UNA POLITICA DI FRONTIERA PER UNA COSCIENZA COSTITUZIONALE DEI CATTOLICI - LETTERE DI MEDA A TONIOLO di Rosanna Marsala

Premessa

La diretta filiazione del cattolicesimo sociale e della democrazia cristiana dal cattolicesimo intransigente è stata più volte posta in evidenza dalla critica storica. Secondo i giudizi più diffusi il cattolicesimo intransigente ha voluto mettere fine alle divisioni e agli sdoppiamenti fra l’uomo sociale impegnato nella vita e il cristiano che vive la sua fede; questa separazione, che aveva rinchiuso il "prete in sacrestia" e rifiutato l’intervento della chiesa nell’ordine sociale e politico, viene rinnegata. Il cattolicesimo intransigente diviene, dunque, portatore di specifiche istanze sociali (che poi saranno rilanciate e consolidate dall’enciclica leoniana Rerum Novarum del 1891) ed è la matrice del cattolicesimo sociale. A dimostrazione di tale tesi è l’itinerario percorso da diversi esponenti del movimento cattolico, e fra questi si può annoverare Filippo Meda. Formatosi all’interno dell’Opera dei congressi, alla scuola di Don Davide Albertario, egli pur riconoscendo la necessità di restare fedele ai voleri del Papa, ben presto comincia a staccarsi dalla posizione prevalente all’interno della maggiore organizzazione cattolica nazionale, immobilista e contraria ad ogni immissione dei cattolici nella vita politica e sociale dello stato. Inizia la sua battaglia che ha come obiettivo finale l’inserimento ufficiale dei cattolici nella vita dello stato attraverso una presenza sempre più attiva sino alla creazione di un partito di cattolici non confessionale, progressista e riformista.

Per Meda che, a ragione, è stato definito "il più politico dei giovani democratici cristiani" era premessa necessaria l’accettazione dei valori dello stato moderno e delle istituzioni rappresentative. Anche se consapevole della validità delle sue convinzioni, Meda cercò sempre l’approvazione e il sostegno di uomini come Giuseppe Toniolo che, sebbene riconoscesse la necessità di dare un ruolo al laicato cattolico, considerava l’operato del giovane avvocato milanese a tratti impulsivo e poco cauto.

In effetti Giuseppe Toniolo, del quale Meda condivise in gran parte le teorie politiche e fu grande ammiratore, rappresentò un punto di riferimento per tanti giovani democratici cristiani.

Toniolo fu colui che tentò di conciliare il vecchio e il nuovo, di far accettare il concetto di democrazia e difendere in ogni modo l’unità dell’azione cattolica; si rese perfettamente conto che lo stato moderno chiamava i cattolici a nuovi compiti e per questo insegnò ai giovani del suo tempo a impegnarsi nella lotta per l’elevamento economico e sociale delle condizioni delle classi più deboli.

Le lettere che riportiamo in appendice furono scritte da Filippo Meda a Giuseppe Toniolo tra il 1890 e il 1917, un periodo di grandi fermenti e trasformazioni sia all’interno del movimento cattolico sia nella società italiana; esse ci mostrano il travaglio ideologico del giovane Meda, ma anche il rapporto singolare che legava i due protagonisti del movimento cattolico; sebbene, si tratti per lo più di comunicazioni di lavoro, esse sicuramente costituiscono, a nostro parere, una occasione per la richiesta di consigli, suggerimenti, sostegno e approvazione.

I - Dal cattolicesimo intransigente alla democrazia cristiana

Filippo Meda(1) nacque a Milano il 1° gennaio 1869 da una famiglia della media borghesia commerciale. Frequentò il liceo Beccaria e nel luglio 1891 si laureò in lettere alla Regia Accademia scientifico-letteraria di Milano; prese, subito dopo, una seconda laurea in giurisprudenza all’università di Genova (novembre 1893). Nel 1896, dopo aver sostenuto gli esami per procuratore e avvocato, aprì uno studio legale a Milano assieme ad Agostino Camerini; nello stesso anno sposò Maria Annunciata Branca, da cui ebbe due figli Gerolamo (1897) e Luigi (1900).

Meda iniziò la sua attività giornalistica(2) molto presto, collaborando a diversi periodici cattolici dell’epoca, tra cui ricordiamo: "La scintilla", "Il corriere della domenica", "La rivista monzese", che si trasformò poi nel "Cittadino", "L’elettore cattolico milanese", "La scuola cattolica", "La rivista internazionale di scienze sociali". Ma la collaborazione più rilevante fu senz’altro quella a "L’Osservatore cattolico", battagliero quotidiano milanese di Don Davide Albertario(3). Il primo articolo di Meda intitolato "Le scuole secondarie" comparve sul numero del 14-15 maggio 1887; col passare del tempo i suoi scritti si intensificarono e la collaborazione divenne continuativa tanto che il 1° agosto 1893 Don Albertario rilasciò a Meda una lettera di presentazione che lo accreditava quale redattore de "L’Osservatore cattolico".

Intanto, all’interno della sezione giovani dell’Opera dei congressi(4) del capoluogo lombardo, Meda si distinse per la sua attività di organizzatore elettorale e di conferenziere, elaborando anche un proprio pensiero sul movimento cattolico. L’esordio di Meda nel movimento cattolico si deve ad un opuscolo dal titolo Cattolicismo e legittimismo che lo impose subito all’attenzione e gli assicurò stima e fama di democratico tra i cattolici militanti. In questo scritto egli affermò la tesi della inconciliabilità tra cattolicismo e legittimismo; secondo Meda bisognava distinguere nettamente la causa cattolica da quella dei legittimisti, in quanto la restaurazione del Pontefice era qualcosa di sostanzialmente diversa dalla restaurazione degli altri sovrani preunitari. I cattolici non volevano "l’Italia in pillole con relativi duchi e granduchi" e sicuramente desideravano "l’Italia forte, grande, indipendente, una anche, ma in pace col Pontefice effettivo"(5). Il potere temporale del Papa era voluto solo perché il Papa stesso riteneva necessaria una sovranità effettiva e territoriale a garanzia della propria indipendenza, ma "se domani il Papa giudicasse diversamente per ipotesi, noi cesseremmo di volerla e di domandarla"(6). Ciò che veramente importava era, invece, la pacificazione religiosa e per raggiungere tale meta, i cattolici avrebbero dovuto seguire le direttive del Pontefice. La fedeltà al Pontefice era un punto fondamentale del "partito cattolico", uno dei tre soli partiti che assieme al liberale e al socialista, in Italia e in Europa, potevano "dirsi influenti nella vita pubblica e sostanzialmente diversi l’uno dall’altro"(7). Anche l’atteggiamento di Meda nei confronti dell’astensionismo elettorale era giustificato dalla necessità di rimanere fedeli al Papa, "disobbedendo a questo comando noi distruggeremmo il principio fondamentale del nostro programma che è la subordinazione dell’ordine temporale all’ordine spirituale; non saremmo più partito cattolico; saremmo un partito inutile"(8). Da queste parole si evince subito una delle caratteristiche della personalità di Filippo Meda, ossia la sua incondizionata obbedienza alla S. Sede. Egli, nonostante rappresenti l’uomo che condusse il movimento cattolico sulla via della lotta per una politica indipendente da ogni vincolo confessionale, non uscì mai dall’ortodossia della chiesa. Al tempo stesso, si rendeva conto che la questione romana aveva monopolizzato l’attenzione dei cattolici distogliendoli da altri campi. In particolare aveva causato il loro isolamento culturale e favorito l’orientamento diffuso secondo il quale l’organizzazione delle masse, che gli stessi intransigenti si proponevano, non necessitasse di una grande cultura ma fossero sufficienti gli elementari principi della fede(9). Tuttavia, all’interno dell’Opera dei congressi, e soprattutto per uomini come Paganuzzi o i fratelli Scotton, per i quali rappresentava "segno di debolezza e d’insubordinazione ogni accenno alla vita pubblica, ogni aspirazione all’attività politica dei cattolici"(10), le posizioni di Meda, e di quanti come lui aspiravano all’ingresso dei cattolici nella vita politica e sociale del paese, suscitarono perplessità e polemiche(11). Ma ciò che destava maggiore preoccupazione, tra gli intransigenti più ostinati, era la tendenza dei cattolici lombardi(12), sostenuta a gran voce da Meda, di sostituire la formula margottiana "né eletti né elettori" con l’altra "preparazione nell’astensione". Meda era convinto che per poter attuare in campo sociale gli obiettivi che il movimento cattolico si era prefisso, bisognava far sentire l’influenza dei cattolici nella vita politica, culturale e scientifica del paese e per questo era necessario "preparare nell’astensione disciplinata gli elettori politici, collo scopo diretto di tener pronte le forze per il giorno dell’azione e di predisporre l’avvento di questo giorno(13). A tale scopo, Meda assieme a Luigi Bertani e Giuseppe Mazza, in preparazione alle elezioni amministrative, fondò nel 1890 l’associazione degli elettori cattolici che aveva come proprio organo di stampa il periodico "L’elettore cattolico milanese". Il 6 luglio 1902 Meda fu eletto per la prima volta consigliere provinciale per il mandamento di Rho(14), che lo rielesse nelle elezioni seguenti e per l’ultima volta l’8 giugno 1914.

In questi stessi anni Meda manifestò la sua piena adesione al sistema rappresentativo parlamentare e ciò lo differenziava dalla maggior parte degli intransigenti che, invece, erano sostanzialmente indifferenti nei confronti delle istituzioni parlamentari. Meda intendeva accettare i principi fondamentali del nuovo stato liberale; continuare sulla strada della contrapposizione irriducibile diventava sterile e inutile. Era necessario che i cattolici si inserissero gradualmente nei gangli dello stato per poi modificarlo in senso cristiano e popolare. Ciò naturalmente comportava una presenza sempre più attiva dei cattolici nella vita pubblica ed una accettazione dei valori dello stato moderno e delle sue istituzioni che non tutti i protagonisti del movimento cattolico erano disposti a condividere. Lo stesso Romolo Murri entrò in polemica con Filippo Meda, in quanto temeva che questa apertura nei confronti delle istituzioni liberali provocasse una involuzione in senso transigente del giovane avvocato milanese. La posizione di Murri potrebbe apparire, per certi versi, ambigua o contraddittoria: da un lato afferma la funzione attiva del laicato moderno, divergendo così dall’ala conservatrice dell’Opera dei congressi, dall’altra pone in essere una strenua difesa dell’astensionismo elettorale, criticando l’azione di coloro che auspicavano l’ingresso dei cattolici nella politica attiva(15).

Durante la prigionia di Don Albertario, a seguito dei moti del 1898(16), ed anche dopo la sua liberazione, Meda tenne di fatto la direzione de "L’Osservatore cattolico"(17) dalle cui colonne sostenne con vigore il fascio democratico cristiano sorto a Milano nel 1899. Ben presto Meda divenne la guida effettiva del movimento cattolico milanese. Alla morte di Don Albertario, Meda rimase unico direttore e proprietario de "L’Osservatore cattolico" sino alla chiusura del giornale avvenuta il 30 settembre 1907. Sostenne la candidatura di Grosoli alla presidenza dell’Opera dei congressi, e quando questi, sconfessato dalla S. Sede dovette rassegnare le dimissioni, Meda per solidarietà si dimise dalla carica di presidente della sezione elezioni amministrative. Nonostante ciò, e mentre l’Opera dei congressi veniva sciolta, perché considerata ormai inutile, Meda fondava l’unione nazionale fra gli elettori cattolici amministrativi allo scopo di uniformare il comportamento dei cattolici in campo amministrativo, ma soprattutto per preparare una organizzazione elettorale nella prospettiva di una modifica dell’astensionismo nei riguardi delle elezioni politiche(18). Tuttavia, difronte alle improvvise elezioni indette da Giolitti, all’indomani dello sciopero del 1904, Meda ritenne opportuno continuare sulla linea dell’astensionismo; vi furono però delle candidature cattoliche e fra queste lo stesso Filippo Meda che fu candidato senza aver dato il suo assenso.

All’indomani delle elezioni, Meda cercò di ridare impulso all’unione nazionale ritenendo che l’attenuazione del non expedit potesse favorire l’organizzazione di un partito cattolico. È proprio nel discorso di Rho del 28 dicembre 1904 che Meda esprime la necessità di un partito cattolico non confessionale, progressista e riformatore, che potesse finalmente inserire le masse cattoliche nello stato. In particolare, premeva a Meda che i cattolici non si re-cassero alle urne senza un partito, senza un minimo di comune coscienza po-litica; e in effetti il tentativo di Meda, negli anni che precedettero la nascita del partito popolare, può essere considerato il primo serio tentativo di fondare un organismo politico costituito da cattolici ma aconfessionale. Forse i tempi ancora non erano maturi e Meda, difronte al fallimento della sua iniziativa, si rifiutò di assumere la presidenza dell’unione elettorale in quanto egli, ben lungi dal rappresentare un elemento equilibratore tra opposte tendenze, si sarebbe trovato in contrasto con gli orientamenti generali prevalenti nell’unione elettorale, soprattutto con quella impostazione che voleva i cattolici italiani fortemente dipendenti dalla S. Sede anche in politica(19).

