6, Marcel Rivière et Cie, Paris 1902, XL + 176 p., trad. Henri-Emile Barrault, préface de Georges Sorel.
- trad. de: The Economic Interpretation of History, Columbia University Press, New York, et Macmilla Co., London 1902, IX + 166 p. (2e éd. rév.: Columbia University Press, New York 1907; 3e éd.: New York 1924 [reproduction en fac-similé de la 2e éd.]; 4e éd.: New York 1961; 5e éd.: Gordian Press, New York 1967, IX + 166 p.].
- 2e éd.: Marcel Rivière, Paris 1911, XLI + 176 p.
- trad. angl. de la préface: "The Economic Interpretation of History", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 2: Hermeneutics and the Sciences, Transaction Publ., New Brunswick 1989, pp. 191-208, trad. John L. Stanley et Charlotte Stanley.

1905
E8. Georges Castex, La douleur physique, Paris 1905, préface de Georges Sorel.
- reprise de la préface, sous le titre "L'humanité contre la douleur", dans la 2e éd. de l'Introduction à l'économie moderne (1903), pp. 399-421 (extraits: "Préface à Castex", in Michel Charzat, éd., Georges Sorel, L'Herne, Paris 1986, pp. 277-283).
1909
E9. Victor Griffuelhes et Louis Niel, Les objectifs de nos luttes de classes, La Publication sociale, Paris 1909, 64 p., préface de Georges Sorel.
- 2e éd.: coll. "Bibliothèque du mouvement prolétarien", Marcel Rivière et Cie, Paris s.d. [ca. 1911], 62 p., préface de Georges Sorel.
- document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995.

1911
E10. Vito Mercadante, Le ferrovie ai ferrovieri, Tip. Koschitz, Milano 1911, lettre-préface de Georges Sorel.

1914
E11. Edouard Berth, Les méfaits des intellectuels, coll. "Etudes sur le devenir social", 13, Marcel Rivière et Cie, Paris 1914, XXXVIII + 333 p., préface de Georges Sorel [recueil d'articles parus de mai 1905 à mars 1908, ouvrage dédié à Georges Sorel].
- 2e éd.: Marcel Rivière, Paris 1926.

1915
E12. Mario Missiroli, Il papa in guerra ("Le pape en guerre"), N. Zanichelli, Bologna 1915, 111 p., préface de Georges Sorel.

1923
E13. Arturo Labriola, Karl Marx. L'économiste, le socialiste, coll. "Etudes sur le devenir social", 3, Marcel Rivière, Paris 1923, XXXVIII + 262 p., trad. Edouard Berth, préface de Georges Sorel.
- trad. de: Marx nell'economia e come teorico del socialismo, Avanguardia, Lugano 1908, 263 p. (2e éd. rév.: Studio su Marx, A. Morano, Napoli 1926, IV + 291 p., avec en appendice la trad. ital. de la préface de Sorel).

Sorel avait rédigé en 1915 une préface pour une édition italienne de La réforme intellectuelle et morale d'Ernest Renan, qui n'est jamais parue. Le texte a été publié sous le titre "Germanesimo e storicismo di Ernesto Renan", in La Critica, XXIX, pp. 110-144, 139-207, 358-367 et 430-444.

F. CONTRIBUTIONS DE GEORGES SOREL A DES OUVRAGES COLLECTIFS

1899
F1. La morale sociale, Félix Alcan, Paris 1899.
- contient: Georges Sorel, "L'éthique du socialisme", pp. 280-301 (texte d'une conférence prononcée le 20 février 1899 au Collège libre des sciences sociales, à Paris, première publication in Revue de métaphysique et de morale, Paris, VII, mai 1899, pp. 280-301, repris in Georges Sorel, La décomposition du marxisme et autres essais, Presses universitaires de France, Paris 1982, pp. 118-140).
- trad. all. de la contribution de Sorel: in Sozialistische Monatshefte, VIII, 5, mai 1904, pp. 368-382; trad. angl.: "The Ethics of Socialism", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 1: Essays in Socialism and Philosophy, Oxford University Press, New York 1976, pp. 94-110, trad. John et Charlotte Stanley (2e éd.: in Subrata Mukherjee et Sushila Ramaswamy, ed., Georges Sorel, 1847-1922, Deep & Deep, New Delhi 1998, XX + 285 p.).

1900
F2. Questions de morale, Félix Alcan, Paris 1900.
- contient: Georges Sorel, "Science et morale", pp. 1-25 (texte d'une conférence prononcée le 9 janvier 1900 à l'Ecole des hautes études sociales), et "Les facteurs moraux de l'évolution", pp. 74-100 (texte d'une conférence prononcée le 30 janvier 1900 à l'Ecole des hautes études sociales).
- trad. angl. de la 1ère contribution de Sorel: "Science and Morals", in John L. Stanley (ed.), From Georges Sorel, vol. 2: Hermeneutics and the Sciences, Transaction Publ., New Brunswick 1989, pp. 123-138, trad. John L. Stanley et Charlotte Stanley.

1903
F3. Georges Sorel et al., El sindicalismo revolucionario. Antología ("Le syndicalisme révolutionnaire. Anthologie"), Biblioteca Nueva, Madrid s.d. [1903], 231 p., trad. Gabriel L. Trilla.
- textes de Georges Sorel ("El sindicalismo revolucionario"), Edouard Berth, Hubert Lagardelle, Sergio Pannunzio, Victor Griffuelhes, Paul Delesalle, Emile Pouget.
- 2e éd.: Biblioteca Nueva, Madrid 1910.
- 3e éd.: Sindicalismo revolucionario ("Syndicalisme révolutionnaire"), coll. "Biblioteca Júcar de política", 51, Júcar, Madrid-Gijón 1978, 128 p., présentation de Carlos Díaz Arnaiz.

1909
F4. Georges Valois, La monarchie et la classe ouvrière. I - La révolution sociale ou le roi. II - Les résultats d'une enquête, Nouvelle Librairie nationale, Paris 1909, 392 p. [avec deux appendices].
- la seconde partie présente les résultats d'une enquête réalisée de 1907 à 1909 avec le concours de la Revue critique des idées et des livres, qui en a publié des extraits entre avril 1908 et mai 1909. L'ouvrage comprend les réponses de divers "militants et théoriciens syndicalistes", dont Georges Sorel (pp. 69-71), Robert Louzon, Georges Deherme, Jean Grave, E. Deniau-Morat, A. Morel, Isidore Bonin, Michel Darguenat, Paul Ader, Raoul Lenoir, Emile Janvion, Emile Guillaumin, Michel Bernard et Georges Guy-Grand.
- éd. originale de 2212 exemplaires, dont 12 exemplaires numérotés.
- 2e éd. augm.: Paris 1914, CLIX + 392 p. [avec une nouvelle préface: "Les enseignements de cinq ans, 1909-1914", réponse à Jean Darville] (tirage limité à 2200 exemplaires).
- 3e éd. partielle: in Georges Valois, Histoire et philosophie sociales, coll. "Les écrivains de la renaissance française - L'œuvre de Georges Valois", 3, Nouvelle Librairie nationale, Paris 1924, pp. 249-370.

1916
F5. Abbé Jean Labadié (éd.), L'Allemagne a-t-elle le secret de l'organisation? Enquête, Bibliothèque de L'Opinion, Paris 1916, XXIV + 283 p., préface de Maurice Colrat.
- contient une réponse de Georges Sorel, pp. 9-26 (première publication in L'Opinion, Paris, IX, 39, 25 septembre 1915, pp. 222-224).

1958
F6. Georges Sorel et al., Teoría y práctica del sindicalismo ("Théorie et pratique du syndicalisme"), coll. "Crisis y soluciones", Guillermo Dávalos, Buenos Aires 1958, 136 p.


1960
F7. Giovanni Spadolini (éd.), Oriani, Ente casa Oriani, Ravenna, et Tip. Fratelli Lega, Faenza 1960, 273 p.
- textes de Giovanni Spadolini, Luigi Salvatorelli, Mario Vinciguerra, Augusto Torre, Fernando Manzotti et al., témoignages de Georges Sorel, Edmondo De Amicis, Pio Schinetti.

1964
F8. Ecrits sur l'anarchie. De Protagoras à l'Espagne anarchiste, coll. "Ecrits sur", 10, Seghers, Paris 1964, 191 p.
- textes de Charles Bontemps, P.V. Berthier, Georges Sorel, Jean Grave, Kropotkine, Louise Michel, Bakounine, Proudhon, Max Stirner, William Godwin, Diderot, Jean Meslier, La Boétie, Thucydide, Diogène, Protagoras.

1975
F9. Hugo Assman et Reyes Mate (éd.), Sobre la religión ("Sur la religion"), vol. 2/A, Sígueme, Salamanca 1975, 675 p.
- textes de August Bebel, Jean Jaurès, Georges Sorel, Antonio Labriola, Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Vladimir Illich Lénine, Léon Trotsky, Joseph Staline, Antonio Gramsci, Georg Lukács, Mao Tsétoung et al.

G. TRAVAUX UNIVERSITAIRES SUR GEORGES SOREL

1913
G1. Albert Esquerré, Le néosyndicalisme et le mythe de la grève générale, thèse de doctorat, Université de Bordeaux, Bordeaux 1913 [paru 1913/H5].
G2. Gaston Serbos, Une philosophie de la production: le néo-marxisme syndicaliste, thèse de doctorat, Université d'Aix-Marseille, Aix-en-Provence 1913, 316 p. [paru 1913/H6].

1914
G3. Frédéric D. Cheydleur, Essai sur l'évolution des doctrines de M. Georges Sorel, thèse de doctorat, Université de Grenoble, Grenoble 1914, 175 p. [paru 1914/H7].

1925
G4. Pierre-Louis-Marie-Joseph Perrin, Les idées sociales de Georges Sorel, thèse de doctorat, Université d'Alger, Alger 1925, 216 p. [paru 1925/H18].

1934
G5. Thomas Niederreuther, Georges Sorels Betrachtungen über die Wirtschaft ("Les considérations de Georges Sorel sur l'économie"), thèse de doctorat, Universität München, Munich 1934, 71 p.

1938
G6. John W. Robinson, The Social Philosophy of Georges Sorel ("La philosophie sociale de Georges Sorel"), thèse de doctorat, Boston University, Boston 1938.

1939
G7. Jean Deroo, Une expérience sociologique. Georges Sorel, le renversement du matérialisme historique, thèse de doctorat, Université de Lille, Lille 1939, 253 p. [paru 1939/H36].

1943
G8. Jean Wanner, L'idée de décadence dans la pensée de Georges Sorel, thèse de doctorat, Université de Lausanne, Ecole des sciences sociales et politiques, Lausanne 1943 [paru 1943/H40].

1945
G9. H.W. Lapierre, Situation de Georges Sorel par rapport au mouvement socialiste, thèse de doctorat, Université de Paris, Paris 1945, 167 p.

1948
G10. Scott H. Lytle, Historical Materialism and the Social Myth ("Le mythe social et le matérialisme historique"), thèse de doctorat, Cornell University, Ithaca 1948.

1949
G11. Henri Mollet, D'une influence française sur le syndicalisme italien. Essai sur l'influence italienne de Georges Sorel, thèse de doctorat, Université de Paris, Paris 1949, 245 p.

1950
G12. Irwin Pomerance, The Moral Utopianism of Georges Sorel ("L'utopisme moral de Georges Sorel"), thèse de doctorat, Columbia University, New York 1950, 342 p.
- sur microfilm: University Microfilms International, Ann Arbor 1950.

1951
G13. M.D. Parmees, An Introduction to the Study of Georges Sorel ("Introduction à l'étude de Georges Sorel"), thèse de doctorat, Cambridge University, Harvard 1951, 123 p.
- un exemplaire se trouve à la Bibliothèque nationale de France, avec une note de Daniel Halévy.

1955
G14. Jack Joseph Roth, The Sorelian Conception of Revolution ("La conception sorélienne de la révolution"), thèse de doctorat, University of Chicago, Chicago 1955, VII + 537 p. [paru 1980/H77].
- sur microfilm: University of Chicago, Dept of Photographic Reproduction, Chicago 1955.

1959
G15. Irma Gube, Sorel ja yleislakon myytti, mémoire de maîtrise, Helsingin yliopisto, Helsinki 1959.

1961
G16. René Simon, Edouard Berth, disciple de Georges Sorel, anti-intellectualiste et antidémocrate de gauche, mémoire de DES, 1961, 102 p.

1963
G17. Klaus Götze-Claren, Mythos und Moral. Rationalismus und Irrationalismus in der politische Philosophie Georges Sorels ("Mythe et morale. Rationalisme et irrationalisme dans la philosophie politique de Georges Sorel"), thèse de doctorat, Universität Berlin, Berlin 1963, XVI + 178 p.

1964
G18. Arduino Agnelli, In margine alle fortune di Sorel in Italia ("En marge de la diffusion de l'œuvre de Sorel en Italie"), mémoire, Università degli studi di Trieste, Trieste 1964, 11 p.

1967
G19. Jules Levey, The Sorelian Syndicalists: Edouard Berth, Georges Valois, and Hubert Lagardelle ("Les syndicalistes soréliens: Edouard Berth, Georges Valois et Hubert Lagardelle"), thèse de doctorat, Columbia University, New York 1967.

1969
G20. Nicole Van Onsem, De leer over het geweld bij Georges Sorel ("La théorie de la violence chez Georges Sorel"), thèse de licence, Katholieke Universiteit Leuven, Louvain-la-Neuve 1969, 147 p.
G21. Richard [Anthony] Vernon, The Irrationalism of Georges Sorel, and its Place in the History of Thought ("L'irrationalisme de Georges Sorel et sa place dans l'histoire des idées"), thèse de doctorat, London University, Londres 1969.

1970
G22. Pierre Cauvin, La notion de décadence chez Oswald Spengler et Georges Sorel, thèse de doctorat de 3e cycle, Université de Strasbourg II, Strasbourg 1970.
G23. David Cyril Davies, Ideology and Myth in the Philosophy of Georges Sorel ("Idéologie et mythe dans la philosophie de Georges Sorel"), thèse de doctorat, University of Toronto, Toronto 1970, 383 p.
- sur microfilm: coll. "Canadian Theses on Microfilm", 9131, National Library of Canada, Ottawa 1971.
G24. Kouider Nair, Classe ouvrière, grève générale et violence dans l'œuvre de Sorel, mémoire de diplôme, Ecole pratique des hautes études, Paris 1970, 189 p.

1971
G25. Elisabeth Lalanne, Georges Sorel et le syndicalisme révolutionnaire, mémoire de DES, 1971, 66 p.

1972
G26. Bruno Saint-Arroman, Georges Sorel et le syndicalisme révolutionnaire italien, 1896-1912, mémoire de maîtrise, Université de Paris I, Paris 1972, 103 p.

1974
G27. Marino Díaz Guerra, El sindicalismo en Georges Sorel ("Le syndicalisme chez Georges Sorel"), thèse de doctorat, Universidad Complutense de Madrid, Madrid 1974, 286 p. [paru 1977/H65].
G28. Thomas Creed Smith, Georges Sorel. An Intellectual Biography ("Georges Sorel. Une biographie intellectuelle"), thèse de doctorat, Michigan State University, East Lansing 1974, 532 p.

1976
G29. Michel Borghetto, Georges Sorel et Frédéric Nietzsche, mémoire de DES, Université de Paris II, Paris 1976, 136 p.
G30. Michel Charzat, Georges Sorel et l'auto-émancipation, thèse de doctorat de 3e cycle, Ecole des hautes études en sciences sociales, Paris 1976, LXXXII + 484 p. [paru 1977/H64].
G31. Jean-Noël Clément, Georges Sorel. Matériaux d'une critique du marxisme, mémoire de maîtrise, Université de Paris X, Paris 1976, 95 p.
G32. Paul M. Mazgaj, The Social Revolution or the King. The Initiatives of the Action française toward the Revolutionary Left, 1906-1914 ["La révolution sociale ou le roi. Les initiatives de l'Action française en direction de la gauche révolutionnaire, 1906-1914"], thèse de doctorat, University of Iowa, 1976, 515 p. [paru 1979/H73].
- sur microfilm: University Microfilms International, Ann Arbor 1977.

1978
G33. Jean-Louis Pomian, Georges Sorel et l'"Introduction à l'économie moderne", mémoire de DEA, Université de Paris I, Paris 1978, 153 p.

1979
G34. Anne Brillard, Les correspondances italiennes de Georges Sorel, 1910-1940, mémoire de maîtrise, Université de Paris I, Paris 1979, 155 p.
G35. Gregorio De Paola, Filosofia e politica nel pensiero di Georges Sorel ("Philosophie et politique dans la pensée de Georges Sorel"), thèse, Università di Pisa, Pisa 1979, 200 p.

1980
G36. Jeremy Ralph Jennings, The Character and Development of Georges Sorel's Thought ("Le caractère et l'évolution de la pensée de Georges Sorel"), thèse de doctorat, University of Oxford, Oxford 1980, V + 322 p. [paru 1985/H89].

1982
G37. Margaret Irene Peyto, Georges Sorel. An Examination of His Theories of Knowledge and Language ("Georges Sorel. Examen de ses théories de la connaissance et du langage"), mémoire de maîtrise, University of Manitoba, 1982, V + 156 p.
- sur microfiche: coll. "Canadian Theses on Microfiche", 54613, National Library of Canada, Ottawa 1983 [2 microfiches].
G38. Alain Menegaldo, Rôle et place des intellectuels dans le mouvement ouvrier chez Georges Sorel et Edouard Berth, thèse de doctorat de 3e cycle, Université de Paris VIII, Paris 1982, X + 219 p.
G39. Shlomo Sand, Georges Sorel et le marxisme. Rencontre et crise, 1893-1902, thèse de doctorat de 3e cycle, Ecole des hautes études en sciences sociales, Paris 1982 [paru 1985/H91].

1984
G40. Marie-Christine Desmangeot, Georges Sorel. Connaissance et histoire, mémoire de DEA, Université de Paris I, Paris 1984, 160 p.
G41. Jean-Claude Despax, Georges Sorel, historien de la Révolution, thèse de doctorat de 3e cycle, Université de Montpellier III, Montpellier 1984, 300 p. + 3 fascicules d'annexes.

1985
G42. Bruno Somalvico, Georges Sorel et ses correspondants italiens, 1895-1991, mémoire de diplôme, Ecole des hautes études en sciences sociales, Paris 1985, 387 + CLXII p.

1986
G43. François Carré, La "Gerbe" et le "Faisceau" ou le classicisme de Georges Sorel, thèse de doctorat d'Etat, Université de Paris X, Paris 1986, XVI + 932 p.
- sur microfiche: Atelier national de reproduction des thèses de l'Université de Lille III, Lille 1987 [10 microfiches].
G44. Evert Smit, Konstruktivisme en populisme in de sociale theorieën van Georges Sorel ("Constructivisme et populisme dans les théories sociales de Georges Sorel"), thèse, Alblasserdam [Pays-Bas] 1986.

1987
G45. Anh Tuyet Tran, Georges Sorel, mémoire de DEA, Université de Paris II, Paris 1987, 121 p.
1988
G46. Moon-Hong Min, La sociologie durkheimienne face au socialisme, au syndicalisme et au catholicisme social, thèse de doctorat, Université de Paris IV, Paris 1988, 460 p. [sur Emile Durkheim, René de La Tour du Pin, Georges Sorel, Frédéric Le Play, Marcel Mauss et Albert de Mun].

1989
G47. Gianluca Fiorucci, Georges Sorel e la filosofia contemporanea ("Georges Sorel et la philosophie contemporaine"), thèse de doctorat, Università degli studi di Torino, Turin 1989, 253 p.
G48. Gianpiero Tarantelli, Pensiero e prassi di Georges Sorel tra rivoluzione russa e movimento fascista ("Pensée et pratique de Georges Sorel entre révolution russe et mouvement fasciste"), thèse, Università degli studi La Sapienza, Roma 1989, 240 p.

1990
G49. Bas[ilius Augustinus Maria] van Stokkom, Georges Sorel. De ontnuchtering van de Verlichting, thèse de doctorat, Université de Rotterdam, Rotterdam 1990 [paru 1990/H95].

1992
G50. Stavros Konstankapoulos, La classe dirigeante dans la tradition machiavélienne, thèse de doctorat d'Etat, Université de Paris II, Paris 1992. [étude comparative des œuvres de Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Roberto Michels et Georges Sorel].

1994
G51. Pietro Accame, Georges Sorel. Le mutazioni del sindicalismo rivoluzionario ("Georges Sorel. Les mutations du syndicalisme révolutionnaire"), thèse de doctorat, Università degli studi di Milano, Milan 1994, 248 p.
- sur microfiche: Università degli studi di Milano, Milano 1995 [2 microfiches].

1995
G52. Barbara De Simone, Georges Sorel e la crisi dello Stato moderno. Sindacalismo e mito politico ("Georges Sorel et la crise de l'Etat moderne. Syndicalisme et mythe politique"), thèse de licence, Università degli studi di Bologna, Bologne 1995, 169 p.
G53. Marco-Angelo Gervasoni, Georges Sorel, le syndicalisme et la Nouvelle Ecole entre libéralisme et socialisme. Une étude des concepts de liberté, d'égalité et d'autonomie, 1898-1914, thèse de nouveau doctorat, Université de Paris VIII, Paris 1995, 356 p. [paru 1997/H100].
G54. Anne-Sophie Menasseyre, Une lecture française de Vico: Georges Sorel, mémoire de DEA, Université de Franche-Comté, Besançon 1995, 158 p.

1999
G55. Patrick Gaud, De la subversion à l'éthique subversive? Sorel critique de Lénine, mémoire de DEA, Université de Nice, Nice 1999, 60 p. + annexes.

2000
G56. Fabien Desmeaux, L'idée de progrès dans l'œuvre de Georges Sorel. Signification et controverses, thèse de doctorat nouveau régime, Université de Paris IV, Paris 2000, 721 p.
G57. Sandra Béatrice Decussac, Sorel, l'alchimiste de la révolution. A la recherche de la révolution mythique, thèse de doctorat nouveau régime, Université de Paris X, Paris, travail en cours [inscription en 1988].
G58. Sébastien Richard, Georges Sorel, 1847-1922. Biographie intellectuelle. Les révolutions du sujet, thèse de doctorat nouveau régime, Université de Paris X, Paris, travail en cours [inscription en 2001].
G59. André Tosel, Mouvement historique et subversion sociale chez Georges Sorel, thèse de doctorat nouveau régime, Université de Nice, Nice, travail en cours [inscription en 2000].

