Tommaso Romano, Contro la rivoluzione la fedeltà. Il marchese Vincenzo Mortillarocattolico etradizionalista intransigente (1806-1888).Con un’introduzione di Paolo Pastori.
Il libro contiene anche una “antologia degli scritti” di Vincenzo Mortillaro con profonde riflessione sui primi decenni dell’unità d’Italia.
Detta antologia “è il recupero di un ciclo dentro il grande ciclo della nostra storia, a partire dalla crisi dello Stato unitario, da quella Belle époque nelle cui pieghe dietro feste, cortei, celebrazioni e monumenti si ignorava la questione sociale, il crescere di un o scontento di massa, sintomo peraltro di un’anteriore e pregressa perdita di contatto con i valori fondanti della politica. C’è una diseducazione di massa - che Mortillaro già riconosceva nello Stato unitario - oggi divenuta planetaria. Una diseducazione camuffata da cultura avanzata, un tremendo insieme di démi-lumières arroccato dietro e muraglie di carta, di diplomi di vario livello, di ‘eccellenze culturali’ Tanto più scadenti di significato e valore quanto più altisonante è il titolo che si pretende di legittimare”
(dall’introduzione di Paolo Pastori).
Gaetano Compagno, Umberto Balistreri, Francesco Compagno,Fari e fanali di Sicilia;
AA.VV.I Fondi europei per una politica di sviluppo, in collaborazione con l’Associazione Ex Parlamentari ;
AA.VV.Autonomia e Unità d’Italia, in collaborazione con l’Associazione Ex Parlamentari
Fedele Bucalo, L’attività dei C.N.L. nei documenti degli archivi siciliani;
Umberto Balistreri, Vincenzo Fardella e la storia postale siciliana;
Vincenzo Fardella de Quernfort è uno degli Autori più prolifici e significativi della storia postale siciliana, storia che ha contribuito a diffondere e a consegnare ad un notevole pubblico di lettori ed estimatori con la sua più che sessantennale instancabile attività , concretizzatasi con un numero ragguardevole di iniziative espositive e promo educative dalla grande valenza culturale e sociale.
Scorrendo le pagine del libro viene fuori un appassionato ed appassionante vissuto culturale che si è sempre imposto, per rigore scientifico e dedizione , all’attenzione dei più e che ha saputo e voluto , soprattutto, costruire , per dirla con Enzo Diena “una nuova immagine della Filatelia come spunto, stimolo e supporto a ricerche storiche di incontestabile contenuto scientifico”. Avevamo già , per la sua monumentale “Storia Postale del Regno di Sicilia”, evidenziato la grande competenza, la passione del Nostro per la filatelia ed il rigore storico della ricerca “filtrato” – quest’ultima “ da una non comune sensibilità e da una vigorosa sintesi” , caratteri che contraddistinguono l’intera produzione fardelliana.
Dall’introduzione di Umberto Balistreri
Tommaso Romano, Mosaicographia siciliana;
Aristide Mettler, La Conciliazione;
Fabrizio Giuffré,Cruillas. Storie e memorie di un’antica borgata;
Antonio Contino, Aquae Himerae;
AA.VV.Il San Rocco restaurato;
Pippo Lo Cascio,Scale, Neviere, Trazzere;
Tommaso Romano,Antimoderni e critici della modernità;
Antonino Pisciotta, La prima Leonforte;
Antonino Russo, L’Inipoesia;
Antonino Palazzolo, La presa di Mahdia nel 1550;
AA.VV. ,Ricerca Scientifica e progettualità nelle Riserve Naturali Grotta della Molara e Grotta dei Puntali;
Catalogo Mostra Grotta dei Puntali;
Grotta della Molara ;
Grotta dei Puntali
T, Romano, U. Balistreri, V. MauroCentodestre. Dizionario biografico
Fedeli all'indeclinabile dottrina di Voltaire, i narratori della leggenda nera, obbediscono al comandamento che esige la sistematica diffamazione degli avversari: "Dobbiamo abilmente infangare la loro condotta, trascinarli davanti al pubblico come persone viziose, dobbiamo presentare le loro azioni sotto una luce odiosa".