Divenuto direttore de "L’Unione", il nuovo giornale nato dalla fusione de "L’Osservatore cattolico" e "Lega lombarda", Meda continuò nella sua azione di preparazione dell’inserimento dei cattolici nella vita dello stato; in effetti Meda aveva voluto un giornale "che abbandonasse la vecchia maniera delle lotte degli intransigenti, chiuse in se stesse, senza sbocco, e avviasse i cattolici a comprendere i problemi del funzionamento della vita delle istituzioni fondamentali dello stato moderno"(20). Ciò naturalmente destò preoccupazione all’interno della chiesa, e critiche da parte dei più tenaci intransigenti, in particolare da "L’Unità cattolica"(21) giornale da sempre fortemente contrario a qualsiasi apertura nei confronti dello stato liberale. "L’Unione" ebbe vita breve e tormentata sia per le critiche di cui si è detto, sia per la delicata situazione finanziaria; e così nel 1912 Meda lascia la direzione del giornale che cambia anche la testata in "L’Italia".

La consapevolezza che l’attività parlamentare, intesa come vero servizio, gli impedisse di dedicarsi pienamente al giornalismo, condusse Meda alla decisione di lasciare la direzione de "L’Unione". Nel 1909 Meda fu eletto, per la prima volta, deputato nel collegio di Rho col 66% dei voti. In parlamento, egli si qualificò, ben presto, come il leader del gruppo dei deputati cattolici; ebbe, finalmente, modo di realizzare quell’ideale di "azione sociale su terreno costituzionale" che da tempo propugnava, con interventi concreti e cercando allo stesso tempo di eliminare, per quanto possibile, le contrapposizioni ancora esistenti fra Stato e Chiesa.

In occasione della guerra libica Meda, dopo una iniziale posizione contraria(22), aderì alla politica giolittiana sottolineando però che il suo consenso era di natura strettamente politica. In vista delle elezioni del 1913,(23) che si sarebbero tenute col suffragio quasi universale maschile, Meda cercò di riproporre l’idea di un partito cattolico popolare cristiano che avrebbe dovuto agire "come libera iniziativa di cittadini, all’infuori di qualsiasi responsabilità o vincolo ufficiale, mediante la raccolta di adesioni collettive ed individuali al proprio programma(24). Il tentativo di costituire un partito popolare cristiano, fallì ancora una volta e Meda dovette accontentarsi di aderire al patto Gentiloni(25). Sebbene l’idea di Meda rimaneva quella della creazione di un partito, egli fu certamente nel gruppo che lavorò per l’elaborazione del patto Gentiloni pur continuando ad affermare che i cattolici avrebbero potuto appoggiare solamente quei liberali che avessero abbandonato l’anticlericalismo(26). Senza voler attribuire al patto Gentiloni significati che non ebbe, di fatto esso diede per la prima volta l’idea che, se i cattolici si fossero costituiti in forza organizzata, cosa che Meda da tempo auspicava, essi avrebbero potuto incidere profondamente nella vita pubblica del paese; e le elezioni del 1913 rafforzarono ancora di più in Meda la convinzione che ormai i cattolici dovessero pensare a fondare un partito autonomo, anche per evitare di essere assorbiti dai liberali; "io credo - scrisse Meda - oggi più che mai ciò che ho sempre creduto; che, cioè, in Italia l’esistenza di una organizzazione dei cattolici non sia solo una necessità per la difesa religiosa, ma anche per la normale e progressiva evoluzione della vita nazionale"(27).

Allo scoppio della prima guerra mondiale Meda si schierò in un primo tempo per la neutralità (28), ma ben presto, per motivi strettamente politici(29) rivide la sua posizione e decise di entrare come ministro delle finanze nel governo di unità nazionale di Paolo Boselli. Tale decisione creò diverse perplessità nel mondo cattolico(30); in particolare "L’Osservatore Romano" scrisse che "non essendovi in Italia un partito cattolico politicamente costituito, anzi neppure in parlamento un gruppo cattolico propriamente detto, l’on.Meda non può, come ministro, rappresentare altri che se stesso"(31). Tutto ciò ed altre dichiarazioni da parte della S. Sede misero Meda in una imbarazzante situazione tanto che fu sul punto di dimettersi. Ma le notizie sempre più gravi che giungevano dal fronte lo dissuasero: "dopo quegli avvenimenti - dichiarò Meda al "Corriere d’Italia" - ogni esitanza anche di un solo minuto, sarebbe stata una colpa difronte alla patria, mi avrebbe giustamente squalificato non soltanto come uomo politico, ma come cittadino, e inoltre credo avrebbe potuto, a torto o a ragione, gettare sulla parte cattolica un’ombra, se non un sospetto, di minore sensibilità in presenza dell’invasione nemica"(32). La motivazione fu considerata accettabile dall’ "Osservatore Romano" e Meda potè così restare al ministero delle finanze anche nel successivo governo Orlando, senza perciò sentirsi in imbarazzo. Meda, pur non possedendo particolari competenze tecniche, grazie al suo senso pratico, dimostrò di essere uno dei migliori ministri delle finanze che l’Italia liberale avesse avuto. In particolare si ricorda il suo contributo per la riforma delle imposte dirette(33) che Luigi Einaudi giudicò un tentativo onesto e serio per creare un sistema che fosse di grande aiuto alla finanza e al tempo stesso riducesse al minimo la pressione esercitata sulla produzione della ricchezza(34).

Nel 1919, difronte alla costituzione del partito popolare italiano(35), Meda assunse un atteggiamento che meravigliò molti. Infatti pur essendo favorevole a un partito aconfessionale, autonomo e nazionale (egli stesso già da tempo ne aveva auspicato la nascita) ritenne, in un primo tempo, di non aderire per due motivi fondamentali: in primo luogo in quanto membro del governo non reputava corretto entrare in un partito politico sorto dopo la costituzione del ministero; in secondo luogo perché non condivideva alcuni punti del programma del Partito Popolare Italiano. Più verosimilmente si potrebbe pensare che il comportamento di Meda derivasse anche da una sorta di presa di posizione nei confronti di un partito che egli tanto aveva voluto ma che non era riuscito a formare, ed ora un altro, Luigi Sturzo, era riuscito nel suo intento. Tuttavia, nei mesi seguenti alla costituzione del partito, sia per la caduta del governo Orlando e lo scioglimento della camera, sia per le continue pressioni da parte di amici e compagni, decise di aderire formalmente al Partito Popolare Italiano. Nello stesso tempo Meda diede vita ad una nuova rivista "Civitas" attraverso la quale poter esprimere liberamente ed autonomamente le proprie idee.

Nel 1919 viene rieletto al Parlamento nazionale. I consensi raccolti dal Partito Popolare Italiano nelle elezioni del 1919 posero, come è noto, gravi problemi ai suoi dirigenti. Bisognava rimanere all’opposizione o partecipare al governo coi liberali? Meda invitava ad essere cauti: "noi che siamo e saremo sempre collaborazionisti per principio, noi che escludiamo dalle ipotesi future anche la conquista del potere nel senso più completo, dobbiamo avvertire a tempo l’errore in cui si cadrebbe anticipando i tempi, compromettendo le situazioni, sciupando gli uomini"(36). In altre parole, Meda riteneva opportuno, in quel momento particolare, che il Partito Popolare Italiano non entrasse a far parte del governo; e coerentemente egli stesso rifiutò l’incarico di parteciparvi. Ma più tardi accettò la nomina a ministro del tesoro nel governo Giolitti giustificando la sua presenza per spirito di sacrificio e nella convinzione di giovare al paese; "ho dovuto accettare il tesoro, -scriveva al figlio Gerolamo il 13/06/1920 - dico ho dovuto perché senza questa accettazione, oggi Giolitti rassegnava il mandato al Re, non credendo egli di poter stare al governo se io non sia a capo di questo dicastero"(37). Anche come ministro del tesoro, Meda si adoperò per migliorare le condizioni finanziarie del paese e, in particolare, assieme al ministro del lavoro Labriola, intervenne nell’occupazione delle fabbriche per indurre gli industriali a concedere gli aumenti salariali e i miglioramenti normativi richiesti.

In occasione delle elezioni amministrative del 1920 Meda fu in polemica con Sturzo. Egli riteneva realisticamente, che estendere a tutta l’Italia la tattica intransigente (consistente nel rifiuto da parte dei cattolici a qualsiasi appoggio a candidati liberali) come auspicava il sacerdote calatino, avrebbe comportato in alcune città la vittoria schiacciante dei socialisti; quindi, pur accettando in linea di principio l’intransigenza, bisognava lasciare ai responsabili locali la libertà di autoregolarsi(38). La stanchezza per la politica, indusse Meda nel 1921 a rassegnare le dimissioni dal governo Giolitti. Ciò gli permise di potersi dedicare di più all’attività professionale; nel frattempo fu nominato presidente della Banca popolare di Milano, carica che tenne fino al 1927. Sempre in questo periodo collaborò con Padre Gemelli alla fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di cui divenne consigliere legale.

Nel 1921, Meda si presentò alle elezioni come capolista del Partito Popolare Italiano nella circoscrizione di Milano-Pavia, ma nonostante l’enorme successo personale(39), egli non volle più ricoprire alcun incarico ministeriale(40). In seguito a questi suoi continui rifiuti, ma anche forse per contrasti di fondo, i rapporti tra Meda e Sturzo(41) che più volte lo aveva esortato a partecipare al governo , si guastarono definitivamente.

L’atteggiamento di Meda nei confronti del fascismo fu sempre molto cauto ma non di resa o connubio; egli riteneva inconciliabile sul terreno ideologico popolarismo e fascismo. Tuttavia, benché contrario alla partecipazione dei popolari al ministero Mussolini, Meda riteneva che il partito non avrebbe dovuto schierarsi su posizioni di scontro frontale con il fascismo, temendone le reazioni violente: "anche gli spiriti sdegnosi e intolleranti di costrizioni morali e intellettuali è da ricordare - scrisse al figlio Gerolamo nel 1923 - essere male il disperdere energie nell’ora in cui non se ne può sperare pratico risultato mentre è invece saggio adattare la propria condotta alle esigenze realistiche della vita e della storia".(42)

Sempre per timore di un inasprimento della politica fascista, Meda, contrariamente al partito, votò a favore della riforma elettorale Acerbo, ma, nello stesso tempo, rifiutò l’invito di Mussolini di entrare a far parte del listone. Il suo atteggiamento di cautela nei confronti del fascismo, interpretato da molti come consenso, provocò forti polemiche soprattutto all’interno del Partito Popolare Italiano. Naturalmente ciò lo amareggiò molto. E, così, decise di allontanarsi dalla vita politica attiva e mantenere una posizione autonoma soprattutto dai clerico- fascisti verso i quali non mostrò mai alcuna simpatia.

Nel 1925 la rivista "Civitas" fu sequestrata ed egli decise di sospenderne la pubblicazione. Da allora in poi si dedicò esclusivamente alla professione di avvocato, pur continuando a collaborare a giornali e riviste d’ispirazione cattolica, quali "Vita e pensiero", "La scuola cattolica", "Pro familia" con articoli di carattere storico e letterario. Morì a Milano il 31 dicembre 1939.

II - Per una coscienza costituzionale

I cattolici intransigenti(1) e i socialisti, seppure per motivazioni diverse, erano stati accomunati da un atteggiamento negativo nei confronti del Parlamento; esso, infatti, veniva considerato dai socialisti come una istituzione borghese che avrebbe potuto corrompere il partito distogliendolo dai suoi fini; invece per il cattolico intransigente il Parlamento rappresentava il luogo dove si erano votate le leggi contro la chiesa e i suoi beni. Accedervi avrebbe significato accettare una istituzione che aveva violato i diritti del Papa. Ma l’allargamento del suffragio elettorale voluto da Depretis(2), conduce le forze politiche ad una seria riflessione sull’atteggiamento da assumere nei confronti del Parlamento. Per i socialisti il Parlamento divenne uno strumento che poteva essere adoperato per migliorare la legislazione sociale in difesa degli interessi dei lavoratori. Anche per la chiesa, l’introduzione del suffragio universale poneva nuovi e più gravi problemi .Tra la S. Sede e la classe politica dirigente liberale veniva ora ad inserirsi una classe popolare che reclamava a gran voce la difesa dei suoi diritti economici, politici e civili, e la chiesa non poteva rimanere sorda se non voleva che la nuova massa di elettori si spostasse tutta a sinistra; era, dunque, necessario organizzare anche politicamente il nuovo elettorato politico(3). Tuttavia, per il cattolico intransigente, il Parlamento continuò ad essere una istituzione estranea fino a quando non apparve Filippo Meda(4) sulla scena del movimento cattolico organizzato.

Possiamo senz’altro affermare che la caratteristica fondamentale di tutto l’operato di Filippo Meda fu la lotta che egli intraprese per affermare la necessità dell’azione sociale dei cattolici sul terreno costituzionale. Egli fu l’uomo dell’estrema prudenza, il moderatore per antonomasia, ma, al tempo stesso, colui che condusse il movimento cattolico da partito astensionista a partito cattolico costituzionale.

L’esperienza politica di Meda non fu contrassegnata da profonde crisi o da impeti rivoluzionari; egli rappresenta l’esempio di un cattolico che, fin dall’esordio nelle attività delle organizzazioni cattoliche presenta un complesso di convinzioni politiche che rimarranno nella sostanza di fondo pressocchè inalterate.Certo c’è differenza tra il Meda del periodo in cui scrive su "L’Ossevatore cattolico(5)" e il Meda che fonda il giornale "L’Unione(6)"; ma ciò non rappresenta un contrasto, bensì, come già abbiamo cercato di dimostrare, una conseguenza logica delle premesse che erano già presenti nel primo Meda .