H. OUVRAGES PUBLIES SUR GEORGES SOREL

1909
H1. Félicien Challaye, Syndicalisme révolutionnaire et syndicalisme réformiste, Félix Alcan, Paris 1909, 156 p.
- première publication: "Le syndicalisme révolutionnaire", in Revue de métaphysique et de morale, Paris, XV, 1, janvier 1907, pp. 102-127, et 2, mars 1907, pp. 256-272.

1910
H2. Agostino Lanzillo, Giorgio Sorel. Con una lettera autobiografica. Bibliografia, ritratto e autografo, coll. "Uomini e tempi", 2, Libreria editrice romana, Roma 1910, 114 p., portrait [avec une lettre de Sorel datée du 20 février 1910, pp. 5-8, reproduite in René Johannet, Itinéraires d'intellectuels, Nouvelle Librairie nationale, Paris 1921, pp. 227-229].
H3. Gaetano Navarra Crimi, Il sindacalismo di Georges Sorel e Paolo Orano ("Le syndicalisme de Georges Sorel et Paolo Orano"), Zammit, Palermo 1910, 19 p.
- première publication in La Battaglia, Palermo, XIII, 49, 18 décembre 1910.

1912
H4. Hommage à Georges Sorel, dossier spécial des Cahiers du Cercle Proudhon, 3-4, mai-août 1912, Paris, pp. 111-133.
- textes de Georges Valois, René de Marans, Henri Lagrange.
- 2e éd.: in Les Cahiers du Cercle Proudhon, Lire et relire, Centre d'études de l'Agora, Paris 1976, 276 p., préface de Pierre Andreu, postface de Charles Maurras (réédition en fac-similé des 6 numéros parus de cette revue bimestrielle éditée en 1912 sous la direction de Georges Valois et Henri Lagrange).

1913
H5. Albert Esquerré, Le néosyndicalisme et le mythe de la grève générale, Barthélémy et Clèdes, Bordeaux 1913, 174 p. [thèse 1913/G1].
H6. Gaston Serbos, Une philosophie de la production: le néo-marxisme syndicaliste, A. Rousseau, Paris 1913, 316 p. [thèse 1913/G2].

1914
H7. Frédéric D. Cheydleur, Essai sur l'évolution des doctrines de M. Georges Sorel, Impr. Saint-Bruno, Grenoble 1914, 174 p. [thèse 1914/G3].
H8. René Johannet, L'évolution de Georges Sorel, n° spécial de la revue Les Lettres, 6, 15 avril 1914, Bibliothèque des lettres françaises, Paris 1914, 47 p. [numérotées 353-399], portrait.
- 2e éd.: "Georges Sorel entre Maurras et Lénine", in Itinéraires d'intellectuels (1921), pp. 178-232.

1916
H9. Francesco Aquilanti, Georges Sorel. Saggio critico, Tip. Artigianelli, Roma 1916, 102 p. [ouvrage issu d'une thèse soutenue en 1911].
1917
H10. Enric Jardí, Les doctrines de Georges Sorel, coll. "Publicacions de La Revista", 12, La Revista, Barcelona 1917, 76 p.

1921
H11. Max Ascoli, Georges Sorel, Librairie Paul Delesalle, Paris 1921, 48 p., avant-propos de Edouard Berth.
- trad. de: "Giorgio Sorel", in Pagine libere, VII, 31 juillet 1920, pp. 295-312 [texte d'une conférence prononcée le 11 mars 1920 à l'Université populaire de Ferrare].
H12. René Johannet, Itinéraires d'intellectuels, Nouvelle Librairie nationale, Paris 1921, 232 p. [sur Charles Péguy et Georges Sorel].
- reprend le texte de L'évolution de Georges Sorel (1914).

1922
H13. Georges Sorel, n° spécial de La Rivoluzione liberale, I, 37, 14 décembre 1922.
- textes de Edouard Berth, Natalino Sapegno, Vilfredo Pareto, Agostino Lanzillo, Cesare Spellanzon, Santino Caramella.
H14. Cesare Goretti, Il sentimento giuridico nell'opera di Georges Sorel ("Le sentiment juridique dans l'œuvre de Georges Sorel"), Il Solco, Città di Castello 1922, 73 p.

1923
H15. Enrico Leone, Il neo-marxismo. Sorel e Marx ("Le néo-marxisme. Sorel et Marx"), Sindacato ferrovieri, Bologna 1923, 164 p.

1924
H16. Giuseppe La Ferla, La religione di Georges Sorel, coll. "Quaderni di Polemica", Polemica, Napoli 1924, 44 p.
H17. Gaëtan Pirou, Georges Sorel, 1847-1922, Impr. du Poitou, Poitiers 1924, 28 p.
- première publication in Revue d'histoire économique et sociale, 1, 1924, pp. 119-145.
- 2e éd.: coll. "Etudes sur le devenir social", 22, Marcel Rivière, Paris 1927, 67 p.
- trad. esp.: coll. "Cuadernos de cultura", 87, Cuadernos de cultura, Madrid 1933, 44 p.
1925
H18. Pierre-Louis-Marie-Joseph Perrin, Les idées sociales de Georges Sorel, Impr. P. Angelis, Alger 1925, 216 p. [thèse 1925/G4].

1928
H19. Cesare Goretti, Sorel, coll. "Piccola biblioteca di cultura filosofica - Pensatori d'oggi", Athena, Milano 1928, 161 p.
H20. Pierre Lasserre, Georges Sorel, théoricien de l'impérialisme. Ses idées, son action, coll. "Les Cahiers de la quinzaine", 18e série, 17, L'Artisan du livre, Paris 1928, 269 p. [texte d'un cours professé en 1926-27 à l'Ecole pratique des hautes études].
- première publication partielle: "Georges Sorel, théoricien de l'impérialisme", in Revue des deux-mondes, XLI, 41, 1er septembre 1927, pp. 144-166.
- éd. originale de 100 + 10 + 2000 + 200 exemplaires numérotés.

1929
H21. Giuseppe La Ferla, Introduzione allo studio delle opere di Georges Sorel, Tip. Metastasio, Assisi 1929, 52 p.
- tiré à part de l'Annuario del R. Istituto Magistrale R. Borghi, Assisi, IV-V, 1926-27.
H22. Marcel Péguy, La rupture de Charles Péguy et de Georges Sorel, d'après des documents inédits, coll. "Les Cahiers de la quinzaine", 19e série, 12, L'Artisan du livre, Paris 1929, 63 p.
- éd. originale de 100 + 10 + 1500 + 150 exemplaires numérotés.
H23. Ernst H. Posse, Georges Sorel, 1847-1922, Carl Heymanns, Berlin 1929, 19 p.
- tiré à part de la Zeitschrift für Politik, Berlin, XVIII, 1929, 11-12, pp. 742-761.

1930
H24. Mario Missiroli, L'ultimo Sorel ("Le dernier Sorel"), s.éd., s.l.n.d. [1930], 32 p.
- tiré à part de la revue Politica, 1930, pp. 271-303.

1932
H25. Edouard Berth, Du "Capital" aux "Réflexions sur la violence", coll. "Etudes sur le devenir social", 20 [en couverture: 23], Marcel Rivière, Paris 1932, 272 p.
- réunit une étude sur Lénine parue en 1924 dans Clarté, des études sur Marx et Proudhon parues en 1926 dans La Révolution prolétarienne, et le texte de la postface à l'édition allemande des Réflexions sur la violence déjà repris in La Révolution prolétarienne, Paris, V, 76, 15 mars 1929, pp. 83-87, et 77, 1er avril 1929, pp. 99-102.
H26. Michael Freund, Georges Sorel. Der revolutionäre Konservatismus ("Georges Sorel ou le conservatisme révolutionnaire"), Vittorio Klostermann, Frankfurt/M. 1932, 366 p.
- 2e éd. augm.: Vittorio Klostermann, Frankfurt/M. 1972, 397 p., index [avec une nouvelle préface et une nouvelle postface].
H27. Giuseppe Santonastaso, Georges Sorel, coll. "Biblioteca di cultura moderna", 219, Gius. Laterza e figli, Bari 1932, 147 p., portrait [avec en appendice un florilège d'opinions sur Sorel, pp. 131-136].

1933
H28. Giuseppe La Ferla, Ritratto di Georges Sorel ("Portrait de Georges Sorel"), La Cultura, Milano 1933, IV + 301 p.
- éd. originale de 550 exemplaires numérotés.
- ouvrage remis en vente par les éditions R. Carabba, Lanciano.

1934
H29. Enrico Paresce, Giorgio Sorel e altri saggi, Gustavo Travi, Palermo.

1935
H30. Kazimierz Wyka, Jerzy Sorel, Warszawa 1935.

1936
H31. Pierre Angel, Essais sur Georges Sorel. Vers un idéalisme constructif. 1: De la notion de classe à la doctrine de la violence, coll. "Etudes sur le devenir social", 25, Marcel Rivière, Paris 1936, 352 p.
- le vol. 2 (Les bases philosophiques de la révolution syndicaliste) n'a jamais paru.
H32. Jacques Rennes, Georges Sorel et le syndicalisme révolutionnaire, Liberté, Paris 1936, 189 p.

1937
H33. Victor Sartre, Georges Sorel. Elites syndicalistes et révolution prolétarienne, Spes, Paris 1937, 309 p.


1938
H34. Bruno Facinelli, Sindicalismo soreliano ("Syndicalisme sorélien"), Vallecchi, Firenze 1938, XIII + 167 p.
H35. Jacques de Kadt, Georges Sorel. Het einde van een mythe ("Georges Sorel. La fin d'un mythe"), coll. "Nieuw-Europa", Contact, Amsterdam 1938, 192 p.

1939
H36. Jean Deroo, Le renversement du matérialisme historique. L'expérience de Georges Sorel, coll. "Systèmes et faits sociaux", Marcel Rivière et Cie, Paris s.d. [1939], 253 p. [thèse 1939/G7].
- 2e éd.: Marcel Rivière et Cie, Paris 1940.
- 3e éd.: Marcel Rivière et Cie, Paris 1946.

1943
H37. André Delay, Consultation de Georges Sorel pour la France d'aujourd'hui, Institut d'études politiques et sociales, Paris 1943, 131 p.
H38. H. Lanz, La mission du syndicalisme. Georges Sorel et le dynamisme prolétarien, Institut d'études corporatives et sociales J. Lesfauries, Paris 1943, 63 p.
H39. Les précurseurs: Georges Sorel, coll. "Circulaire", 121, F.F. Legueu, Paris 1943, 16 p.
H40. Jean Wanner, Georges Sorel et la décadence. Essai sur l'idée de décadence dans la pensée de Georges Sorel, F. Roth et Cie, Lausanne 1943, 90 p. [thèse 1943/G8].

1946
H41. Walter Adolf Jöhr, Georges Sorel, s.éd., s.l.n.d. [1946], 28 p.
- tiré à part du Schweizerische Zeitschrift für Volkswirtschaft und Statistik, LXXXII, 1946, 3, pp. 201-229.

1947
H42. Georges Sorel, n° spécial de la revue Fédération, Paris, 34, novembre 1947, 18 p. [paru pour le centenaire de la naissance de Sorel].
- textes de Pierre Andreu, Georges Goriely, Daniel Halévy, Robert Aron, Gilbert Maire.

1948
H43. Fernand Rossignol, Pour connaître la pensée de Georges Sorel, coll. "Pour connaître", Bordas, Paris 1948, 282 p.


1951
H44. Richard [Dale] Humphrey, Georges Sorel, Prophet Without Honor. A Study in Anti-intellectualism ("Georges Sorel, prophète sans honneur. Une étude de l'anti-intellectualisme"), coll. "Harvard Historical Studies", 59, Harvard University Press, Cambridge, et Oxford University Press, London 1951, IV + 244 p.
- 2e éd.: coll. "Harvard Historical Studies", 59, Octagon Books, New York 1971, 244 p., index [reproduction en fac-similé de la 1ère éd.].
H45. James H[ans]. Meisel, The Genesis of Georges Sorel. An Account of His Formative Period Followed by a Study of His Influence ("La genèse de Georges Sorel. Compte rendu de sa période de formation, suivi d'une étude de son influence"), George Wahr Publ. Co., Ann Arbor, et Athena Publ., London 1951, 320 p., index.
- 2e éd.: Greenwood Press, Westport 1982, 320 p. [reproduction en fac-similé de la 1ère éd.].

1953
H46. Pierre Andreu, Notre maître, M. Sorel, Bernard Grasset, Paris 1953, 338 p., ill., préface de Daniel Halévy [à qui l'ouvrage est dédié].
- éd. originale de 30 + 10 exemplaires numérotés.
- texte écrit à partir de 1945-46, avec 10 annexes, dont la liste des livres empruntés par Georges Sorel à la Bibliothèque de Perpignan entre 1884 et 1891, pp. 320-323, le texte d'une lettre de Sorel à Charles Maurras datée du 6 juillet 1909, pp. 325-326, et le texte de la déclaration signée en 1910 avec Edouard Berth, Jean Variot, Pierre Gilbert et Georges Valois, pour annoncer la sortie de la revue Cité française (qui ne verra jamais le jour), pp. 327-328.
- 2e éd. augm.: Georges [sur la page de garde: "Georges"!] Sorel entre le rouge et le noir, coll. "Histoire et théorie", 15, Syros, Paris 1982, 313 p. [reproduction en fac-similé de la 1ère éd., éd. amputée des annexes, mais augmentée d'une préface inédite et d'un entretien de l'auteur avec Jean-Louis Panné et Thierry Paquot, pp. 7-20].
- trad. ital.: Sorel, il nostro maestro, Giovanni Volpe, Roma 1966, XXX + 295 p., préface de Mario Missiroli.
H47. Luis Quintanilla, Bergsonismo y política, Fondo de cultura económica, México 1953, 205 p. [sur Henri Bergson et Georges Sorel].

1959
H48. Hans Barth, Masse und Mythos. Die ideologische Krise an der Wende zum 20. Jahrhundert und die Theorie der Gewalt. Georges Sorel, ("Masse et mythe. La crise idéologique au tournant du XXe siècle et la théorie de la violence. Georges Sorel"), coll. "Rowohlts deutsche Enzyklopädie", 88, série "Staats- und Wirtschaftswissenschaft", Rowohlt, Hamburg 1959, 137 p.
- trad. esp.: Masa y mito. La crisis ideológica en los albores del Siglo XX y la teoría de la violencia, coll. "Ideas y indagaciones", Editorial Universitaria, Santiago de Chile 1973, 164 p., trad. Carmen Cienfuegos.
H49. Michael [Raymond] Curtis, Three Against the Third Republic. Sorel, Barrès and Maurras ("Trois contre la IIIe République. Sorel, Barrès et Maurras"), Princeton University Press, Princeton 1959, 313 p.
- 2e éd.: Greenwood Press, Westport 1976, 313 p. [reproduction en fac-similé de la 1ère éd.].

1960
H50. Tommaso Giacalone-Monaco, Pareto e Sorel. Riflessioni e ricerche ("Pareto et Sorel. Réflexions et recherches"), 2 vol., CEDAM, Padova 1960-61, ill. XII + 189 et 261 p. [avec 69 lettres inédites de Pareto à Sorel].
H51. Jean Onimus, Péguy et Sorel, n° spécial des Feuillets de l'Amitié Charles Péguy, Paris, 77, mai 1960, 39 p.

1961
H52. Irving Louis Horowitz, Radicalism and the Revolt Against Reason. The Social Theories of Georges Sorel, with a Translation of His Essay on "The Decomposition of Marxism" ("La pensée radicale et la révolte de la raison. Les théories sociales de Georges Sorel, avec une traduction de son essai sur "La décomposition du marxisme""), Routledge & Kegan Paul, London, et Humanities Press 1961, VIII + 264 p.
- 2e éd. augm.: Radicalism and the Revolt Against Reason. The Social Theories of Georges Sorel, with a Translation of His Essay on "The Decomposition of Marxism". With a Preface to this Edition Relating Sorel's Theories to American Thought in the 1960's ("Avec une nouvelle préface liant les théories de Sorel à la pensée américaine des années soixante"), Southern Illinois University Press, Carbondale 1968, XXII + 264 p.

1962
H53. Raul Chavarri Porpeta, El pensamiento sindical en Sorel ("La pensée syndicale chez Sorel"), Centro de Estudios sindicales, s.l. [Madrid] 1962, 94 p.
H54. Georges Goriely, Le pluralisme dramatique de Georges Sorel, coll. "Bibliothèque des sciences politiques et sociales", Marcel Rivière et Cie, Paris 1962, 244 p., index.

1967
H55. Preston King, Fear of Power. An Analysis of Anti-Statism in Three French Writers: Alexis de Tocqueville, Pierre-Joseph Proudhon, Georges Sorel ("La peur du pouvoir. Une analyse de l'anti-étatisme de trois écrivains français: Alexis de Tocqueville, Pierre-Joseph Proudhon, Georges Sorel"), Frank Cass, London 1967, XX + 139 p.

1968
H56. A. Cerraholu, Georges Sorel ve devrimci sendikalizm, Matbaasi, Istanbul 1968.
H57. Alberto Ciria, Georges Sorel, 1847-1922, coll. "Enciclopedia del pensamiento esencial", 37, Centro Editor de América latina, Buenos Aires 1968, 115 p.

1969
H58. Helmut Berding, Rationalismus und Mythos. Geschichtsauffassung und politische Theorie bei Georges Sorel ("Rationalisme et mythe. Conception de l'histoire et théorie politique chez Georges Sorel"), coll. "Studien zur Geschichte des neunzehnten Jahrhunderts. Abhandlung der Forschungsabteilung des Historischen Seminars der Universität Köln", 2, R. Oldenbourg, München 1969, 157 p.

1974
H59. Vittor Ivo Comparato (éd.), Georges Sorel. Studi e ricerche ("Georges Sorel. Etudes et recherches"), coll. "Biblioteca Il pensiero politico", 5, L.S. Olschki, Firenze 1974, 219 p.
- textes de Erica Boffi, Giovanna Cavallari, Gian Biagio Furiozzi, Franco Bozzi, Salvatore Onufrio, Annamaria Andreasi, Ugo Piscopo, Salvo Mastellone, Fabrizio F. Bracco, Carlo Carini.
H60. Graziella Pagliano Ungari, Vico e Sorel ("Vico et Sorel"), Publigraf, Napoli 1974, 21 p.
- première publication in Bollettino del Centro di studi vichiani, 4, 1974.
- trad. fr.: "Vico et Sorel", in Archives de philosophie, Paris, 40, 1977, pp. 267-281.
1975
H61. Gian Biagio Furiozzi, Sorel e l'Italia ("Sorel et l'Italie"), coll. "Biblioteca di cultura contemporanea", 116, G. D'Anna, Messina-Firenze 1975, 377 p.
H62. Eugenio Zagari, Marxismo e revisionismo. Bernstein, Sorel, Graziadei, Leone ("Marxisme et révisionnisme. Bernstein, Sorel, Graziadei, Leone"), coll. "La spirale", 29, Guida, Napoli 1975, 357 p.

1976
H63. Hugo García Salvattecci, Sorel y Mariátegui ("Sorel et [José Carlos] Mariátegui"), Enrique Delgado Valenzuela, Lima 1976, 276 p., préface de Luis Alberto Sánchez.
- 2e éd.: Georges Sorel y J.C. Mariátegui, Enrique Delgado Valenzuela, Lima 1980, 288 p.

1977
H64. Michel Charzat, Georges Sorel et la révolution au XXe siècle, coll. "Hachette essais", Hachette, Paris 1977, 296 p. [thèse 1976/G30].
- trad. portug.: Georges Sorel e la revolução do século XX, coll. "Século XX-XXI", Iniciativas Editorials, Lisboa 1977, 279 p., trad. Maria Ondina Braga.
H65. Marino Díaz Guerra, El pensamiento social de Georges Sorel ("La pensée sociale de Georges Sorel"), coll. "Ideologías contemporáneas", Instituto de estudios políticos-Centro de estudios constitucionales, Madrid 1977, 239 p. [thèse 1974/G27].
H66. Julien Freund, Georges Sorel, 1847-1922. Geistige Biographie ("Georges Sorel, 1847-1922. Une biographie intellectuelle"), coll. "Carl Friedrich von Siemens Stiftung - Themen", 23, Carl Friedrich von Siemens Stiftung, München 1977, 70 p. [texte rédigé en décembre 1974 d'une conférence prononcée le 25 novembre 1975 devant les membres de la Fondation Siemens à Munich-Nymphenburg, avec en appendice une bio-bibliographie de Georges Sorel par Armin Mohler, pp. 39-63].
- version fr.: "Une interprétation de Georges Sorel", in Revue européenne des sciences sociales-Cahiers Vilfredo Pareto, XIV, 36, avril 1976, pp. 81-94, texte repris in Nouvelle Ecole, Paris, 35, hiver 1979-80, pp. 21-31, puis in Julien Freund, D'Auguste Comte à Max Weber, Economica, Paris 1992, pp. 157-172.
- trad. néerl.: "Georges Sorel. Een interpretatie", in Teksten, kommentaren en studies, Wijnegem, II, 23, novembre 1981, pp. 37-50, trad. Frans de Hoon.
- trad. esp.: "Una interpretación de Georges Sorel", in La Nueva Provincia, supplément "Ideas-Imagines", Buenos Aires, 1983.
- cf. Armin Mohler, Georges Sorel. Erzvater der Konservativen Revolution (2000).
H67. Michele Maggi, La formazione dell'egemonia in Francia. L'ideologia sociale nella Terza Repubblica tra Sorel e Durkheim ("La formation de l'hégémonie en France. L'idéologie sociale sous la IIIe République entre Sorel et Durkheim"), coll. "Ideologia e società", De Donato, Bari 1977, 332 p., index.
H68. Carmelo Vigna, Le origini del marxismo teorico in Italia. Il dibattito tra Labriola, Croce, Gentile e Sorel sui rapporti tra marxismo e filosofia ("Les origines du marxisme théorique en Italie. Le débat entre Labriola, Croce, Gentile et Sorel sur les rapports entre marxisme et philosophie"), coll. "Idee", 22, Città nuova, Roma 1977, 284 p.

