1. Il feudo ed il "castrum" dei cavalieri teutonici a Risalaimi
Abbiamo, dalla testimonianza diretta del Fazello (sec. XVI), la conferma che Guglielmo I assegnò alla Magione nel 1150 il casale denominato Mesrelme, corrottamente Mesalaime, distante 15 miglia a mezzogiorno da Palermo(1). Ci sembra, però, una forzatura da parte del Fazello, citato anche dal Pirro, la trasformazione del toponimo Mesrelme in Mesalaime e, quindi, in Risalaimi che in tempi più recenti B. Rocco, in un breve saggio filologico titolato Le origini di Risalaimi, riconduce alla originaria forma araba Ràs al àyn, cioè capo o testa della sorgente(2), certamente più propria al nome del luogo con cui si identifica la scaturigine d’acqua che denota tutto il territorio ricadente in questo feudo ed anche parte del fiume che scorre lungo la valle.
Questo è l’atto ufficiale, purtroppo non pervenutoci in originale, con il quale si vuole datare l’inizio del possesso dei beni della chiesa della Ss. Trinità, fondata dal Gran Cancelliere Matteo d’Ajello a Palermo ed affidata originariamente al culto dei cistercensi.
Risale al 1197 la concessione, da parte di Arrigo VI, della chiesa e del convento ai cavalieri teutonici, atto con cui l’imperatore esautorò i monaci benedettini dei loro antichi privilegi per l’appoggio che essi avevano dato alla causa nazionale in favore di Tancredi (†1194).
L’ordine teutonico si era conquistato la fama di paladino della fede cristiana per la nutrita partecipazione dei crociati alemanni alla liberazione del S. Sepolcro fin dal 1149; ma solo con l’approvazione di papa Celestino III e dell’imperatore tedesco fu fondato l’ordine di S. Maria di Gerusalemme e ne venne sancita la costituzione ufficiale come ordine ospedaliero durante l’assedio di S. Giovanni d’Acri nel 1190 e, successivamente, nel 1198 come ordine militare. L’acquisizione degli ampi benefici e delle cospicue rendite costituiti dal possesso di feudi, casali e tenimenti di terre con villani risultò di grande vantaggio all’accrescimento del prestigio che l’ordine militare conseguì particolarmente nello svolgere rilevanti impegni di milizia, oltre che in Europa anche in Terrasanta; questa affermata considerazione, nell’ambito dei servigi resi e dimostratisi indispensabili per l’assistenza e l’ospitalità nella mansio palermitana a favore dei pellegrini in transito per l’Oriente, servì da piattaforma di lancio prima di proiettarsi verso la sponda meridionale del Mediterraneo.
E di questi positivi contributi di cui l’ordine ospedaliero trinitario ebbe a beneficiare fu certamente la concessione nel 1206 da parte di Federico II Hohenstaufen di cospicui beni fondiari entro e fuori la città di Palermo, della quale riportiamo una breve trascrizione estrapolata dal documento originale esistente nel fondo archivistico palermitano la cui raccolta costituisce il Tabulario della Magione: Concedimus casale Miserelle in tenimento Cephale cum molendinis et omnibus justis tenimentis et pertinentiis suis concedimus preterea et imperpetuum donamus domus sacre trinitatis de Panhormo et (religionem) sacri ... hospitalis Jerusalem omnes villanos casalis Policii ubicumque sunt et terram que est prope domum sacre trinitatis que dicitur Arthelgidide et aliam terram in qua sunt masara que est inter jardinum predicte sacre trinitatis et murum civitatis nostre Panhormi in loco qui dicitur Alza. La pergamena porta la data del 6 aprile 1206(3).
Il 28 aprile 1328 venne stipulata una transazione con la Corte regia per la concessione di un’area ricadente nel viridarium della Magione per ampliare e rafforzare il circuito delle mura della città dalla parte di Sud-Est, ponendo in cambio il sollazzo della Favara di S. Filippo assieme a due mulini alimentati dall’acqua di Maredolce; l’atto fu ratificato nel 1339(4).
Con la bolla di papa Onorio III del 1215 i teutonici avevano ottenuto il privilegio di chiamare preti e monaci provenienti da qualsiasi ordine per officiare il culto nella loro chiesa; tra i primi ad accorrere furono i padri domenicani, che vi mantennero la loro permanenza sino al XVI secolo. Nel 1221 l’imperatore svevo pose sotto la sua diretta dipendenza l’ordine, arricchendolo così di ampi possedimenti che ne costituirono la cospicua rendita economica alimentata dalla concessione di numerose masserie e casali sparsi in diversi luoghi dell’isola. E tali concessioni furono confermate il 22 febbraio 1286 da re Giacomo, che pose sotto la sua protezione le case della milizia dell’ospedale di S. Maria dei teutonici esistenti in Sicilia ed in Calabria(5). I beni della Magione di Palermo furono gestiti da un precettore, che doveva render conto periodicamente del suo operato e riceveva gli ordini dal Gran Precettore, nominato direttamente dal Gran Maestro, posto a capo di tutto l’ordine in Italia.
In verità, è solo nel 1295 che si rileva per la prima volta l’indicazione dell’esistenza del casale di Risalaimi per un atto relativo alla fornitura di 7 salme di frumento dell’importo di 9 onze d’oro, che il precettore Sybeck doveva consegnare al convento di S. Agostino a Palermo, proveniente da un tenimento di terra juxtam casale Rasalayni, in cui la forma del toponimo viene registrata nell’accezione del nome originale che non ha nulla a che vedere con quella indicata da Fazello e riferita dal Mongitore(6).
In una memoria di Vincenzo Auria (1625-1710) riportata nel volume manoscritto Miscellanea de urbe panormitana, a proposito del corso del fiume Eleuterio così egli scrive citando il Fazello: Due miglia lontana dalla foce dell’Oreto in su la riva del mare si trovano due fonti che si chiamano l’acqua de’ Corsali, et in altra tanta strada si trova il campo de’ Ficarazzi con gli edifici ed appresso la bocca del fiume Bacharia dov’è un ridotto di piccole barche. Nasce questo fiume alla fortezza chiamata Resalayme, nome saraceno, circa 10 miglia lontana dal mare, da una fonte del medesimo nome che sgorga da una grotta e subito fatto fiume in un villaggio detto Miserella. Scorrendo poscia è accresciuto da altri fonti. Ma gionto ad un’hosteria chiamata Mirti, lasciando il nome di Resalaime piglia il detto nome di Mirti e scorrendo per tre miglia è accresciuto da un altro fonte chiamato Misilmeri. Indi ricevendo seco l’acqua del fiume Bujuto che son salse e tepide ed han virtù di rilasciare il ventre e sanar molte infermità come hanno sperimentato i Palermitani. Finalmente venendo nella contrada della Bacharia, nobile e famosa per la bontà de’ vini ed irrigando tutti quei terreni, lasciando il nome di Mirti, piglia quel della Bacharia, col quale si resta e sbocca nella spiaggia di essa Bacharia e de’ Ficarazzi(7).
Purtuttavia, anche se l’archivio storico della Magione è costituito da una ricca documentazione attinente ai possedimenti della sacra domus, il cui regesto venne pubblicato dal Mortillaro con il titolo Elenco cronologico delle antiche pergamene pertinenti alla real chiesa della Magione nel 1858, abbiamo però scarsi riferimenti riguardanti il castrum di Risalaimi ed altrettante esigue fonti fornisce il volume manoscritto del XVII secolo titolato Libro di privilegi della Commenda et Abatia della Magione sub titulo della Santissima Trinità olim hospitale delli teotonici Hierosolimitani et de novo exemplate per essere redutti et trasportati et de ordine del sig. Hippolito Massetti procuratore generale dell’Ill.mo et Rev.mo sig. cardinale D. Gioannettino d’Oria Abbate et Commendatore di detta Abbatia dell’anno 1627(8).
Certamente notizie relative a maestranze edili impegnate in opere di edificazione nei possedimenti teutonici ci vengono testimoniate sin dal 1427 da rari documenti, inerenti anche il castrum nel feudo della Pietra della Margana, situato tra Vicari e Prizzi, di cui si conosce l’esistenza in un atto di conferma del 10 aprile 1353 concesso da re Ludovico ad Ermanno Reis, precettore dei teutonici in Sicilia(9).
Nicola Altamilia muratore si alloga nel 1427 con il precettore Corrado Hunk per prestare la sua opera, locacio serviciorum pro Mansione, oltre che a Palermo, alla Margana ed a Risalaimi per tutto il mese di agosto, con un compenso di once 3.3 d’oro(10). I giudei Braxon e Xibitan Miseria padre e figlio si allogano nel 1430 con il luogotenente della Magione Giovanni Hasserbarch per tre mesi come muratori in castro Margane, testimoni sono Antonino Columba e Leonardo Sista(11). Il 16 marzo dello stesso anno il magister Tommaso Fadaluni ebreo trapanese si alloga per circondare di mura il baglio oltre che disporre una torre di difesa sull’ingresso del recinto fortificato(12). Il 25 febbraio 1436 viene fatto l’inventario dei beni esistenti alla Margana ed a Risalaimi(13).