Filippo Meda fu democratico cristiano nella sua interezza, criticò l’interpretazione del non expedit con la famosa formula né eletti né elettori(7), fu per l’autonomia del movimento cattolico, senza però tralasciare la possibilità di alleanze con i partiti di tradizione laica;non pronunciò mai una condanna integrale del Risorgimento, ma, anzi, fu sempre fiducioso nella possibilità di conciliazione tra lo Stato e la S. Sede. Ben presto la sua vocazione a immedesimarsi nei problemi reali, concreti, relativi all’evoluzione del movimento cattolico, lo distinsero da altre figure, sebbene anch’esse nate all’interno della democrazia cristiana. Meda fu un appassionato degli ideali della democrazia cristiana, ed agì sempre dall’interno dell’Opera dei congressi. Bisogna ricordare che Meda non fu soltanto un pragmatico, ma seppe accompagnare la sua azione con un preciso pensiero politico; agiva considerando la situazione politica nel suo complesso e valutando ogni singolo atto al fine di riuscire ad incanalare il movimento cattolico sulla via del costituzionalismo. Al centro della sua elaborazione politica vi è lo stato, sebbene Meda sia cosciente di non poter elaborare una linea politica che non tenesse conto dei gravi problemi riguardanti i rapporti tra stato e chiesa, tra classe politica dirigente liberale e movimento cattolico. Ed, infatti, la questione più spinosa che contrappose Meda agli intransigenti della vecchia maniera come Paganuzzi e Sacchetti riguardava il comportamento elettorale dei cattolici(8). Il non expedit era considerato dagli intransigenti come una sorta di dogma, necessario e inderogabile, del movimento cattolico. Lo stesso Murri(9) fu all’inizio molto vicino a questa interpretazione e considerava il non expedit come una deliberazione presa dal Vaticano a nome dei cattolici; anche Sturzo(10) era dello stesso parere, ed era convinto che la fine dell’astensionismo avrebbe gettato il clero meridionale di nuovo nelle braccia delle clientele moderate locali e, quindi, auspicava che tale legge rimanesse in vigore sino a che i cattolici non avessero maturato una propria coscienza politica autonoma.

Filippo Meda rigetta ogni interpretazione dogmatica del non expedit. Pare strano a prima vista - egli affermava sin dal 1893 - che noi osiamo presentarci come partito, mentre rinunciamo ad usare dell’arma con cui i partiti oggi combattono e possono sperare di vincere, voglio dire il voto politico; e tale stranezza esisterebbe per davvero ove la nostra astensione fosse un proposito dogmatico, assoluto, irremovibile; ma chi ne conosce l’essenza e la ragione, non esita un momento a vedere che non c’è per nulla: difatti noi astenendoci non disprezziamo l’arma del voto politico, no; obbediamo al nostro capo, il quale si è riservato, in virtù del diritto che gli viene dall’essere egli giudice delle materie religiose e alle religiose connesse di licenziarci al fuoco quando gli sembri opportuno il momento(11)". Dunque, Meda dà all’astensione il valore di un semplice divieto pontificio, divieto eccezionale, dal momento che la norma sarebbe che i cattolici si recassero alle urne e votassero. In altre parole Meda critica la formula margottiana "né eletti né elettori" principalmente per avere assunto un carattere di perpetuità, mentre il divieto del Pontefice deve essere considerato come un provvedimento transitorio legato a speciali condizioni e perciò stesso revocabile, "onde bisognerebbe - dice Meda - proprio deciderci tutti una buona volta a respingere la formula margottiana e ad adottare quella che i migliori giornalisti nostri accettano, e che per primo propose "L’Osservatore cattolico" quella cioè della preparazione nell’astensione(12)". Secondo Meda l’astensionismo non implica un giudizio negativo sulle forme rappresentative, lungi dal cercare di convincere il Pontefice a togliere il divieto, bisognava invece operare per modificare le circostanze politiche che lo posero in essere, in particolare "dimostrando al popolo i danni che derivano dal mancare nelle vene e nelle arterie della pubblica amministrazione il sangue cattolico(13)". Ma grandi furono le difficoltà e le resistenze che il gruppo legato all’ "Osservatore cattolico" dovette superare prima di far accettare la formula della preparazione nell’astensione. La realtà è che una profonda diffidenza regnava tra i cattolici militanti nei confronti della politica (che spesso veniva identificata con il parlamento) dalla quale avrebbero dovuto tenersi lontano.

Filippo Meda, in diverse occasioni, ribadisce la sua fiducia nella funzione della rappresentanza parlamentare. E proprio in un momento di crisi delle istituzioni(14) è significativa la sua presa di posizione in favore del sistema democratico parlamentare. In una conferenza tenuta a Milano, Meda pronuncia il suo atto di fede nei confronti delle istituzioni parlamentari : "Dopo l’esperienza fatta in 50 anni, io credo che ben pochi protesterebbero se oggi, per esempio, a Crispi venisse il ticchio di sbarrare per sempre Palazzo Madama e Montecitorio e di far procedere l’amministrazione dello stato con decreti reali(15)"; e aggiungeva "tra questi pochi, però prego i lettori a credere, ci sarei io"(16). Tuttavia Meda, nonostante la sua fiducia nella istituzione parlamentare, si rende conto della degenerazione nella quale è caduta e si affretta a precisare una distinzione tra il sistema rappresentativo in sé e il sistema rappresentativo quale è oggi applicato in vari stati europei ed anche in Italia, che altro non è che parlamentarismo; "giacchè - dice Meda- ove i deputati vadano al parlamento considerandosi non come designati a garantire il retto funzionamento dell’autorità sociale, come amministratori insomma di un patrimonio che non appartiene a nessuno, e tanto meno a loro, e di cui non può essere mutata la destinazione e la natura, ma come investiti di una potestà che li pone nella condizione di proprietari abilitati ad usare e ad abusare della cosa loro affidata, o quanto meno come usufruttuari muniti delle più ampie facoltà di fare e disfare, senz’altro vincolo che il proprio giudizio, è facile che essi operino senza alcun criterio assoluto di ordine, ma semplicemente secondo le norme individuali o di scuola(17)". Cosa ben diversa è invece il sistema rappresentativo, "esso- dice Meda- non ha altro scopo che quello di far partecipare alla cosa pubblica tutti i cittadini i quali per qualche titolo vi abbiano diritto, allo scopo di impedire le strapotenze di uno o di pochi ; e poiché tale partecipazione non può avvenire per via diretta, si ricorre alla rappresentanza; ma è chiaro che i rappresentanti devono far quello che farebbero, se fosse possibile, i rappresentanti, cioè studiare e accertare i bisogni pubblici, provvedere ai mezzi per farvi fronte, controllare l’opera del potere esecutivo e del potere giudiziario, tenendo ad unica guida l’interesse comune pur sviluppando armonicamente gli interessi parziali, di cui l’interesse comune non è che la somma[.....]." In altre parole "la vera misura differenziale tra sistema rappresentativo e parlamentarismo non è quantitativa ma qualitativa; che insomma la degenerazione del primo e il sorgere del secondo han luogo per colpa degli uomini a cui è affidata la rappresentanza; dateci buoni deputati e buoni consiglieri, e avremo il sistema rappresentativo; dateci deputati e consiglieri cattivi, e avremo il parlamentarismo"(18). Ed è proprio alla luce di queste considerazioni che Meda insisterà fortemente sul fatto che la via costituzionale e parlamentare era quella che i cattolici avrebbero dovuto battere; come anche aveva ben compreso che per superare la crisi di sfiducia che circondava le istituzioni parlamentari si sarebbe dovuto sia allargare il suffragio, sia introdurre il sistema proporzionale " era necessario -argomentava Meda- che l’adunanza degli eletti riproducesse con fedeltà gli elementi collettivi e importanti che componevano la massa degli elettori"(19). Tutto ciò egli afferma "si ottiene appunto col sistema della rappresentanza proporzionale, il quale invece di attribuire tutti o quasi tutti i posti alla maggioranza relativa, li ripartisce fra i diversi gruppi a seconda delle loro forze rispettive"(20).

A proposito del diritto al voto e della rappresentanza proporzionale Meda si esprime molto chiaramente, anche perché ritiene che la buona risoluzione di questi due problemi servano ad impedire che il sistema rappresentativo degeneri nel parlamentarismo. Infatti il motivo di questo "tralignamento", come egli stesso lo definisce, dipende dal fatto che la maggioranza degli elettori o è ignorante, o corrotta o indifferente, di conseguenza l’espressione del voto dà vita a cattivi rappresentanti. Meda scarta, con varie argomentazioni(21), sia l’ipotesi di un restringimento del diritto al voto in modo che il suffragio sia esercitato solo da coloro che sono in grado di esercitarlo bene, sia l’ipotesi di rendere il voto obbligatorio per combattere l’indifferenza e l’astensionismo.

La soluzione migliore rimane pur sempre il suffragio universale integrato da un istituto di democrazia diretta, il referendum. Ma ciò che più conta per un retto funzionamento degli istituti rappresentativi "è l’esistenza di associazioni politiche che operino costantemente per creare elettori coscienti e per preparare rappresentanti degni, e per vigilare sull’adempimento del loro mandato"(22).

Ed è proprio a questo compito che sono chiamati i cattolici "nel suscitare la coscienza pubblica, nel combattere l’indifferenza, nel persuadere gli elettori della importanza del loro diritto e della gravità del loro dovere"(23).

Riguardo al sistema elettorale Meda giudica il sistema maggioritario iniquo: esso "è forse una delle più gravi cause che hanno generato la decadenza e la corruzione delle istituzioni rappresentative, anzi distrugge il principio stesso della rappresentanza perché toglie ogni possibilità di essere rappresentante sul serio non solo alla minoranza che spesso può essere fortissima, ma alla stessa maggioranza degli elettori"(24). E a chi obbietta che in tal modo si provocherebbe un ulteriore frazionamento degli elettori in gruppi e gruppetti, Meda propone una sorta di moderno sbarramento cioè una legge che "escludesse dal concorso alla rappresentanza i gruppi non raggiungenti un certo numero di voti"(25), solo in questo modo si attuerebbe la vera partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Su queste premesse Filippo Meda innesterà la sua azione politica sempre più accorta e meditata e opererà in seno alle organizzazioni cattoliche per favorire la formazione di una coscienza politica costituzionale, preparerà i cattolici alla partecipazione aperta alle elezioni politiche.

Nel discorso di Rho del 29 dicembre 1904 Filippo Meda lancia l’idea della costituzione di una specie di centro politico dei cattolici italiani; "l’azione politica - egli afferma - non potrà e non dovrà svolgersi se non nell’orbita delle leggi, né avere alcuno scopo che non sia compatibile colle istituzioni, in cui s’incarna l’ordine sociale, verso il quale i principi cristiani ci insegnano il maggiore rispetto [...]. Io credo che nei nostri tempi non sia né possibile né utile un partito parlamentare con carattere confessionale"(26). Meda, più che un partito centralizzato riteneva opportuna la nascita di un raggruppamento politico molto largo, nel quale avrebbero potuto coesistere varie tendenze, ma nello stesso tempo sottolineava la necessità di un’autonomia politica dei cattolici garantita da un minimo di comuni premesse ideologiche. Nei suoi numerosi discorsi si può notare il superamento della tradizione intransigente:nessuna opposizione irriducibile allo stato liberale, adesione alle istituzioni esistenti; dunque partito composito quello delineato da Meda, partito che ammette tutte le tendenze, interclassista, aconfessionale, e che pone un accento particolare sui problemi concreti.

Per quanto riguarda la Questione romana Meda ritiene che la competenza a risolvere questo contrasto fosse di esclusiva competenza del Papa "né la sua potestà sarà mai diminuita dalla presenza in parlamento di uno o più deputati cattolici, perché questi, come tutti i deputati, non riceveranno il mandato dalla S. Sede, ma dai loro elettori"(27).

Nel concepire un partito, Meda si distacca dal pensiero di Don Davide Albertario(28) il quale aveva previsto che si sarebbe giunti al partito e pur sempre un partito intransigente ispirato a un programma di democrazia cristiana(29), ma Meda doveva tener conto della realtà politica così come si presentava dopo le elezioni del 1904(30) che prometteva alla chiesa un’atmosfera più distesa, più tranquilla e più rispettosa delle sue esigenze. Se tutto ciò poteva andare bene per il nord, e quindi, poteva preludere un inserimento senza riserve dei cattolici nella vita pubblica, non poteva soddisfare l’intero movimento cattolico e, in particolare, le correnti democratiche cristiane del mezzogiorno(31). Per uomini come Sturzo, Torregrossa, Parlati(32) il sistema politico ed economico giolittiano rimaneva soffocante, accentratore e lesivo delle autonomie locali(33). La realtà del Mezzogiorno induceva Sturzo ad esprimersi in questi termini: "Uno degli ostacoli maggiori ad una organizzazione elettorale nazionale dei cattolici italiani che sia viva e vitale e non nominale [...] è non solo il non expedit, che non discuto, ma i legami che i cattolici stringono nei rapporti della vita politica della nazione [...]. O sperduti in un’astensione senza alcun significato collettivo, o confusi per lo più con i partiti moderati cui danno appoggio, essi non arrivano, né arriveranno mai ad assicurarsi una personalità e un carattere nella semplice vita amministrativa(34)". Di certo le condizioni delle masse contadine del sud, avvilite dalla pratica clientelare di tutti i governi liberali, erano diverse da quelle del nord e Sturzo non poteva condividere l’idea di Meda che cercava la via del partito costituzionale, largamente democratico, interclassista, in grado di secondare lo sforzo della politica giolittiana(35). La sua formula fu "azione sociale su terreno costituzionale", formula che dispiaceva agli intransigenti.