1978
H69. Roberto Racinaro, La crisi del marxismo nella revisione di fine secolo ("La crise du marxisme lors de la révision de la fin du siècle"), coll. "Ideologia e societa", De Donato, Bari 1978, 262 p. [sur Benedetto Croce, Antonio Labriola et Georges Sorel].
H70. Richard [Anthony] Vernon, Commitment and Change. Georges Sorel and the Idea of Revolution ("Engagement et changement. Georges Sorel et l'idée de révolution"), University of Toronto Press, Toronto 1978, VIII + 148 p., index [contient à partir de la p. 73 la trad. de 5 textes de Sorel].

1979
H71. Leif Björk, Georges Sorel. Kort biografi ("Georges Sorel. Brève biographie"), suivi de Fritz Jonsson, Den syndikalistiska rörelsens bakgrund, coll. "Syndikalisternas Förbund klassikerserie", 2, Syndikalisternas Förbund, Stockholm 1979, 31 p.
H72. Maria Cristina Fanelli, Appunti sul marxismo di Georges Sorel fino al 1899 ("Notes sur le marxisme de Sorel jusqu'en 1899"), coll. "Memorie del Seminario di storia della filosofia della Facoltà di magistero, Università di Sassari", Presso l'Istituto di filosofia, Sassari 1979, 20 p.
H73. Paul M. Mazgaj, The Action française and Revolutionary Syndicalism ("L'Action française et le syndicalisme révolutionnaire"), North Carolina University Press, Chapel Hill 1979, 281 p. [thèse 1976/G32].
H74. Salvatore Onufrio, Sorel e il marxismo ("Sorel et le marxisme"), coll. "Studi storici", 31, Argalía, Urbino 1979, VII + 382 p., préface de Enzo Santarelli, index.

1980
H75. Paolo Pastori, Rivoluzione e continuità in Proudhon e Sorel ("Révolution et continuité chez Proudhon et Sorel"), coll. "Università di Roma - Facoltà di scienze politiche, Istituto di studi storici", 29, A. Giuffrè, Milano 1980, 244 p., index.
H76. Larry Portis, Georges Sorel, coll. "Pluto Ideas in Progress", Pluto Press, London 1980, 120 p.
- trad. fr.: in Georges Sorel. Présentation et textes choisis, coll. "Petite collection Maspéro", 272, série "Histoires", François Maspéro, Paris 1982, 333 p., textes choisis et présentés par Larry Portis, trad. Martine Echard et Christiane Passevant (2e éd.: La Brèche-PEC, Montreuil 1989, 333 p.).
- trad. all.: Sorel zur Einführung, coll. "SOAK-Einführungen", 14, SOAK-Verlag, Hannover 1983, 204 p., trad. Frieder O. Wolf, postface de Peter Schöttler (2e éd.: SOAAK-Verlag, Hannover 1984).
H77. Jack Joseph Roth, The Cult of Violence. Sorel and the Sorelians ("Le culte de la violence. Sorel et les soréliens"), University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1980, XI + 359 p., index [thèse 1955/G14].

1981
H78. Arthur L. Greil, Georges Sorel and the Sociology of Virtue ("Georges Sorel et la sociologie de la vertu"), University Press of America, Washington 1981, XI + 248 p.
H79. John L. Stanley, The Sociology of Virtue. The political and Social Theories of George [sic ! sur la jaquette: "Georges"] Sorel ("La sociologie de la vertu. Les théories politiques et sociales de Georges Sorel"), University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1981, IX + 387 p., index.

1982
H80. Sorel, sessant'anni dopo, dossier spécial de la revue Mondoperaio, Rome, XXXV, 7-8, juillet-août 1982, pp. 90-114.
- textes de Jacques Julliard, Shlomo Sand et Bruno Somalvico, Peter Schöttler, Pierre Andreu.

1983
H81. Giuseppe Antonio Arena, Prima della ragione. Cultura e diritto del popolo in Vico e Sorel ("Avant la raison. Culture et droit du peuple chez Vico et Sorel"), Tullio Pironti, Napoli 1983, 80 p.
H82. Giovanni Busino, Pareto, Croce. Les socialismes et la sociologie, coll. "Travaux de droit, d'économie, de sciences politiques, de sociologie et d'anthropologie", série "Pratiques sociales et théories", 2, 138, Droz, Genève 1983, 202 p.
H83. Giuseppe L[udovico]. Goisis, Sorel e i soreliani. Le metamorfosi dell'attivismo ("Sorel et les soréliens. Les métamorphoses de l'activisme"), coll. "Saggi e documenti", 21, Helvetia, Venezia 1983, 474 p.

1984
H84. Gian Biagio Furiozzi, Sorel. Il sindacalismo rivoluzionario ("Sorel. Le syndicalisme révolutionnaire"), coll. "Biblioteca del Poligono", Il Poligono, Roma 1984, 339 p. [avec en annexe un texte de Luigi Salvatorelli, "Spengler e Sorel", pp. 295-301, d'abord paru in La Cultura, XIV, 2, juillet 1935, pp. 21-23].
H85. Stefano Miccolis, Il "sorelismo" di Croce ("Le "sorélisme" de Croce"), Bulzoni, Roma 1984, 14 p.
- tiré à part de la revue Nuovi studi politici, Roma, 1984, 3, pp. 29-42.
H86. Stefano Miccolis, La polemica del revisionismo con alcune lettere inedite di Georges Sorel ("La polémique du révisionnisme, avec quelques lettres inédites de Georges Sorel"), Sansoni, Firenze, 10 p.
- tiré à part du Giornale critico della filosofia italiana, LXIII, 1984, 1, pp. 124-133.
H87. Valentino Petrucci, Socialismo aristocratico. Saggio su Georges Sorel ("Socialisme aristocratique. Essai sur Georges Sorel"), coll. "Collana di saggi e testi dell'Istituto di filosofia del diritto dell'Università degli studi di Napoli - Saggi", 4, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli 1984, 207 p., index.
H88. Armin Steil, Die imaginäre Revolte. Untersuchungen zur faschistischen Ideologie und ihrer theoretischen Vorbereitung bei Georges Sorel, Carl Schmitt und Ernst Jünger ("La révolte imaginaire. Recherches sur l'idéologie fasciste et sa préparation théorique chez Georges Sorel, Carl Schmitt et Ernst Jünger"), coll. "Schriftenreihe der Studiengesellschaft und Arbeiterbewegung", 40, Arbeiterbewegung und Gesellschaftswissenschaft, Marburg/M. 1984, 188 p.

1985
H89. Jeremy Ralph Jennings, Georges Sorel. The Character and Development of His Thought ("Georges Sorel. Le caractère et l'évolution de sa pensée"), coll. "St. Antony's Macmillan Series", Macmillan, London/St. Anthony's College, Oxford, et St. Martin's Press, New York 1985, XI + 209 p., préface de Theodore Zeldin, index [thèse 1980/G36].
H90. Jacques Julliard et Shlomo Sand (éd.), Georges Sorel en son temps, coll. "Philosophie politique", Seuil, Paris 1985, 478 p., index [Actes du colloque organisé à l'Ecole Normale supérieure, à Paris, du 13 au 15 mai 1982, sous le patronage de l'Ecole des hautes études en sciences sociales].
- textes de Jacques Julliard, Madeleine Rebérioux, Peter Schöttler, Zeev Sternhell, Maria Malatesta, Roberto Vivarelli, Georges Goriely, Pierre Andreu, Larry Portis, Daniel Lindenberg, Thierry Paquot, Shlomo Sand, Sergio Romano, Peter Nijhoff, Jean-Luc Pouthier, Bruno Somalvico, Giovanni Busino, Robert Paris, Jutta Scherrer, Michel Prat.
H91. Shlomo Sand, L'illusion du politique. Georges Sorel et le débat intellectuel 1900, coll. "Armillaire", Découverte, Paris 1985, 281 p., index [thèse 1982/G39].

1986
H92. Pietro Barbieri, La filosofia della violenza in Georges Sorel ("La philosophie de la violence chez Georges Sorel"), coll. "Saggistica", Nuovi autori, Milano 1986, 117 p.
H93. Michel Charzat (éd.), Georges Sorel, coll. "Les Cahiers de l'Herne", 53, L'Herne, Paris 1986, 387 p. + 8 pl. ill. [contient plusieurs textes et un choix de lettres de Sorel, ainsi que la "Préface pour une œuvre nouvelle" rédigée en 1910 pour paraître dans la revue Cité française, pp. 302-322, avec une présentation de Pierre Andreu].
- textes de Michel Charzat, Georges Sorel, Jeremy Ralph Jennings, Patrice Rolland, Valentino Petrucci, Madeleine Rebérioux, Christophe Prochasson, Jacques Julliard, John L. Stanley, Georges Goriely, Maximilien Rubel, Gregorio De Paola, Sergio Romano, Shlomo Sand, Marie-Laurence Netter, Daniel Lindenberg, Willy Gianinazzi, Michael Löwy, Barbara Stoczewska et Marek Waldenberg, Jérôme et Jean Tharaud, Albert-Emile Sorel, Edouard Berth, Vilfredo Pareto, Benedetto Croce, Michel Prat.

1987
H94. Maurice Weyembeergh (éd.), Georges Sorel, 1847-1922, n° spécial du Tijdschrift voor de studie van de Verlichting en van het vrije denken, 14-15, 2, Vrije Universiteit Brussel, Centrum voor de studie van de Verlichting en van het vrije denken, Brussel 1987, 125 p.
- textes de Jean-Marc Piret, Jozef van Bellingen, Maurice Weyembeergh.


1990
H95. Bas[ilius Augustinus Maria] van Stokkom, Georges Sorel. De ontnuchtering van de Verlichting - Georges Sorel. Le dégrisement des Lumières, l'auteur, Kerckebosch bv Zeist 1990, XI + 196 p. (avec un résumé en français) [thèse 1990/G49].

1993
H96. Giovanna Cavallari, Georges Sorel. Archeologia di un rivoluzionario ("Georges Sorel. Archéologie d'un révolutionnaire"), Centro interdipartimentale audiovisivi e stampa dell'Università degli studi, Istituto di studi storici, giuridici, filosofici e politici, Camerino, 236 p.
- 2e éd.: coll. "Pubblicazioni della Facoltà di giurisprudenza della Università di Camerino", 41, Jovene, Napoli 1994, XII + 282 p.

1994
H97. José Ignacio Lacasta Zabalza, Georges Sorel en su tiempo, 1847-1922. El conductor de herejías ("Georges Sorel et son temps, 1847-1922. Le chef d'orchestre des hérésies"), coll. "En el lomo", 67, Talasa, Madrid 1994, 400 p.
H98. Pál Salamon, A Sorel ház. Regényfolyam ("La maison Sorel. Cours-roman"), Ab Ovo, Budapest 1994, 463 p.

1996
H99. Jack Joseph Roth, Les racines du fascisme italien: Sorel et le sorélisme, s.éd. [ARS], s.l.n.d. [Nantes ca. 1996], 28 p., trad. anonyme.
- trad. de: "The Roots of Italian Fascism. Sorel and Sorelismo", in Journal of Modern History, XXXIX, 1, mars 1967, pp. 30-45 [texte d'une conférence prononcée le 30 décembre 1964 lors d'un colloque organisé par l'American Historical Association et la Society for Italian Historical Studies].
- trad. esp.: Las raíces del fascismo italiano. Sorel y el sorelismo ("Les racines du fascisme italien. Sorel et le sorélisme"), Alternativa europea, Barcelona 1998, 23 p., trad. anonyme [le nom de l'auteur ne figure pas dans l'ouvrage].

1997
H100. Marco Gervasoni, Georges Sorel, una biografia intellettuale. Socialismo e liberalismo nella Francia della Belle époque ("Georges Sorel, une biographie intellectuelle. Socialisme et libéralisme dans la France de la Belle époque"), coll. "Testi e stud ", 4, Unicopli, Milano 1997, 455 p., index [thèse 1995/G53].

1998
H101. Jean-Pierre Blanchard, Aux sources du national-populisme. Maurice Barrès, Georges Sorel, L'Æncre, Paris 1998, 195 p.
H102. John L. Stanley (ed.), Georges Sorel. Social Poetry and the Critique of the Modern State ("Georges Sorel. Poésie sociale et critique de l'Etat moderne"), n° spécial de la revue European Legacy, III, 5, septembre 1998, MIT Press, Cambridge 1998, VII + 168 p.
- textes de John L. Stanley, K. Steven Vincent, Jeremy ralph Jennings, Shlomo Sand, Cécile Laborde.

1999
H103. Daniela Andreatta, Tra mito e scienza. La revisione del marxismo nel pensiero politico di Georges Sorel e di Enrico Leone ("Entre le mythe et la science. La révision du marxisme dans la pensée politique de Georges Sorel et d'Enrico Leone"), 2e éd. rév., CLEUP [Università degli studi di Padova], Padova 1999, 149 p.

2000
H104. Armin Mohler, Georges Sorel. Erzvater der Konservativen Revolution. Eine Einführung ("Georges Sorel, le père-fondateur de la Révolution conservatrice. Une introduction"), coll. "Perspektiven", 1, Antaios, Bad Vilbel 2000, 104 p., postface et compléments bibliographiques de Karlheinz Weißmann.
- reprise développée du texte figurant en appendice in Julien Freund, Georges Sorel, 1847-1922. Geistige Biographie (1977).
H105. Eva Szénási, Konzervatív és/vagy forradalmár. Georges Sorel a politikai gondolkodó ("Conservateur et/ou révolutionnaire. La pensée politique de Georges Sorel"), Osiris, Budapest 2000, 237 p.

2001
H106. Yves Guchet, Georges Sorel, 1847-1922. "Serviteur désintéressé du prolétariat", L'Harmattan, Paris 2001, 335 p. [avec en appendice, pp. 311-330, un texte de Sorel].
H107. Paolo Pastori et Giovanna Cavallari (éd.), Georges Sorel nella crisi del liberalismo europeo ("Georges Sorel dans la crise du libéralisme européen"), coll. "Collana del dipartimento di scienze giuridiche e politiche", 8, Dipartimento di scienze giuridiche e politiche dell'Università di studi di Camerino, Camerino 2001, 667 p., index [Actes du Colloque organisé les 22 et 23 février 1999 à l'Université de Camerino].
- textes de Paolo Pastori, Giovanna Cavallari, Willy Gianinazzi, Alessandra La Rosa, Patrice Rolland, Enzo Sciacca, Paolo Bagnoli, Stefano Boninsegni, Giuseppe Ceci, Luciano Cicconi, Daniela Coli, Angelo D'Orsi, Gian Biagio Furiozzi, Francesco Germinario, Marco Gervasoni, Stefania Mazzone, Mario Sznajder, Stefano Tacchinardi, Marco Dotti, Alberto Filippi, Juan Francisco Fuentes, Robertino Ghiringhelli, Yves Guchet, Francesco Mancuso, Maria Pia Paternó, Mario Ricciardi, Domenico Scalzo, Valentina Conti.

2002
H108. Paolo Pastori, Georges Sorel dal conservatorismo alla rivoluzione. L'itinerario verso la riscoperta di una tradizione politica ("Georges Sorel, du conservatisme à la révolution. Itinéraire de redécouverte d'une tradition politique"), Facoltà di giurisprudenza dell'Università di studi di Camerino, Camerino 2002, 153 p.
- comprend, sous le titre ""Revenons à Sorel" come "zurück zu Kant"? Ipotesi sulla localizzazione del sostrato etico-politico nella critica soreliana alla società borghese", pp. 9-109, une nouvelle version d'un texte paru dans le recueil Georges Sorel nella crisi di liberalismo europeo (2001).


- ASSOCIATIONS
- Une Société d'études soréliennes a été créée à Paris le 1er juin 1983, pour faire suite au Colloque organisé du 13 au 15 mai 1982 à l'Ecole Normale supérieure, à Paris. Aux termes de ses statuts, elle "s'interdit toute exploitation politique ou idéologique de l'œuvre de Georges Sorel" et "récuse par avance toute tentative d'identification de son action à quelque entreprise politique ou idéologique qui chercherait à se réclamer d'elle".
- La Société publie une revue annuelle, qui s'est d'abord intitulée Cahiers Georges Sorel, avant d'adopter en 1989, avec son n° 7, le titre de Mil neuf cent. Revue d'histoire intellectuelle. Dirigée par Jacques Julliard, la revue a son siège au Musée social (5 rue Las Cases, 75007 Paris - administration: 58 rue des Pivoines, 92160 Antony). Elle possède un comité scientifique (comprenant notamment Helmut Berding, Giovanni Busino, Michel Charzat, Gian Franco Furiozzi, Jeremy Jennings, Robert Paris, Paolo Pastori et Sergio Romano) et un comité de rédaction (Françoise Blum, Daniel Lindenberg, Jean-Luc Pouthier, Michel Prat, Christophe Prochasson, Shlomo Sand, Pierre-André Taguieff, etc.). Le secrétariat de rédaction est assuré par Muriel Loosfelt.
- Les cinq premiers numéros des Cahiers Georges Sorel sont disponibles sous forme de document électronique: coll. "Données textuelles", Bibliothèque nationale de France, Paris 1995.
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- [bibliographie arrêtée au 21 juin 2002].
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- © Alain de Benoist - 2002

 

I circoli palermitani della gioventù cattolica attraverso la corrispondenza di Giuseppe Pipitone(1921 - 1923) di Claudia Giurintano