Certamente si tratta di un periodo, questo, di rilevante importanza storica soprattutto perchè fu eletto da papa Eugenio IV nel 1435 come amministratore e precettore dell’ordine in Sicilia il reverendo Astolfo Zugerunt a causa di forti contrasti generati col re Ferdinando per la mancata conferma alla casa di alcuni privilegi. La situazione generale dell’ordine teutonico in Europa però cominciava a volgere al peggio particolarmente nelle vaste regioni baltiche e slave in cui si era attuata la massima espansione dello stato teutonico. In questo momento di crisi generale venne eletto nel 1471 precettore e commendatore della casa il tedesco Enrico Hoemeister, il quale si rivelò ben presto uno spirito ambizioso ed uomo dotato di pochi scrupoli.
L’agire poco corretto ed insensato del reverendo Hoemeister dovette suscitare vibranti proteste da parte dei confrati della Magione, i quali si rivolsero ad Innocenzo III ed al Gran Maestro per cercare di frenare gli abusi perpetrati dal precettore. Il papa incaricò l’arcivescovo di Palermo Giovanni Paternò di tentare una mediazione allo scopo di frenare la cattiva condotta del reverendo; parallelamente venne intrapresa un’azione persuasiva da parte del precettore generale Andrea Grimbach, il quale inviò a Palermo due visitatori, il reverendo Guglielmo Wijblingen balivo della Lombardia ed il frate teutonico Adolfo de Gerolzegh con un ordine emanato dal castello di Hornech il 18 giugno 1492(14). Con una mossa a sorpresa Hoemeister tagliò la corda, portandosi via anche il mal tolto ed evitando l’incontro con gli emissari dell’ordine. Nel frattempo, il papa aveva nominato precettore il cardinal Roderico Borgia, di lì a poco eletto papa con il nome di Alessandro VI, il quale dovette rinunziare alla carica ed al compenso di un capitale annuo di 1500 fiorini d’oro; al suo posto subentrò il cardinale Sanseverino. Di tutta la questione cercò di approfittare, prendendone personalmente le redini, il re Ferdinando d’Aragona, che pose a capo della casa dei teutonici il figlio Alfonso, arcivescovo di Saragozza, il quale ne curò gli interessi sino alla nomina ad arcivescovo di Monreale nel 1505.
Una serie di documenti della fine del XV secolo ci fornisce dati interessanti relativi alla consistenza delle strutture fortificatorie ed edilizie ricadenti nell’antico castrum di Risalaimi, sede dell’amministrazione di quel vasto territorio sottoposto all’ospedale di S. Maria dei teutonici di Gerusalemme a Palermo.
Il reverendo Hoemeister aveva concesso a gabella nel 1487 il mulino soprano a Pino Convicino. Questo è uno degli antichi mulini ubicati sulle sponde del fiume Scanzano, tra Marineo e Risalaimi; ad epoche più recenti risale il mulino alimentato dalle acque della Dragonara, di cui rimangono alcuni resti nell’area della masseria di Risalaimi, all’interno del baglio.
Giovanni Lombardo da Cernobbio fabricator si alloga nel 1488 con il reverendo Hoemeister per opere di costruzione; il compenso doveva essere pagato nel banco di Pietro Agliata.
L’11 marzo dello stesso anno Giovanni Del Porto, lombardo, figlio di Romeo, si alloga con Giovanni Sau procuratore della Magione per costruire alcune strutture a solaio in feudo et domo Rysalaimi. Il 3 agosto il calcararo Domenico Di Michele s’impegna a fornire calce proveniente dalla calcara di Risalaimi.
Il 14 agosto Girolamo Di Stasio, napoletano, si obbliga con il procuratore della Magione a costruire una torre a solaio vicino la torre grande del castrum, forse, in prossimità della porta d’ingresso al recinto fortificato; i pagamenti dovevano essere effettuati nel banco di Giovan Battista Lambardi, attivo a Palermo dal 1488 al 1497.
Il 6 luglio 1489 Palmeri Palumbo si alloga per costruire la nuova torre con gettatori (caditoie).
L’8 gennaio 1494 viene fatto l’inventario di tutti i beni della Magione da parte del regio tesoriere Alferio Leofante ed è inviato Goffredo Alia al castrum di Risalaimi per redigere l’inventario degli immobili, di cui riportiamo la trascrizione delle parti essenziali della relazione:
La magestà dilu signuri re nostru signuri per soi letteri secreti ordina providi et comanda si digia prendiri la reali et corporali possessioni per R.C. dila commenda dila casa dila Maxuni et di tutti soi renditi interessi et pertinencii.
Apud castrum Rasalaym.
Hec sunt bona existentia in dicto castro inventa per ipsum Goffridum dicto nomine et primo intus cappellam.
Item conettam unam cum quodam in medio in qua est imago gloriose Virginis Marie cum filio in brachio.
Quatrettum unum cum imagine S. Hieronimi.
In cammara vocata dila stiva
Item plactos duos de mursia (...)
In cammara collaterali predicte.
Item plactum unum de musia magnum et bonum (...)
In cammara armorum.
Item targas duodecim pictas.
Item lancea octo.
Item spingarda unam de brunzo (...)
In dispensa parvula (...)
In dispensa exteriore (...)
In cammara vocata dila turri nova (...)
In sala (...)
In astraco turris nove et magne.
Item spingardas tres cum uno cafullatorio.
Item spingardas duas coniuntas in unam.
Item scalam unam novam gradini 12 (...)
In cammara prope salam (...)
In cammara supra horreum (...)
In cammara dila turri vecha alias dela campana(...)
In horreo (...)
In coquina (...)
In cortili.
Item anatras 7
Item ocas 5
Item gallittos 21
Item columbarum paria 12 prope gallinarium (...)
Bona stabilia.
Item molendinum unum existens in dicto feudo prope dictum castrum.
Item molendinum alium existens in eodem feudo(15).
Dall’inventario descrittivo sulla consistenza del castrum abbiamo la conferma definitiva che la nuova torre venne effettivamente realizzata oltre che dell’esistenza della cappella e di tutti gli altri corpi edilizi che costituivano l’assetto originario della masseria a quella data.
Dalla cappella di Risalaimi (m. 4,64 x 4,20 di lato e m. 4,90 di altezza) provengono gli splendidi affreschi conservati nella Galleria di Palazzo Abatellis.
Abbiamo notizia di altri frammenti di affreschi, probabilmente del XV secolo, provenienti dalla cappella della masseria del Parco vecchio, a pochi chilometri da Marineo verso S. Cristina, che raffigurano S. Domenico, S. Giovanni Battista e S. Bernardo, tutti santi legati all’ordine teutonico. Nel 1476 questa masseria era in possesso di Giovanni La Matina, fratello di Marino barone di Campobello di Licata (1453); nel 1568 essa appartenne a Francesco Di Giovanni e nel XIX secolo era del marchese De Gregorio.
Di un altro ciclo di pitture, forse andato perduto, si ha traccia in un documento del 1478 in cui viene fatta, dalla Magione, una concessione enfiteutica per 29 anni a Giovanni Canino da Corleone di una masseria e di un possedimento di terra, con l’obbligo di restaurare la cappella dedicata a S. Elisabetta e di far dipingere, entro due anni, l’immagine della santa assieme al Ss. Crocifisso ed alla Vergine Maria. Questo era un antico possedimento del monastero di S. Elisabetta a Corleone che si chiamava Ragalzinet (1277), forse l’attuale masseria della Magione, posta vicino al castrum di Busammara (ar. Busamar), l’omonima masseria nel territorio di Rocca Busambra, a Ficuzza(16).
Del dispositivo edilizio del castrum di Risalaimi rimangono oggi soltanto i volumi di alcuni ambienti coperti a solaio che costituiscono un corpo di fabbrica in linea con la porta di accesso decentrata su cui spicca, in asse con l’arco ogivale, l’emblema della famiglia Ram (o Ramo), inciso su una targa quadrata in marmo bianco, di cui è rimasto un frammento in loco così come ce lo descrive il padre Calderone: Uno scudo a croce di Malta, posto alla sommità, va fregiato al centro da un ramoscello d’ulivo o di quercia in campo bianco ed è sormontato da una testolina ignuda di persona virile, in realtà si tratta di un angelo(17). Segno evidente, questo, del possesso del feudo e della masseria da parte di Benedetto Ram (†1561), d’origine aragonese, cui furono concessi il 20 agosto 1519, per un censo annuo di 80 onze, dall’arcivescovo di Valenza Alfonso d’Aragona, il quale lo aveva nominato procuratore generale della Magione il 25 agosto 1514 assieme a Giovan Pietro Formica. Dobbiamo qui ricordare che Domenico Ram, vescovo d’Ossea e di Lerida, fu vicerè di Sicilia assieme a Martino La Torre nel 1418.