A tal proposito è importante ricordare il discorso pronunciato da Meda il 18 novembre 1906 in occasione della sua elezione a presidente della direzione diocesana milanese: "superato ormai un periodo storico travagliatissimo, e per tale s’intende il periodo che va dal 1870 al 1904, durante il quale l’astensione metteva i cattolici in una posizione di resistenza passiva allo stato italiano, i cattolici sono adesso in un periodo nuovo, costruttivo nel quale essi possono fare qualcosa per il popolo e per la religione mediante l’opera legislativa, anche in collaborazione con altri partiti che sono disposti a lavorare per l’utilità popolare. E dall’ingresso dei cattolici nella vita politica le istituzioni non hanno nulla da temere e tutto da sperare, perché i cattolici accettano le istituzioni non solo per rispettarle ma anche per migliorarle e riformarle"(36). Naturalmente questo discorso suscitò le ire della stampa intransigente e anche de "L’Osservatore Romano".

Da una iniziale impostazione nella quale considera la stessa Opera dei Congressi come partito politico, Meda giunse gradatamente al partito non confessionale, distinto dalla azione cattolica propriamente detta. Autentico partito politico, dunque, quello che i cattolici d’azione in Italia avrebbero costituito, con un programma rispondente alle reali ed obiettive esigenze del paese. Sempre nel discorso del 1906, Meda ne traccia i punti fondamentali. I democristiani, come i democratici, hanno ereditato dalla tradizione cristiana(37) l’indifferenza nei confronti delle forme di stato: "il cristianesimo non impone a nessuno di professare opinioni monarchiche piuttosto che repubblicane; vuole, invece, che in monarchia e in repubblica le istituzioni siano conformi all’ordine e al diritto; la democrazia poi non esige da nessuno il sacrificio dell’ideale monarchico, quando il capo dello Stato, re od imperatore, non sia il detentore del potere, bensì la personificazione della sovranità sociale, non sia il princeps nel senso classico e operativo, bensì una potestà regolatrice, non sia insomma lo Stato, ma una funzione dello Stato(38)". Sicchè i cattolici dovevano pensare a darsi una qualche conformazione politica organica per influire meglio sullo sviluppo delle istituzioni; in altre parole, Meda pensava che non si sarebbe avuta perfetta e normale partecipazione dei cattolici alla vita pubblica senza un partito, anche se fosse stato un partito per sua essenza collaborazionista, disposto ad accettare gli istituti democratici nelle forme attuali e a realizzare un argine contro il socialismo e a protezione degli ordinamenti liberali.

Meda si adoperò, in ogni modo, per migliorare i rapporti tra liberali e cattolici e stabilire così un clima di fiducia tra le organizzazioni cattoliche e il partito di governo; ma dopo le elezioni del 1913 il leader del movimento cattolico milanese si rese conto che ormai i cattolici avrebbero dovuto fondare un partito autonomo per evitare di lasciarsi assorbire dai liberali. Tuttavia, nonostante Meda fosse stato il primo cattolico militante uscito dai quadri dell’azione cattolica leoniana a capire e indicare la necessità della nascita di un partito di cattolici, non toccò a lui fondare il partito nazionale di cattolici. Egli aveva, con la sua azione cauta, riservata, collaborazionista, preparato il terreno ma rimase estraneo alle discussioni e agli avvenimenti successivi. Alla fine della guerra le circostanze vollero che fosse Luigi Sturzo a dare al concetto cristiano di democrazia quel contenuto politico per il quale Meda aveva tanto lavorato, dando vita al primo partito di cattolici: il Partito Popolare Italiano.

III - Influenze Tonioliane

Un personaggio fondamentale nella storia del movimento cristiano democratico fu Giuseppe Toniolo(1). Questi, per giovani come Filippo Meda e Luigi Sturzo, rappresentò un costante punto di riferimento(2). Meda, in particolare, fu un acceso e convinto assertore delle teorie politiche e sociali(3) del professore trevigiano, tanto da affermare che "Giuseppe Toniolo veniva in tal modo ad assumere in Italia la posizione di capo riconosciuto dalla scuola sociale cristiana, e ad essere anche fuori dell’Italia una delle autorità più rispettabili e rispettate"(4). Contestare Toniolo significava non condividere e attaccare frontalmente la dottrina sociale della chiesa.

Giuseppe Toniolo fu l’uomo che cercò di conciliare il vecchio e il nuovo, perché si prodigò per far accettare anche ai più intransigenti gli orientamenti e i postulati della democrazia cristiana; fu sempre rispettoso della dottrina della chiesa e insegnò ai giovani cattolici del suo tempo ad impegnarsi nella lotta per l’elevamento economico e sociale delle condizioni del popolo e, in particolare, della classe operaia, vero problema del nuovo secolo.

L’ingresso di Toniolo nell’ambito del movimento cattolico avvenne in modo non molto evidente, ma, successivamente, grazie anche alla sua amicizia con Medolago Albani, il professore trevigiano fu spinto ad un impegno più attivo e diretto; necessitava in quel momento delineare una via alternativa al liberalismo e al socialismo e Toniolo fu sollecitato ad elaborare strumenti scientifici e culturali che permettessero di interpretare, in modo organico e propositivo, la realtà contemporanea(5).

Nel campo intransigente Toniolo rappresentava la personalità più sensibile ai problemi della cultura. Egli era convinto dell’importanza della maturazione e preparazione culturale dei cattolici prima di un loro qualsiasi inserimento nella politica e nell’azione sociale(6).

Le posizioni di Toniolo erano chiaramente antistataliste e, rifacendosi alla società medievale, sottolineava come questa, grazie alla sua articolazione in organismi dotati di propri poteri giurisdizionali e di propria autorità politica, rendesse possibile il graduale progresso dei ceti inferiori entro l’ordine costituito.

Nel 1889 fondò l’Unione cattolica per gli studi sociali(7) che, sebbene avesse l’approvazione di Leone XIII, suscitò polemiche all’interno dell’Opera dei congressi. Il nocciolo dei contrasti con la dirigenza dell’Opera dei congressi stava nel diverso modo di intendere, all’interno della società civile e religiosa, il ruolo del laicato cattolico, che Toniolo avrebbe voluto più attivo e meglio inserito nei processi di trasformazione delle strutture sociali del paese e a livello internazionale. In tale prospettiva fu fondata nel 1893 la "Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie" alla cui collaborazione Toniolo chiamò insigni studiosi nazionali e internazionali(8). Tra costoro vi fu lo stesso Filippo Meda.

La coscienza della realtà sociale creata dal capitalismo moderno e dal conseguente sviluppo del proletariato, come pure la crescente avanzata del socialismo, spinse Toniolo a redigere Il programma dei cattolici difronte al socialismo(9).

Ben presto le idee di Toniolo, volte a sollevare le classi più deboli, infiammarono molti giovani cattolici e provocarono una accesa opposizione da parte dell’intransigenza paganuzziana(10). Un ulteriore elemento di contrasto si produsse intorno al problema della Democrazia cristiana(11); Toniolo, infatti, aveva riconosciuto la legittimità del termine democrazia cristiana in un saggio dal titolo Il concetto cristiano di democrazia in cui definiva la democrazia cristiana come "l’ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo nell’ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori"(12). Era intenzione di Toniolo proporre un concetto che mettesse d’accordo vecchi e giovani. Secondo il professore trevigiano la democrazia cristiana non poteva, né doveva identificarsi con alcuna forma di governo; non era né repubblicana, né monarchica: era piuttosto un modo di porsi difronte alla realtà storica e di risolvere i problemi alla luce del Vangelo. Toniolo era incline a ritenere che la democrazia cristiana del domani sarebbe stata fautrice delle autonomie locali e di classe contro i centralismi burocratici, perché la storia aveva dimostrato che il popolo "politicamente non visse soltanto per entro ai grossi parlamenti, bensì piuttosto negli organismi autonomi dei comuni, delle corporazioni, rivestite di funzioni civili, nelle università campagnole, nelle vicinie o adunanze parrocchiali, nell’autorità feconda delle consuetudini giuridico-locali"(13). L’avallo dato da Toniolo alla democrazia cristiana approfondì le diffidenze nella dirigenza dell’Opera dei congressi, e non solo in essa. Il timore era che "la condiscendenza" nei confronti dei giovani desse corpo al "deviazionismo" di un movimento e compromettesse proprio l’unità che si diceva di voler salvaguardare.

La crisi del 1898, coinvolgendo in una medesima repressione socialisti e cattolici, e rendendo manifeste le debolezze dell’Opera dei congressi rese ancora più evidenti le tensioni. I contrasti tra i cattolici si accesero ancora di più in seguito ad un articolo di Filippo Meda sull’"Osservatore cattolico" del 15 e 16 marzo 1898, in cui l’autore faceva un resoconto della conferenza tenuta da Toniolo, sempre nel marzo del 1898, a Milano, intorno al concetto di democrazia cristiana(14). Tanto che lo stesso Toniolo in una lettera a Mons. Carlo Panighetti del 19 marzo 1898 esprimeva il suo dispiacere per il fatto che quell’articolo avesse travisato il suo pensiero:""L’Osservatore Cattolico", dettando alcune righe sulla conferenza intorno alla democrazia cristiana, da me tenuta lunedì scorso a Milano, sotto l’impressione di un argomento atto ad eccitare gli animi, lasciò trascorrere qualche frase che non solo tradisce il mio pensiero, ma forse anche quello dell’autore dell’articoletto, in seguito al quale però taluni giornali di Milano e di Torino sollevarono obiezioni"(15). Giuseppe Toniolo, per tutto il periodo della sua attività all’interno del movimento cattolico, cercò di fare da mediatore fra le due anime. E se, da un lato egli persisteva nel sostenere il movimento giovanile, pregando il Paganuzzi di non irrigidirsi e di comprendere come sotto "l’ebrezza della novità" e "l’irrequietezza delle aspirazioni indefinite" manifestate dai democratici cristiani si celasse un "proposito legittimo, nobile, cristiano per eccellenza, quello di persuadere colle parole e coi fatti che i cattolici sanno comprendere i bisogni e le aspirazioni del momento che essi soli nell’avvenire potranno darci legittima soddisfazione"(16), dall’altro lato, finiva, in forza della sua stessa posizione mediatrice, col suscitare perplessità tra alcuni giovani e, soprattutto, in Romolo Murri. Questi già nel marzo del 1900, distingueva la dottrina sociale di Toniolo e l’azione pratica dei democratici cristiani(17). D’altro canto lo stesso Toniolo riteneva opportuno dover placare l’animo di alcuni giovani cattolici, e ciò si evince, in modo particolare, da una lettera del 15 agosto 1908 indirizzata a Don Davide Albertario, in cui il professore trevigiano fa espresso riferimento a Filippo Meda: "Ma invero, dal tempo della sua prigionia a me pure parve che taluni redattori o collaboratori, del resto pieni di ingegno, di cuore, di slancio, abbiano lasciato correre nel giornale valoroso, sul problema o meglio sulla tesi papale, qualche nociva reticenza ed equivoco. Io sarei lieto di dovermi ricredere di queste mie impressioni (chè piena è la rettitudine delle mie intenzioni); [...] ma a giovani ricchi di cultura, di slancio, di intuizione, vorrei porre il quesito, se questi eventuali equivoci sieno consoni appieno a quel senso di modernità, di italianità e di aspettative avvenire di cui essi posseggono il segreto e gli entusiasmi. Dinanzi alla minaccia e sotto la pressura di uno stato panteista e liberticida, l’indipendenza del Pontefice, in quel più alto grado che egli reclama, non è il pegno ed il palladio dell’indipendenza dello spirito, della società, del popolo? [...] Noi vogliamo e dobbiamo essere cattolici e perciò stesso patrioti sinceri e ferventi, che non hanno nulla a che fare coi regimi passati poco cristiani e nulla italiani, ma nemmeno con uno stato presente che per essere antipapale, perciò stesso è antinazionale; [...]"(18). E ancora in un’altra lettera affiora il timore di Toniolo per i possibili equivoci che giovani cattolici possono far nascere "Io prego del resto lei e il signor Burgiesser di non conchiudere per la rivista di cultura letteraria generale, del Crispolti e Meda, senza aver parlato anche con me. Vorrei, pur lasciando piena libertà di direzione, uscisse colla scritta "sotto gli auspici della Società scientifica"... .."(19).

Nonostante le piccole incomprensioni (che furono più di carattere pratico che teorico), cui abbiamo accennato, Meda fu sempre consapevole del vero significato dell’opera svolta da Toniolo, in quanto anch’egli era convinto che un maggiore e più critico impegno culturale e scientifico dei cattolici non si dissociasse dall’attività sociale(20); d’altro canto lo stesso Toniolo si fece promotore di associazioni professionali a carattere sindacale e permanente che, senza voler dar vita a una conflittualità sociale, avevano il precipuo scopo di elevare il proletariato alla dignità di classe, riallacciando relazioni armoniche con le classi superiori sulla base della solidarietà, della giustizia e della carità cristiana.

Ma secondo Filippo Meda "la sua attività migliore e duratura, al di fuori delle contingenze di tempo e di luoghi, è però sempre quella che svolse come scrittore"(21) volta in particolare alla costruzione organica dell’economia. Meda studiò e recepì totalmente gli insegnamenti di Giuseppe Toniolo e, nonostante il suo interesse per la libertà economica, condivise il solidarismo Toniolano e allo stesso modo affermava che allo stato potevano essere assegnati poteri d’intervento nelle questioni economiche avendo le leggi economiche un carattere razionale positivo e non naturale.