Introduzione

Dopo l'unità d'Italia si possono individuare tre correnti all'interno delle quali scorre l'impegno religioso: un filone aristocratico, soprattutto al Nord che vede, per opera dei cattolici, la costruzione di cooperative di servizio; un élite di pensiero che tenta di trasformare la teoria in ufficio civile pratico e che ha un'attenzione particolare per l'autonomia dei municipi, per la stampa confessionale e per la costruzione di una cultura religiosa; infine, un gruppo a larga base popolare e piccolo borghese, soprattutto al Centro Sud, che si adatta alla situazione contingente accettando il mutamento di regime "per quel tanto da non suscitare compromessi immorali o collisioni di fede"(1). Si sviluppa così un avvicinamento tra impegno religioso e impegno sociale e, in tale contesto, l'Azione Cattolica(2) assume sempre maggiore importanza man mano che la sua struttura prende consistenza.
Nella sua fisionomia e finalità moderne l'Azione Cattolica nasce nel XIX secolo come reazione all'opera laicizzatrice della Rivoluzione liberale. Nel 1863 a Malines in Belgio si tenne un importante Congresso cattolico internazionale al quale partecipò, tra gli altri, in rappresentanza italiana, l'avvocato bolognese Gian Battista Casoni sotto il cui impulso nacque in Italia la prima organizzazione cattolica a base nazionale: Associazione cattolica per la libertà della Chiesa in Italia. L'associazione ebbe vita breve, ma da quelle stesse idee sarebbe nata nel 1868 la Società della Gioventù Cattolica Italiana grazie all'opera organizzativa di Giovanni Acquaderni (1839-1922) di Bologna e Mario Fani Ciotti (1845-1869) di Viterbo, morto quest'ultimo ad appena 24 anni per una polmonite contratta per salvare un uomo in mare.
Gli obiettivi di Fani e Acquaderni erano quelli di educare "cattolicamente" la gioventù italiana e di sostenere il papato. La base culturale e logistica della nuova associazione matura per il lavoro non solo dei due fondatori ma anche del direttore spirituale della congregazione bolognese, padre Luigi Pincelli. A testimonianza dell'influenza dei gesuiti nel progetto vi è una lettera del 1893, scritta da Acquaderni al padre Alessandro Basile, nella quale così si legge: "Se la Gioventù cattolica esiste, si deve alla Compagnia di Gesù"(3) .
Il programma della Gioventù cattolica, pubblicato il 4 gennaio 1868, sottolinea l'urgenza di rieducazione sul piano religioso al fine di proteggere la sopravvivenza della famiglia, della morale e della fede(4). Pochi giorni dopo la diffusione del manifesto Acquaderni assume la carica di primo presidente affiancato da Mario Fani, Carlo Cazzani, Ugo Flandoli, Alfonso e Francesco Malvezzi Campeggi, Pellegrino Matteucci, Gianantonio Bianconi e Alfonso Rubbiani con la carica di segretario. Legalmente la Società si definisce con uno Statuto del marzo 1868 di 34 articoli e un Regolamento composto da 50 punti che "dettagliano finalità, iscrizioni, composizione dei circoli, adunanze e cariche"(5). Programmi e testi normativi vengono sottoposti all'autorità ecclesiastica per l'approvazione che non tarda a pervenire. Bandiera ideale dell'Associazione diventano la preghiera, l'azione, il sacrificio le cui iniziali (P.A.S.) vengono ricamate sugli stendardi; l'Azione Cattolica nasceva così, come scrive Giovanni Spadolini, "da quello sforzo di proselitismo e […] di missionarismo in un mondo estraneo od ostile, da quello spirito di crociata per riconquistare i valori certi della società italiana senza accettare nessun compromesso, senza scendere a nessuna transazione con le autorità costituite, senza snaturarsi in un movimento di carattere, politicamente o socialmente, conservatore"(6).
Gli input del primo congresso Cattolico tenuto a Venezia dal 12 al 16 giugno 1874 provengono dal Sud e, soprattutto, dalla Sicilia la quale vi partecipa con quattro gruppi: Circolo di Santa Rosalia, Associazione San Francesco di Sales di Palermo; Società siciliana primaria per gli interessi cattolici(7), diffusa in tutta l'isola; Circolo della Gioventù cattolica di Caropepe Valguarnera, diocesi di Piazza Armerina. Tali gruppi sono rappresentati da giovani nobili e colti che riconoscono la propria guida in Vito d'Ondes Reggio (1811-1885).
Alla morte di Papa Pio IX la Gioventù Cattolica subisce uno sbandamento all'interno dello schieramento cattolico. Leone XIII mostra una predilezione per l'Opera dei congressi nella quale individua il fulcro del movimento cattolico italiano.
I primi dirigenti dell'Azione Cattolica sono tutti uomini di prestigio, capaci di incutere "soggezione e rispetto"(8) poiché azione vuol dire che bisogna agire, crescere, entro "le mura della cittadella cattolica"(9).
Pio X con l'enciclica Il fermo proposito (11 giugno 1905)(10) e Pio XI(11) ne Ubi arcano (23 dicembre 1922)(12) hanno offerto una valida definizione di Azione Cattolica come spirito di apostolato tendente all'attuazione e alla difesa dei principi cattolici nella vita individuale e sociale come attività collettiva che combatte ogni individualismo.
Il fermo proposito ebbe il merito di determinare il nuovo assetto dell'organizzazione dei cattolici italiani. La realizzazione del piano, stabilito dall'enciclica, venne affidata a Giuseppe Toniolo, Stanislao Medolago Albani e Paolo Pericoli. Essi, il 24 febbraio 1906, convocarono a Firenze i delegati delle diocesi italiane. Si trattò di un importante convegno dal quale uscì la nuova struttura dell'Azione Cattolica distinta in quattro gruppi: Unione Popolare (con il compito di curare la formazione delle coscienze); Unione economico-sociale (con la funzione della direzione del movimento economico-sociale); Unione elettorale (con la direzione del movimento elettorale nei singoli centri); Società della Gioventù Cattolica Italiana. Il 3 dicembre 1906 si inaugurò a Firenze l'Ufficio Centrale dell'Unione Popolare. Il primo Presidente dell'Unione Popolare fu lo stesso Toniolo. L'Unione si dedicò allo studio e alla propaganda orale e scritta attraverso le settimane sociali, congressi, periodici, opuscoli, foglietti volanti(13). L'Unione Economico Sociale ebbe come primo presidente il conte Medolago Albani. Ad essa furono affidati i compiti di promuovere la fondazione di associazioni e istituti che attuassero il programma cristiano-sociale; studi e pubblicazioni; la coordinazione dell'azione delle associazioni e istituti affini. All'Unione Economico Sociale aderirono istituzioni quali Banche Cattoliche, Cooperative, Casse Rurali, Casse Operaie, Società Operaie Cattoliche di mutuo soccorso etc.
L'Unione Elettorale Cattolica aveva il compito di guidare l'attività elettorale dei cattolici. Veniva lasciato ai Vescovi il giudizio sulla necessità di permettere ai cattolici la partecipazione alle elezioni politiche, chiedendo alla Santa Sede la deroga del non expedit.
Nel 1908 sorse la prima associazione femminile nazionale, Unione delle donne cattoliche, allo scopo di formare la donna sia nella fede che sul terreno sociale. Nel 1918, dall'Unione delle donne cattoliche venne fuori l'importante organismo della Gioventù Femminile Cattolica Italiana(14).
La riforma di Pio X era andata avanti, in verità, in modo lento, e a dare un maggiore impulso contribuì la riforma del 1915 di Benedetto XV con lo Statuto del 10 dicembre, entrato in vigore il 12 gennaio 1916. Il pontefice affidò la responsabilità organizzativa globale al conte Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto coadiuvato in segreteria da Luigi Sturzo(15). Con tali disposizioni si stabilì che il Consiglio direttivo dell'Unione Popolare poteva eleggere una Giunta Direttiva dell'Azione Cattolica che divenne il supremo organo coordinatore. I nuovi Statuti prescrissero l'organizzazione dell'Unione Popolare in ogni diocesi e parrocchia. Alla fine del mese di ottobre del 1919 si tenne a Roma un Congresso Nazionale il cui esito principale fu il coordinamento dei due rami dell'azione femminile (Unione donne cattoliche e Gioventù femminile) che si intrecciarono a formare l'Unione Femminile Cattolica Italiana (U.F.C.I.) sotto una sola presidenza generale ma mantenendo ciascuna una propria fisionomia e funzione specifica(16). Sorsero molti circoli Universitari Femminili e la Santa Sede - con lettera della Segreteria di Stato (27 marzo 1922) - stabilì che la organizzazione universitaria divenisse terzo ramo dell'Unione Cattolica Italiana rimanendo così distinta dalla FUCI(17).
Il Partito Popolare Italiano(18), all'inizio della sua costituzione, reclutò i suoi militanti soprattutto tra i soci delle precedenti organizzazioni cattoliche e la stessa azione elettorale cessò di essere una funzione particolare dell'Azione Cattolica tanto che l'8 febbraio 1919 la Giunta direttiva deliberò lo scioglimento dell'Unione Elettorale Cattolica. Nella relazione ufficiale si legge che la Giunta direttiva, con rincrescimento, accettava le dimissioni di Luigi Sturzo dalla carica di Segretario per assumere quella di Segretario politico del P.P.I. Il popolarismo, scriverà nel secondo dopoguerra il politico calatino, "sorgeva in nome della libertà contro due monopoli, quello dello Stato accentratore per tradizione liberale; quello marxista dei socialisti nel campo operaio"(19). Il 12 novembre 1919 la Santa Sede dichiarava decaduto il non expedit lasciando ai cattolici campo aperto all'attività politica.
Con la seduta del 26 marzo 1920 la Giunta direttiva modificò lo Statuto dell'Unione Popolare inserendo la costituzione di consigli parrocchiali composti dai presidenti delle associazioni delle parrocchie i quali, a loro volta, furono incaricati di coordinare l'attività dei vari sodalizi(20). Gli organi di azione riconosciuti furono così divisi: Giunta Centrale dell'Azione Cattolica(21); Giunte Diocesane, Consigli Parrocchiali(22). Tali organi collegiali dovevano dirigere l'attività di tutte le organizzazioni nazionali: Federazione Italiana Uomini Cattolici; Società della Gioventù Cattolica Italiana; Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Tra le finalità particolari l'Azione Cattolica si propose sin dalla sua costituzione: "la cristianizzazione della famiglia, della scuola, della stampa, la difesa della pubblica moralità; la difesa dei diritti e la libertà della Chiesa; la soluzione in senso cristiano dei problemi sociali; l'ispirazione cristiana delle leggi e delle pubbliche istituzioni"(23). Tra i problemi sociali l'attenzione venne focalizzata su quelli inerenti al rapporto capitale-lavoro. Tali finalità mostrano come il rapporto tra Azione Cattolica e partiti politici fosse ben delineato, nel senso che i fini dell'Azione Cattolica non erano specificatamente politici. D'altra parte, nel settembre del 1924, Pio XI, nel suo Discorso agli Universitari Cattolici aveva sottolineato che la lotta politica, la politica di partito, non sono azioni cattoliche, ribadendo, in tal modo, la netta distinzione tra Azione Cattolica e partiti politici di qualunque natura essi fossero. Il pontefice, però, non escludeva il ruolo che l'Azione Cattolica avrebbe potuto svolgere - pur distinguendosi dalla politica - sotto forma di influenza morale, influenza indiretta, da esercitare educando le coscienze(24). L'Azione Cattolica ha, infatti, per scopo quello di preparare gli uomini ad agire da cattolici non solo nella vita privata ma anche in quella pubblica e ciò si traduce, nel campo politico, nel non potere appartenere a partiti politici se non di ispirazione cattolica(25). La Chiesa si pone al di sopra delle competizioni politiche dei partiti ma questo non vuol dire che essa non debba intervenire laddove c'è un contrasto con i principi morali esprimendo la propria riprovazione e condanna.

1.-Azione Cattolica e Partito Popolare

La grande novità del primo dopoguerra è il sorgere del P.P.I. La costituente del partito viene convocata a Roma a metà dicembre 1918 e vede l'incontro di 41 rappresentanti regionali nella sede dell'Unione Popolare romana. Tra i convocati da Sturzo vi furono i siciliani Vincenzo Mangano e Antonio Pecoraro(26). Il Partito Popolare, aconfessionale e interclassista, si caratterizza per l'impegno civile sui problemi della società e per la sua autonomia dalla Azione Cattolica. L'aconfessionalità venne contestata dai cosiddetti "confessionalisti" tra i quali spiccano i nomi di padre Agostino Gemelli(27) e don Francesco Olgiati i quali, alla vigilia del Congresso di Bologna (14 giugno 1919), pubblicarono un opuscolo dal titolo Il programma del P.P.I.: come non è e come dovrebbe essere(28). Tale scritto accusava il "neonato" partito di non avere "dichiarato guerra […]allo Stato liberale, di non avere fatto del cattolicismo il proprio elemento di differenziazione, di non avere posto la questione romana in testa ai propri postulati programmatici"(29). Ma Gemelli, primo oratore a portare il Congresso "in una sfera di largo dibattito ideale", sin dall'inizio del suo discorso sgombrò il terreno dalla pregiudiziale di confessionalismo "rilevando che egli non concepiva il partito come una branca della Azione Cattolica e come dipendente dall'autorità ecclesiastica"(30). A suo avviso il partito popolare, nelle linee programmatiche, prescindeva dalle finalità cristiane cosa che un partito politico, organizzato da cattolici, non doveva fare. Sturzo rispose alle obiezioni dei confessionalisti chiarendo che egli si era sempre voluto differenziare "dall'antica azione cattolica-elettorale"; egli non aveva voluto prendere come insegna la religione poiché non era sua intenzione ripetere una "seconda faccia dell'organizzazione cattolica italiana"(31). Dopo le dichiarazioni di Sturzo, Gemelli annunciò di ritirare il suo ordine del giorno(32) e applaudendo il politico calatino testimoniò l'importanza dell'unità del partito e la fiducia in colui che "come cittadino e come sacerdote" l'aveva condotto a quei risultati(33).
Il filosofo Pietro Mignosi, che negli anni della formazione del P.P.I. insegnava nel regio liceo di Caltanissetta, presentò l'aconfessionalità come una forma di "adattamento" ad una situazione storico-politica che in quel momento non permetteva la proclamazione dell'ideale teocratico. Mignosi giudicava il programma popolare un "magnifico mantello d'Arlecchino" che metteva accanto elementi diversi: dottrina liberale, mazziniana, socialismo e riformismo(34).
"La Civiltà Cattolica", attraverso la penna di Padre Enrico Rosa, assunse una posizione critica nei confronti dell'atteggiamento del Partito Popolare verso il problema dei rapporti Stato-Chiesa(35). Rosa lamentava la mancanza di un esplicito cenno alla "piena libertà, sovranità e indipendenza del Papa"; inoltre, l'articolo VII(36) del programma dimenticava "il ministero e l'impero o giurisdizione, secondo la triplice potestà della Chiesa […] d'insegnare, di santificare e di reggere"(37).
Sturzo affermava che un partito cattolico come tale non poteva esistere e che gli organismi dell'Azione Cattolica non potevano tramutarsi in organi di partito politico. Il politico calatino sottolineava la necessità di una differenziazione che non poteva essere quella religiosa. Era questa la risposta che Sturzo aveva dato, nel novembre del 1918, sul "Corriere d'Italia" a Stefano Cavazzoni(38) che, da quelle stesse pagine, aveva sostenuto l'idea di un partito nuovo che sapesse evitare alle autorità religiose responsabilità che potevano coinvolgere "l'autorità somma nelle deficienze o nelle colpe di uomini e di atteggiamenti"(39).
Per ovvi malintesi i rapporti tra Azione Cattolica e Partito Popolare in periferia non furono facili come dimostra una lettera di risposta di mons. Giuseppe Romeo, vescovo di Nocera Inferiore e legato all'apostolato dei laici, alla richiesta di utilizzo di alcuni locali per riunioni politiche: "la cosa non mi piace perché il Partito Popolare è politico e aconfessionale"(40). In verità la presidenza centrale della S.G.C.I. non vietava ai propri dirigenti di iscriversi al P.P.I. ma si adoperava affinché essi non assumessero cariche di rilievo. Veniva precisato, invece, che i giovani cattolici non potevano aderire ad altri partiti come quello fascista ma tali disposizioni venivano spesso disattese soprattutto dopo l'occupazione delle fabbriche e la caduta di Giolitti. I rapporti tra Azione Cattolica e P.P.I. sono stati e continuano ad essere al centro di interessanti dibattiti storiografici soprattutto in riferimento al diverso atteggiamento - che alcuni studiosi hanno riscontrato - di Benedetto XV e Pio XI verso il partito sturziano.
Giovanni Spadolini(41) ricorda che Benedetto XV diede fiducia al politico calatino "sacrificando" l'Azione Cattolica e relegandola al solo ed esclusivo campo missionario; Pio XI, invece, avrebbe ristabilito il ruolo dell'Azione Cattolica anche in campo politico. Ci sono poi coloro che sostengono che il Partito Popolare fu in realtà tollerato e mai "benedetto" dalla Santa Sede a causa del suo programma rappresentato dai tre punti fondamentali: autonomia, aconfessionalità(42) e indipendenza dalla gerarchia. In verità l'Azione Cattolica offrì al P. P. I. un gran numero di uomini(43) e, spesso, per esempio nella realtà palermitana, i rapporti tra il Partito sturziano e l'Azione Cattolica furono di fattiva collaborazione come si deduce da una lettera del 29 settembre 1922 con la quale il Segretario della sezione di Palermo del P.P.I. comunicava alle associazioni cattoliche che avevano manifestato affinità di programma - nel campo delle attività economiche, sociali e politiche - che la sezione, per venire incontro ai bisogni dei tesserati e delle organizzazioni civili e morali, aveva istituito un ufficio di "segretariato assistenza"(44).
Dopo il 1923 i rapporti tra Azione Cattolica e Partito Popolare cambiarono sia per le pressioni di Mussolini su Pio XI e sull'Azione Cattolica a prendere le distanze dal P.P.I., sia per l'inevitabile contrasto tra l'aconfessionalità del partito e l'apoliticità dell'Azione Cattolica(45). Alcuni popolari, infatti, nella convinzione che la linea del disimpegno dell'Azione Cattolica non poteva che favorire il partito al potere, accusarono l'Azione Cattolica di filofascismo mettendo in dubbio la buona fede dei suoi dirigenti e interpretando l'apoliticità come un espediente per prendere le distanze dal partito sturziano.
2.-L'ordinamento del 1922-23 e il Partito Nazionale Fascista

Il 1922 è l'anno della "marcia su Roma", che segnerà l'ascesa del fascismo, ma anche l'anno dei ricambi dirigenziali per l'Azione Cattolica. Nell'ottobre del 1922 fu annunciata una riforma dell'Azione Cattolica che fu portata a compimento l'anno successivo quando furono approvati i nuovi statuti. Il 20 dicembre venne comunicato lo scioglimento dell'Unione Popolare fra i cattolici italiani i cui compiti furono assunti dalla Giunta Centrale e in parte dalla Federazione Italiana Uomini Cattolici.
Il 23 dicembre esce l'Enciclica Ubi Arcano interessante per il suo sostegno all'Azione Cattolica e per l'importanza - da essa espressa - di procedere a una pacificazione tra Italia e Santa Sede. Pio XI, salito sul trono di Pietro il 6 febbraio, firma un nuovo Statuto che prevede la suddivisione dell'Azione Cattolica in(46):

Organizzazioni maschili: Federazione Italiana Uomini Cattolici (FIUC) di nuova istitu- zione, Società della Gioventù cattolica italiana, Federazione
Universitaria (FUCI)

Organizzazioni femminile: Unione Femminile Cattolica Italiana divisa in Unione fra le donne cattoliche italiane; Gioventù femminile cattolica italiana (già fondata nel 1918) e le Universitarie cattoliche italiane

Il documento della Santa Sede sancì che l'attività dei cattolici organizzati non era politica ma religiosa e che la gerarchia ecclesiastica era il centro disciplinatore. La modifica più rilevante riguardò la scelta dei presidenti nominati dal clero e legati da un rapporto di fiducia con gli assistenti ecclesiastici nell'ambito parrocchiale e con il vescovo a livello di Giunte diocesane(47). La nomina del Presidente Centrale venne avocata a sé dallo stesso pontefice. La carica fu ricoperta da Luigi Colombo che sollecitò Sturzo a sciogliere il Partito Popolare ritenendolo motivo di divisione nel panorama confessionale.
Nel 1923 la Giunta Centrale costituì due Segretariati: uno per la scuola e uno per la moralità. Il Segretariato risultò composto da una Commissione di assistenza e di consulenza e da un Segretario Direttore; ogni Segretariato aveva una funzione di studio e una funzione esecutiva. Dopo la riforma dell'Azione Cattolica, la Giunta Centrale sciolse, insieme ai Segretariati della Unione Popolare, anche il Segretariato Economico sociale. Il 9 novembre 1925 la Giunta Centrale emanò le norme sui rapporti tra Azione Cattolica e attività economico-sociali.
Con decreto del 5 gennaio 1927 venne istituita l'Opera Nazionale Balilla e la formazione della gioventù diventò ben presto esclusivo monopolio statale; da ciò derivò il problema di incompatibilità tra la ONB e le organizzazioni giovanili di ispirazione cristiana, in particolare gli scout dell'Asci e la Fasci, cioè la Federazione delle associazioni sportive cattoliche che si dissolsero spontaneamente(48). In tale contesto la Chiesa rischiava di vedere sottratti al proprio "indottrinamento" migliaia di giovani.
L'11 febbraio 1929 veniva firmato, dal Segretario di Stato card. Gasparri e da Mussolini, il Trattato e il Concordato tra Santa Sede e Governo Italiano. Il Concordato all'art. 43 riconosce le organizzazioni cattoliche poiché svolgono la loro attività al di fuori di ogni partito politico e sotto la dipendenza dell'Azione Cattolica italiana(49).
Ben presto molti nodi vennero al pettine: ideologicamente anticattolico, il fascismo inizia una campagna contro l'Azione Cattolica; i prefetti cominciano a vietare convegni della Fuci a Ferrara, Pavia, Viterbo e Catania. Nel 1931 Pio XI ribadisce la dottrina della Chiesa con l'enciclica Quadragesimo Anno. Con essa il pontefice invita i cattolici militanti a collaborare nella difficile impresa di ricostruzione di una società più giusta e cristiana(50). La stampa fascista accusava i dirigenti della Gioventù Cattolica di propositi antifascisti. Il 30 maggio il direttorio del Partito nazionale fascista ordina lo scioglimento immediato di tutte le organizzazioni giovanili non legate al Pnf e all'Opera Nazionale Balilla. Il papa non viene immediatamente informato dell'accaduto e solo il 29 giugno protesta apertamente con l'enciclica Non abbiamo bisogno. Con essa Pio XI denuncia le violenze, precedenti e successive allo scioglimento delle associazioni giovanili cattoliche, contestando la pretesa fascista di monopolizzare la gioventù a esclusivo vantaggio del regime. Dalle pagine de "Il Popolo d'Italia", Arnaldo Mussolini(51) cerca di buttare acqua sul fuoco e dopo avere definito l'enciclica "documento aspro di importanza evidente"(52) avverte del pericolo di un sollevamento cattolico. La situazioni richiede ormai una soluzione immediata e l'uomo adatto alla mediazione tra Vaticano e Governo appare il gesuita Pietro Tacchi Venturi. L'episodio, commenterà Luigi Sturzo nel 1937, "servì a marcare le posizioni dualistiche dei due poteri e a fare cadere l'illusione, che ingenuamente si coltivava da parecchi, che il fascismo potesse cattolicizzarsi"(53).
Il 2 settembre 1931 "l'Osservatore Romano" annunciava la "confermata riconciliazione". In base a tale accordo veniva stabilito che l'Azione Cattolica era essenzialmente diocesana e dipendente direttamente dai Vescovi "i quali ne scelgono i dirigenti ecclesiastici e laici con esclusione di coloro che appartennero a partiti avversi al regime"(54). Il secondo punto del compromesso affermava che l'Azione Cattolica non ha nel suo programma la costituzione di associazioni professionali e sindacati di mestiere. Inoltre, i Circoli Giovanili facenti capo all'Azione Cattolica si sarebbero chiamati Associazioni Giovanili di Azione Cattolica(55). L'accordo di settembre portava una novità sui rapporti tra Azione Cattolica e appartenenza al Partito Nazionale Fascista poiché sopprimeva la precedente disposizione del 10 luglio 1931 sulla incompatibilità tra iscrizione al partito fascista e iscrizione alle organizzazioni dipendenti dall'Azione Cattolica.
Con l'eccezione di pochi, tra i quali Luigi Sturzo, che sin dagli inizi del fascismo prende la via dell'esilio, molti cattolici videro nell'avvento del regime un alleato per una possibile restaurazione cristiana(56). L'Azione Cattolica, dinanzi ad una sempre maggiore crescita della forza fascista, adotta una strategia di Realpolitik(57), di sopravvivenza: se vuole continuare ad esistere deve venire a patti.
Il tema del rapporto tra Chiesa e fascismo ha fornito molti spunti di analisi che ne hanno evidenziato la molteplicità delle posizioni storiografiche. Giorgio Candeloro(58), ad esempio, in linea con una storiografia marxista, attenta agli aspetti economici e sociali della realtà, parla di alleanza tra mondo cattolico e fascismo in funzione antidemocratica e antioperaia. La storiografia marxista, e non solo, tende a cogliere l'indissolubile legame tra fascismo e Azione Cattolica evidenziando l'atteggiamento di totale passività del laicato cattolico, strumentalizzato dalla gerarchia. E anche il cattolico Pietro Scoppola(59), pur evidenziando la presenza di una componente antifascista, coglie un atteggiamento di "intesa" tra Santa Sede e governo fascista.
Nel secondo dopoguerra sono risorte, sotto altri nomi, varie organizzazioni cattoliche e gli statuti del 1946 hanno dato maggiori responsabilità ai laici nel campo dell'azione pratica e hanno attribuito all'Azione Cattolica Italiana funzioni di coordinamento di altre istituzioni (come le ACLI o l'Associazione scoutistica cattolica italiana) attraverso le consulte parrocchiali, diocesana e generale.