Il 27 agosto 1532 Benedetto Ram vendette un tenimento di case a Ludovico Vernagallo nella contrada della Magione, nel cortile detto di Pettineo, corrispondente all’attuale vicolo del Caccamo all’Alloro. L’anno successivo, lo stesso Ram acquistava da Pietro Afflitto procuratore di Girolamo Lanza e del figlio Blasco barone di Ficarra un tenimento grande di case nella vanella che va verso il monastero di S. Chiara, antistante l’attuale piano dei Bologna, oggi palazzo Ugo delle Favare.
Il 9 luglio 1498 Gabriele Giudeo e Giovan Pietro Como fabricatores si allogano con Uberto Carbone per costruire 40 canne di muratura nei magazzini delle terre del Mulinello vicino Risalaimi, strutture edilizie a servizio di uno dei due mulini che dipendevano dalla Magione, citati nell’inventario.
Il 18 dicembre 1464 il precettore frà Leonardo Hordestorfer aveva concesso a Guglielmo e Nicola Vitale per 22 salme di frumento il Mulinello, nella contrada dei Mortilli, vicino le terre del Ss. Salvatore di Palermo(18).
Il 7 agosto 1450, agli atti del notaio Giorlando Virgilito, la badessa del monastero basiliano suor Anastasia Russo aveva locato ai Vitale molendinum di la Batissa, nel tratto di fiume detto dei Mortilli; l’esistenza di questo mulino è testimoniata fin dal 1318. Nella pergamena relativa alla stipula del contratto del XV secolo si trovano i simboli teutonici, cioè lo scudo con la croce nera e l’emblema del precettore. Nel 1477 veniva registrato nella cancelleria del protonotaro l’atto con cui era dichiarato nullo il contratto d’affitto del Mulinello stipulato tra la Magione ed i Vitale(19).
La masseria o mulino dell’Abbadessa apparterrà nel XVIII secolo ai padri di S. Teresa ed assieme ad altre quattro masserie faceva parte del feudo di Bongiordano, posto a levante sulla sponda opposta del fiume di Risalaimi lungo la strada che conduceva da Bolognetta a Misilmeri (contrada Ponte dei Mortilli); nel XIX secolo era in possesso dei marchesi Turrisi-Balestreros.
Gli altri insediamenti agricoli ricadenti in questo territorio erano: la masseria di Arcoleo (Filippo Arcoleo, 1549); la masseria della Guerrera (Elisabetta Guerrera e Teresa Pellegrino); la massariotta di Eleonora Ferrero; la masseria o fegotto di Scozzari (Francesco Scozzari, 1629).
Sull’esistenza di masserie fortificate, di un fondaco e di mulini ubicati nella contrada Mortilli si rilevano numerose testimonianze documentarie attestanti l’appartenenza ad alcuni monasteri palermitani delle strutture agricole sparse nel territorio, dislocate lungo la vallata del fiume Eleuterio percorsa dalla via di penetrazione che da Misilmeri conduceva a Marineo e proseguiva per Vicari, di cui si riconosce l’antico tracciato viario per la presenza di alcuni ponti ad arco in muratura del XVI secolo: il ponte dei Mortilli o di Vicari (1573) ed il ponte di Risalaimi o della Fabbrica (1581).
Il 30 dicembre 1544 Bartolomeo Cappellano concede ad enfiteusi a Giovanni Mastrogiovanni un vigneto con alcune abitazioni, alberi, canneto, ricadenti nel possedimento di proprietà del Ss. Salvatore di Palermo, vicino il feudo del Patellaro confinante con il fiume e le terre del barone di Cutò(20).
Il 14 giugno 1549 Antonino Platamone barone di Cutò vende per onze 622.12.10 a Filippo Arcoleo un luogo dotato di una masseria con baglio, torre, stanze per abitazione ed altro, soggetto al censo di 10 salme di frumento e 2 e mezzo di orzo al monastero palermitano.
Il 19 aprile 1603 l’ospedale di S. Bartolomeo di Palermo assieme a suor Antonina Arcoleo monaca del monastero di S. Chiara, eredi dei beni di Arcoleo, concedono ad enfiteusi a Vincenzo Trigona per onze 122.6 la masseria che nel 1629 verrà data pure ad enfiteusi al sacerdote Luigi Nicosia, beneficiale di S. Nicolò all’Albergheria.
Per quanto attiene al mulino della Badessa, il 13 gennaio 1550 Giacomo Spallitta concede alla madre Tommasa il mulino dei Mortilli confinante con il luogo di Giovanni Messina, di Domenico Nobili ed il vigneto di Giovanni Antonio Montalbano; il 25 settembre 1564 mastro Spallitta avanza le proprie lamentele alla badessa perchè Giovan Martino Grasso voleva costruire un mulino adiacente al suo. Nel 1531 Antonio Messina, marito di Antonia Mango (1505), aveva soggiogato due onze di censo a favore di Benedetto Messina, pro fabrica eorum fundaci existentis in feudo delli Mortilli(21).
Il 23 novembre 1557 Melchiorre Messina enfiteutica a Giovanni Platamone il fondaco assieme al baglio ed alla torre: Fundacum nominatum delli Mortilli in multis corporibus consistens ac aliis domibus et stantiis cum dicto fundaco aggregatis turri balio et aliis ac vineis canneto arboribus et aliis, fundacum ipsius mag.ci concedentis consistentem: l’intrata con lo scarricaturi di detto fundaco/ Item una stantia terrana appresso di detto scarricaturi / Item unaltra stantia solerata suso et iuso trasendo la porta dello fundaco a mano dritta / Item la panetteria / Item dui stalli grandi / item la paglialora / Item lo magasenotto la porta di detto magasenotto conrespondi dentro la stalla di detto fundaco.
Il 6 luglio 1562 viene stipulato un atto di transazione tra Giovanni Aloisio Garillo aromataro, tutore di Fabrizio Marino, con il presbitero Pietro Mango. Nel XVIII secolo questa masseria detta del Patellarotto o di Garillo, ricadente nel territorio di Misilmeri, era soggetta a censo al principe della Cattolica. Pare che la torre esistesse fin dall’inizio del XVI secolo, come si rileva dalla licenza di costruzione accordata dal vicerÈ La Nuza ad Antonino Cangialosi il 18 luglio 1499.
Nel 1485 Enrico Xillia chiede il consenso di costruire un mulino ai Mortilli, nel feudo appartenente al monastero di S. Spirito di Palermo; questi nel 1476 aveva acquistato da Pietro La Grua barone di Vicari e di Carini il feudo di Bizzoli. La moglie di Enrico, Bartolomea, ottiene dalla Corte nel 1493 la licenza di costruire una torre ed il baglio nel suo luogo ai Mortilli vicino il fiume(22).
La nuova documentazione, ora acquisita, smentisce le considerazioni svolte da Trasselli nel suo saggio Da Ferdinando il Cattolico a Carlo V, a proposito della masseria appartenuta ai Del Maistro, di cui riportiamo un brano significativo: Domenico del Maystro fortifica una masseria situata tra le gole dei monti presso le sorgenti di Risalaimi. Il luogo apparteneva ai Teutonici e vi era una cappella con affreschi ben noti di Tommaso di Vigilia (NdA, †1499, attribuiti - ma non documentati - da Giuseppe Meli nel 1857, ora custoditi a palazzo Abatellis, nella sala Risalaimi). In questo caso la fortificazione trova una spiegazione ovvia anche se complessa. A Risalaimi nasceva l’Eleuterio, allora chiamato fiume di Bagheria che irrigava le colture di canne da zucchero di Ficarazzi: i Campo, gli Imperatore, gli Speciale avevano costruito un acquedotto (ancora esistente e funzionante, come la masseria di Risalaimi) per assicurare l’acqua. Il padrone delle sorgenti doveva fortificarsi se non voleva essere estromesso.
Il Trasselli fu tratto in inganno dalla richiesta avanzata alla Regia Corte da parte di Del Maistro per ottenere la licenza, poi concessa il 3 maggio 1499, di edificare una torre cu merguli in una masseria nel feudo di Risalaimi, adiacente a quella di Giorgio Garrone, al fine di dare sicuro rifugio a sé ed agli uomini che vi risiedevano; questa masseria era soggetta al terraggio annuo di 5 aratate alla Magione, cioè di 4 salme di frumento ed una salma d’orzo ad aratata oltre che alla decima per il vigneto, con l’obbligo di apportari ad castrum Risalaimi. Ciò conferma definitivamente la nostra ipotesi che la masseria dei Del Maistro non si identifica con quella di Risalaimi.