L’amore per l’insegnamento di Toniolo spinse Meda a scrivere alcune opere sul pensiero del maestro(22) e in tutte si può ravvisare la profonda conoscenza che Meda possedeva delle teorie del professore trevigiano e la sua ferma convinzione che la figura del maestro fosse "sempre come quella di un uomo del quale tutti potevano e dovevano fidarsi, perché egli dalla competenza dottrinale universalmente riconosciutagli, dall’indole mite e conciliante, dall’esempio di una attività disinteressata e di una vita pienamente conforme, in pubblico e in privato, alle idee che professava, traeva un prestigio che nessuno mai potè contendergli e del quale egli si valeva per eccitare i timidi e i tardi, per moderare i frettolosi e gli ardenti. Ebbe, come tutti coloro che si lasciano travolgere nella vita pubblica, amarezze, disillusioni, contraddizioni :ma non mai dubbi o sconforti; la solida costruzione del suo intelletto, la limpida schiettezza del sentimento [...] lo preservarono da qualsiasi tentazione di abbandonare il campo: se qualche volta parve starsene in disparte, fu per deferente ossequio a direttive autorevoli prevalse in dissenso dalle sue, dissenso che egli, tuttavia, non proclamò mai, come altri invece volle fare, che anzi dissimulò sempre preoccupato sopra ogni cosa di non compromettere con intempestive agitazioni lo svolgersi sicuro e graduale del moto cristiano restauratore e riformatore che egli non ammetteva possibile ed efficiente se non sulla base di una assoluta ortodossia e di una disciplina tetragona ad ogni seduzione di scisma, senza per questo sentire il bisogno di avvilirla nella rinuncia ai suoi metodi, ai suoi convincimenti, alle sue speranze"(23). Queste parole ci fanno ben comprendere quanto grande fosse l’ammirazione e il rispetto che Meda nutriva per Toniolo e il legame che univa due tra i personaggi che hanno fatto la storia del movimento cattolico. Tuttavia non possiamo negare che vi fossero delle diversità, soprattutto sul piano pragmatico: Toniolo si sentiva piuttosto estraneo al diretto impegno politico e desiderava accentuare l’attività sociale e il lavoro scientifico; Meda, invece, riteneva necessario e naturale conseguenza dell’opera l’inserimento dei cattolici nei "gangli dello stato" e a tale scopo dedicò gran parte della sua vita.

Lettere di Meda a Toniolo

Nonostante le evidenti differenze, soprattutto di metodo, fra l’autorevole esponente del movimento cattolico italiano e Filippo Meda vi furono intensi rapporti di lavoro. E ciò è documentato anche dalle lettere riportate di seguito. Esse furono scritte da Filippo Meda a Giuseppe Toniolo tra il 1890 e il 1917. Si tratta di quasi un trentennio di intensa e proficua attività per entrambi. Toniolo realizza le prime iniziative nel campo delle ricerche politico-sociali, fonda l’Unione cattolica per gli studi sociali in Italia e dà il via ad alcune importanti pubblicazioni scientifiche quali la "Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie"(1893), e la collana "Pubblicazioni di scienze sociali e discipline affini"(stampata presso la tipografia editrice S. Bernardino da Siena messa a disposizione da Mons. Buffalini sin dal 1890), intensifica il suo impegno per creare in Italia, dal nord al sud, una forza cattolica viva e operante, divenendo al tempo stesso leader indiscusso del movimento cattolico italiano.

Si tratta di ben 34 lettere (una di esse, però, non è indirizzata al Toniolo) delle quali non esiste alcuna menzione nell’Opera Omnia di Giuseppe Toniolo. Attualmente le lettere sono custodite presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Per comodità di riferimento abbiamo contrassegnato le lettere con un numero progressivo.

In primo luogo occorre osservare che le lettere sono state scritte su carta con intestazioni diverse e che tali intestazioni seguono cronologicamente le attività e gli impegni che Meda andava assumendo: Opera dei congressi e dei comitati cattolici in Italia, Comitato diocesano Milanese Sezioni giovani, Corriere della domenica, Piccola biblioteca scientifico letteraria, L’Osservatore cattolico, L’Unione, Camera dei deputati, Ministro delle finanze, Società editrice Romana (L’Italia, Il Romanzo della domenica, La casa).

Anche il tono delle lettere subisce un’ evoluzione, nel senso che inizialmente Meda scrive in modo molto formale e riverente e, successivamente, diverrà più confidenziale, sebbene permanga sempre evidente il rapporto "discepolo- maestro" e il rispetto che il giovane avvocato milanese nutre nei confronti di un personaggio che già aveva conquistato la mente e il cuore di tanti giovani cattolici impegnati. Le lettere ci forniscono prevalentemente delle informazioni sulla personalità di Filippo Meda, sul suo travaglio ideologico e sulle scelte che lo condurranno ad assumere delle responsabilità all’interno della istituzione statale. La prima lettera è datata marzo 1890, quando Meda era ancora un giovane agli inizi della sua attività giornalistica; è anche il momento in cui dissensi e contrasti cominciavano a investire gli organismi dirigenti dell’Opera dei congressi circa i metodi di organizzazione, la sua struttura, i suoi programmi d’azione. Meda è vicepresidente della Sezioni giovani dell’Opera e, in tale veste, scrive a Toniolo pregandolo di fornire del materiale per la piccola biblioteca scientifico - letteraria, una pubblicazione in fascicoli che avrebbe dovuto fare da "contraltare", almeno nelle intenzioni di Meda, alla biblioteca del popolo. A tale scopo Meda vorrebbe inserire lavori di un certo spessore e attualità e chiede al prof. Toniolo di collaborare inviando qualcosa riguardante i suoi studi di economia sociale cristiana espresse in forma semplice e sintetica. L’insistenza con la quale Meda chiede la collaborazione di Toniolo a questa nuova pubblicazione attesta in primo luogo la sua totale adesione alle teorie elaborate dal docente trevigiano in campo economico-sociale, in secondo luogo la convinzione della necessità di un elevamento culturale delle masse, ritenuta ormai indispensabile da una buona parte degli aderenti all’Opera dei congressi.

Durante tutto il 1890 seguono una serie di lettere e cartoline postali che possiamo definire di servizio, in quanto trattano comunicazioni riguardanti la pubblicazione di lavori dell’uno o dell’altro personaggio, ma che, al tempo stesso, ci mostrano l’intenso e proficuo lavoro di ricerca che i due svolgono in quel periodo.

Con la lettera n. 8 del 1893, recante l’indicazione "riservata", Meda inizia ad usare un tono meno formale e a trattare argomenti riguardanti le problematiche che in quel momento accendevano gli animi all’interno dell’Opera dei congressi. Ricordiamo che all’interno dell’Opera assunse importanza crescente rispetto alle altre la seconda sezione economica sociale cristiana, grazie anche all’impulso formidabile dato dall’enciclica Rerum Novarum "accolta come segnale di riscossa" negli ambienti cattolici, specialmente in quelli intransigenti già impegnati da alcuni anni nell’azione economico-sociale. L’organizzazione si trova in un momento particolarmente difficile: la nomina del prof. Lumeria alla cattedra di alta religione aveva messo in allarme alcuni membri in quanto questi era dichiaratamente rosminiano, convinto liberale e, addirittura, dal pulpito aveva invitato i fedeli, nelle ultime elezioni polititiche, a recarsi a votare. Meda, in fondo, condivide tale linea, ma al momento sembra che il suo agire sia contraddistinto dalla prudenza. Tuttavia cominciano a delinearsi all’interno dell’Opera le sue posizioni e quelle di quanti, come lui, aspiravano all’ingresso dei cattolici nella vita politica e sociale del paese; e qualsiasi episodio che portasse ad uno scontro fra le due anime del movimento è sottoposto da Meda al giudizio super partes di Toniolo, al quale chiede consigli per portare avanti una linea di azione.

Particolarmente interessante è la lettera n.12. Nel 1893 viene organizzato un banchetto elettorale e Meda, quale membro del consiglio direttivo dell’associazione elettorale e responsabile del giornale ufficiale "L’elettore cattolico milanese", vi partecipa. Meda afferma che l’associazione elettorale, promotrice del banchetto, è composta interamente da elementi nuovi, nel senso che si tratta di giovani convinti che per poter attuare gli obiettivi che il movimento cattolico si era prefissi, bisognava far sentire l’influenza dei cattolici nella vita politica e sostituire la formula "né eletti né elettori" con l’altra "preparazione nell’astensione". Egli si sente rincuorato dall’aver vicino Toniolo. Per il giovane avvocato milanese, in questo cammino verso l’introduzione dei cattolici in politica, rimangono preziosi gli ammonimenti del professore trevigiano e li accetta ringraziandolo: "hanno sempre fatto parte del mio programma e spero di non staccarmene mai". Meda è pronto ad accogliere le proposte conciliative di Toniolo che in quel momento è l’unico che possa fare da trade-union tra i vecchi e i giovani democratici cristiani.Tuttavia in modo risoluto non aderisce alla preghiera di Toniolo di ritirare le dimissioni da segretario del comitato diocesano e da vice presidente della sezione giovani. E la motivazione addotta sta nel fatto che ormai, all’interno dell’Opera, Meda rappresenterebbe un elemento sospetto; anziché abbandonare le sue opinioni in merito alle azioni da portare avanti, egli preferisce ritirarsi dalle posizioni più esposte ai colpi. Ciò che lo consola grandemente è la preziosa stima e la benevolenza che Toniolo mostra nei suoi confronti.

Dalla lettera n. 14, sempre del 1893, si evince che il rapporto con il prof. Toniolo è divenuto ancora più stretto e Meda senza remore si lascia andare ad un ulteriore sfogo sulla situazione, ormai di crisi insanabile venutasi a creare all’interno dell’Opera. Egli desidererebbe la presenza fisica di Toniolo affinché questi potesse verificare personalmente che la colpa di ciò che accade non è "di quei poveri giovani di cui si dice tanto male". L’affermazione delle tesi portate avanti da Meda aveva provocato una serie di dimissioni e l’essere additati come ribelli e "novatori" produce una grande amarezza. Si rivolge ancora una volta al suo maestro nella speranza che egli, "giovane di mente e di cuore se non di anni, possa comprendere lo stato d’animo in cui versa".

Sebbene gran parte della storiografia cattolica affermi che i contrasti all’interno dell’Opera dei congressi tra la vecchia guardia e il nucleo dei giovani comincino a delinearsi dopo il 1897 (anno in cui si celebrò a Milano il XV congresso cattolico), di fatto le lettere di Meda ci attestano che già da qualche anno esistevano dissensi e contrasti. Tuttavia, forse anche grazie a tali contrasti, è proprio in questo periodo che la maggiore organizzazione nazionale cattolica intensifica le iniziative economico-sociali(1).

La lettera n.17 dell’ 8-12-1893 esprime la preoccupazione della mancanza di preparazione dei giovani cattolici e delle masse per combattere le teorie marxiste. Per Meda sarebbe necessario non limitarsi più alla creazione di qualche società di mutuo soccorso, bensì prepararsi adeguatamente all’avanzata delle teorie socialiste che, pur di "accaparrarsi" le masse avevano ridotto il loro programma alla proprietà collettiva del capitale destinato alla produzione e alla proprietà privata dei frutti. Questo timore accomunava tutti i cattolici che, in quel momento, assistevano alla rapida avanzata delle forze di sinistra(2). D’altra parte, già nel 1890, "L’Osservatore cattolico", pur ribadendo il contrasto irriducibile tra cristianesimo e socialismo, invitava i cattolici ad occuparsi della questione sociale intensificando l’azione nel campo economico-sociale(3).

Nonostante la crescita e l’impegno in campo sociale di tutta l’organizzazione cattolica tanto da far considerare il 1897 anno di maggiore espansione dell’Opera dei congressi, Meda nella lettera n. 20 manifesta, ancora una volta, lo stato d’animo di insofferenza nel quale si ritrova; le continue divergenze all’interno del movimento lo inducono a tenersi in disparte, ma allo stesso tempo ciò gli incute paura per il futuro del movimento democratico e chiede a Toniolo conforto e un suo parere sul da farsi. Da quanto detto possiamo dedurre che il dissidio, quantomeno latente fra i gruppi all’interno dell’Opera, anziché portare un indebolimento, almeno in un primo periodo, aveva avuto riflessi positivi in quanto aveva condotto allo svecchiamento di certe strutture ed al loro progressivo adattamento alle nuove esigenze della società e alla creazione di organismi più moderni. Ma, successivamente, questi progressi sul piano sociale, si accompagnarono ad una progressiva decadenza dell’Opera dei congressi, i contrasti tra le varie correnti(4) si accentuarono a tal punto che nel 1904 si giunse alla soppressione dell’organizzazione da parte della S. Sede. Poco prima e, precisamente, nel 1901 la promulgazione dell’enciclica Graves de communi che sanzionò ufficialmente il nome "Democrazia Cristiana" ebbe l’effetto immediato di incoraggiare il moltiplicarsi di associazioni e organismi professionali secondo il nuovo indirizzo(5); ma al tempo stesso venne a creare un’ ulteriore spaccatura tra coloro che davano un’interpretazione più prudente e moderata del concetto di democrazia, come Toniolo e Meda, e coloro che la intendevano nell’accezione più ampia come ad esempio Romolo Murri.