3.-Il Consiglio regionale siculo

Il 10 maggio 1919 sotto la presidenza di Paolo Pericoli, Presidente Generale della Società della Gioventù Cattolica Italiana, fu inaugurato a Palermo il Convegno federale, alla presenza dei soci e rappresentanti dei circoli palermitani. Si deliberò di ordinare le sedute domenicali dei circoli in modo che esse risultassero "scuola pratica" e si formassero idee religiose, morali e sociali nei giovani. Tali fini potevano essere perseguiti attraverso "chiaccherate", letture di fogli volanti dell'Unione Popolare, letture e commenti di pubblicazioni ufficiali dei vari rami dell'Azione Cattolica. In quell'occasione Giuseppe Pipitone(60), già Presidente del Circolo Pio X, fu eletto Presidente Federale(61); alla Vicepresidenza venne chiamato l'avvocato Silvio Palazzotto, Presidente del Circolo Silvio Pellico; Bendetto Bellaroto fu nominato segretario della Federazione e mons. Guido Anichini Assistente Ecclesiastico(62).
Con circolare del 14 gennaio 1921, il Consiglio Regionale Siculo della Società della Gioventù Cattolica Italiana - con sede a Palermo in Piazza Vittoria, 3 - chiese a tutti i Presidenti dei Circoli di compilare una scheda(63) al fine di conoscere da un punto di vista statistico, la situazione delle forze giovanili in Sicilia. Il Presidente del Consiglio Regionale, Andrea Butera (1898-1950)(64), il Segretario Ignazio Bazan e l'Assistente Ecclesiastico mons. Guido Anichini, facevano osservare che a causa della cattiva abitudine di non rispondere ai questionari, non sempre, all'inizio dell'anno, si conosceva il numero e l'attività dei Circoli esistenti. Per porre fine a tale costume - che certamente contrastava con la disciplina e l'attaccamento all'organizzazione propri dell'Azione Cattolica - il Consiglio raccomandava che, in caso di mancata risposta, avrebbe considerato quel Circolo inesistente o disciolto. La circolare ricordava tre punti fondamentali: 1) l'obbligo per tutti i soci di essere in regola con le tessere dell'anno in corso; 2) l'obbligo per i circoli di abbonarsi a "Gioventù Cattolica" ed a "Primavera Siciliana"(65); 3) il dovere di tutti i giovani di favorire la diffusione del loro giornale regionale "Primavera siciliana" procurando il maggior numero di abbonamenti. Il Presidente Regionale, Butera, chiedeva che le tessere fossero vendute nei rispettivi Circoli e questo per operare un controllo diretto. La tessera, unica per tutta Italia, era il solo documento che comprovasse l'appartenenza di un giovane alla società. Il costo della tessera (o anche della marca utilizzata fino al 1921 per la vidimazione annuale) era di una lira annua. La tessera testimoniava non solo l'appartenenza all'Azione Cattolica ma permetteva la partecipazione a tutte le manifestazioni, congressi, adunanze sia della propria associazione che delle altre indette dai centri direttivi diocesani nazionali. La tessera, inoltre, dava il diritto, nelle adunanze e congressi, a prendere la parola e a votare(66). Le richieste delle tessere dovevano essere fatte alle rispettive Federazioni o agli Incaricati diocesani distinguendo tra marche e tessere e fra soci effettivi e aspiranti (giovani che non hanno compiuto i 16 anni). Oltre alla tessera, segno di appartenenza era il distintivo(67) - con il dovere di portarlo - considerato uno strumento di propaganda e un mezzo di apostolato. Per essere aggregati alla Società della Gioventù Cattolica i Circoli dovevano mandare, alla rispettiva Federazione o all'Incaricato, la domanda compilata; due copie del proprio Statuto-Regolamento; un attestato della Curia Vescovile comprovante la nomina dell'Assistente Ecclesiastico; una nota dei componenti dell'ufficio di Presidenza(68).

4.-L'attività nei Circoli

A Palermo numerosi circoli gareggiavano a portare avanti il messaggio dell'Azione Cattolica. Tra essi i più importanti erano: il Circolo Giovanile "S. Carlo"(69); il Circolo "Pio XI"; il Circolo "Immacolata Concezione"; il Circolo Studenti Cattolici "Silvio Pellico"; il Circolo Professionisti Cattolici "Giacomo Serpotta"; il Circolo Giovanile Cattolico "Federico Ozanam".
Nella Provincia di Trapani, Giuseppe Di Blasi, Presidente del Circolo "C. Piazza" di Santa Ninfa e membro del Consiglio Regionale in qualità di Presidente Federale(70), informava l'avv. Giuseppe Pipitone, Presidente della Federazione Interdiocesana di Palermo(71) e Segretario della Giunta Diocesana di Palermo dell'Unione Popolare fra i Cattolici d'Italia, con lettera 15 gennaio 1921 sulla situazione dei circoli registrata da un censimento. A Trapani risultavano due Circoli: il "Domenico Savio" (con sede nell'Istituto dei Salesiani) e il "San Carlo Borromeo". Su quest'ultimo egli rilevava la disorganizzazione e la scarsa rispondenza al programma dell'Azione Cattolica. A Marsala, oltre a un Circolo dei Salesiani, vi era quello degli Agostiniani scalzi - il "Giovanile operaio" - che vantava la presenza di giovani pieni di entusiasmo che lasciavano ben sperare. A Partanna vi era solo una sezione aspiranti e la costituzione del Circolo appariva improponibile a causa della mancanza di locali. A Mazara, l'aspirante Gioventù Cattolica "Pensiero ed Azione" viveva una modesta attività ma non certo "scandalosa". A Salemi il Circolo Giovanile (o Unione) poteva offrire buone speranze "se i primi entusiasmi non saranno illusioni". A Santa Ninfa il Circolo "C. Piazza", con Presidente lo stesso Giuseppe Di Blasi, viveva "modestissimamente" a causa dell'assenza della maggioranza studentesca che paralizzava "le migliori volontà". Ad Alcamo il Circolo Giovanile Cattolico era troppo politicizzato tanto che Di Blasi avvertiva che la vita del Circolo "non era troppo lieta". A Calatafimi il Circolo "Nino Saladino" registrava una crisi "per la mancanza di menti direttive e di una vera presidenza" e senza troppi giri di parole, alla ricerca di una sintesi, Di Blasi scriveva: "Notizie buone non ne ho". A Castellammare, il Circolo "S. Paolo" risultava il migliore della provincia e ciò veniva attribuito alla presenza di scuole medie.
Nel nisseno(72), a San Cataldo, il Circolo "A. Manzoni"(73) conduceva "vita apatica ed anemica"(74) e ciò non era dovuto all'inattività dei giovani, ma alla mancanza di locali. Il circolo era stato fondato nel 1914 ma la guerra ne aveva impedito qualsiasi sviluppo; rifondato nel luglio del 1919 non ebbe il prestigio del "Silvio Pellico" della vicina Caltanissetta animato dalla presenza di assistenti ecclesiastici della statura del can. Michele Natale o di don Giovanni Rizzo(75). Ma entrambi i circoli perseguivano il medesimo scopo: permettere ai giovani nisseni di "proclamarsi cattolici militanti e sentirsi cittadini a pieno titolo, respingendo la vecchia immagine liberale e massonica che li dipingeva come cattolici temporalisti, nemici della patria e legittimisti reazionari"(76).
Il circolo "A. Manzoni" non era nato per decisione delle istituzioni creditizie cattoliche locali; scarsissimi erano i finanziamenti: la Cassa Operaia Agricola dava un sussidio mensile di 30 lire mentre l'istituto di Credito locale (Cassa Agraria Cattolica) aveva negato ogni aiuto(77). Il Presidente del circolo Luigi Di Forti (1900-1934)(78), chiese a Pipitone di rivolgersi "direttamente per iscritto all'Arciprete(79) del paese" - che aveva dato solo circa 150 lire - "alla Cassa Operaia Agricola ed alla Cassa Agraria Cattolica(80) in modo speciale perché [era] abbastanza ricca e [poteva] decorosamente mantenere un buon circolo Giovanile"(81).
Di Forti criticava il comportamento del canonico Calogero Cammarata (1862-1930)(82), presidente della Cassa Agraria e, in seguito, pro-sindaco "popolare" del paese, il quale aveva "la sventura di essere testardo e politicante". Prima della guerra egli "aprì(83) un circolo Giovanile meraviglioso"(84) poiché, a detta di Di Forti, il fratello sac. Luigi Cammarata (1885-1950)(85), era assistente ecclesiastico. Ma quando questi si era rifiutato di continuare nell'attività di assistente, il can. Cammarata non aveva più voluto sentire di circoli e si era "dato ad aiutare la sezione del P.P.I. retta dal nipote"(86). La mistione politica e religione non era gradita tanto che Di Forti così concludeva la lettera: "voglio sperare però che Iddio lo illumini"(87). La priorità della dimensione religiosa fu il carattere peculiare del circolo "A. Manzoni"; la vita dell'associazione seguì ritmi e modalità devozionali: "preghiera di rito [...] partecipazione "in corpo" alla messa e alle processioni; obbligo della "comunione generale" in determinate festività liturgiche"(88). L'esperienza del circolo si pose come proposta educativa destinata a unire giovani di diversa condizione sociale; i giovani che lo avevano fondato provenivano dal ceto artigiano e contadino medio-inferiore ma desideravano elevarsi intellettualmente senza spezzare i legami con le proprie radici(89). Per Di Forti il carattere apolitico del circolo era un principio cardine dello statuto e fu proprio facendo appello a tale articolo che riuscì a districarsi "dall'imbarazzante invito di prendere parte in "corpo" alla funzione della benedizione del gagliardetto della sezione fascista in cui era prevista perfino la presenza del can. Cammarata"(90).
Nel mese di febbraio 1921 una circolare firmata dal Presidente del Consiglio Regionale siculo Andrea Butera, informava i Circoli cattolici siciliani dell'organizzazione di corsi per segretari di cooperative. Butera riteneva che: "la pratica delle società cooperative [era…] di grandissima utilità" e, soprattutto, era in perfetta sintonia con la tradizione della Società di Gioventù Cattolica da sempre all'avanguardia nel movimento sociale cristiano(91).
Nel marzo 1921 il Presidente Generale Paolo Pericoli invitava gli studenti ad astenersi dalle lezioni il giorno di San Giuseppe se i Provveditori agli Studi non avessero voluto concedere la vacanza. L'astensione dalle lezioni era già stata proclamata l'8 dicembre, nel giorno dell'Immacolata. E numerosi provvedimenti erano stati presi da alcuni presidi degli Istituti del Regno. L'Ufficio Studenti della Società di Gioventù Cattolica aveva cercato di rivolgersi al Ministro della Pubblica Istruzione al fine di revocare le punizioni e, per l'occasione, erano stati interessati Luigi Sturzo e alcuni senatori e onorevoli tra cui Cingolani e Tupini che avevano presentato al Ministro un'interrogazione per i provvedimenti contro gli studenti cattolici; il ministro però non aveva voluto revocare le decisioni dei presidi.
In occasione del Corpus Domini Pipitone mandò al Provveditore agli Studi di Palermo una lettera per chiedere la vacanza ma questi rispose che la festa non era compresa nel calendario scolastico(92). L'avvocato Paolo Pericoli informava i responsabili regionali che non solo l'ufficio studenti del Consiglio superiore aveva avanzato domanda al Ministero della P. I. perché fosse riconosciuta in tutte le scuole del Regno la vacanza nel giorno del Corpus Domini, ma che avrebbe proseguito e intensificato con tutti i mezzi possibili l'agitazione promossa affinché fosse resa giustizia con la revoca delle punizioni inflitte e affinché si fosse definitivamente provveduto al riconoscimento, nel calendario scolastico, delle feste di precetto(93). Stessa cosa accadde l'anno successivo tanto che il Presidente Andrea Butera con circolare del 6 giugno 1922 incitò all'astensione in massa dalle lezioni nel giorno del Corpus Domini(94).
Andrea Butera, Presidente del Consiglio Regionale Siculo della G. C., fu costretto ad allontanarsi dalla Sicilia e la sua carica fu temporaneamente ricoperta dallo stesso Pipitone. Ritornato nell'isola, Butera, spostò la sua residenza a Catania e il Consiglio Regionale siculo, riunitosi a Roma il 5 e 6 settembre 1921, acconsentì non solo al ritorno di Butera alla carica di Presidente del Consiglio Regionale Siculo ma anche al trasferimento temporaneo della sede da Palermo a Catania; nel capoluogo isolano sarebbe rimasta la redazione e amministrazione della "Primavera siciliana"(95).
Dal 13 al 15 settembre 1921 furono organizzati a Roma i festeggiamenti in occasione del cinquantenario della Società della Gioventù Cattolica(96). Da ogni parte furono mandati giovani a rappresentare i Circoli e la Sicilia fece altrettanto. Durante le manifestazioni alcune bandiere furono lacerate e danneggiate e, per l'accaduto, fecero seguito numerosi incidenti. I rapporti tra giovani cattolici e fascisti erano diventati molto tesi soprattutto a partire dal 4 settembre, quando il Governo italiano aveva vietato di celebrare la messa all'aperto al Colosseo e di recarvisi, in corteo, da Piazza Venezia. Tali divieti avevano suscitato il malcontento nelle fila dei popolari congressisti ed aveva provocato "grida ostili all'indirizzo delle autorità"(97). La forza pubblica era intervenuta caricando i dimostranti e sciogliendo l'assembramento. Nel pomeriggio si ebbero altri incidenti al Pantheon e al caffè Aragno dove "parecchi fascisti impegnarono un tafferuglio con alcuni pellegrini per espellerli dal locale"(98).
Il giorno dopo, a Montecitorio i fatti vennero commentati e disapprovati. Luigi Sturzo, i membri della direzione del partito popolare e del gruppo parlamentare si riunirono per provvedere in merito all'accaduto(99). Il segretario del gruppo parlamentare dei popolari, Cavazzoni, a nome dell'intero gruppo, protestò presso il ministro contro il contegno tenuto dalle forze dell'ordine. La Presidenza della Gioventù Cattolica fu ricevuta dai sottosegretari Teso e Bevion e l'on De Nava diede spiegazione di quel divieto che aveva scatenato i tafferugli: "assumendo questa manifestazione un carattere politico ed esulando da essa ogni ragione religiosa avrebbe logicamente potuto provocare altre manifestazioni da parte di partiti avversari"(100).
Il "Giornale di Sicilia" dedicò alla vicenda alcuni articoli con i quali denunciò il comportamento "provocante dei congressisti clericali e dei preti" a Roma affermando che la vicenda avrebbe avuto ripercussioni parlamentari e ministeriali.
Il giornale palermitano definiva quelle manifestazioni "temporalistiche", "inopportune" - perché avvenivano in un momento in cui forte era la polemica nei riguardi dei rapporti tra Stato e Chiesa - e inscenate "con atti volgari che offendono profondamente il sentimento nazionale"(101). Non venivano risparmiati giudizi critici nei confronti dei dirigenti del Congresso e, in particolare, di Pericoli accusato di mancanza di moderazione perché aveva dichiarato che malgrado i divieti il corteo si sarebbe fatto "contro tutto e contro tutti", gridando "Viva il Papa Re ed emettendo grida incivili dinanzi alla tomba del Re Galantuomo"(102). Il quotidiano palermitano, inoltre, contestava ai popolari di presentarsi come partito riformista nel campo della vita economica e sociale ma, in verità, mantenendo "le direttive antipatriottiche del vecchio clericalismo intransigente"(103).
La stampa nazionale commentò i fatti di Roma in vario modo. "Epoca" giudicava sconvenienti quegli atti e consigliava i "pastori" di "ricondurre al più presto a casa il gregge giovanile"; il "Corriere d'Italia", al contrario, avvertiva che bisognava finirla con i divieti mentre era necessario introdurre il "rispetto, la difesa e la tutela di tutti i cittadini". Il "Giornale d'Italia" avvertiva che denunziare l'alleanza tra liberali democratici e popolari "per le ragazzate dei nuclei sportivi cattolici" significava provocare una crisi di governo alla quale sarebbe fatalmente seguita una crisi parlamentare e "la posta in gioco [era] troppo grossa per un gioco così piccino". Infine, l'autorevole "L'Osservatore Romano" affermava che "la proibizione di una messa al Colosseo e di un corteo di giovani cattolici [..] se ha voluto essere un atto di forza e di autorità, si risolse in uno degli atti di debolezza". Quella "povera cronaca di nuove repressioni in veste legale" - continuava "L'Osservatore Romano" - testimoniava che si era tornati a scrivere "contro i cattolici, contro i pellegrini, contro dei giovani adunatisi per un omaggio al Papa"(104).
In seguito alle vicende accadute a Roma, il segretario politico della sezione di Palermo del Partito nazionale fascista, in risposta ad una lettera di Pipitone, così scrive: "Dalle indagini da me esperite posso comunicarle che i fascisti non hanno provocato alcuno, bensì sono stati provocati [...]. I fascisti non intendono dare lezioni di educazione e di patriottismo; intendono però che sia sempre ed ovunque rispettato il loro sentimento"(105).
Pipitone, per l'occasione chiese, ma non ottenne, la pubblicazione sul "Giornale di Sicilia" - definito dall'avvocato palermitano "il più velenoso"(106) organo di stampa - di una lettera aperta con la quale egli chiariva la posizione dei giovani cattolici a Roma per le vicende con i fascisti, spinto dalla necessità non solo di far chiarezza ma soprattutto di porre fine alle notizie, a suo avviso, errate, che fino a quel momento erano state date. La lettera si sviluppava in tre punti fondamentali: 1) non era vero che i giovani cattolici si erano abbandonati a Roma a "manifestazioni di dubbio patriottismo" ma era vero che il grido di "viva il papa re" era stato emesso una o due volte da un "giovincello fuori delle loro file e vogliono le male lingue che, arrestato e perquisito, sia stato trovato fornito di tessera fascista"; 2) non era vero che i giovani cattolici avevano per le vie di Roma tenuto "contegno provocante". Era invece vero, secondo Pipitone, che la mattina del 4 settembre i giovani che si stavano avviando in San Pietro, cantando inni religiosi, erano stati dispersi dalle guardie regie; 3) non era vero che la manifestazione giovanile cattolica avesse un carattere politico: essa aveva "schiettamente e sinceramente" carattere religioso. Infine, contro le accuse di mancanza di patriottismo da parte dei giovani cattolici, Pipitone ricordava le manifestazioni a Roma all'altare della Patria: "Là furono i reduci di guerra cattolici che proclamarono altamente il loro schietto amore per l'Italia unificata e pregarono per i loro compagni andati sul campo […] cattolici che all'ombra del tricolore, reduci dal campo ed encomiati dal gen. Montanari, davano l'esempio all'Italia […] del come ci si prepara […al] domani. Chi non è stato un imboscato, chi è stato nelle trincee ed ha pagato di persona, chi prepara per il domani una gioventù forte e moralmente sana non merita, […] un trattamento di diffidenza. […] i giovani cattolici di Palermo e Sicilia […] le posso assicurare che hanno fatto […] tutto il loro dovere di cattolici e di italiani"(107).
Andrea Butera, in un pro-memoria indirizzato a Pipitone mise in evidenza la necessità, avvertita soprattutto nei Circoli dei piccoli paesi siciliani, di prendere le distanze dai fascisti: "Ti prego di insistere su "Primavera" - scriveva Rizzo del Circolo di Montedoro(108) - sulla necessità che i Presidenti e gli assistenti […] illuminino i soci sulla realtà del fascismo. Tanti giovani sono addirittura allucinati ed è doloroso constatare come tanti bravi giovani credono compatibile la nostra tessera con il distintivo fascista". Per Butera si trattava di un punto superato ma data l'insistenza dei Circoli provinciali egli pregava Pipitone di dedicare all'argomento "poche, ma sentite parole"(109). In verità "Primavera siciliana" si era già occupata del fenomeno dedicando alcuni articoli con i quali si invitava la gioventù cattolica a "prendere serena e forte il suo posto di battaglia contro il fascismo, contro cioè quella degenerazione del patriottismo che vuole essere monopolio ed è tirannia, che vuole imporsi alle masse e degenera nella violenza brutale"(110).
Il 14 gennaio 1922 il Circolo Giovanile Cattolico di Palermo "Federico Ozanam" subì un'aggressione che spinse il Segretario del Circolo e l'Assistente Ecclesiastico a indire il 15 gennaio una manifestazione di protesta per far sentire la solidarietà ai compagni colpiti. Nella notte del 6 marzo 1922 il Circolo Giovanile Cattolico "G. Toniolo" di Prato fu devastato da atti di vandalismo perpetrati da giovani fascisti. I danni furono talmente elevati da spingere la Presidenza del Circolo ad organizzare una sottoscrizione per ottenere fondi da tutti i Circoli cattolici italiani. Frattanto, al Comune di Palermo si era costituito un gruppo di dieci consiglieri al quale avevano aderito tre nazionalisti e qualche combattente. Ma le masse popolari non mostrarono lo stesso entusiasmo dei ceti medio-elevati tanto che alla fine del 1923 il capoluogo dell'isola era la provincia meno fascistizzata della Sicilia, nonostante vi fossero 48 fasci e 6200 iscritti (soprattutto studenti, professionisti, impiegati e commercianti)(111). E proprio nel 1923, nella notte del 5 luglio, il circolo "Domenico Savio" di Canicattì, nella provincia di Agrigento, fu addirittura incendiato ad opera di alcuni fascisti(112). Lo stesso Luigi Sturzo, ripercorrendo le fasi più acute della lotta in Italia durante il fascismo, ricorda in un suo scritto(113) il gesto di Pio XI che inviò una forte somma di denaro per i Circoli di Gioventù Cattolica della Brianza che erano stati distrutti dai fascisti nelle elezioni generali dell'aprile 1924; il calatino rammenterà i: "furti, [..] le cooperative bruciate, [..] i circoli di azione cattolica e le case invase, saccheggiate e distrutte"(114).
In un articolo su "Primavera Siciliana" Giuseppe Pipitone prendeva le distanze da tutta una stampa isolana che aveva registrato la fine della apoliticità della Santa Sede perché schierata contro il Partito Fascista. La stessa Gioventù Cattolica, a detta dei "soliti giornali", aveva deciso di mettere fuori dalle sue fila i giovani che militavano nel partito fascista. Pipitone riteneva l'informazione falsa nella premessa e nella notizia poiché la Santa Sede, pur mantenendosi al di fuori e al di sopra di tutti i partiti, non poteva che condannare quanti facevano propaganda contro la religione. La Gioventù Cattolica, sotto questo punto di vista, biasimava "coloro che militando o nel partito fascista od in quello socialista, si [erano] lordate le mani di sangue"(115). Era conseguenza diretta, pertanto, registrare un allontanamento di giovani fascisti dalle fila dei giovani cattolici, ma per gli iscritti al Partito Popolare l'allontanamento non aveva senso. Era risaputo che il partito sturziano non si era mai "lordato le mani nel sangue" e che anzi nella preghiera e nel "fervore cristiano alimenta[va] la [sua] propaganda"(116). Ogni circolo di Gioventù Cattolica non obbligava i giovani all'iscrizione al partito che difendeva le idealità cristiane, né tantomeno poteva proibirglielo poiché ciò sarebbe stato solo irragionevole(117). "Primavera Siciliana" riteneva fosse un obbligo dei preti occuparsi di politica poiché "dal pulpito, dall'altare, sulle piazze, dovunque, il sacerdote deve difendere i diritti della pace cristiana"(118). I preti e i cattolici dovevano difendere i principi dell' "incivilimento cristiano" anche nel campo delle leggi e dei governi del proprio paese. E siccome leggi e governi si fanno con il voto elettorale, era necessario richiamare i cattolici su tre punti fondamentali: 1) i cattolici dovevano votare e non restare assenti dalla vita pubblica; 2) dovevano votare secondo coscienza, cioè liberi da ogni corruzione e violenza; 3) dovevano votare ricordando i diritti della Chiesa, della famiglia, della scuola(119). Il loro voto doveva andare a quei partiti che garantivano il rispetto di questi principi. Al di fuori di tali punti, finiva il compito della Azione Cattolica e iniziava quello dell'azione dei partiti, estranea all'Azione Cattolica.
Il Consiglio Regionale Siculo, organizzò nei mesi di aprile e maggio due settimane sociali per gli Assistenti ecclesiastici dei Circoli giovanili cattolici(120). Dal 24 al 29 aprile si tenne una settimana religiosa per le Diocesi di Palermo, Monreale(121), Cefalù, Patti, Caltanissetta, Mazara del Vallo e Trapani. Dall'1 al 6 maggio, invece, la settimana religiosa fu tenuta per le Diocesi di Catania, Acireale, Nicosia, Messina, S. Lucia del Mela, Lipari, Caltagirone, Piazza Armerina, Siracusa e Noto. L'Assistente Ecclesiastico Regionale, mons. Guido Anichini, diresse le settimane religiose allo scopo di trattare temi importanti quali: "doti dell'Assistente Ecclesiastico […]; la formazione religiosa del giovane. Indirizzo e metodo per le conferenze apologetiche e per la scuola di religione. Funzionamento ed attività dei collegi degli Assistenti. Educazione della purezza e del coraggio". Particolare attenzione fu data alla trattazione dei programmi, scopi, attività, funzionamento interno, opere culturali e rapporti della Società della Gioventù Cattolica Italiana con le organizzazioni economiche, sindacali e politiche(122).
Dall'1 al 3 settembre 1922 si tenne a Catania il Congresso Regionale che, all'unanimità, riconfermò Andrea Butera alla Presidenza Regionale(123). Il 9 settembre si chiusero i lavori dell'Assemblea generale della G.C.I. che nominò dodici consiglieri elettivi i quali, insieme ai Presidenti Regionali, procedettero alla nomina del Presidente Generale. L'avv. Paolo Pericoli, da 22 anni alla Presidenza Generale, invitò il Consiglio Superiore a concentrare i propri voti su una persona più giovane di lui al fine di favorire lo sviluppo dell'Associazione. Nonostante tale richiesta, Pericoli venne riconfermato ma, essendo questi fermo nella propria decisione, il Consiglio decise di nominarlo Presidente onorario perpetuo, con diritto di partecipare alle adunanze del Consiglio Superiore con voto deliberativo, ed elesse a Presidente Generale della G.C.I. l'avv. Camillo Corsanego(124).
Nei giorni che precedettero la marcia su Roma il Consiglio Regionale Siculo avvertì più che mai il bisogno di riprendere l'attività della gioventù Cattolica con "rinnovato ardore di fede e con piena consapevolezza delle […] gravi responsabilità"(125), per uno sviluppo sempre più intenso dell'azione giovanile cattolica in Sicilia. Era necessario che i giovani testimoniassero di essere "veramente" cattolici nel più ampio e completo significato della parola e che si esprimessero attraverso un "lavoro minuto […], oscuro, continuo, tenace ma veramente fruttuoso, certo più utile assai di qualunque sbandieramento, di cortei, di congressini, di discorsi, con relative manifestazioni religiose e comunioni generali, forse non sentite da tutti"(126). Butera si rivolgeva a tutti i presidenti dei Circoli in un momento difficile nel quale solo il costante lavoro di uomini di Fede poteva far fronte agli attacchi del fascismo: "Il fascismo imperversa - scrive il Presidente del Consiglio Regionale Siculo - oggi torbido e violento dovunque; anche il Mezzogiorno e la Sicilia sono ormai meta dichiarata di conquista fascista. Non dico questo, che del resto è ormai a tutti noto, per gettar l'allarme: la Chiesa e la religione cattolica nulla hanno da temere dalle gesta di violenti e incoscienti, che si ammantano, oltraggiandola, dell'idea di Patria, e nulla per conseguenza avremo da temere noi per l'avvenire del nostro movimento, finché della Chiesa e della religione saremo seguaci obbedienti. Innumerevoli sono i funerali che la Chiesa, eterna vivente e vincitrice, ha fatto di ideologie, di sistemi, di movimenti: tutti essa li ha visti cadere ad uno ad uno […] passerà quindi […] anche questa bufera, che, nonostante il verbo del suo dirigente è pure nei fatti antireligiosa […] per il metodo e per le idee, una deviazione gravissima, e pericolosa per l'ordine sociale"(127). La Chiesa, dunque, sarebbe rimasta illesa dall'ondata fascista, ma gli uomini dell'Azione Cattolica non potevano dimenticare l'opera "nefasta" che si compiva davanti ai loro occhi con la costituzione di nuove sezioni fasciste e di squadre armate. Butera denunciava il pericolo della propaganda anticattolica "assidua, minuta, incessante" che i fascisti perpetravano sui giovani, nelle scuole e in tutte le classi sociali. Egli chiedeva ai Presidenti siciliani di combattere il fascismo come "ieri" avevano combattuto il socialismo e come "domani" sarebbero tornati a combattere contro qualunque altro movimento irreligioso: "cambiano i nomi ma la lotta resta ed è sempre la stessa, è la lotta contro i figli delle tenebre, è la lotta che non avrà mai fine del bene contro il male, di Dio contro Satana"(128). Bisognava combattere utilizzando l'arma dell'apostolato giovanile, educare i giovani ai principi della Fede di Cristo, era giunto il momento per opporre schiera a schiera, propaganda a propaganda. A Palermo, il 22 novembre, i giovani della Federazione subirono le violenze fasciste(129). La vicenda interessò e coinvolse lo stesso Luigi Sturzo incaricato da Pipitone di informare il Ministro dell'Interno(130) affinché fossero emanati "energici provvedimenti per la tutela dei soci dei circoli giovanili cattolici di cotesta città [Palermo]". Il Ministro dell'Interno comunicò a Sturzo(131) che gli incidenti, che avevano avuto per protagonisti i giovani universitari iscritti ai diversi partiti politici, andavano ridimensionati e interpretati come una bravata giovanile consistente nello strapparsi reciprocamente i distintivi.
Con il nuovo anno furono annunciati i criteri di tesseramento che si sarebbe chiuso il 15 ottobre 1923(132): i soci attivi (dai 15 anni in su) potevano acquistare dai propri Circoli la tessera, di colore giallo, a una lira e trenta, mentre i soci aspiranti (dai 10 ai 15 anni), contrassegnati dalla tessera rosa, dovevano pagare una lira.
Nel febbraio del 1923 si insediò alla presidenza del Circolo Universitario Cattolico "Emerico Amari", il sancataldese Arcangelo Cammarata(133), il quale, nel suo discorso inaugurale, sottolineò come la FUCI potesse vantarsi di raccogliere "i militi di quella schiera che nella Università e fuori vuole affermare il programma glorioso della Fede, della Scienza e della Patria […] che per insegna hanno netto il motto magnifico della Preghiera, dell'Azione, del Sacrificio"(134). Grazie alla FUCI Cammarata ebbe contatti con personalità destinate ad assumere funzioni di rilievo nel movimento cattolico nazionale e nella Chiesa italiana; ebbe, per esempio, rapporti con mons. G. B. Montini, futuro Paolo VI, con il quale, nel 1927, fu tra i primi sottoscrittori della Editrice Studium(135).
Il 9 marzo 1923, il presidente Butera promosse una agitazione per il Crocifisso nelle scuole affinché il provvedimento preso per la scuola primaria fosse esteso a tutte le scuole medie. Butera chiedeva che le Unioni Studenti si facessero promotrici di una raccolta di firme, da presentare al Ministro della Pubblica Istruzione. Con una apposita adunanza si doveva spiegare ai giovani studenti cattolici il significato dell'agitazione inviando anche telegrammi al Sottosegretario della P.I.(136)
Rispondendo alle richieste della Presidenza Regionale, l'Unione Studenti Medi di Palermo sottopose al Ministro della Pubblica Istruzione l'ordine del giorno con il quale essi, "in nome della […] Fede ed in nome dei […] sentimenti di vivo attaccamento alla Patria"(137), chiedevano che fosse esaudito il desiderio di veder collocati, anche nelle scuole medie, il crocifisso e l'immagine del Re.
Nello stesso mese fu organizzata la distribuzione di un questionario finalizzato a conoscere con esattezza "quello che [i circoli siciliani] fanno"(138). Dall'inchiesta venivano esclusi i Circoli non aggregati mentre venivano ritenuti tali quelli che avevano già inoltrato la domanda. Nessun Circolo poteva trascurare la compilazione del questionario; tale negligenza sarebbe stata pagata con la radiazione del circolo stesso. La Federazione di Palermo, comprendente le Diocesi di Palermo e di Cefalù, contava nel 1923 un totale di 19 circoli(139). I questionari potevano essere spediti alle Federazioni entro il 15 aprile e le Federazioni avrebbero dovuto restituirli alla Presidenza Regionale entro il 30 aprile 1923; in seguito tale data venne prorogata al 31 maggio(140). Il questionario per i circoli Giovanili Cattolici della Sicilia era articolato in quattro pagine. Nella prima venivano richieste le generalità (Diocesi di appartenenza, titolo, indirizzo, data di formazione, di aggregazione, Presidente, Assistente Ecclesiastico, eventuale vice assistente, data di elezione del consiglio direttivo) e la composizione del Circolo (soci effettivi laureati o diplomati, universitari, studenti scuole medie superiori e inferiori, operai divisi in categorie, contadini, marinai commercianti e altro). Nella seconda pagina si chiedeva il tipo di attività religiosa e culturale (se vi era un oratorio festivo, la frequenza dei soci nei Sacramenti, se venivano tenute conferenze, quali erano i libri più letti etc.). Seguiva il punto dedicato alla "Primavera siciliana"; se essa veniva letta, se suscitava interesse o se andava modificata. La terza pagina doveva raccogliere le notizie sull'attività sociale: se il circolo aveva una propria sede indipendente, se pagava i locali, se vi erano giuochi, se le assemblee erano numerose o agitate, quali erano i rapporti con la Federazione e quale il giudizio sull'opera della Presidenza Regionale, quanti erano gli espulsi e quanti gli ammessi nell'ultimo semestre. Tra le notizie sull'attività sociale particolare cura veniva data nel conoscere l'eventuale iscrizione dei soci a Partiti Politici e, in questo caso, era necessario indicare specificatamente a quali partiti, quanti soci e di quale età. Si voleva sapere se erano esistiti, o esistevano, rapporti tra il circolo e le associazioni politiche locali. L'ultima parte era riservata all'Assistente Ecclesiastico il quale avrebbe dovuto scrivere una relazione sull'andamento morale del circolo, con particolare riguardo alla condotta dei giovani fuori dal circolo. L'Assistente Ecclesiastico doveva anche indicare se l'azione del Circolo produceva reali miglioramenti sulla formazione cristiana dei soci, sviluppando in essi il senso di fratellanza cristiana, della carità, dell'integrità morale.
Nel mese di aprile, un decreto reale fissò le norme che dovevano regolare l'educazione fisica nelle scuole. Con una circolare del Consiglio Superiore furono invitati i Presidenti delle Federazioni siciliane affinché la Gioventù Cattolica Italiana difendesse il principio di libertà. L'educazione fisica, soppressa nei corsi scolastici, doveva essere affidata, in base a tale decreto, ad un Ente Autonomo con sede a Milano. Tale Ente, a sua volta, avrebbe dato l'incarico della educazione fisico-sportiva a società ginniche locali. Il decreto alimentava la paura del Consiglio Superiore di vedere le organizzazioni cattoliche messe da parte in questo nuovo campo di azione costringendo i giovani "a seguire corsi scolastici presso società neutre avversarie"(141). In Sicilia il mese di aprile del 1923 è caratterizzato dai preparativi per accogliere nei primi giorni di maggio, il futuro e beato Papa Giovanni XXIII, Mons. Angelo Roncalli, in quel periodo Presidente del Consiglio Nazionale d'Italia della Opera della Propagazione della Fede(142).
Il 19 agosto Andrea Butera, con una circolare ai Presidenti delle Federazioni dell'Isola, propose la nomina dell'Ufficio di presidenza Regionale che risultò così composto: Bernardo Merlo Vicepresidente; Salvatore Patania e Nicolò Todaro consiglieri; Rosario Carrara segretario cassiere(143). Alla fine dello stesso mese Butera comunicò ai Presidenti delle Federazioni dell'Isola il contenuto di una circolare riservata del 21 agosto, diramata dal Ministro dell'Interno a tutte le stazioni dei Carabinieri del Regno e avente per oggetto un'inchiesta da compiersi sulle associazioni cattoliche esistenti nella rispettiva circoscrizione territoriale. Butera sottolineava come l'inchiesta non era un fatto nuovo e che già altre volte, dalla fondazione della Società della Gioventù Cattolica (1868), erano state eseguite per ordine delle Autorità politiche. L'azione informativa, pertanto, non doveva allarmare o preoccupare. Era necessario che i Presidenti dei Circoli o gli Assistenti, eventualmente interrogati, rispondessero senza nulla nascondere o simulare, facendo osservare alle Autorità di Polizia che lo scopo dei circoli cattolici è di "informare la vita morale ed intellettuale dei giovani ai principii ed alla franca professione della Religione Cattolica per preparare figli devoti alla Chiesa ed al Papa e cittadini esemplari pienamente coscienti dei loro diritti e dei loro doveri, che abitua ad adoperarsi per il bene e la grandezza della Patria"(144). Butera chiedeva che negli interrogatori fosse specificata l'assoluta apoliticità dell'azione dei circoli poiché l'Azione Cattolica non aveva mai assunto "speciali atteggiamenti verso i governi che si sono succeduti in Italia dal 1868 ai nostri giorni rimanendo sempre in ogni suo atto nella più stretta legalità ed inculcando ai suoi soci sempre il rispetto e l'obbedienza alle Autorità costituite". Egli ribadiva che privilegiare il carattere spirituale e morale della vita dei giovani non significava trascurare lo studio dei problemi sociali, bensì significava, per un buon cristiano, apprendere una regola fondamentale: la limitazione dell'obbedienza alla autorità civile, cioè "obbedire prima a Dio che agli uomini"(145). Il cristiano sa di appartenere a due società distinte verso le quali è tenuto come suddito e obbligato da distinti doveri: "la Chiesa, società religiosa, e lo Stato, società politica. Della Chiesa il cristiano è fedele, dello Stato è cittadino"(146). Il rapporto tra politica e religione esisteva e non lo si doveva negare poiché la politica "è scienza ed arte di governare le società degli uomini, cioè di promuovere la pace, la giustizia, il benessere tra gli individui, le famiglie, le città, le nazioni"(147) e in tale compito la religione "dà alla politica i principi fondamentali dai quali deriva [...] una società che prende il nome proprio della fede"(148).
Conclusioni