Sul mercante Giorgio Garrone rileviamo due annotazioni, una risalente al 1487, da cui egli risulta creditore di Domenico Gagini marmoraro e del fiorentino Francesco di Giuliano faberlignarius per onze 11.10, l’altra del 13 ottobre 1491 relativa all’atto di acquisto di una casa grande nella contrada del Garraffo vendutagli da Francesco di Clemente.
Domenico Del Maistro doveva essere imparentato col banchiere Giovanni, e forse ne era il figlio, di cui Matteo Di Silvestro risulta il procuratore degli eredi nel 1476, come è testimoniato da una lettera di cambio di 550 fiorini proveniente da Valenza ed accreditata nel banco di Pietro Agliata(23). Giovanni Del Maistro, già defunto nel 1473, era forse in rapporti di società con i banchieri Guglielmo Aiutamicristo e Giovanni Costanzo (†1482); nel 1486 l’Aiutamicristo acquistava la baronia di Misilmeri da Guglielmo Talamanca e Giacomo La Grua signori di Carini. E va detto che i Del Maistro erano probabilmente di origine veneta; infatti, in un documento del 1477 depositato nella Cancelleria viene concesso al veneziano Marco Giorni, erede dei Del Maistro, di prelevare grano dai caricatori dell’isola tranne che da Girgenti; un Michele Giorgi fu custode del porto di Palermo nel 1407.
Sigismondo Mulfigil precettore della Magione concede nel 1470 a Gaspare Di Silvestro alias Gargano una masseria nel territorio di Risalaimi. Egli possedeva una casa nella ruga viridi a Palermo, l’attuale via Scavuzzo, nell’area del giardino della Magione, come si rileva da un contratto stipulato l’8 luglio 1473 con il fabricator Giovanni Grasso (†1497) teutonicus, cioè famiglio dell’ordine; Di Silvestro affitta metà dello stazzone in contrata pontis Admiratus a Manfredi Gallo nel 1490.
Il 27 giugno 1499 Domenico Del Maistro loca a Marco Lanza neofita una casa solerata posta nel Cassaro, nella vanella detta di Bundo Campo, di fronte la casa di Matteo Lo Vecchio. I Del Maistro possedevano a Palermo diverse proprietà, che avevano acquisito dagli ebrei prima della diaspora nel 1492; e infatti Francesco acquistava per 18 onze da Abram Salomon due botteghe ed una casa solerata nel Cassaro, mentre Domenico aveva comprato per 120 onze da Aron Azen, ricco mercante ebreo, una casa grande sempre nel Cassaro oltre una vigna ai Colli(24).
Il 25 febbraio 1511 lo stesso Domenico permuta con Giovanni Nava, maestro notaro della Regia Corte, massariam dicti d.ni Dominici sitam et positam in territorio Risalymi cum turri stanciis magasenis teguriis et vinea canneto bobus septuaginta vel circa stivilibus vegetibus vino tini stringitorio aceto gallinis columbis cum magaseno unite et agregate ditte massarie dila turri, il quale l’aveva acquistata il 6 giugno 1510 dando in cambio il marcato del feudo della Mandra di Mezzo, che il funzionario regio aveva comprato per 400 onze da Girolamo Lampiso dottore in leggi e barone di Gibellina nel 1509; nel 1486 Giovanni Morso aveva acquisito la terra e castrum di Gibellina da Calcerano e Vincenzo Corbera e questi nel 1475 da Giovan Giacomo Ventimiglia. Il dottor Lampiso aveva comprato per 600 onze nel 1490 la baronia di Galati da Guglielmo Raimondo Lancia barone di Ficarra (†1498).
Alla morte di Domenico Del Maistro, il 27 agosto 1516, subentrano come eredi la moglie Bartolomea ed Antonia sua figlia, la quale sposa Nicola Pollastra il 23 gennaio 1519. Bartolomea moglie Del Maistro era la figlia del mercante pisano Simone Aiutamicristo († 1515), appartenente ad un ramo collaterale del più noto Guglielmo, banchiere.
Simone nomina erede universale il nipote Simonello, disponendo che egli doveva assumere soltanto il cognome della sua famiglia, escludendo quello del padre.
Mi sembra interessante avanzare l’ipotesi che le attività di lucro derivate dall’esportazione mercantile di prodotti minerari siciliani siano stati la principale fonte economica da cui si traeva la disponibilità per la trasformazione nell’acquisto di beni immobili e per l’investimento in proprietà agricole.
Ciò viene testimoniato dalle forti esportazione di allume e di salnitro, uno dei componenti la polvere da sparo, che si registrava frequentemente nell’ultimo trentennio del XV secolo, esercitate da parte dei mercanti pisani, Agliata, Rosolmini, Del Tignoso, Orlandi, Buondelmonti e compensate dall’importazione di "ferro pisanisco" che veniva impiegato nella fusione dei pezzi di artiglieria.
Nella relazione originale, mancante nella parte iniziale del documento, sulla stima della masseria dei Del Maistro, redatta dai periti Antonio Di Francesco e Paolo Guastapane, abbiamo un riferimento al magazzino posto nella massaria di lu Oglastro, dal che si può ipotizzare che l’ubicazione dell’insediamento di questa struttura agricola si trovava nel territorio che prendeva il nome da un’antica chiesa denominata S. Maria dell’Ogliastro nella contrada di Roccabianca; trattasi della stessa masseria fortificata con la torre che Vincenzo Settimo, figlio di Giuseppe, assieme al genero Francesco Lanza ingabellerà a Marco Mancini il 21 marzo 1607. Il 6 maggio 1574 Giliberto Bologna chiedeva la concessione di popolare il feudo Casara (Bolognetta)(25).
Inizia con il Mancini l’attività di popolamento del feudo dell’Ogliastro conseguente all’assegnazione individuale di una salma e mezza di terre a vigneto, incentivata dall’obbligo di costruire anche le abitazioni (case terrane). Le quote assegnate furono ripartite tra Leonardo Sileci, Giuseppe Catalano, Pietro e Francesco Zuccaro, Mariano Chirco, Filippo Nuccio, Gandolfo D’Elia, Francesco Geracane, Vincenzo Bonanno, Vincenzo Gazzana e Vincenzo Rocco, tutti provenienti da Marineo.
Nel 1706 mastro Antonino Puglisi fabricator riceve da Pietro Agliata 8 onze per il compenso di alcuni restauri eseguiti nella masseria di Roccabianca alla torre ed alla chiesa, segno tangibile sulla permanenza dell’antico nucleo edilizio: Item per una carrozzata di calcina per havere ripigliata a fare la mangiatura e mettere altri dui rombagli di tavola nella stanza di supra et haverci murato sopra li detti rombagli et havere ripigliato le due incosciature della porta dello baglio et havere fatto dui pilastrini alla porta sotto la cammara della torre et havere posto li canali della chiesa in calcina et havere allattato la chiesa dentro et fuori e consarci li scaloni dell’altare(25).
La masseria di Roccabianca nel XIX secolo apparterrà ai principi di Linguaglossa.
2. Il feudo di Risalaimi e le masserie fortificate nella valle dell’Eleuterio
Si è d’accordo certamente sulle considerazioni di carattere generale formulate dal Trasselli circa la presenza delle torri di difesa, che divennero parte integrante delle masserie e furono erette più frequentemente a partire dalla seconda metà del XV secolo, come si desume dalle numerose concessioni sottoposte a licentia edificandi da parte dell’autorità regia, date anche a semplici borghesi purché ne avessero fatto richiesta, al fine di garantire la sicurezza degli uomini addetti alle colture agricole, oltre che essere centri organizzati per la gestione economica del territorio.
Da un atto dichiaratorio redatto il 14 aprile 1523 da parte di Benedetto Ram sulla concessione del feudo di Risalaimi stipulato in notar Giovan Francesco Formaggio il 27 maggio 1519 possiamo conoscere quali fossero i territori circostanti: secus pheudum vocatum de Marineo versus xilocco et secus pheudum deli Borgesi versus meridiem et secus pheudum del Parco vecchio ... et secus pheudum delo Chianetto versus occidentem et secus pheudum dilu Casali versus maistrali et secus pheudum di Misilmeri versus septentrionem et secus pheudum delo Patillaro versus greco et secus pheudum vocatum di Buongiordano versus orientem et secus pheudum di Casacca verso livanti et scirocco(26).
Questo è l’unico documento in cui viene descritta puntualmente la perimetrazione dei confini territoriali del feudo di Risalaimi, mancando altre precedenti definizioni in assenza di mappe topografiche da cui si sarebbe potuta precisare meglio la localizzazione degli insediamenti rurali.