L’incondizionata adesione alle direttive del Pontefice in merito alla Questione romana non impediva a Meda di occuparsi di problematiche inerenti la difficile convivenza tra il novello stato italiano e la Chiesa cattolica; e, infatti, nella lettera n. 22, l’avvocato milanese sottopone al vaglio e al giudizio critico di Toniolo lo schema dettagliato di un possibile convegno sul tema del divorzio, chiedendo al contempo di trovare i relatori più adatti per trattare un argomento così delicato. Meda, proprio per la complessità del tema ritiene opportuno affrontarlo nei suoi diversi aspetti: il divorzio difronte al concetto religioso del matrimonio; il divorzio difronte al concetto giuridico del matrimonio (il che equivarrebbe alla dissertazione della tesi se unico presidio della indissolubilità sia la sacramentalità ovvero se la indissolubilità possa essere sostenuta difronte ad uno stato che riconosce valido il solo matrimonio civile); inoltre una revisione dei precedenti parlamentari e una comparazione con la legislazione delle altre nazioni europee e, per concludere, gli effetti sociali del divorzio. Nella lettera n. 23, Meda chiede esplicitamente a Toniolo di scrivere un articolo tramite il quale potere finalmente "mettere le cose a posto", indicandolo così come l’unico esponente del movimento cattolico che potesse condurre ad una fusione tra le due correnti della Democrazia Cristiana, l’una più avanzata e combattiva facente capo a Romolo Murri e al "Domani d’Italia", l’altra più moderata che si richiamava agli insegnamenti di Toniolo e al programma di Meda.

Nel 1905 Meda era ancora direttore de "L’Osservatore cattolico", il battagliero giornale milanese. Conclusasi l’esperienza dell’Opera dei congressi, egli intensificò i suoi sforzi per la formazione non più di una semplice Unione elettorale, ma di un vero e proprio Centro politico(6); tuttavia, nella lettera n. 24, Meda, resosi conto delle innumerevoli difficoltà che il suo progetto avrebbe incontrato,difronte all’azione intrapresa da Toniolo (incaricato dalla S. Sede di elaborare gli statuti delle varie Unioni, che avrebbero dovuto succedere all’Opera dei congressi), dichiara, seppure a malincuore, la sua collaborazione allo stimato professore. Meda non rinnega le sue idee, ma è disposto a favorire le nuove iniziative nella speranza di una evoluzione che possa condurre alla creazione di un Centro cattolico autonomo a dimensione laica. D’altra parte lo stesso Toniolo così aveva scritto a Meda: "non si rifiuti e faccia preziosa la prova massima della sua finezza e saggezza politica, mettendo in disparte per ora le idealità di una perfezione avvenire"(7). A pochi giorni di distanza segue un’altra lettera, la n. 25 del 9 luglio 1905, dalla quale si evince che Meda, pur continuando a collaborare col Toniolo nella creazione degli statuti, non perde occasione per ricordare al professore le sue idee in merito alla federazione elettorale; si lamenta per la debole coscienza politica dei cattolici ed esprime la sua paura: "ci trasformeremo a servire da sgabello ai moderati". Il discorso di Ferrara, pronunciato da Meda in occasione del 10° anniversario della fondazione del locale circolo cattolico, non è altro, come egli stesso scriverà a Toniolo nella lettera n. 27, che una riconferma delle idee che sempre erano state alla base della sua lotta per affermare la necessità dell’azione sociale dei cattolici sul terreno costituzionale: "non ho se non ripetuto - scrive Meda - nelle forme più appropriate ai tempi le idee che sono sempre state la direttiva della mia vita privata e pubblica". Eppure, quelle stesse idee che ora ricevono il plauso dello stesso Toniolo e di altri esponenti del movimento cattolico avevano creato dissidi e sospetti. Meda è convinto che le sue parole non gioveranno a diminuire i problemi che avevano suscitato nel passato, ma ritiene sempre più impellente che i cattolici si impegnino nella competizione elettorale con senso di responsabilità e coscienza politica. Allo scoppio della prima guerra mondiale Meda entra a far parte del governo Boselli come ministro delle finanze. Era la prima volta che un esponente del movimento cattolico facesse parte di un governo liberale; naturalmente ciò destò parecchie perplessità, se non scalpore, in tutto il mondo cattolico. Le lettere n. 31, 32, 33, 34 che vanno dal dicembre 1915 al dicembre 1917, coprono, forse, il periodo di maggiore travaglio per Filippo Meda. Da una parte egli considera la sua partecipazione al governo una scelta necessaria per la realizzazione di un disegno provvidenziale: l’ingresso dei cattolici nella vita istituzionale del paese. Egli rappresenta il soldato che ha abbattuto l’ultima barriera, che ha fatto saltare il reticolato. Adesso che il terreno è sgombro il suo compito, forse storico, è finito. Sente su di sé fortemente la responsabilità di un atto che ha rappresentato una svolta per tutti i cattolici italiani. Dall’altra parte i giudizi non poco benevoli, se non addirittura aspri gli impongono delle riflessioni al punto tale da invocare indulgenza dagli amici che da ogni parte d’Italia lo confortano. Ciò che maggiormente lo angustia è sapere come sarà giudicato dal professore Toniolo del quale egli si definisce figlio spirituale seppure indegno, perché è proprio grazie al maestro e al suo forte senso filosofico della storia, trasmesso attraverso l’insegnamento e gli scritti, che egli ha fatto le sue scelte più importanti.

Conclusione

Tutta la vicenda del movimento cattolico in Italia può essere letta in termini di faticoso e lento passaggio dall’intransigenza al dialogo. Sebbene all’interno dell’intransigentismo scorrano varie correnti, quelle temporaliste e legittimiste, quelle interclassiste e corporative dei cristiano-sociali, quelle più nettamente popolari dei democratici cristiani, è ormai assodato che dal cattolicesimo intransigente si sia giunti gradualmente ad una apertura, seppur critica, ai valori della cultura contemporanea.

Nell’alveo dell’intransigentismo Filippo Meda rappresenta l’esempio più evidente di un’evoluzione di pensiero e di azione che condurrà i cattolici alla diretta e totale partecipazione alla vita politica del paese. È, infatti, alla luce dell’itinerario percorso da questo personaggio che noi oggi possiamo rilevare le radici intransigenti del movimento democratico cristiano e del primo partito di cattolici. Meda, pur rimanendo fedele ai principi dell’intransigenza (ferma difesa dei diritti della chiesa, condanna dello stato liberale e di come si era strutturato in Italia) comprende la necessità di una presenza viva dei cattolici per migliorare la struttura dello stato e intraprende la strada "riformista" per attuare tale disegno.

Tutti sono consapevoli della gravità della questione sociale e della necessità di porvi rimedio; tutti si rendono conto della minaccia delle ideologie socialiste ostili a ogni ideale veramente cristiano; tutti si oppongono all’ordine liberale, individualistico, borghese, capitalista e laicista; tutti, infine, si sentono impegnati su due fronti di battaglia nella ricerca di una terza via tra liberalismo e socialismo, accomunati negli obiettivi e nei contenuti, ma profondamente in disaccordo riguardo all’attività e ai metodi da seguire per la riconquista cristiana della società.

Meda fa la sua scelta: dal rifiuto del liberalismo e dalla condanna delle strutture dello stato Italiano passa all’azione politica per la riforma dello stato su principi democristiani. La presenza all’interno del parlamento come primo deputato cattolico, la lunga attività svolta nelle amministrazioni locali, l’incarico ministeriale rappresentano tappe significative di un’ evoluzione di pensiero volta verso un’azione intelligentemente riformistica. Ed è anche per questo che non si può parlare di conservatorismo di Meda né, nell’ultimo periodo della sua attività politica, di clerico-fascismo. Il suo forte senso dello stato, fondato sull’impero della legge, lo condurranno a compiere delle scelte non sempre comprese e condivise. Ciò gli procurò un lacerante travaglio interiore. E quello che si evince nel rapporto epistolare che, per quasi un trentennio egli intrattenne con Toniolo. Dalle lettere traspare un personaggio pienamente convinto delle sue idee, che agisce in coerenza con esse,ma al tempo stesso bisognoso di riscontri e certezze. Ciò che maggiormente salta agli occhi è l’uomo Meda amareggiato per le incomprensioni e gli aspri giudizi nei suoi confronti, a causa delle decisioni, non sempre facili, da lui prese.

Al di là di ogni possibile giudizio, a Meda si deve riconoscere il merito di aver svolto un’importante funzione storica: aver traghettato i cattolici italiani da posizioni intransigenti, rigide e chiuse a qualsiasi dialogo con il mondo politico circostante, ad un inserimento attivo, fondamentale e necessario all’interno delle strutture istituzionali.

NOTE

1 Sul pensiero e sull’opera di Filippo Meda esiste una cospicua bibliografia: M. Vaussard, Filippo Meda, Louis de Soje, Paris, 1916; G. Micheli, Filippo Meda e l’opera sua di scrittore, Parma, La giovane montagna, 1940; G. Meda, Nel decennio della morte di mio padre, Milano, 1949; A. Fantetti, Eco di dibattiti: Murri, Toniolo, Meda, Civitas, 1954; G. De Rosa, Filippo Meda e l’età liberale, Firenze, Le monnier, 1959; A. Fappani, L’entrata dell’On. Meda nel ministero Boselli, R.P.S., 1969; F. Traniello-S. Fontana, Meda, Murri e Sturzo e alcuni momenti del dibattito sul partito cattolico (1894-1905), in L.S.I II; A. Majo, La stampa quotidiana cattolica milanese 1860-1912. Mezzo secolo di contrasti, Milano, Grafiche Boniardi, 1972.

2 Per i ricordi di Meda sulle sue esperienze giornalistiche vedi: F. Meda, Mezzo secolo di giornalismo, in "L’illustrazione vaticana", 16-30 novembre 1937.

3 Funzione importante rivestì la figura di Don Davide Albertario nell’affermazione e nel rafforzamento dell’intransigentismo milanese, tanto da essere definito "il cervello politico più forte di tutto l’intransigentismo lombardo" in D. Secco Suardo, I cattolici intransigenti, Brescia, Morcellania, 1962, p.67; su Don Davide Albertario vedi anche: Dizionario biografico degli italiani, Istituto della enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 1960, la voce Albertario a cura di F. Fonzi; G. Pecora, Don Davide Albertario,campione del giornalismo cattolico Torino, Soc.Ed.Internazionale, 1934; F. Fonzi, Don Davide Albertario, la realtà e il mito, in "Quaderni di cultura e storia sociale", n. 6-7, giugno-luglio 1954, pp. 377-389.

4 Sull’Opera dei congressi Cfr. G. De Rosa, Storia politica dell’azione cattolica in Italia. L’opera dei congressi (1874-1904), Bari, Laterza, 1953; G. De Rosa, Il movimento cattolico in Italia dalla restaurazione all’età giolittiana, Bari, La terza, 1976; A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei congressi (1874-1904). Contributo per la storia del cattolicesimo sociale in Italia, Roma, Università Gregoriana, 1958; E. Vercesi, Il movimento cattolico in Italia (1870-1922), Firenze, Casa editrice "La voce", 1923;G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma, Editori riuniti, 1972.

5 F.Meda, Le cinque piaghe del movimento cattolico italiano, in "Fatti ed idee", Milano, Palma, 1898, n.15.

6 F. Meda, Noi e gli altri, in "Fatti e idee", n. 49.

7 F. Meda, Noi e gli altri, cit., n. 36.

8 Ibidem, n. 50.

9 Cfr. E. Passerin D’Entrèves, L’eredità della tradizione cattolica risorgimentale, in Aspetti della cultura cattolica nell’età di Leone XIII, Roma, 1961, Atti di un convegno tenuto a Bologna 27-28-29 dicembre 1960; E. Vercesi, P. Semeria, servo degli orfani, con prefazione di Filippo Meda, Amatrice, 1932.

10 Cfr., F. Fonzi, Crispi e lo "stato di Milano", Milano, Giuffrè, 1965.

11 Cfr., A. C. Jemolo, Partecipazione dei cattolici alla vita dello stato italiano, Roma, Studium, 1958; C. Besana, La storiografia sull’azione sociale, Bollettino dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico, n.1, anno 1999; G. Valente, Aspetti e momenti dell’azione sociale dei cattolici in Italia (1892-1926), Roma, Cinquelune, 1978;

12 Sugli sviluppi del movimento cattolico lombardo Cfr. L. Osnaghi Dodi, L’azione sociale dei cattolici nel milanese (1878-1904), Milano, Sugarco edizioni,1974.

13 F. Meda, L’azione politica dei cattolici, in "L’osservatore cattolico", 17-18 marzo, 1896.

14 Cfr., Per le elezioni al consiglio provinciale. Il caso di Rho, in "L’osservatore cattolico", 21 giugno 1902.

15 Sulla figura e sull’opera di Romolo Murri Cfr., G. Marcucci, Fanello, Romolo murri, in Storia e politica, fasc. II, aprile-giugno, 1970; L. Bedeschi, I cattolici disubbidienti, Roma, Napoli, Vito Bianco editore, 1959; G. Spadolini, Murri, in Gli uomini che fecero l’Italia, Il novecento, Milano, Longanesi, 1972; L. Ambrosoli, Il primo movimento democratico cristiano in Italia (1897-1904), Roma, Cinquelune, 1958; P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1961; E. Guccione, Cattolici e democrazia,Ventura, Murri, Sturzo e le critiche di Gobetti, Palermo, Ila Palma, 1988.

16 Cfr., F. Fonzi, Crispi e lo "Stato di Milano", cit.

17 Cfr., L. Ambrosoli, Profilo del movimento cattolico milanese nell’Ottocento, in "Rivista storica del socialismo", settembre-dicembre 1960, pp. 677-724; P. Scoppola, La stampa cattolica di fronte al problema sociale e alla crisi dello stato liberale, in Coscienza religiosa e democrazia nell’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino,1966.