Tra gli aspetti più significativi che emergono dalla frammentaria corrispondenza di Giuseppe Pipitone vanno sottolineati il rapporto tra Circoli cattolici e vita istituzionale-politica e, in particolare, i rapporti con il fascismo e con l'aconfessionale Partito Popolare Italiano. In Sicilia il regime aveva reso dura la vita soprattutto a quegli esponenti cattolici, dirigenti dell'Azione Cattolica, più impegnati - da Salvatore Aldisio a Giuseppe Alessi, da Mario Scelba a Giuseppe Traina - senza però riuscire ad annientare le loro idee democratiche dalle quali nascerà la Democrazia Cristiana del secondo dopoguerra. Nonostante l'Azione Cattolica, per volontà della Santa Sede, dovesse restare al di fuori dall'esprimere giudizi sull'azione politica, si è visto come l'organo ufficiale della Gioventù Cattolica Siciliana - "Primavera siciliana" - non mancasse di esprimere giudizi critici stimolando i giovani, sì a non fare politica, ma anche a non "far passare in silenzio"(149) gli attentati quotidianamente compiuti "contro il [...] sacro patrimonio della [...] Fede"(150).
Sul rapporto con il partito sturziano bisogna sottolineare, invece, come più volte i dirigenti di Azione Cattolica avevano tentato di far chiarezza sulla loro apoliticità, interpretata da alcuni come "fuga" ed estraneità dalla vita sociale.
L'apoliticità dell'Azione Cattolica suscitava le dure critiche di Luigi Sturzo il quale, sull'argomento osservava che se era vero che l'azione cattolica si asteneva dal fare politica perché dipendente dalla Santa Sede, era anche vero che alcuni, per paura, tendevano a far ritirare i cattolici da ogni forma di attività politica per lasciare che la "raffica" passasse(151). Il consiglio del Papa di mantenere l'Azione Cattolica estranea dalla politica andava riferito, a suo avviso, agli organismi cattolici affinché questi non si tramutassero in "clubs" o in "partiti politici" ma non riguardava le persone dei singoli soci in quanto cittadini(152). "Primavera Siciliana" più volte tornò sul tema della apoliticità affermando che se la Gioventù Cattolica era apolitica non significava che fosse agnostica in fatto di politica; non si voleva "la politica per la politica" ma la politica allo stato di studio che doveva essere una funzione del giovane cattolico(153). L'atteggiamento di astensione veniva considerato da Sturzo "atto di viltà" e colpa imperdonabile poiché è dovere di ogni cittadino partecipare alla vita del proprio paese soprattutto nei momenti più difficili. Era un non senso concepire il dovere verso la patria solo in tempi di quiete, quando non vi erano rischi e pericoli. La partecipazione a un partito politico doveva essere considerata come strumento di lavoro; era necessario identificare nel partito il mezzo e non il fine "mezzo delicatissimo nella sua funzione e nella sua finalità"(154). Ciò non significava che ognuno dovesse intendere come obbligo di coscienza l'iscrizione a un partito, ma la partecipazione ad un partito andava interpretata come obbligo in rapporto all'esercizio dei diritti politici. Piuttosto, dinanzi a una astensione di massa, non ci si doveva stupire se cominciavano a proliferare le correnti materialistiche, le concezioni etiche pagane e le ingiustizie. I soci attivi dell'azione cattolica, chiamati da Sturzo "cattolici militanti", si sarebbero macchiati di un "vero delitto di lesa patria" se avessero continuato a non partecipare alla vita politica del paese: "sarebbe un volere l'effetto (cioè la bontà delle leggi, la moralità pubblica, la scuola libera, la giustizia sociale), senza volere le cause (cioè la partecipazione attiva e diretta dei cattolici militanti alla vita pubblica)"(155). Tali critiche non riguardano, comunque, l'operato e gli scopi dell'Azione Cattolica in quanto istituzione, le cui associazioni venivano apprezzate da Sturzo per l'educazione dei suoi membri all'esercizio dell'apostolato creando una comunione spirituale necessaria perché ogni fedele diventasse vero "apostolo".
L'importanza dell'Azione Cattolica andava vista, secondo il politico calatino, nello spirito di apostolato vissuto collettivamente. E veramente grande appariva ai suoi occhi il campo di azione per un laicato "veramente cristiano"(156). Ai circoli della gioventù cattolica andava il merito di avere salvato i giovani italiani dall'apostasia, dall'indifferentismo e dalla corruzione(157). Nella sua attività politica e sociale, dal 1894 al 1924, anno dell'esilio, Sturzo aveva incontrato un gran numero di "virtuosi giovani, studenti, operai e professionisti" la cui vita era un esempio di pietà e di dedizione al bene degli altri. Tra essi egli non poteva fare a meno di ricordare proprio Giuseppe Pipitone, un "carissimo amico […] dal carattere fermo e dai costumi di grande purezza e semplicità"(158), un giovane che aveva esplicato un attivo apostolato nell'Azione Cattolica.