Quindi ci dobbiamo orientare sulle fonti manoscritte tratte da documenti coevi registrati prevalentemente negli atti notarili. In un volume del fondo Magione in data 30 aprile 1550 vengono emanate lettere viceregie per la concessione in enfiteusi del feudo di Risalaimi in cui sono elencate le masserie ricadenti in quel territorio:
- la masseria di Giovannella La Manna (1470)
- la masseria di Simone Caravello (1520)
- la masseria di Paolo Bontempo (1470)
- la masseria di Antonino D’Antonio
- la masseria di Giovanni Caruso (1525)
- la masseria di Nicolò Amari (1547).
L’8 agosto 1549 in notar Cataldo Tarsino venne stipulato l’atto di compravendita tra Antonuzzo Amari e l’acquirente Vincenzo Bosco barone di Vicari(27).
Il 3 novembre 1524 Benedetto Ram aveva un credito di onze 6.29, dovute da Giacomo Ganci per l’affitto di una masseria, detta appunto di Ganci.
Dobbiamo precisare che le date apposte in parentesi nel precedente elenco sono state desunte dagli atti notarili attestanti il primo possesso o le concessioni a gabella soggette al pagamento di un censo alla Magione di Palermo.
Registriamo di seguito alcuni documenti relativi a locazioni o vendite di beni nel territorio di Risalaimi a partire dalla seconda metà del XV secolo.
Il 13 dicembre 1473 viene rilasciata dai teutonici una concessione enfiteutica a Nicola Palermo da Castelbuono per una quantità di terre vicine la sua masseria allo scopo di impiantarvi un vigneto.
Il 22 novembre 1479 viene dato in gabella il mulino soprano (Mulinello) a Francesco Bono per 40 salme di frumento.
Il 3 gennaio 1498 fu stipulata la vendita di un luogo con casa terrana vicino il castrum di Risalaimi da parte di Paolo Catignano a Nicola Palermo.
L’11 ottobre 1498 viene confermata l’assegnazione della masseria di Filippo Palermo ai figli Nicolò e Bernardo.
Il 26 ottobre 1525 Bernardo Palermo vende a Pietro Palmeri la sua masseria, ubicata vicino la masseria di Simone Caravello, la masseria di Matteo Cinquemani e quella di Giovanni Caruso al confine con il bosco di Roccabianca: cum domibus magaseno stabulo vineis olivis et arboribus domesticis et silvestribus cum tegurio novalibus restuchiis bobus animalibus stivilibus et aliis omnibus et singulis in eo tunc existentibus.
Nel 1547 Angelo Macrì sposa Antonella Palermo figlia di Bernardo, la quale rivendica la quota spettante dalla vendita della masseria che confinava con le terre di Nicola Amari castellano di Cefalà (1520) e con il castrum di Risalaimi.
Il 20 aprile di quell’anno Francesco Narsilio rinuncia il possesso di una masseria ad Antonino Giardinello: massariam cum vineis et viridario in eis existentibus sitas et positas in territorio Risalaymi secus feudum seu territorium nuncupatum di Marineo ex una parte et secus terras Petri Palmeri ex altera et alios confines, soggetta a 4 salme di frumento ed una salma d’orzo annuali dovuti a Girolamo Settimo per contratto stipulato in notaio Antonino Lo Vecchio il 24 novembre 1544(28).
Dei passaggi di proprietà della masseria di Matteo Cinquemani abbiamo notizia fin dall’1 settembre 1489 per la vendita fatta da Giuseppe Polito giudeo a Pietro Antonio Iacopinello; la massria, soggetta a censo alla Magione per due aratate, precedentemente era stata concessa a Giovanni La Ferla.
Elisabetta Iacopinello figlia di Pietro Antonio e Bartolomea sposava nel 1510 Giacomo Scorsone. Il 26 ottobre 1480 moriva Leone Iacopinello lasciando eredi i figli Pietro Antonio e Masi Andrea, omonimi del notaio Federico Iacopinello (1515).
Il 14 agosto 1520 Tommaso Giangrasso stipula un contratto di compravendita in notaio Antonino Pisano con il genero Michele Cinquemani per l’acquisto di una masseria a Risalaimi di due aratate di terra, soggetta a 4 salme di frumento e una d’orzo ad aratata, posta vicino la masseria di Bernardo Palermo e la masseria di Simone Caravello(29).
Nel 1525 Federico Abbatelli junior vende la baronia di Cefalà a Francesco Bologna tesoriere regio e barone di Capaci, delimitata da un vasto territorio che racchiudeva il feudo del castello (Cefalà) a sud, il feudo della Suvarita a sud-ovest, il feudo di Currioli a nord-ovest, il feudo di Casara (o Casaca) a nord, il feudo della Torretta a nord-est, il feudo del Molinazzo a levante, il feudo delle Mendole a sud-est; quindi, tutto l’attuale territorio ricadente nei comuni di Cefalà Diana, Villafrati e Bolognetta (cfr. appendice 1)(30).
Il 18 febbraio 1406 Pietro Raimondo Falgar aveva venduto a Giovanni Abbatelli la terra e castrum di Cefalà(31).
L’Abbatelli ed il Bologna erano imparentati tramite le rispettive mogli con i Mastrantonio; infatti il primo aveva sposato Elisabetta, mentre Francesco Bologna aveva preso in moglie (1506) Antonella, figlia di Aloisio Mastrantonio signore di Iaci e di Sambuca (†1505) e di Laura Bracco. La presenza di un Antonio Mastrantonio milite viene registrata in un contratto stipulato con il luogotenente della Magione il 31 agosto 1487 per l’affitto del feudo della Gulfa (Alia).
Nel 1531 Antonino Bologna, figlio di Francesco e di Antonella, richiede l’attestato di nobiltà per entrare nell’ordine gerosolimitano. Il 6 settembre 1530 un altro figlio di Francesco, Girolamo, sposa Vincenza Agliata, figlia di Giacomo barone di Castellammare del Golfo; il 7 novembre 1536 egli dispone nel suo testamento di essere seppellito nel convento di S. Francesco di Palermo. È probabile che il suo memento sepolcrale fosse stato eseguito da Giacomo Gagini, perchè alla stessa data lo scultore si alloga per 10 onze con il padre Francesco per la realizzazione di un’analoga opera recante gli emblemi dei Bologna e dei Mastrantonio.
Il 12 giugno 1537 un altro figlio del tesoriere, Pietro, sposa Giovanna Bologna, figlia di Antonino dottore in leggi e di Fiorenza.
Salvatore Mastrantonio, fratello di Antonella, aveva venduto a Vincenzo Imbarbara, padre di Polisena, vedova di Giovanni Ingo (testamento in notaio Vincenzo Admare del 9 settembre 1545), la masseria di Marineo, di cui Giliberto Bologna suo nipote chiedeva la restituzione: quandam massariam cum stanciis viridario vineis et aliis diversis juribus et pertinenciis universis sitam et positam in feudo Marinei suis confinibus limitatam.
Nel 1549 Francesco Bologna (†1552) barone di Cefalà e di Capaci chiede lo jus populandi sul feudo di Marineo. Il 3 febbraio 1553 viene registrato l’inventario dei beni del defunto barone di Cefalà(32).
La concessione per edificare la nuova terra di Marineo certamente sarà stata utilizzata nel tempo con ampia facoltà e di questo si ha conferma attraverso documenti che attestano gli atti di locazione di terre ed abitazioni già costruite date a censo a numerosi coloni nel 1568 da parte di Giliberto Bologna barone di Marineo; il 3 febbraio 1571 Giliberto vende ad Aloisio Scavuzzo Russo, figlio del notaio Giacomo, il feudo e castello di Cefalà assieme al fondaco, balneas et alias stancias ed al feudo delle Mendole (cfr. appendice 2)(33).
Il 15 gennaio 1601 viene fatta richiesta di fondare una nuova terra da parte di Vincenzo Spuches barone di Amorosa, dopo aver acquisito i feudi delle Mendole e del Molinazzo, cui sarà dato il nome di Villafrati da Aloisio Villafrates (1577)(34). Giliberto Bologna aveva sposato Elisabetta Ram, figlia di Benedetto e di Giovanna Levi, esponenti di facoltose famiglie spagnole oltre che di banchieri; nel 1518 il Ram era socio di Giovanni Sances; ricordiamo pure che nel 1497 esisteva a Palermo un banco Sances-Levi e che Alfonso Sances fu castellano di Cefalù nel 1489.