18 In effetti, sotterrata l’Opera dei congressi, a Filippo Meda fecero capo, da ogni parte d’Italia, i maggiori esponenti del movimento cattolico, per preparare il convegno che avrebbe dovuto fondare l’organo di collegamento elettorale dei cattolici. Il convegno si svolse il 4 agosto 1904, e qui si decise di fondare una unione elettorale che avrebbe dovuto supplire all’Opera dei congressi. L’unione non nacque sotto buoni auspici; vi era molta confusione tra i cattolici ,e si temeva una sconfessione da parte della autorità ecclesiastica. Lo stesso Giuseppe Toniolo fu contrario all’iniziativa di Filippo Meda.Cfr., M. Invernizzi, L’Unione elettorale cattolica italiana (1906-1919).

19 In questa vicenda appare più volte il nome di Giuseppe Toniolo, il quale in un primo tempo critica l’iniziativa di Filippo Meda, successivamente lo incoraggia "non si rifiuti- scriveva a Meda Giuseppe Toniolo - e faccia preziosa la prova massima della sua finezza e saggezza politica mettendo in disparte per ora le idealità di una perfezione avvenire". (Cartella "Documenti e memorie" in archivio Filippo Meda). Infine lo stesso Toniolo, insieme a Medolago Albani e Pericoli riprenderà il tentativo di Meda; infatti Toniolo fu incaricato dalla S.Sede di elaborare gli statuti delle varie Unioni che avrebbero dovuto succedere alla disciolta Opera dei congressi. Bisogna tuttavia evidenziare che il nuovo tentativo di Toniolo era notevolmente diverso dall’idea di Meda che avrebbe voluto creare un centro cattolico autonomo a dimensione laica.

20 G. De Rosa, Filippo Meda e l’età liberale, Firenze, Le Monnier, 1959.

21 Nei confronti de "L’Unità cattolica" Meda sporse querela per diffamazione; dopo regolare processo "L’Unità cattolica" venne condannato dal tribunale di Firenze. Cfr., La querela de "L’Unione" contro "L’Unità", in "Avanti!", Roma, 18 dicembre 1908; e "Corriere d’Italia", 10-giugno-1909, in cui si trova il resoconto del processo.

22 F. Meda, Dal nazionalismo al pacifismo, in "Rassegna nazionale", 16-6-1913.

23 L’atteggiamento di Meda nella questione delle elezioni del 1913 che si sarebbero svolte col suffraggio universale e sulla partecipazione dei cattolici, fu espressa nel discorso che egli pronunciò a Ferrara in occasione del 10° anniversario della fondazione del locale circolo cattolico; il testo del discorso si trova né "Il corriere d’Italia" ,23-09-1912.

24 G. De Rosa, Filippo Meda e l’età liberale, cit.

25 Vedi F. Meda, In attesa delle elezioni, in "Il corriere d’Italia" 10-07-1912; F. Meda, Pio X e la vita politica italiana, in "Vita e pensiero", giugno 1935.

26 In un articolo apparso su "Il corriere d’Italia del 4 -12 -1912 Meda scriveva: "L’azione pubblica dei cattolici in Italia non è, oramai, più in antitesi diretta e necessaria con il partito liberale, che meglio si sarebbe dovuto dire il partito attuale di governo, se non in quanto questo partito fosse anticlericale".

27 F. Meda, I cattolici italiani e le ultime elezioni politiche, in "Nuova antologia", 16/01/1916.

28 L’iniziale neutralismo di Meda si può senz’altro ricondurre al suo ideale pacifista considerato l’unico modo per un ordinato sviluppo civile e politico della società tutta. Cfr., F. Meda, Dal nazionalismo al pacifismo, cit.; F. Meda, La guerra europea e gli interessi italiani, in "Vita e pensiero", 30/03/1915.

29 Tra i fattori che indussero Meda a rivedere la sua posizione neutrale, fu senz’altro l’aggressione del Belgio da parte della Germania che aveva così violato ogni norma di diritto internazionale. Vedi: F. Meda, La violata neutralità del Belgio, in "Vita e pensiero",20/04/1915.

30 Tra gli altri ricordiamo Romolo Murri il quale osservava che "l’ingresso di Meda nel ministero lasciava più o meno le cose com’erano nell’atteggiamento dei cattolici, incerto e multanime dinanzi alla guerra". Vedi: R. Murri, Filippo Meda, nel "Giornale del mattino", 8/ 08/1916.

31 Il nuovo ministero, in "L’osservatore romano" 20/06 /1916.

32 Corriere d’Italia, 31/10/1917.

33 Vedi: F. Meda, La riforma delle imposte dirette sui redditi, Milano, Ed. Treves, 1920.

34 Cfr. G. De Rosa, Filippo Meda e l’età liberale, cit.

35 F. Meda, Il nuovo partito cattolico, (intervista), in "L’idea nazionale", 1 -2 gennaio 1919.

36 F. Meda, La situazione parlamentare e il partito popolare italiano, in " Civitas", n. 2, 1919.

37 G. De Rosa, Filippo Meda e l’età liberale, cit.

38 Cfr., F. Meda, I popolari, la proporzionale e le elezioni amministrative. Tattica intransigente?, in "Civitas", 1920.

39 Meda ottenne 58.568 voti di preferenza su 101.131 voti andati complessivamente alla lista.

40 Rifiutò la nomina di ministro degli esteri e della giustizia propostagli da Bonomi, come pure quella a rappresentante dell’Italia alla conferenza di Washington sul disarmo del novembre 1921. Anche nel 1922, nel corso della drammatica crisi del primo ministero Facta, Meda si rifiutò di comporre il governo.

41 Cfr., L.Sturzo, Il partito popolare italiano, vol. II, Popolarismo e fascismo 1924, Bologna, Zanichelli, 1956

42 G. De Rosa, Filippo Meda e l’età liberale, cit.

NOTE

1 Sui vari filoni del cattolicesimo Cfr. F. Fonzi, Per una storia del movimento cattolico (1861-1919), Rassegna storica del Risorgimento, 1950; P. Alatri, Profilo storico del cattolicesimo liberale in Italia, Palermo, Flaccovio, 1950; G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma, Rinascita, 1953; F. Fonzi, La cultura cattolica nell’età di Leone XIII, Roma, Cinquelune, 1961; F. Malgeri, I cattolici dall’unità al fascismo, Momenti e figure, Chiaravalle centrale, edizioni Frama’s, 1973.

2 Cfr. G. Candeloro,Storia dell’Italia moderna, Milano, Feltrinelli, 1970.

3 Cfr. G. De Rosa, Storia politica dell’azione cattolica in Italia, I, Bari, Laterza, 1953.

4 Cfr. G. De Rosa, Filippo Meda e l’età liberale, cit.

5 Fondato a Milano nel 1864 diviene, grazie all’ingresso nella redazione di Don Davide Albertario, quotidiano di punta del cattolicesimo intransigente.

6 "L’Unione" nasce nel 1907 dalla fusione di due giornali milanesi un tempo avversari: "L’Ossevatore cattolico" e "La Lega lombarda"(quotidiano transigente diretto dal marchese Cornaggia); fautore dell’iniziativa e direttore della nuova testata sarà lo stesso Filippo Meda.

7 Il non expedit fu emanato nel marzo del 1871, quando la penitenzieria del Vaticano rispondendo alla domanda "se nelle circostanze attuali, ed in vista di tutto ciò che si sta consumando in Italia a danno della chiesa sia espediente concorrere alle politiche elezioni", rispose: "non expedire". Ma l’ufficialità si ebbe nel 1874, quando lo stesso Pio IX si espresse, affermando che per un cattolico non era lecito andare a sedere a Montecitorio. Già nel 1861 Don Giacomo Margotti (fondatore nel 1863 de "L’Unità cattolica", battagliero giornale intransigente) aveva coniato la formula né eletti né elettori, in un articolo apparso l’8 gennaio 1861, destinato a diventare il manifesto dell’astensionismo elettorale dei cattolici, prima ancora della sanzione ufficiale della S. Sede.

8 Meda espresse le sue idee in una serie di articoli; tra gli altri ricordiamo: L’azione politica dei cattolici in "L’Osservatore cattolico" 17-18 marzo 1896; In attesa delle elezioni, in "Il corriere d’Italia" 10 luglio 1912.

9 Sulla figura di Romolo Murri Cfr.: G. Spadolini, Murri, in Gli uomini che fecero l’Italia, cit.; L. Bedeschi, I cattolici disubbidienti, cit.; G. Marcucci Fanello, Romolo Murri, in "Storia e politica", cit; S. Zoppi, Romolo Murri e la prima democrazia cristiana, Prefazione di Giovanni Spadolini, Firenze, Vallecchi Editore, 1968; AA.VV., Romolo Murri nella storia politica e religiosa del suo tempo, Atti del convegno tenutosi a Fermo 9-11 ottobre 1970, a cura di G. Rossini, Roma, Cinquelune, 1972; L.Bedeschi, Il modernismo e Romolo Murri in Emilia e Romagna, Parma, Guanda, 1967; M. Guasco, Romolo Murri e il modernismo, Roma, Cinquelune, 1968; L. Bedeschi, Dal movimento di Murri all’appello di Sturzo, Milano, Ares, 1969.

10 Cfr. L. Sturzo, Le imminenti elezioni politiche e i cattolici, in "La croce di Costantino" 16 ottobre 1904; ora in La battaglia meridionalista-Luigi Sturzo, a cura di Gabriele De Rosa, Bari, Universale La Terza, 1979.

11 F. Meda, Noi e gli altri, in "Fatti e idee", n. 49.

12 F. Meda, La nostra astensione, in "La scuola cattolica", marzo 1895.

13 Ibidem.

14 Basti pensare allo scandalo della Banca Romana, la caduta di Giolitti, il ritorno di Crispi al potere, la repressione dei Fasci siciliani.

15 F. Meda, Parlamentarismo e sistema rappresentativo, estratto dal periodico "L’Elettore cattolico milanese", conferenza tenuta a Milano il 26 gennaio 1896, ora contenuta in F. Meda, Scritti scelti, a cura di Giampiero Dore, Roma, Edizioni Cinquelune, 1959, p.63-64.

16 Ibidem, p.64.

17 F. Meda, Parlamentarismo e sistema rappresentativo, cit., p. 66.

18 Ibidem, pp. 68-69.

19 Ibidem, p. 81.

20 Ibidem, p. 81

21 Cfr., F. Meda, Parlamentarismo e sistema rappresentativo, cit. p. 71-72. Successivamente, e precisamente nel discorso "Il programma politico della democrazia cristiana" del 1906, Meda cambierà opinione sul voto obbligatorio ritenendolo l’unico idoneo a colmare l’assenteismo di gran parte del corpo elettorale. Sarà invece contrario sia alla revoca del mandato in quanto sarebbe una coazione sulla volontà degli eletti e ne sopprimerebbe anche la responsabilità, sia al voto plurimo il quale non è compatibile con il principio di uguaglianza difronte alla legge.

22 Ibidem, p. 71.

23 Ibidem, p. 75.

24 Ibidem, p. 80.

25 Ibidem, p. 82.

26 F. Meda, I cattolici italiani nella vita politica, in "L’osservatore cattolico" 29 dicembre 1904.

27 Ibidem.

28 Sul pensiero di Don Davide Albertario Cfr.: F. Fonzi, Don Davide Albertario, la realtà e il mito, in "Quaderni di cultura e storia sociale", cit.; G.Pecora, Don Davide Albertario,campione del giornalismo cattolico, cit..

29 Cfr. P. Scoppola, La democrazia nel pensiero cattolico del Novecento, in Storia delle idee politiche, economiche e sociali, diretta da Luigi Firpo, vol. VI, Il secolo ventesimo, Torino, Utet, 1972; E. Guccione, Cattolici e democrazia, Ventura, Murri, Sturzo e le critiche di Gobetti, Palermo, Ila Palma, 1988.

30 Cfr. G. De Rosa, Storia contemporanea, Bergamo, Minerva Italica, 1971; F. Fonzi, I cattolici e la società italiana dopo l’unità, Roma, Studium, 1960.

31 Sulla situazione del movimento cattolico nel mezzogiorno vedi: L. Sturzo, Conservatori cattolici e democratici cristiani, in Sintesi sociali, Opera omnia, Seconda serie, vol. I, Bologna, Zanichelli Editore, 1961; F. Malgeri, I cattolici dall’unità al fascismo, Momenti e figure, Chiaravalle Centrale, Edizioni Frama’s, 1973; La democrazia cristiana, Lettera pastorale collettiva dell’Episcopato Siculo, Noto, Tipografia di Fr. Zammit, 8 febbraio 1903.

32 Sulle vicende e sul valore dell’azione del gruppo palermitano Cfr., AA.VV., G. Giarrizzo, Luigi Sturzo nella storia d’Italia, vol. I, Roma, 1973.

33 L. Sturzo, La Regione nella Nazione (1949), Bologna, Zanichelli, 1974; E. Guccione, Municipalismo e federalismo in Luigi Sturzo, Torino, S.E.I., 1994; E. Guccione, Dal Federalismo mancato al Regionalismo tradito, Torino, Giappichelli Editore, 1988.