NOTE

1) G. DE ANTONELLIS, Storia dell'Azione cattolica, Milano, Rizzoli, 1987, p. 8.
2) Cfr. L. CIVARDI, Manuale di Azione Cattolica, prefazione di Luigi Colombo, parte I La teorica, Pavia, Tipo-Libreria Vescovile Edit. Artigianelli, 1924; parte II La pratica, Pavia, Tipo-Libreria Vescovile Edit. Artigianelli, 1926; L. CIVARDI, Cenni storici dell'Azione Cattolica Italiana (1865-1931), Estratto dalla VII edizione del Manuale di Azione Cattolica, Pavia, Editrice Vescovile Artigianelli, 1933; L'Azione Cattolica nel mondo. Settimana di studio nel Pontificio Collegio urbano Propaganda Fide, Roma, Istituto Grafico Tiberino, 1936; L'Azione Cattolica Universitaria, a cura di G.B. Scaglia, Roma, Studium, 1936; L'Azione Cattolica, Roma, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1940; G. DE ROSA, L'Azione Cattolica, vol. I, Storia politica dal 1874 al 1904, Bari, Laterza, 1954; G. DE ROSA, L'Azione Cattolica. vol. II, Storia politica dal 1905 al 1919, Bari, Laterza, 1954; M. FASINO, Il centenario della Gioventù Cattolica, prefazione di E. Sinagra, Palermo, La Cartografica, 1968; Azione Cattolica dei Ragazzi. Metodologia dell'A.C.R., Roma, Ufficio Centrale dell'A.C.R., 1972; L'Azione Cattolica Italiana per una testimonianza evangelica nel mondo contemporaneo. Atti del Convegno Nazionale Presidenze Diocesane Roma, Modena, Teic, 1975; M. AROSIO, Decifrare Babele: l'Azione Cattolica nel dibattito culturale, Milano, In Dialogo, 1991; M. CASELLA, L'Azione Cattolica nell'Italia contemporanea (1919-1969), Roma, A.V.E., 1992.
3) G. DE ANTONELLIS, op. cit., p. 49.
4) Si veda G. DE ROSA, I Partiti Politici in Italia, Bergamo, Minerva Italica, 1980, p. 129.
5) G. DE ANTONELLIS, op. cit., p. 51.
6) G. SPADOLINI, L'opposizione cattolica. Da Porta Pia al '98, Milano, Oscar Mondadori, 1976, p. 45. Sulle origini dell'Azione Cattolica si vedano, in particolare, le pp. 40-211.
7) Si veda E. GUCCIONE, Ideologia e politica dei cattolici siciliani, Palermo, Ila Palma, 1974, pp. 24-30.
8) G. DE ANTONELLIS, op. cit., p. 19.
9) Ibidem
10) L'enciclica era diretta ai Vescovi d'Italia per l'istituzione e lo sviluppo dell'Azione Cattolica "associazione laica per la propaganda cattolica e religiosa nel mondo profano". L'Azione Cattolica, secondo il pontefice, doveva essere efficace sotto tutti gli aspetti e, soprattutto, proporzionata ai bisogni sociali del tempo; per questo essa doveva farsi valere con tutti i mezzi pratici offerti dagli studi sociali ed economici. (Si veda Pio X, Il fermo proposito, in: Tutte le encicliche dei Sommi pontefici, Milano, Edizioni Corbaccio, 1940, p. 691. Sull'enciclica si veda G. DE ROSA, L'Azione Cattolica. Storia politica dal 1905 al 1919, vol. II, cit., pp. 19-37). Tali principi vennero ribaditi nell'enciclica Pieni l'animo (1906) nella quale il pontefice richiama i Vescovi d'Italia a dare il massimo appoggio e le loro cure migliori all'Azione Cattolica.
11) Sull'Azione Cattolica nel periodo di Pio XI si veda con bibliografia ivi annessa M. CASELLA, L'Azione cattolica del tempo di Pio X e di Pio XII (1922-1958), in: AA.VV., Dizionario storico del movimento cattolico in Italia (1860-1980), I/1, I fatti e le idee, diretto da Francesco Traniello e Giorgio Campanini, Casale Monferrato (AL), Marietti, 1981, pp. 84-94; R. MORO, Azione cattolica italiana (ACI), in: AA.VV., Dizionario storico del movimento cattolico in Italia (1860-1980), I/2 I fatti e le idee, cit., pp. 182-186.
12) Si veda PIO XI, Ubi arcano, in particolare il paragrafo La santa battaglia dell'Azione Cattolica in: Enchiridion delle Encicliche, Pio XI (1922-1939), Edizione bilingue, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1995, pp. 47-49.
13) L. CIVARDI, Manuale di Azione Cattolica, parte prima: la teorica, cit., p. 66.
14) Cfr. L. CIVARDI, Manuale di Azione Cattolica, parte prima: la teorica, cit., p. 92.
15) G. DE ANTONELLIS, op. cit., p. 141.
16) Cfr. L. CIVARDI, Manuale di Azione Cattolica, parte prima: la teorica, cit., p. 92.
17) Ibidem.
18) Sulla storia del Partito Popolare Italiano si veda: S. JACINI, Storia del Partito Popolare Italiano, prefazione di Luigi Sturzo, 1950, ristampa di Napoli, La Nuova Cultura Editrice, 1971; G. DE ROSA, Il Partito Popolare Italiano, Bari, Laterza, 1985.
19) L. STURZO, Al lettore (Roma 15 dicembre 1950), in: S. JACINI, op. cit., p. 14.
20) G. DE ANTONELLIS, op. cit.,, p. 93.
21) Per un approfondimento delle funzioni della Giunta si veda L. CIVARDI, Manuale di Azione Cattolica, parte seconda: la pratica, cit.,pp. 13-19.
22) Sulle funzioni del Consiglio Parrocchiale si veda Ivi, pp. 60-64.
23) Ivi, p. 128.
24) Ivi, pp. 139-143.
25) Su questo aspetto si veda "Bollettino Ufficiale dell'Azione Cattolica Italiana", gennaio 1923.
26) G. DE ANTONELLIS, op. cit., p. 144.
27) Al secolo Edoardo (1878-1959), medico, materialista e socialista, nel 1903 si convertì al cattolicesimo, entrò nel convento francescano di Rezzato (Brescia) prendendo il nome di Agostino. Fu lui a fondare nel 1909 la rivista "Neoscolastica", nel 1914 "Vita e Pensiero" e nel 1921 l'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano. (Sulla nota biografica si vedano Gli Atti dei congressi del Partito Popolare Italiano, a cura di Francesco Malgeri, prefazione di Gabriele De Rosa, Brescia, Morcelliana, 1969, pp. 692-693).
28) Milano, "Vita e Pensiero", 1919.
29) S. JACINI, op. cit., p. 53.
30) Gli Atti dei congressi del Partito Popolare Italiano, cit., p. 58.
31) G. DE ROSA, Il Partito Popolare Italiano, cit., p. 261.
32) Ibidem.
33) Gli Atti dei congressi del Partito Popolare Italiano, cit., p. 63.
34) C. NARO, Pietro Mignosi e l'aconfessionalità del partito popolare, in: Idem, Spiritualità dell'azione e cattolicesimo sociale, Caltanissetta, Solidarietà, 1989, pp. 129-143.
35) Gli Atti dei congressi del Partito Popolare Italiano, cit., p. 102, nota 23.
36) Art. VII: "Libertà e indipendenza della Chiesa nella piena esplicazione del suo magistero spirituale. Libertà e rispetto della coscienza cristiana considerata come fondamento e presidio della vita della nazione, delle libertà popolari e delle ascendenti conquiste della civiltà nel mondo". (Ivi, p. 39).
37) E. ROSA, A proposito del nuovo partito popolare, in: "La Civiltà Cattolica", 15 febbraio 1919, vol. I, p. 273.
38) Stefano Cavazzoni nacque a Guastalla (Reggio Emilia) nel 1881 e morì a Milano nel 1951. Anima dell'organizzazione del Partito Popolare, braccio destro di Sturzo e membro della Commissione provvisoria, fu eletto al Consiglio nazionale e, poi, alla Direzione. Nel 1919 fu eletto deputato per Milano. (Si veda G. VECCHIO, Cavazzoni Stefano, in: AA.VV., Dizionario storico del movimento cattolico, diretto da F. Traniello e G. Campanini, II, I protagonisti, cit., pp. 100-106.
39) S. JACINI, op.cit., p. 40.
40) G. DE ANTONELLIS, op. cit., p. 146.
41) Si veda G. SPADOLINI, Prefazione a: S. ROGARI, Santa Sede e fascismo dall'Aventino ai Patti lateranensi Bologna, Forni, 1977, pp. 5-15.
42) Per il periodico "Primavera Siciliana", la parola aconfessionalità significava che il P.P.I. nella sua azione non dipendeva dalla autorità ecclesiastica; ai suoi aderenti il partito non chiedeva una professione di fede ma solo l'adesione al suo programma. E siccome il programma del P.P.I. si ispirava ai principi della Chiesa e non li rifiutava, gli aderenti ai circoli di Gioventù Cattolica non venivano ostacolati se "individualmente" volevano iscriversi al partito sturziano. "Primavera Siciliana", in diversi articoli evidenziò che il P.P.I. doveva cercare di educare gli imprenditori e i lavoratori ai principi della Chiesa e di avvicinarli alla coscienza cristiana come elemento della prosperità sociale e della realizzazione delle armonie di classe. (Si veda Punti fermi. Cattolici e la politica dei partiti, in: "Primavera siciliana", anno VI, n. 3, 30 gennaio 1923, p. 1).
43) In particolare nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana, fondata da mons. Gian Domenico Pini nel 1896, si raccolsero molti tra coloro che poi sarebbero diventati esponenti del P.P.I. (Si veda S. JACINI, op. cit., p. 30).
44) Lettera del 29 settembre 1922. (Questo e tutti gli altri documenti del carteggio di Giuseppe Pipitone con i Circoli cattolici siciliani del 1921-23, utilizzati come fonti principali della presente ricerca, mi sono stati gentilmente donati dal Prof. Eugenio Guccione). I Circoli siciliani maggiormente presenti nella corrispondenza di Pipitone, oltre a quelli della città di Palermo, sono (in ordine alfabetico): Alcamo: Circolo Cattolico di Cultura "Fede e Scienza"; Altavilla: Circolo "S. Luigi"; Bisacquino: Circolo Giovanile Cattolico "Madonna del Balzo"; Caccamo: Circolo Giovanile "Beato Giovanni"; Campofranco: Circolo "Sacro Cuore di Gesù"; Castelbuono: Circolo Cattolico "Pio X"; Casteltermini: Circolo Giovanile Cattolico "Agostino De Cosmi"; Chiusa Sclafani: Circolo Giovanile Cattolico "Religione e Patria"; Corleone: Circolo Giovanile Cattolico "S. Luigi"; Isnello: Circolo Giovanile "Don Bosco"; Licata: Circolo "Giosuè Borsi"; Marineo: Circolo Giovanile Cattolico "S. Ciro"; Mezzojuso: Circolo Giovanile Cattolico "Giosuè Borsi"; Monreale: Circolo Gioventù Cattolica "Contardo Ferrini"; Montedoro: Circolo "S. Vito"; Mussomeli: Circolo "Don Bosco"; Petralia Soprana: Circolo Giovani "Domenico Savio"; Ravanusa: Circolo Giovanile "Sacro Cuore di Gesù", Regalbuto: Circolo "S. Vito", Sambuca Zabut: Circolo Giovanile Cattolico "S. Giuseppe"; San Giovanni Gemini: Circolo "Splendor"; San Giuseppe Jato: Circolo Giovanile Cattolico "Giuseppe Toniolo"; Santa Caterina Villarmosa: Circolo Giovanile Cattolico "San Tarcisio"; Sciacca: Circolo "Giosuè Borsi" ; Siracusa: Circolo Giovanile Cattolico "Contardo Ferrini"; Termini: Circolo Giovanile Cattolico "Giosuè Borsi"; Torretta: Circolo Gioventù Cattolica "Beato Maria Tomasi di Lampedusa"; Terrasini: Circolo "Sacro Cuore"; Villabate: Circolo Giovanile Cattolico "L'Immacolata"; Vita: Circolo "S. Vito".
45) Si veda M. CASELLA, op. cit., pp. 88-89.
46) Cfr. R. MORO, op. cit., p. 184.
47) G. DE ANTONELLIS, op. cit., p. 153.
48) Sui rapporti tra Azione Cattolica e fascismo si veda: F. L. FERRARi, L'Azione Cattolica e il regime, Firenze, Parenti, 1957.
49) Su questo aspetto si veda anche il Bollettino Ufficiale dell'Azione Cattolica Italiana, 15 marzo 1929. Sui rapporti tra Chiesa, Azione cattolica e fascismo in Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna cfr. AA.VV., Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nell'Italia Settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939), Atti del Convegno di Storia della Chiesa, a cura di Paolo Pecorari, Milano, Ed. Vita e Pensiero, 1979. Per una sintesi del Convegno si veda A. FERRARI, In margine al Convegno Chiesa, Azione cattolica e Fascismo, in: Nuova Rivista Storica, Anno LXIII, settembre-dicembre 1979, fasc. V-VI, pp. 668-677.
50) Si veda PIO XI, Quadragesimo Anno (1931), in: I documenti sociali della Chiesa. Da Pio IX a Giovanni Paolo II (1864-1982), a cura e con introduzione di p. Raimondo Spiazzi o.p., Milano, Massimo, 1983, pp. 287- 312. Il 19 marzo 1937, Pio XI tornerà a ribadire con l'enciclica Divini Redemptoris l'importanza del laicato militante nelle fila dell'Azione Cattolica. I membri dell'Azione Cattolica, secondo il pontefice, avevano il merito di far conoscere - attraverso un lavoro formativo fatto di circoli di studio, di settimane sociali, di corsi e di conferenze- la soluzione "cristiana" ai problemi sociali. L'Azione Cattolica non poteva mostrarsi estranea alla realtà, anzi, essa avrebbe dovuto partecipare alle nuove forme di istituzioni portando in esse lo spirito cristiano di collaborazione. Si veda PIO XI, Divini Redemptoris, in: I documenti sociali della Chiesa …, cit., pp. 365-367.
51) Per un approfondimento del pensiero politico di Arnaldo Mussolini si veda: M. INGRASSIA, L'idea di fascismo in Arnaldo Mussolini, Palermo, Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici, 1998.
52) G. DE ANTONELLIS, op. cit., p. 170.
53) L. STURZO, Chiesa e Stato, a cura di Eugenio Guccione, Bari, Editori Laterza, 1992, p. 153. L'opera Chiesa e Stato fu pubblicata in lingua francese nel 1937 e in Italia nel 1958-59.
54) Ivi, p. 171.
55) L. CIVARDI, Cenni storici dell'Azione Cattolica italiana (1865-1931), Estratto dalla VII edizione del "Manuale di Azione Cattolica", Pavia, Editrice Vescovile Artigianelli 1933, pp. 107-111.
56) Cfr. A. FERRARI, op. cit., p. 670.
57) Ivi., p. 671.
58) Cfr. G. CANDELORO, Il movimento cattolico in Italia, Roma, Rinascita, 1953.
59) Si veda P. SCOPPOLA, Coscienza religiosa e democrazia nell'Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1966.
60) Giuseppe Pipitone nacque a Palermo nel 1890. Figlio dello studioso Giuseppe Federico, si laureò in giurisprudenza e si dedicò sempre all'Azione Cattolica. Nel 1910 fondò a Palermo il circolo Pio X; nel periodo universitario aderì alla FUCI ed ebbe incarichi nella UP. Fu più volte presidente della Federazione Diocesana della G. C. di Palermo, delegato regionale e membro del consiglio superiore della G.C. Fondò a Palermo i giovani esploratori. Fu attivo anche in campo giornalistico collaborando al "Centro", al quotidiano "Corriere del mattino", al "Bollettino nazionale della G. C.", a "Gioventù Italica". Dopo la guerra fondò il settimanale "Primavera siciliana" che diresse fino alla morte avvenuta nel 1930. (Sui cenni biografici si veda A. SINDONI, Pipitone, Giuseppe, in: AA.VV., Dizionario storico del movimento cattolico in italia, 1860-1980, diretto da Francesco Traniello e Giorgio Campanini, M-Z, III/2, Le figure rappresentative, cit., p. 672.
61) L'annuncio fu dato dalle pagine di "Primavera siciliana" dallo stesso Pipitone con un articolo dal titolo Il nostro saluto ("Primavera siciliana", anno II, n. 6, giugno 1919, p. 1).
62) Si veda Il Convegno federale, in: "Primavera siciliana", anno II, n. 6, giugno 1919, pp. 2-3.
63) La scheda, oltre a chiedere il nome del Circolo o dell'Associazione, la Diocesi, il Comune di appartenenza, l'eventuale data del diploma di aggregazione alla Società della G.C.I., indicava la natura del Circolo o dell'Associazione (studenti, operai, misto o sezione aspiranti); il numero dei soci (attivi, aspiranti, onorari), il nome, età e recapito del Presidente effettivo, dell'Assistente Ecclesiastico e le osservazioni sull'attività svolta. (Cfr. Circolare n. 10 Prot. 384).
64) Andrea Butera era nato a Palermo da famiglia benestante. Combatté coraggiosamente sul Piave tanto da guadagnarsi la croce di guerra. Dopo il primo conflitto fu tra i promotori della ripresa dell'Azione Cattolica in Sicilia. Tra il 1920 e il 1925 fu presidente diocesano della G.C. Durante la seconda guerra mondiale fu chiamato alle armi e nel luglio del 1943 fu fatto prigioniero in Tunisia. Tornato riprese l'attività dell'Azione Cattolica partecipando, anche, alle prime attività della Democrazia Cristiana con Aldisio, Mattarella e G. Alessi. Morì a Roma per una malattia contratta in guerra. Sui cenni biografici si veda A. SINDONI, Butera Andrea, in: AA.VV., Dizionario Storico del movimento cattolico in Italia. III/1, Le figure rappresentative, cit., p. 146.
65) La "Primavera siciliana" era l'organo ufficiale della Gioventù Cattolica siciliana. Il primo numero del periodico uscì nel 1918 con il titolo "L'eco giovanile"- organo mensile del Circolo giovanile cattolico "San Carlo Borromeo" di Palermo - grazie all'opera di Don Rosario Licari, Vice-assistente ecclesiastico a Palermo tra il 1918 e il 1923. Il 6 gennaio 1919 il mensile uscì con il nuovo titolo "Primavera siciliana" e il sottotitolo Florete flores, frondete in gratiam. Esso non era più l'organo del Circolo San Carlo Borromeo ma della Gioventù Cattolica in Sicilia. Nell'ottobre del 1920 il periodico divenne Organo del Consiglio Regionale Siculo (si veda "Primavera siciliana", anno III, n. 7, luglio 1920; e n. 9-10, settembre-ottobre, 1920) e tale dicitura comparve sino al 15 settembre 1925. Dopo tale data le pubblicazioni ripresero il 10 gennaio 1926 con il sottotitolo "Settimanale Cattolico" poiché - come si legge dall'articolo di fondo - "la regione antica [… era] scomparsa" con il Congresso del 1924. La Gioventù Cattolica Siciliana, infatti, dopo il 1924 - sciolta la presidenza regionale e con la nomina di Pipitone delegato regionale, organo quest'ultimo non più elettivo - aveva continuato a vivere nell'ambito delle singole diocesi coordinata dal nucleo regionale ma senza le grandi manifestazioni e i grandi dibattiti unitari a base regionale. (Su questi ultimi aspetti si veda M. FASINO, op. cit., pp. 43-44).
L'idea della "Primavera siciliana" era quella di dare vita a un giornale battagliero capace di divulgare il pensiero cattolico ma anche di preparare l'opinione pubblica alla lotta contro ogni forma di immoralità. Esso privilegiava i temi religiosi, il rapporto scienza-fede, autorità-libertà, religione-democrazia. A causa di una grave crisi finanziaria il giornale fu costretto a chiudere i battenti nel 1939. Giuseppe Pipitone lo diresse per molti anni. Chi era "nella primavera" della vita doveva, con "intelletto d'amore aspirare ai frutti delle stagioni vicine" poiché sopra i giovani faceva assegnamento non solo la Chiesa ma anche la "Patria diletta". (Per un approfondimento degli scopi del giornale si vedano in particolare Giovani a voi! in: "Primavera siciliana", anno II, n. 5, maggio 1919, p. 1; Essere presenti in: "Primavera siciliana", anno II, n. 8, agosto 1919, pp.1-2).
66) Cfr. L. CIVARDI, op. cit., parte II, La pratica, pp. 274-279.
67) In un articolo la redazione di "Primavera siciliana" così scriveva: "Portare sempre e dovunque il distintivo nazionale della G.C.I. è dovere di tutti i soci; indossandolo, essi dimostrano di gloriarsi di appartenere alla nostra Associazione". (Giovani, a voi!, in: "Primavera siciliana", anno II, n. 5 maggio 1919, p.1).
68) Si veda Circ. n. 11, Prot. n. 408, Palermo, 24 gennaio 1921.
69) Dalla corrispondenza di Pipitone si constata che il Circolo San Carlo della Magione non ha mai avuto vita semplice. In una lettera del 15 dicembre 1922, avente per oggetto "Licenziamento del Circolo S. Carlo", il parroco della Basilica della Real Magione, mons. Richichi, Assistente Ecclesiastico dello stesso circolo, così scrive: "Volendo riacquistare la pace, la tranquillità, la salute perduta pei continui dispiaceri datimi dal Tenente Iraci [presidente del Circolo], […] i locali non potranno essere frequentati più dai soci né aver luogo alcuna riunione di assemblea". In seguito a tale decisione Iraci aveva risposto con "gran fracasso" chiedendo la chiave del Circolo tanto che mons. Richichi, in una lettera all'avv. Pipitone, scriveva senza tanti giri di parole: "o se ne va il Presidente Iraci, o se ne va il Circolo […] Sono il padrone dei locali e non intendo dare alcun tempo di proroga" (Lettera di mons. Richichi all'avv. Pipitone, Palermo 16 dicembre 1922). A questo punto il presidente Giuseppe Iraci, ritenne opportuno inviare una lettera al Cardinale Alessandro Lualdi (1858-1927), Arcivescovo di Palermo dal 1904, con la quale dava la sua versione dei fatti. Iraci sottolineava la "discordanza" di idee sopraggiunta con l'Assistente Ecclesiastico Richichi affermando che la questione era degenerata in una vera crisi, in un "attentato alla vita e alla compagine del Circolo". Iraci informava l'Arcivescovo che alcuni giovani del Circolo frequentavano la casa del monsignore trasformandosi in "amici particolari", trasgredendo i più elementari "doveri di buon contegno, di disciplina, di carità cristiana, pigliando atteggiamento ostile contro la Presidenza che aveva il torto di richiamarli al dovere". Iraci chiedeva al prelato di intervenire nella vicenda chiarendo ogni equivoco e sottolineando che egli, con le sue azioni, aveva solo mirato alla formazione sociale e morale dei giovani (lettera del 17 dicembre 1922). La vicenda continua ad essere raccontata nel carteggio di Pipitone da due lettere di mons. Richichi datate rispettivamente 19 e 21 dicembre. Nella prima Iraci è accusato di avere causato non "piccoli ma grandi dispiaceri da morire" tanto da affermare che qualunque accordo con il Presidente del Circolo era, a suo avviso, "effimero, inutile, della durata di poche ore". Nella lettera del 21 dicembre, indirizzata al Presidente Pipitone, Richichi ribadiva le sue decisioni di licenziare il Circolo dalla Basilica della Real Magione specificando che la causa era solo dovuta alla precaria salute e non all'ostilità del tenente Iraci al quale, tra l'altro, perdonava di cuore "ogni offesa fattami e son pronto ad abbracciare".