I figli di Giliberto erano: Giovanna, sposata con Fabrizio Valguarnera (†1589) di Simone barone di Godrano, il quale ricoprì la carica di pretore di Palermo; Vincenzo, investito del titolo di marchese di Marineo, che sposò Emilia Aragona Tagliavia; Susanna, che andò a nozze con Tommaso Gioeni Cardona marchese di Giuliana; infine Maria, prima moglie di Mariano Migliazzo marchese di Montemaggiore nel 1570, il quale sposò in seconde nozze la vedova Fiammetta Paruta.
L’altro fratello di Giliberto, Aloisio barone di Montefranco, si unì in prime nozze con Costanza Settimo (†1557); i figli di questi furono: Giulia, sposata nel 1551 con Ludovico Galletti figlio di Lorenzo e di Antonia Centelles, e Francesco, marito di Giulia Accascina figlia di Tommaso (†1547) e di Brigida. La seconda moglie di Aloisio fu Eleonora Grifeo, sposata nel 1559. Un altro ramo dei Bologna si imparentò con i Leofante; Girolamo, figlio di Nicolò, fu il suocero di Francesco Bologna senior (†1515), il quale ricevette in dote dalla moglie il territorio di Balestrate. Il figlio di questi Baldassare Bologna (†1544) generò Francesco junior (†1553), Elisabetta che divenne la moglie di Antonuzzo Amari, e Mariano, maestro razionale. Questo, in sintesi, il quadro degli imparentamenti gravitanti attorno ai grandi casati che agiranno come il motore di una macchina in vorticosa rotazione per acquisire il possesso dei beni ed accaparrare un considerevole numero di proprietà appartenenti ai vasti feudi.
Per comprendere meglio questo complesso meccanismo di interessi economici che gravitavano attorno ad alcune famiglie feudali vengono riportati tutta una serie di contratti di compravendita di immobili che ne attestano i numerosi passaggi di proprietà, compresi quelli relativi al feudo e castrum di Risalaimi a partire dal 1533, anno in cui Benedetto Ram lo cede ad Antonino Diana Settimo per 3000 onze, soggetto a censo alla Magione(35).
Il 9 novembre 1544 viene stipulata una società fra il ciantro della cattedrale Nicola Vincenzo Bologna, Antonuzzo Amari e Francesco Bologna figlio di Baldassare per la gestione del trappeto di cannamele di Partinico. L’attività di questa impresa economica è testimoniata fin dal 1525, anno in cui lo stazzonaro mastro Silvestro D’Antonio si obbligava con i Bologna di fornire 6000 forme d’argilla per la conservazione dello zucchero, che dovevano essere consegnate in eius stazono retro S. Antonii porte Termarum a Palermo, cioè nell’area vicino la porta di Termini; il pagamento doveva essere effettuato nel banco Sances-Ram.
L’11 marzo 1545 Giovanni Aloisio Settimo, tutore di Baldassare Diana Settimo, erede universale del padre Antonino, enfiteutica a Leonardo Di Trapani per 18 tarì una salma di terra a Risalaimi nel vallone del Landro (Oleandro), vicino le terre di Nicola Papisco, per poter impiantare un vigneto; il 13 settembre 1547 Tommaso Caruso calabrese lo vende a Pietro La Vigna habitator Marinei; il 30 gennaio 1569 egli acquista per 4 onze un mulo da Francesco Lo Duca palermitano ed il 6 dicembre 1571 la moglie Francesca, procuratrice della confraternita del SS. Rosario, compra dal marchese di Marineo una casa terrana per 10 onze in strata magistra: ciò attesta l’avvenuta edificazione del nuovo centro. Il 12 ottobre 1547 Girolamo Diana Settimo concede in enfiteusi a Francesco Di Raimondo un terreno compreso nel territorio del feudo di Risalaimi, secus feudum nominatum lu Parcu vecho et secus viam publicam quod pecium terre ut dicitur pigla dila finajta di ditto Parco et va ala via et nexi fina undi Cola Capunetto et a baxio nexi alu xiumi. Trattasi di quello stesso terreno coltivato a vigneto consistente in due salme di terra che Vincenzo Bosco, luogotenente del maestro giustiziere e pretore di Palermo, concede a censo nel 1554 ad Andrea Calvo alias Monaco di Noto per onze 2.12.
Il 12 dicembre dello stesso anno vengono concesse ad enfiteusi a Francesco Campisi 5 salme di terra ad opus et effectum in dittis terris plantandi vineas, vicino al vigneto di Nicola Guardabasso e a quello di Marco D’Agostino.
Certamente la coltura della vite nel XVI secolo subirà un notevole incremento in questo territorio e di ciò testimoniano i numerosi contratti che attestano il sorgere di nuovi impianti agricoli. Alcune concessioni vengono fatte da Giliberto Bologna il 23 agosto 1568 in contrata de lo passo de la Dayna (ar. Ayn, fonte d’acqua) ad onza 1.6 la salma di terra nel feudo di Buceci, in cui era l’antico monastero di Scanzano, ora distrutto, da cui proviene la tavola dipinta della Madonna della Dayna; i concessionari furono Giovan Battista Lo Giudice, Salvatore Imbarbato, Bartolomeo Pinto, Bernardo Badami, Giacomo Scicli, Antonino Gianferraro, Cono Quadaruni, tutti abitanti di Marineo.
Sicuramente questo sarà stato il motivo che porterà molti coloni provenienti da altre zone ad acquisire possedimenti per poter impiantare e sfruttare in maniera intensiva le colture agrarie, con l’opportunità anche di risiedere nelle nuove abitazioni che si andavano costruendo nei centri di nuova fondazione: le concessioni di terreno agricolo erano vincolate con la clausola commorandi et habitandi in perpetuo cum eius domo et familia, così come avverrà per il popolamento del feudo di S. Maria dell’Ogliastro incentivato dal fiorentino Marco Mancini agli inizi del XVII secolo.
Il 7 agosto 1545 Baldassare Diana vendeva ad Antonuzzo Amari il feudo di Risalaimi per 3150 onze ed il 29 ottobre dello stesso anno Francesco Bologna barone di Cefalà acquistava dall’Amari una masseria di 4 aratate e mezzo nel feudo delle Mendole(36).
L’11 agosto 1546 Antonino e Girolamo Leone vendono al barone di Soria una masseria di 5 aratate e mezzo nel feudo di Balletto, appartenente all’arcivescovado di Monreale, vicino alla masseria di Francesco Di Giovanni e a quella di Alfonso Ruiz.
Nel dicembre di quell’anno l’Amari loca ai fratelli Giovan Antonio e Stefano Pisano le stanze terrane della masseria di Risalaimi per impiantarvi una vetriera, cioè una fabbrica per la lavorazione del vetro: trattatasi di imprenditori genovesi che avevano dato luogo a questo nuovo tipo di attività insediandosi nell’area della Kalsa a Palermo, l’attuale via Vetriera(37).
Sull’esistenza della nuova strada abbiamo una testimonianza pervenutaci attraverso un documento del 19 maggio 1545 in cui Antonuzzo Amari enfiteutica a Sebastiano Luciano per onze 18.6 annuali due cortili di case consistenti in otto case terrane ed un magazzino in cui a cantonera era dipinta l’immagine di S. Cristoforo, nel terreno in cui era impiantata la vigna della Magione, in ruga noviter constructa in dicto terreno per quam itur ad ecclesiam S. Marie de Spasimo, vicino il cortile di case di Antonino Leone, a fronte della casa di Giovan Battista Li Muli.
Il 13 giugno 1548 Antonino Landolina, pittore catanese, si alloga con l’Amari per dipingere un S. Cristoforo simile a quello che si trovava nella casa del barone di Cefalà; l’Amari aveva la casa nella strada dell’Alloro, vicino alla vecchia chiesa di S. Maria della Pietà.
Il 10 aprile di quell’anno vengono eseguiti lavori da parte di Luca La Manna fabricator per costruire un dammuso cioè una volta sopra l’ingresso del castrum di Risalaimi, oltre alla scala d’accesso che doveva condurre alla sala della torre; da qui possiamo dedurre che l’attuale vano posto sopra l’arco d’ingresso introduceva al punto alto di difesa, ormai scomparso, evidenziato da un sistema di feritoie in basso.
Sull’armamento del castrum abbiamo una conferma indiretta pervenutaci attraverso un documento del 16 settembre 1524 in cui Benedetto Ram ordina a Pietro Arena bombardiere di fondere due colubrine di bronzo lunghe 12 palmi (circa 3 metri) e di 20 cantara (circa 1600 Kg); non abbiamo però indicata la dislocazione dei pezzi dell’artigliera, ma ertamente Ram voleva difendere la sua proprietà. Gli Arena furono i componenti di una famiglia di rinomati fonditori di campane e di artiglierie originari di Tortorici, residenti a Palermo fin dalla seconda metà del ‘400.