34 L. Sturzo, Problemi urgenti, in "La Patria", 15 ottobre 1904.

35 L. Sturzo, I problemi nella vita nazionale dei cattolici italiani, in Sintesi sociali, Opera Omnia, cit.

36 Il testo del discorso si trova in "L’Osservatore cattolico" 19 novembre 1906.

37 A proposito dell’indifferenza dei cattolici nei confronti delle forme di stato, ricordiamo un autore che molto ha influito sul pensiero politico di diversi esponenti del movimento cattolico moderno: Gioacchino Ventura. Cfr. G. Ventura, Il potere politico cristiano, vol. I, Milano, C. Turati, 1858; E. Guccione, Aspetti del pensiero politico di Gioacchino Ventura, Saggio introduttivo a G. Ventura, Il potere pubblico, Palermo-Sào Paulo, Ila Palma, 1988; R. Marsala, Potere politico e democrazia in Gioacchino Ventura, Palermo, Anvied, 1994.

38 F. Meda, Il programma politico della democrazia cristiana, adesso contenuto in Scritti scelti a cura di Giampiero Dore, cit., p. 142.

NOTE

1 Nato a Treviso il 7 marzo 1845, compì gli studi presso l’Istituto Foscarini di Venezia. Nel 1867 si laureò in giurisprudenza nell’Università di Padova e vi rimase, proseguendo i suoi studi, sino al 1872 come assistente e, dal 1873 al 1874, come incaricato alla cattedra di filosofia del diritto. Successivamente insegnò economia politica all’Istituto Tecnico di Venezia, ma, dopo qualche anno, fu chiamato quale docente della stessa disciplina all’Università di Modena. Nel 1879 passò all’Univesità di Pisa, dove, prima da straordinario e poi, dal 1883, da ordinario, tenne la cattedra di economia politica per circa quarant’anni. Morì a Pisa il 7 ottobre 1918.

2 Sul pensiero e sull’opera di Giuseppe Toniolo esiste una cospicua bibliografia: Raccolta di scritti in memoria di Giuseppe Toniolo, Milano, Società editrice "Vita e pensiero", Serie terza, vol. II, 1929; V. Mangano, L’opera scientifica di Giuseppe Toniolo, Roma, Editrice Studium, 1940; R. Battistello, Giuseppe Toniolo pioniere dell’azione sociale cristiana, Roma, Editrice Acli, 1952; F. Vistalli, Giuseppe Toniolo, Bergamo-Roma, Società Editrice S. Alessandro, 1954; B. Brunello, La democrazia cristiana di Giuseppe Toniolo, in "Giornale di metafisica", 1954; F. Vito, Gli scritti politici di Giuseppe Toniolo, in "Vita e pensiero", Milano, dicembre 1957; G. Dalla Torre, Eredità politico-sociale di Giuseppe Toniolo (Commemorazione ufficiale tenuta a Treviso), Scuola Cattolica di Cultura, Treviso, Tipografia Editrice Trevigiana, 1959; L. Gedda, Un laico fedele alla Chiesa: Giuseppe Toniolo, in "Tabor", Roma, dicembre 1968; E. Guccione, Cristianesimo sociale in Giuseppe Toniolo, Palermo, Ila Palma,1972.

3 Toniolo espresse le sue teorie politiche e sociali in numerosi scritti: Giuseppe Toniolo, La pretesa evoluzione sociale della Chiesa, in "Rivista internazionale di scienze sociali", settembre 1894; Indirizzi e concetti sociali all’esordire del secolo XX, (conferenze), Pisa 1900; La democrazia cristiana, Roma 1900; Le unioni professionali del lavoro, Treviso 1901; Lo sviluppo del cattolicesimo sociale dopo l’enciclica Rerum Novarum, in "Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie", Roma, maggio 1902; Problemi, discussioni, proposte intorno alla costituzione corporativa delle classi lavoratrici, ibidem, dicembre 1903 e gennaio-febbraio 1904; Provvedimenti sociali popolari, Roma, Società italiana cattolica di cultura, 1902; Trattato di economia sociale, in tre volumi: I, Introduzione, Firenze, 1906 (la terza edizione è stata stampata nel 1915); II, La produzione, Firenze, 1908 (seconda edizione 1921); III, La circolazione, Firenze, 1921 (seconda edizione 1929).

4 Scritti scelti di Giuseppe Toniolo, a cura di Filippo Meda, Milano, Società Editrice "Vita e pensiero", 1921, p.11.

5 Ciò il Toniolo fece tra il 1893 e il 1894 con due saggi: La genesi storica dell’odierna crisi economica, in "Rivista internazionale di scienze sociali", I, 1893; e L’economia capitalistica moderna, in "Rivista internazionale di scienze sociali", I,II, IV, in cui affrontò il problema delle relazioni tra Umanesimo, Rinascimento, Protestantesimo ed economia moderna.

6 Cfr. A. Gambasin, Origini, caratteri, finalità della Società cattolica italiana per gli studi scientifici, in Aspetti della cultura cattolica nell’età di Leone XIII, Atti del convegno tenutosi a Bologna il 27-28-29 dicembre 1960, Roma 1961.

7 Tale Unione aveva lo scopo di occuparsi di tutte le scienze sociali, prima fra tutte la sociologia.

8 Anche Filippo Meda ebbe modo di collaborare alla rivista.

9 Il programma fu scritto di pugno da Toniolo alla presenza di Filippo Meda. Tale episodio sta a significare che i due personaggi, da annoverare tra i maggiori ideologi ed organizzatori del movimento cattolico e della prima democrazia cristiana, condividessero i principi fondamentali come quelli espressi nel programma. Il programma fu pubblicato nella "Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie", 1894, vol.IV, pp. 168-175; ora trovasi anche in G. Toniolo, Saggi politici a cura di S. Majerotto, Roma, editore Cinquelune, 1957, pp. 33-43; e in G. De Rosa, I partiti politici in Italia, Bergamo, 1972, pp. 164-170; inoltre un valido commento sul programma si trova in E. Guccione, Il programma dei cattolici difronte al socialismo (1894), in "Idea", anno XXXVI, n.12, dicembre 1980, pp.58-61.

10 Cfr. A. Gambasin, Origini, caratteri, finalità della Società cattolica italiana per gli studi scientifici, cit.; A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei Congressi (1874-1904). Contributo per la storia del cattolicesimo sociale in Italia, cit.

11 Toniolo, Democrazia cristiana concetti e indirizzi; I pionieri della Democrazia cristiana. Modernismo cattolico 1896-1906.

12 G. Toniolo, Il concetto cristiano di democrazia, in Saggi politici, cit. p. 56.

13 G.Toniolo, Il concetto cristiano di democrazia, cit. p. 84.

14 Nel resoconto pubblicato sull’ "Osservatore cattolico" del 15 e 16 marzo, anonimo ma che poi risultò essere di Filippo Meda, si leggeva tra l’altro:"... ... non esitò a proclamare che la democrazia cristiana è il programma unico possibile di ricostruzione e di difesa, così nella sua parte sociale che nella sua parte politica; che non c’è da preoccuparsi se dalla alleanza della chiesa col popolo diretta alla riabilitazione del proletariato deriveranno la condanna e la sparizione delle classi superiori perché tutto ciò è logico e giusto; che infine l’ora è giunta di accingersi a questo grande, difficile lavoro, che inizia un moto del quale la storia dirà forse che fu pari per importanza a quello che degli schiavi romani e dei barbari invasori fece il popolo dei liberi comuni auspice la chiesa. Toniolo concluse col grido di Carlo Marx cristianamente corretto: Proletari di tutto il mondo unitevi in Cristo". Opera Omnia di Giuseppe Toniolo, serie VI, Lettere (1896-1903), vol. II, p. 102, raccolte da Guido Anichini, ordinate e annotate da Nello Vian, Ed. del Comitato Opera Omnia di Giuseppe Toniolo, Città del Vaticano, 1952.

15 Lettera a Mons. Carlo Panighetti, nota n.2. La lettera di Toniolo fu pubblicata sull’ "Osservatore Cattolico" del 25 marzo, sotto il titolo Per un incidente. Seguiva una postilla di Filippo Meda che si dichiarava "non infallibile".

16 Lettera di Toniolo a Paganuzzi, 6 marzo 1899, in Opera Omnia, Lettere, Vol. II, cit.

17 In occasione del XVII Congresso cattolico che si sarebbe dovuto tenere a Roma nel settembre del 1900, i democratici cristiani decisero di riunirsi separatamente per esaminare i problemi relativi alla struttura e al futuro del loro movimento, Toniolo disapprovò questa iniziativa con una lettera aperta pubblicata sull’ "Osservatore Cattolico" e Murri lo accusò di contribuire in tal modo a "demolire quel poco di bene che si poteva fare e che forse si andava facendo in Italia, di rompere un altro ponte, costruito con lunga e grave fatica, fra la S.Sede e il popolo nostro". "Cultura sociale", 1-settembre-1900.

18 Lettera a Don Davide Albertario in Opera Omnia, Lettere (1896- 1903), vol. II, cit. pp. 314-317

19 Lettera a Don Giuseppe Faraoni in Opera Omnia, Lettere (1896-1903), vol. II, cit. p. 341.

20 Dello stesso avviso non fu Romolo Murri, il quale definì Toniolo come "il Paganuzzi del movimento sociale, l’idealista impenitente che da dieci anni ci ricanta, quasi con le stesse parole un suo canto palingenesiaco, che nell’economia, nella filosofia della storia, nella tattica dei partiti, porta ed applica, con immensa fiducia i rigidi criteri dell’assoluto" in "Cultura sociale" 16-06-1903.

21 Scritti scelti di Giuseppe Toniolo, a cura di Filippo Meda, seconda edizione, Milano, Società editrice "Vita e Pensiero", 1945, pp. XVIII-XIX.

22 Vedi: F. Meda, Il pensiero di Giuseppe Toniolo, Roma, Desclèe e C. Editori pontifici, 1919; Scritti scelti di Giuseppe Toniolo, a cura di Filippo Meda, cit.

23 F. Meda, Scritti scelti di Giuseppe Toniolo,cit., p. XVII-XVIII.

NOTE

1 Cfr. A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei congressi, (1871-1904), Roma, Università Gregoriana, 1958; S. Zannelli, Note sull’azione sociale dei cattolici e sulle prime vicende del movimento sindacale cristiano in Italia (1870- 1904), in "Vita e pensiero", Milano, a. 42 (1959), n. 11, pp. 809- 822.

2 Già dal 1889 la stampa cattolica aveva manifestato un crescente interesse per il socialismo "Se per socialismo -scriveva "Il popolo cattolico" nel novembre del 1889 - si vuole intendere lo studio delle leggi costitutive della società, dei mezzi di perfezionarla, di svilupparvi l’ordine, la prosperità, la pace, il progresso, non proviamo nessuna difficoltà a dichiararci socialisti", ma "la scuola socialista, quale si definisce essa stessa con le sue dottrine e con i suoi atti, ha per iscopo la distruzione dell’ordine sociale attuale nella sua costituzione d’origine, basato sulla religione, sulla famiglia e sulla proprietà". Dunque tra cristianesimo e socialismo vi era antitesi totale. Mentre il cristianesimo "sancisce l’unità e la perpetuità della famiglia, il socialismo ne crea la distruzione. Il cristianesimo afferma il diritto di proprietà, il socialismo ne reclama l’abolizione". Il socialismo cristiano, in "Il popolo cattolico", 30 novembre 1889; Cfr. E. Guccione, I Cristiano-Sociali di fronte al Marxismo e le intuizioni di Romolo Murri, Estratto da Studi in memoria di Gaetano Falzone, a cura del Comitato di Palermo dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Palermo, Ila Palma, 1993.

3. Cfr. Il socialismo cristiano in "L’Osservatore cattolico" 28 febbraio - 1 marzo 1890; Chiesa e socialismo, in "L’Osservatore cattolico" 1-2 marzo 1890; La questione sociale, in "L’Osservatore cattolico" 21-22 maggio 1890.

4. "Proprio nel momento di massimo apogeo per l’Opera fece la sua comparsa la nuova corrente della Democrazia Cristiana, capeggiata da Romolo Murri, che si batteva per l’affermazione di un programma più audace di giustizia e rinnovamento sociale e propugnava l’organizzazione sindacale, in polemica con le concezioni paternalistiche e caritative e con i metodi autoritari dei vecchi dirigenti dell’Opera". L. Osnaghi Dodi, L’azione sociale dei cattolici nel milanese (1878-1904), Milano, Sugarco edizioni, 1974.

5. Cfr., L. Ambrosoli, Il primo movimento democratico cristiano in Italia (1897-1904), Roma, Cinquelune, 1958.

6. Già nel 1904 Meda, nel discorso di Rho, aveva espresso le sue idee molto chiaramente: "Nel futuro partito nostro - egli disse - non dovranno essere soppresse le tendenze; ciò equivarrebbe a togliergli l’elemento vitale [...], ma almeno in principio l’azione collettiva bisognerà che si adatti ad essere concordata sopra un minimo di postulati comuni, oltre il quale riprenderà il suo impero la libertà individuale, semprechè l’esercizio di essa non pregiudichi l’interesse generale: con questa regola ci sarà lecito sperare che le recenti evocazioni dell’esempio germanico non saranno state vane e che il futuro Centro italiano non dimenticherà l’esperienza fatta dai cattolici del Reichstag dell’impero, dov’essi, pure essendovi arrivati con diverse tradizioni e rappresentanti di bisogni diversi, dalle file dell’aristocrazia agraria, da quelle del commercio e dell’industria, e da quelle delle professioni liberali e del clero, furono concordi propugnatori di pace religiosa, di libertà politica, di giustizia sociale [...]. In "L’Osservatore cattolico", 29 dicembre 1904.

7. Cartella "Documenti e memorie" in Archivio Filippo Meda.

 

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