70) Gli altri Presidenti Federali del Consiglio Regionale Siculo erano: Francesco Fucile, Sebastiano Indelicato, Salvatore Macaluso, sac. Giovanni Rizzo e Vincenzo Schilirò.
71) Alla Federazione Interdiocesana di Palermo facevano capo i Circoli delle Diocesi di Palermo, Monreale (fino al 1922), Cefalù, Girgenti, Caltanissetta, Trapani e Mazara del Vallo. Per quanto riguarda i Circoli delle altre località dell'Isola essi erano così distribuiti: i Circoli delle Diocesi di Messina, Lipari, S. Lucia del Mela facevano capo alla Federazione giovanile messinese; i Circoli delle Diocesi di Catania alla Federazione catanese; i Circoli delle Diocesi di Acireale alla Federazione acese; i circoli delle Diocesi di Caltagirone all'Incaricato Diocesano di Caltagirone. I Circoli delle Diocesi di Siracusa e Noto avevano un solo responsabile di Modica alta (Si veda Circ. n. 11, Prot. 408 del 24 gennaio 1921).
72) Per la storia dell'Azione Cattolica nel nisseno si veda: C. NARO, L'Azione Cattolica a Caltanissetta 1923-1969. Linee di Storia e documenti, San Cataldo (CL), Centro Studi sulla Cooperazione "A. Cammarata", 1995.
73) Sulla storia del Circolo giovanile "A. Manzoni" di San Cataldo si veda: C. NARO, Atti del Circolo "Alessandro Manzoni" di San Cataldo (1919-1924), Caltanissetta, Edizioni del Seminario, 1984; C. NARO, Chiesa e movimento cattolico a Caltanissetta nel '900, presentazione di Sergio Mangiavillano, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 1989, pp. 53-70.
74) Lettera di Luigi Di Forti a Giuseppe Pipitone, San Cataldo, marzo 1921.
75) C. NARO, Chiesa e movimento cattolico a Caltanissetta nel '900, cit., pp. 54-55.
76) Ivi, p. 55.
77) Lettera di Luigi Di Forti a Giuseppe Pipitone, San Cataldo, marzo 1921.
78) Luigi Di Forti nacque nel 1900 a San Cataldo da famiglia di modeste condizioni; geometra, fondatore e animatore del Circolo giovanile cattolico di San Cataldo. Di Forti, sottolinea Cataldo Naro, ebbe come unico desiderio quello di dedicarsi alla formazione cristiana dei giovani senza mai lasciarsi tentare dal potere politico o nelle istituzioni economiche; egli fu una: "singolare figura di laico attivo e devoto […] la cui militanza però non si indirizza all'impegno nelle strutture […] delle istituzioni mutualistiche, creditizie e cooperatistiche cattoliche. Egli non tenta neanche le nuove vie della lotta politica nelle file del nascente partito popolare". (C. NARO, Chiesa e movimento cattolico a Caltanissetta nel '900, cit., p. 58; per un approfondimento della figura di Di Forti si veda Idem, Dizionario biografico del movimento cattolico nisseno, Centro Studi sulla cooperazione A. Cammarata, Caltanissetta, Edizioni del Seminario, 1986, pp. 51-52; G. ALESSI, Luigi Di Forti uomo indimenticabile in: G. ALESSI, Incontri nella Chiesa Nissena, San Cataldo, Centro Studi sulla cooperazione A. Cammarata, 1986; C. NARO, La chiesa di Caltanissetta tra le due guerre, vol. III, Educazione alla fede e vita nello spirito, Caltanissetta - Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1991, pp. 193-196).
79) L'Arciprete era Calogero Carletta (1863-1942), nato a San Cataldo e ordinato sacerdote da mons Guttadauro. Durante il suo parrocato le Associazioni di Azione Cattolica registrarono un grande sviluppo in sintonia con quanto stabilito dall'ordinamento voluto da Pio XI nel 1923. Cfr. C. NARO, Carletta, Calogero in: Idem, Dizionario biografico del movimento cattolico nisseno, cit., pp. 42-43.
80) Sulla storia della Cassa rurale di San Cataldo si veda C. NARO, La fondazione della Cassa rurale di San Cataldo. Contesto sociale e religioso, Caltanissetta, Edizioni del Seminario, 1980.
81) Lettera di Luigi Di Forti a Giuseppe Pipitone, San Cataldo, marzo 1921.
82) Calogero Cammarata era nato a San Cataldo da famiglia benestante. Con il cugino sac. Calogero Carletta ricostituì l'oratorio di S. Filippo Neri. Eletto nel Consiglio comunale fu assessore e Presidente di varie commissioni municipali e tra i fondatori della Cassa rurale cattolica di San Cataldo. Nel primo dopoguerra fu Presidente della Federazione diocesana delle opere economico-sociali cattoliche. Alle amministrative del 1921 fu eletto pro-sindaco di San Cataldo; lasciò l'incarico nel 1923 quando fu nominato coadiutore della parrocchia del paese per sostituire alla guida l'Arciprete Carletta impedito da problemi di salute. Nel 1930, anno della morte, fu nominato cameriere segreto del papa. Cfr. C. NARO, Cammarata Calogero, in: Idem, Dizionario biografico del movimento cattolico nisseno, cit., pp. 37-39. Si veda anche A. CAMMARATA, In memoria di mons. Calogero Cammarata, Caltanissetta, Tip. S. Petrantoni, 1931.
83) Il can. Cammarata, in verità, aveva solo aiutato i giovani a trovare una prima sede, ma non era mai andato oltre. (Su questo aspetto si veda C. NARO, Chiesa e movimento cattolico a Caltanissetta nel '900, cit., p. 57).
84) Lettera di Luigi Di Forti a Giuseppe Pipitone, San Cataldo, marzo 1921.
85) Luigi Cammarata era stato avviato agli studi ecclesiastici dal fratello Calogero e alla morte di questo lo sostituì in alcuni uffici tra cui l'importante carica di Presidente della Cassa Agraria Cattolica. Nel 1936 dovette lasciare tale carica in applicazione delle norme emanate dalla Santa Sede. Alla Presidenza della Cassa Agraria gli successe il nipote Arcangelo. Cfr. C. NARO, Cammarata Luigi, in: Idem, Dizionario biografico del movimento cattolico nisseno, cit., pp. 39-40.
86) Lettera di Luigi Di Forti a Giuseppe Pipitone, San Cataldo, marzo 1921. Il nipote del can. Calogero Cammarata era l'avvocato Arcangelo Cammarata (1901-1977) laureatosi nel 1924 con una tesi su Sindacalismo e Stato sotto la guida di Gaspare Ambrosini. Fu Segretario della sezione del Partito Popolare di San Cataldo e vicesegretario provinciale accanto all'on. Salvatore Aldisio. Nel 1929 il vescovo Jacono lo nominò presidente della Giunta Diocesana di Azione Cattolica, carica che tenne per diversi anni. Nel 1936 sostituì lo zio Luigi nella carica di Presidente della Cassa rurale. Fu anche Presidente dell'Ente fascista di zona per l'assistenza alle casse rurali. Si iscrisse al partito fascista per poter accedere alle cariche amministrative ma i fascisti locali gli furono spesso ostili a causa della sua militanza nei popolari. Gli fu tolta ripetutamente la tessera e nel 1939 fu definitivamente espulso dal partito. Allo sbarco degli alleati fu nominato prefetto di Caltanissetta. Nel 1946 fu il primo sindaco democristiano eletto a San Cataldo. Sulla figura di Arcangelo Cammarata si veda: A. CAMMARATA, Scritti sul sindacalismo e la cooperazione, a cura di Cataldo Naro, San Cataldo, Centro Studi "A. Cammarata", 1986; C. NARO, Dizionario biografico del movimento cattolico nisseno, cit., pp. 36-37; A. CAMMARATA, La battaglia popolare, a cura di C. Naro, San Cataldo (Caltanissetta), Centro Studi sulla Cooperazione "A. Cammarata", 1991.
87) Lettera di Luigi Di Forti a Giuseppe Pipitone, San Cataldo, marzo 1921.
88) C. NARO, Chiesa e movimento cattolico a Caltanissetta nel '900, cit., p. 61.
89) Ivi, pp. 65-66.
90) Ivi, p. 69. Su questa vicenda si veda: C. NARO, La Chiesa di Caltanissetta tra le due guerre, vol. II, I cattolici nella società: la politica, l'economia e la cultura, Caltanissetta - Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1991, p. 103.
91) Lettera di Andrea Butera del 19 febbraio 1921.
92) Lettera del Provveditore agli Studi, 24 maggio 1921, Prot. 1306.
93) Lettera dell'avv. Paolo Pericoli, Presidente Generale del Consiglio Superiore della Società della Gioventù Cattolica Italiana, 18 maggio 1921.
94) Lettera di Andrea Butera ai presidenti dei Circoli siciliani, Catania 6 giugno 1922, Prot. n. 1159. I toni della protesta cambiarono alla fine dell'anno quando, in attesa dei risultati delle trattative tra la Presidenza Generale ed il Presidente del Consiglio, Andrea Butera, con circolare del 1° dicembre 1922 (Prot. 1617), informava tutte le Federazioni Giovanili della Sicilia che, in caso di rifiuto, sia della vacanza nel giorno dell'Immacolata, sia della giustificazione per assenza motivata dall'adempimento dei doveri religiosi, il Consiglio Regionale Siculo vietava qualsiasi sciopero scolastico invitando i giovani, dove i Provveditori non avessero concesso la vacanza, a recarsi "disciplinatamente" a scuola.
95) Lettera di Andrea Butera ai Presidenti dei Circoli siciliani, 22 settembre 1921.
96) Si veda La Presidenza Regionale, Per il cinquantenario della G.C.I. L'appello della Presidenza Generale, in: "Primavera siciliana", anno VI, n. 1-2, gennaio-febbraio 1921, pp. 1-2.
97) Le manifestazioni sovversive dei clericali convenuti a Roma, "Giornale di Sicilia", 5-6 settembre 1921, p. 2.
98) Ibidem.
99) Recentissime. Dopo proteste e minacce per gl'incidenti di Roma, in: "Giornale di Sicilia", 5-6 settembre 1921, p. 6.
100) Perché il Governo vietò il corteo, in: "Giornale di Sicilia", 5-6 settembre 1921, p. 6.
101) Le manifestazioni sovversive dei clericali convenuti a Roma, cit.
102) Ibidem.
103) Ibidem.
104) Per i giudizi dei vari giornali nazionali si veda l'articolo I commenti della stampa. Sconvenienze, in: "Giornale di Sicilia", 5-6 settembre 1921, p. 6.
105) Lettera del Segretario Politico del partito nazionale Fascista, sezione di Palermo, Palermo 15 dicembre 1921, Prot. S.P.N. 221.
106) La lettera venne pubblicata su "Primavera siciliana", anno IV, n. 9, settembre 1921, p. 2.
107) Lettera di Giuseppe Pipitone al direttore del "Giornale di Sicilia", 12 settembre 1921.
108) In una lettera del 30 gennaio 1921 indirizzata all'avv. Giuseppe Pipitone, il presidente del Circolo rende noto che i suoi giovani lavorano così alacremente da avere costituito una lega contro la bestemmia e che ogni fine anno mandano una relazione morale e finanziaria.
109) Lettera di Andrea Butera a Giuseppe Pipitone, Catania 6 ottobre 1921.
110) La Gioventù Cattolica ed il fascismo, anno IV, n. 5, maggio 1921, pp. 2-3. Nell'agosto del 1921 la redazione pubblicò un articolo su Le aggressioni del giorno (anno IV, n. 8, agosto 1921, p. 3) e nel 1923 ristampò un pezzo apparso su "L'Osservatore romano" dal titolo Il fascismo e i cattolici (anno VI, 20 luglio 1923, p. 3).
111) Cfr. O. CANCILA, Palermo, Bari, Laterza, 1999, p. 354.
112) Si veda Il Circolo di Canicattì incendiato dai fascisti, in: "Primavera siciliana", anno VI, 20 luglio 1923, p. 3.
113) L. STURZO, Politica e Morale (1938), Bologna, Zanichelli, 1972, p. 103.
114) Ibidem.
115) G. PIPITONE, Contro tutte le violenze, in: "Primavera Siciliana", anno V, n. 16-17, 31 agosto 1922, pp. 6-7.
116) Ibidem.
117) UN PRESIDENTE, Problemi nostri. I circoli e la politica, in: "Primavera Siciliana", anno V, n. 6, 31 marzo 1922, p. 3.
118) Punti fermi da ricordare. Cattolici e la politica dei partiti, in: "Primavera Siciliana", anno VI, n. 3, 30 gennaio 1923, p. 1.
119) Ibidem.
120) Circolare n. 1063 del 27 marzo 1922.
121) Il 21 ottobre 1922 fu costituita la Federazione Giovanile nella Diocesi di Monreale (si vedano: Lettera di Andrea Butera a Giuseppe Pipitone, Catania 25 ottobre 1922, Prot. 1538; Lettera dell'avv. Paolo Pericoli al Presidente della Federazione Diocesana di Monreale, Roma 18 novembre 1922, Prot. n. 22799) che, fino a quel momento, aveva fatto parte della Interdiocesi di Palermo. Il Presidente della Federazione Diocesana di Monreale, Benedetto Giunta, in una lettera a Giuseppe Pipitone, annunciando la costituzione della Federazione, così si esprime: "permetti che a nome della Federazione di Monreale dei Circoli tutti delle Diocesi ed a nome mio venga a ringraziarti vivamente dell'opera tua costante, attiva ed affettuosa svolta durante la tua presidenza nella nostra Diocesi. Al tuo lavoro e alla tua Fede dobbiamo la nostra organizzazione […] Grazie caro Peppino, il tuo lavoro ed il tuo esempio ci saranno sempre di guida nel lavoro che stiamo per intraprendere". (Monreale, 8 novembre 1922, Prot. 2). Il carteggio del 1923, in verità, mostra come la Federazione di Monreale non godesse di una grande stima da parte del Consiglio Regionale Siculo a causa delle inadempienze del suo presidente Giunta. In una lettera a Pipitone, Butera chiede di intervenire, convocando a nome suo un consiglio Federale, poiché il Presidente Giunta "non si è mai degnato di rispondere alle mie personali sollecitazioni, scritte e verbali". Le lettere che seguono mostrano toni privi di ogni polemica finalizzati a vedere finalmente funzionare la Presidenza e la Segreteria Federale di Monreale: "è necessario - scrive Butera a Giunta - che la sede Ufficiale sia a Monreale, dove il Vice presidente ed il Segretario, costituito un ufficietto di segreteria, penseranno ad eseguire quanto deliberano il Consiglio e l'Ufficio di Presidenza Federale, nonché tutto quanto desiderano la Presidenza Regionale e la Generale" (Si veda A. Butera, Lettera a Giunta, Catania 30 maggio 1923).
122) Circolare n. 1063 del Consiglio Regionale Siculo, Catania, 27 marzo 1922.
123) Nello stesso Congresso furono eletti Giuseppe Tudisco vicepresidente, Attilio Drago e Domenico Panebianco consiglieri. (Cfr. A. BUTERA, Ai Presidenti delle Federazioni e dei Circoli e per conoscenza ai Rev.mi Ass. Ecclesiastici, Catania, 15 Settembre 1922). Le votazioni del Congresso avvenivano in base a un sistema stabilito dal Consiglio Superiore. Non era possibile, infatti, apportare modifiche statutarie senza le relative decisioni prese dalle autorità e dalla sede competente. Le votazioni del congresso venivano fatte in base a un voto per ogni circolo; i circoli già costituiti e funzionanti, sotto la responsabilità della Federazione, anche se non erano aggregati alla società, potevano inviare il proprio rappresentante che aveva solo il diritto di parola. (Su questo aspetto si veda A. BUTERA, Circolare alle Federazioni ed agli Incaricati, Prot. n. 1321, Catania,17 agosto1922).
124) Si veda la Circolare di P. PERICOLI - C. CORSANEGO, Roma 18 settembre 1922. Il Congresso Nazionale della Gioventù Cattolica proclamò nel settembre del 1922 la "Fionda" di Brescia unico organo nazionale degli studenti della G.C.I.; la direzione del giornale, nella persona del dott. G. A. Trebeschi, d'accordo con l'ufficio di propaganda, mandò anche in Sicilia una lettera per chiedere sostegni economici (si veda Lettera di G. A. Trebeschi ai Presidenti Federali e agli Incaricati diocesani, Brescia 22 settembre 1922).
125) A. BUTERA, Al Presidente Federale, Riservata n. 1486 Prot., Pos. 2, Catania, 4 ottobre 1922.
126) Ibidem.
127) Ibidem.
128) Ibidem.
129) Si veda, Lettera di P. Pericoli a Pipitone, Prot. 22964, Roma 2 dicembre 1922.
130) Cfr. Il Segretario del P.P.I [L. STURZO] a Giuseppe Pipitone, Carta n. 40131, Roma 29 novembre 1922.
131) Si veda p. il Segretario Politico del P.P.I., a Giuseppe Pipitone, Carta n. 41601, Roma 18 dicembre 1922.
132) Circolare alle Federazioni, Catania 11 gennaio 1923, Prot. n. 1679, pos. 2.
133) Si veda nota 86.
134) Lettera di A. Cammarata al Presidente della Federazione di Palermo, Palermo 3 febbraio 1923.
135) Si veda C. NARO, Cammarata Arcangelo, in: Idem, Dizionario biografico del movimento cattolico nisseno, cit., pp. 36-37.
136) Circolare alle Federazioni, Catania 9 marzo 1923, Prot. n. 1743.
137) Lettera al Ministro della Pubblica Istruzione, Palermo marzo 1923.
138) Consiglio Regionale Siculo, Catania 15 marzo 1923.
139) Elenco circoli. Diocesi di Palermo: Altavilla (S. Luigi); Castronovo (S. Luigi); Ficarazzi (SS. Sacramento); Marineo (S. Ciro); Palermo (Pio X; Serpotta; Immacolata; S. Carlo; Ozanam; Filodrammatico Cusmano; Fervor; S. Agostino e, a Partanna Mondello, S. Giuseppe); Termini Imerese (Borsi); Ventimiglia (Sacro Cuore); Villabate (Immacolata). Diocesi di Cefalù: Cefalù (Centro Giovanile Cattolico); Montemaggiore Belsito (S. Filippo Neri); Petralia Soprana (Savio).
140) Circolare alle Federazioni Diocesane dell'Isola, Catania 16 maggio 1923.
141) Circolare del Consiglio Superiore, Roma 6 aprile 1923.
142),Lettera di P. Pericoli a Pipitone, Roma 17 aprile 1923, Prot. n. 1384; e Lettera a Pipitone, 26 aprile 1923, Prot. n. 1539
143) Circolare del 19 agosto 1923, Prot. n. 2025, pos. 2.
144) Circolare riservata ai Presidenti delle Federazioni dell'isola, Prot. 2050, Palermo 28 agosto 1923.
145) Ibidem. San Paolo definisce l'obbedienza come un dovere imposto da Dio; ma in caso di contrasto tra il dovere del cristiano verso Dio e il dovere verso Cesare è sempre il primo a prevalere. (Lettera ai Romani, parte seconda - parenetica, 12,1-15,21) . Sui doveri dei cristiani relativamente all'autorità si veda anche San Pietro, Prima Lettera, parte seconda (2,13 -4,19).
146) Punti fermi da ricordare. I cattolici e la politica dei partiti, in: "Primavera Siciliana", anno VI, n. 1, 10 gennaio 1923, p. 1. L'articolo, apparso in più puntate, era l'ultimo "Allarme" dell'Unione fra i cattolici italiani. Il periodico siciliano ritenne opportuno pubblicarlo come saggio di "volgarizzazione bene intesa del problema gravissimo grazie alla chiarezza espositiva, capace di raggiungere le classi più semplici ma anche assai indicato per gli intellettuali". (Ibidem).
147) Ivi, p. 2.
148) Ibidem.
149) g.p. (G. PIPITONE), Noi protestiamo, in: "Primavera Siciliana", anno II, n. 8, agosto 1919, p. 2.
150) Ibidem.
151) L. STURZO, Il Partito Popolare Italiano, vol. Terzo, Pensiero Antifascista (parte I e Parte II); 1924-1925, Bologna, Nicola Zanichelli Editore, 1957. Tra i primi scritti di Sturzo sull'Azione Cattolica ricordiamo Dell'educazione della gioventù all'Azione Cattolica (1897), in: L. STURZO, "La Croce di Costantino", primi scritti politici e pagine inedite sull'Azione Cattolica e sulle autonomie comunali, a cura di Gabriele De Rosa, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1958, pp. 3-11.
152) Cfr. L. STURZO, Per lo studio di un fenomeno etico psicologico, in: L. STURZO, Il Partito Popolare Italiano, volume terzo, Pensiero Antifascista, cit., p. 91.
153) La nostra apoliticità, in: "Primavera siciliana", 5 luglio 1925.
154) Si veda: L. STURZO, Politica e coscienza, in: L. STURZO, Il Partito Popolare Italiano, cit., p. 42.
155) Ivi, p. 43.
156) Cfr. L. STURZO, Problemi spirituali del nostro tempo, Bologna, Zanichelli Editore, 1961, pp. 77-79.
157) Ivi, p. 91.
158) Ivi, pp. 125-126.

 

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