Il 26 gennaio 1547 Elisabetta Sances, vedova di Alfonso Ruiz, protonotaro del Regno, concedeva a Federico Amari barone di Melia, sposato con Laurea Calvello figlia di Simone (1550), fratello di Antonuzzo, una masseria cum parco seu mandra nel territorio di Monreale, in feudo di Roccazzu russu feudum di Molinello ex una et confinantem cum vallone feudi di Archivocali et vallonem di Chicala, e il 10 settembre venne redatta la relativa relazione di stima. Lo stesso Federico vendeva al sacerdote Andrea Gambino due masserie nel feudo Currioli, territorio di Cefalà(38); certamente l’attività economica degli Amari, in quel periodo, si dimostrava molto dinamica nell’acquisto e nella vendita di immobili agricoli.
L’8 agosto 1549 Vincenzo Bosco, barone di Vicari, Misilmeri e Baida, acquista da Antonuzzo Amari (†1556) per 3200 onze il territorio di Risalaimi(39); e sarà significativo a questo punto constatare quanto costituirà l’ammontare della vendita che Francesco Bosco effettua l’1 ottobre 1587 a Girolama Ferrero, baronessa di Pettineo e Migaido, figlia di Paolo (†1575) savonese, per onze 11802.17(40).
I coniugi Marc’Antonio e Girolama Ferrero, assieme al figlio Giovanni Bernardo, soggiogano il 16 agosto 1612 al genovese Antonio Bartolotto 100 onze, imposte sul territorio e sul castrum vetus di Risalaimi oltre che sul loro palazzo sito nella strada Toledo, nella contrada dei Lattarini (attuale palazzo Larderia).
Il 27 aprile 1637 il feudo di Risalaimi veniva ceduto da Francesco Ferrero, donatario di Girolama, a Giovanna Ferrero Arrighetti(41) ed era posto in deputazione nel 1655, passando sotto l’amministrazione del Tribunale nel 1702 alla morte di Eleonora Ferrero baronessa di Pettineo, vedova di Marco Mancini, terzo marchese dell’Ogliastro. Il feudo di Risalaimi venne stimato in salme 1707, comprendenti molino, bosco, acqua da circa 12 zappe, castello, paratore, vigne, oliveto, massarie e giardini.
In una relazione descrittiva del territorio di Palermo del 17 aprile 1807, eseguita dall’agrimensore Paolo Vitale per conto di Salvatore Notarbartolo conte di Priolo, troviamo indicati i possedimenti dei feudi ed i confini di Misilmeri, Pagliarazzi, Risalaimi, Ogliastro, Marineo, S. Cristina e Mezzano: Stato e territorio di Risalajmi proprio dell’illustre principe di Valguarnera consistente nelli feudi di Gulino, Scalambra, Raffi, Amendola, Roccabianca, Giampaolo e Scalia confinante feudo del casale di Scorso, stato di Menzagno (N), stato di Misilmeri (N-E), stato di Marineo (S), feudo del Parco vecchio e feudo del Pianetto (O)(42). L’intero feudo consisteva in 900 salme di terra pari a circa ha. 2357. Un riscontro visivo del vasto sistema territoriale si trova rappresentato in un dipinto conservato presso l’Archivio Storico del Comune di Palermo, in cui si descrive la Pianta topografica del territorio con tutte le dilucidazioni (1809); il compilatore fu Giovan Battista Porcari, redattore della topografia l’architetto camerale Luigi Speranza(43).
La vasta e complessa rete di interessi legati allo sfruttamento delle risorse agricole di questo territorio nel XVI secolo stimola certamente a una ricerca archivistica minuziosa e capillare, che metta in evidenza le complesse situazioni legate all’evoluzione dei rapporti economico-sociali che si intersecano con una continua e frenetica acquisizione di beni, tramite gli imparentamenti, da parte di alcune famiglie nobili, protese a mantenere saldo il proprio prestigio attraverso l’ascesa alle cariche civiche e attestandosi sulle cospicue proprietà dei feudi e sulle risorse economiche provenienti dallo sfruttamento delle colture più redditizie oppure fondando nuovi centri abitati.
Appendice Documentaria:
N. 1. Descrizione dei confini territoriali della baronia di Cefalà per la vendita effettuata con il consenso della regia Corte a Francesco Bologna il 21 luglio, XIII ind., 1525 (ASPa, FND, 3796, f. 118).
5 aprile, XIV ind., 1526
"Le finaite della baronia di Cefalà sono lo ditto fego dilo Castello lu quali confina cù lo fego di Mezzo jusufo et cù lo fego di Scorcha vacca incomenza dila via dila portella di Blasi et va ala mandara supra la vigna di Corbino et dillà cala a drictura dila chersa che è intro ditta vigna di Johanni Corbino et dillà si metti la via via che tornia la detta vigna che nexi ala punta di buretto intra lo valluni undi affinaita cu Scorcha vacca et acchana lo valluni valluni che nexi a dritto lu pizo di Longu beccu ala serra et va la serra serra versu muntichu undi in mezzo di dicta serra chi è uno roccazzo cù una troffa di alastri cù uno ruetta circum circa che finixi detto fego di lo Castello et incomenza lo fego dila Suvarita lu quali confina cù lo fego preditto di Scorcha vacca et cù lo fego dilo Gudurano et cù lo fego dilo Cappilleri et cù lo fego di Marineo lu quali fego dila Suvarita incomenza dilo ditto roccazzo et va ala petra di Cargimuna et mettisi alo valluni di supta di ditta petra et nexi susu alo yhalinchi che nexi alu frapino grandi che affinaita cù lo fego dilo Gudirano et va suso ali finaiti et alo taglu deli rocchi supta dila Cannamasca et respundi alu gurguletti et nexi ali serri serri alo chano dila valli dila Chanca affinaitando cù lo fego dilo Cappilleri et respundi a drictura ala portella dila Suvarita et confina cù lo fego di Marineo et dillà si metti la serra serra che va ali Currioli et va la serra serra fina ala portella dili Currioli undi finixi ditto fego dila Suvarita et incomenza lo fego dili Currioli incomenza dila ditta portella et mettisi la serra serra confinando cù lo fego di Marineo sempri li serri serri che calano ali fontanazzi che confinano cù Marineo et illoco finixi lo fego dili Currioli et incomenza lo fego di Casaca lu quali confina cù lo fego di Marineo et cù lo fego di Rocca blanca et cù lo fego di Bonjardino et cù lo fego dili Bizoli lu quali fego di Casaca incomenza dili ditti fontanazzi et cala la via via di lacqua dili fontanazzi et mettisi intro lo valluni che va lacqua dili fontanazzi lu quali valluni affinaita cù Rocca blanca et cala alo cugno dilo contrasto intro lo valluni di ditto cugno dilo contrasto lu quali cugno è uno cavallo di terra chi è comuni di ditta baronia et dilo fego di Risalaimi et nexi a drictura ala via grandi undi chi su multi suvari et alastri et cala intro lo valluni affinaitando cù lo fego di Bonjordano et nexi lo valluni valluni ala portella di serra undi sunno li finaiti et dillà va ala via via affinaitando cù lo fego dila Turretta et dillà incomenza lo ditto fego dila Turretta affinaitando cù lo fego dili Bizoli et cù lo fego dila Nagaria et cù lo fego di Traversa di Cani et la finaita incomenza dilo ditto valluni et va la serra serra la via via et in menzo ditta serra affinaita cù lo fego dili Bizoli et sequta la ditta serra serra la via via perfina ala via che va alo spiruni girando dilu spiruni in mezzo tutti quilli vii et intro lo fego dila Turretta lu quali ancora affinaita cù lo fego dila Nagaria et dilà si metti e cala la via via fina ala via chi va ala via dila Traversa di Cani ala via che ci è uno xarrubbo et dillà si metti alo valluni allacqua et veni dilo chippuneri et mettisi lacqua acqua fina alo valluni di l’omo morto che achana susu verso li serri che affinaita cù lo fego dila Traversa di Cani undi si chiama la valli dili rosi et nexi la serra serra ala portella dilo piro et nexi alo chiano dilo pulero lu quali affinaita cu la tumminia lu quali chiano è dilo fego dila Tumminia et va fina al serra et in ditta serra finixi ditto fego dila Turretta et incomenza lo fego dilo Mulinazzo lu quali confina cù lo fego dila Tumminia et va la serra serra et cala ala trazera et va trazera trazera che ci è lu valluni alo piraynello et nexi all’acqua dili junchitelli et dillà achana suso et mettisi lo valluni valluni di l’acqua confinando cù ditto fego dila Tumminia et va sindi a nexiri suso intra la serra la via via la serra serra undi lo roccazzo dili suvari intro la portella et illoco finixi lo fego delo Molinazzo affinaitando cù lo fego dili Mendoli lu quali fego dili Menduli affinajta cù lo fego di Bauchina et cù lo fego dili Chiani di Vicari et cù lo fego di Mezzojuso lu quali fego dili Menduli incomenza dilo ditto roccazzo dili suvari et nexi la serra serra nixendo ali ficarazzi et dili ficarazzi si metti la serra serra perfina ala serra dili ogliastri et dili alastri et va di roccazzo in roccazzo a drittura dila petra di largilla restando lo marcatello dilo puzzillo infra lo fego dili Menduli et dila detta petra di largilla che è in mezzo lo valloni supra lo quali chi è uno agliastro va a drittura ala serra di scarpa ala quali chi è uno pirajno in mezzo et certi petri che nexino a drittura alo agliastro supra lo quali chi sunno certi poyatelli di petri cù pirajni in ditta serra et va la serra serra et respundi ad uno poyo che ci sunno multi pirajni et petri et va ad uno ogliastro che va la schina schina la via via che nexi alo taglio dili ginestri lo violo violo supta Munti frumento che nexi ala fontana di Chiarello restando detto Munti frumento intra ditto fego dili Randuli et va la via via che nexi alo roccazzo dilo gisso et va lo violo violo et nexi ala via che veni dili vagni chi va a Chiminna che duna supra la valli dilo Contrasto et dillà si metti la serra serra per mezzo li ginestri et pirajni et nexi ala via che veni dila funtana di Capizza che va verso la funtana dilo Salachi et dillà va la via via fina ala ditta fontana dilo Salachi et va la via via verso Chiminna perfina ala portella et dilà gira a man dritta ala trazzera la via via et nexi ala portella di Bonjorno et va la via via che nexi ala portella di Critazzo et dillà si metti li bausi bausi seu tagli di rocchi undi va perfina a portella di Blasi calando ala via grandi all’acqua darreri lo fundaco di portella di Blasi et cala la via grandi a drittura dili roccazzi et iungisi cù lo ditto fego dilo Castello dila ditta baronia dundi incomenzano li ditti finaiti.
Testes Leonardus Bancheri, nobilis Antonius Carbuni, Antoninus de Parisi alias Lo Scavuzzo et nobilis Johannes Franciscus de Homodeis".
N. 2. Il 12 ottobre 1596 Vincenzo Spuches barone di Amorosa acquista da Vincenzo Bologna marchese di Marineo il feudo delle Mendole con la masseria di Aloisio Villafrades e nel 1599 il feudo del Molinazzo, che accorpati daranno luogo alla fondazione di Villafrati (ASPa, Cancelleria, 561, a. 1600-01, f. 111v.)
"Philippus rex. Il marchese di Marineo D. Vincenzo Bologna vassallo di V.M. nel regno di Sicilia dice che per degni et giusti respetti per ordini di vicerè e presidenti di quel regno e di deputati a questo dati ha venduto al Dr. Vincenzo de Spuches baron di Amorosa doi soi feghi et baronie nominati delli Mendoli, massaria di Villafratis et del Molinazzo al qual ha permesso la licenza di potere edificare una terra in detto luogo delle Mendole e Villafratis e del Molinazzo con suo castello et altre cose necessarie nel modo e forma ch’altri baroni e titolati tengono in detto regno e non la facendo perde certa parte del prezzo fra certo termine tra loro accordato e perchè S.M. l’edificasse una terra in detto luogo e gran servitio di Dio et di V.M. et beneficio publico di questo regno per molti raggioni primo perchè sarà molto vicina al passo publico chiamato della Portella di Blasi, dove è passo de ladri discursori di campagna, li quali assassinano e rubbano li poveri viandanti il quale passo è confine con dette baronie delle Mendole et anco in detto fego del Molinazzo congiunto et contiguo con detto fego delle Mendole c’è un altro passo di ladri nominato la Scaletta, nelli quali di giorno e di notte si commettino diversi e vari delitti, furti, assassinii, homicidii et notabili danni et maltrattamenti alli vassalli di V.M. e facendosi detta terra in detto luogo che sarà nel mezzo cesseranno detti delitti per esseri lochi tanto convicini existente dentro et appresso detti feghi, di più detto loco dove s’harà da fabricare et construere detta terra sarà lontano da detta città di Palermo da circa 16 miglia che sarà riposo et albergo di tutti viandanti, tanto di quelli che vengono in detta città come di quelli che si partino, essendo loco molto atto et commodo di boni acqui, quantità di vini, di legni di fromenti e di altri cosi necessarii al vitto humano sarà anco assai commodo per detta città di Palermo poichè li villani che habitiranno in quella terra s’adattiranno di portarce a vendere in detta città pollami, legni, formenti, orgi et altre vittovaglie, stante essere cossì appresso et cossì anco detti villani venire ad operarsi nell’edificii, cultura di lochi et altri cosi che sarria con gran commodità di detta città et oltre si dona tal facultà a persona tanto benemerita come è detto di Spuches che ha servendo a V.M. per anni 35 in circa in diversi piazze del consiglio di questo regno con tanta limpiezza, virtù et habilità come è notorio.
Palermo 15 gennaio, XIV, 1601. Il duca di Maqueda".
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NOTE
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2 Rocco B., 1992, p. 239; Caracausi G., 1993, vol. II, p. 1363.
3 Archivio di Stato di Palermo (ASPa), Tabulario Magione, 15, a. 1206.
4 Biblioteca del Comune di Palermo (BCPa), 3.Qq.E.63, f. 37v.: 28 aprile, XI, 1328. Privilegium Fiderici confirmationis et acceptationis certi cambii facti a dicto rege et domo Mansionis per quod domus habuit solarium Fabarie S. Philippi et maris dulcis per terreni in quo ad presens sunt constructa muris urbis.
5 G. La Mantia, 1918, doc. CXLIII, p. 309.
6 ASPa, Tabulario Magione, 277, a. 1295.
7 BCPa, Qq.C.83, f. 29.
8 BCPa, 3.Qq.E.63.
9 ASPa, Misc. Arch. II, 7, f. 54: 10 aprile, X, 1353. Privilegium regis Ludovici confirmationis castri Margane. ...constructum et fabricatum fuisse per eum tamquam locumtenentem preceptoris dicti ordinis in dicta insula nostre Sicilie quoddam fortilicium sive castrum ad expensas ordinis supradicti in feudo eiusdem ordinis vocate Margana in loco qui dicitur petra di Margana.
10 ASPa, FND, 342, f. 85r., 16 aprile 1427.
11 ASPa, FND, 773, f. 271r., 22 febbraio 1430.
12 ASPa, FND, 773, f. 313 r., 16 marzo 1430.
13 ASPa, FND, Sp. 273, 25 febbraio 1436.
14 Archivio Storico del Comune di Palermo (ASCPa), Atti bandi e provviste, 101/17, f. 197v.-198r.
15 ASPa, FND, 1407, f. 186.
16 Mongitore A., 1721, p. 203.
17 Mugnos F., Teatro genologico delle famiglie illustri nobili, feudatarie et antiche, Messina 1670, in cui afferma che l’arme dei Ram era un ramo d’albero verde in campo d’oro.
18 ASPa, FCRS, Ss. Salvatore, 249.
19 ASPa, Protonotaro del regno, 83, f. 257v.
20 ASPa, FCRS, Ss. Salvatore, 247.
21 ASPa, FCRS, S. Giuseppe dei Teatini, 379.
22 ASPa, Conservatoria, 75, f. 26.
23 ASPa, FND, 1136, f. 895v.
24 Giunta F.-Sciascia L., 1995, p. 220.
25 ASPa, Cancelleria, 442, f. 401v.
26 ASPa, Fondo Trabia, S. I, 725, Risalaimi e Roccabianca.
27 ASPa, Real Commenda della Magione, 13, f. 67.
28 Idem, 24, f. 214.
29 Idem, voll. 13, 14, 21, 24, 26, 33.
30 Idem, 24, f. 125.
31 ASPa, Conservatoria, 120, f. 567v.-573.
32 ASPa, Cancelleria, 43, f. 180; Idem, 46, f. 87.
33 ASPa, Conservatoria, 142, f. 21.
34 ASPa, Tribunale del real Patrimonio, Lettere viceregie, 571, f. 535.
35 ASPa, Cancelleria, 561, f. 111v.
36 ASPa, FND, 29 novembre, VII, 1533, nr. Giacomo Scavuzzo.
37 ASPa, Real Commenda della Magione, 21, f. 63.
38 ASPa, FND, 5385, 10 dicembre, V, 1546.
39 ASPa, FND, 1803, 29 novembre, III, 1544.
40 ASPa, Cancelleria, 353, f. 526v.
41 ASPa, Real Commenda della Magione, 21, f. 1.
43 ASPa, FND, 16573, nr. Vincenzo Belando.
44 ASCPa, Territorio di Palermo, Atti vari, vol. LXXIX (1803).