Ad opera della premiata perseveranza dei credenti nella rivoluzione mutante e pagante, le leggende nere, canonizzate dalla salottiera furbizia dei perpetui Voltaire, sono in aggiornato, continuo e imperioso circolo tra salotto, mass media e palazzo.
Nel salotto abita tuttora la volontà generale: non la volontà della maggioranza ignara ma - Voltaire dixit - "la voce profonda della Coscienza umana, quale dovrebbe parlare in ciascuno di noi e quale si esprime per bocca dei cittadini più virtuosi e più illuminati".
Capitale della cultura anticonformista, la città di Palermo ospita alcuni ardimentosi e irriducibili centri studi, fortini attivi nella sagace ricerca di una via d'uscita dai poteri conferiti dalle leggende nere, che narrano una destra incapsulata nella violenza belluina e nell'analfabetismo totale.
Ora la prima fila delle associazioni insorgenti a Palermo contro i sacri testi dettati dalla volontà generale (la volontà dei puri, come precisò Saint-Just) è costituita dalla Fondazione Thule e dall'Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici (ISSPE).
Thule e ISSPE sono gli infaticabili laboratori, che in questi giorni, hanno consegnato ai torchi dello stampatore il voluminoso testo del Dizionario delle cento destre.
L'opera, curata da Tommaso Romano, Vito Mauro e Umberto Balistreri, geniali organizzatori culturali, che si sono avvalsi della collaborazione di alcuni autorevoli scrittori quali Giano Accame, Primo Siena, Marcello Staglieno, Gabriele Fergola, Patrizia Allotta, Luciano Garibaldi, Francesco Cianciarelli, Guido Vignelli, Mario Bozzi Sentieri, e di giovani esordienti quali Paolo Rizza, Federico Gatti ecc., consiste nella schedatura dell'ingente numero degli autori (molti dei quali d'alto profilo) che rappresentano la pluralità degli orientamenti culturali attivi a destra nella seconda metà del xx secolo.
Tommaso Romano afferma che un sottotitolo del dizionario avrebbe potuto indicare alcune identità di riferimento, quali conservatori, liberali, monarchici, presidenzialisti, cattolici, neopagani, agnostici, individualisti, comunitaristi, socializzatori e innovatori, anticapitalisti, neofascisti, neoborbonici, federalisti, totalitaristi.
La faticosa raccolta delle biografie, invece, intendono rappresentare "un necessario approccio e invito alla conoscenza di singoli personaggi di oggettiva e diversa caratura, per andare oltre gli stereotipi e le definizioni di comodo, frutto a volte di mancanza di organici punti di riferimento di storia delle idee di frange minoritarie e sequestrate, quasi esoteriche, e di materiale bibliografico e storico-documentario riepilogativo".
Gli autori sospendono il giudizio sui princìpi che definiscono la vera destra (la destra tradizionale, giusta la classica definizione di Clemente Solaro della Margarita) per offrire un esauriente catalogo dei numerosi studiosi attivi nella destra dalle molteplici identità e dalle divergenti intenzioni.
Una fatica, quella dei tre autori, finalizzata anzi tutto, alla testimonianza sulla varietà e sulla serietà-profondità delle posizioni culturali che si sono confrontate nell'area intitolata alla destra italiana. Il risultato del loro impegno è un testo controcorrente, indispensabile a chiunque voglia conoscere seriamente la complessa realtà delladestra pensante.
Accertato che la destra italiana ha ultimamente risolto i problemi spinosi posti dal pensiero multiplo in agitazione al suo interno convertendosi al non pensiero puro - preambolo al decesso politico ultimamente certificato dal successore di Luciano Gaucci - il Dizionario è offerto, quale documento indispensabile, agli eventuali protagonisti di una strategia culturale e politica atta ad evitare i conflitti e le umiliazioni collezionate nel recente passato.
L'auspicato superamento dalla cultura multilingue (propriamente detta babelica) è infatti impossibile senza che sia prima riconosciuta l'identità dei pensieri che potrebbero vivere pacificamente in un partito politico d'indirizzo unitario, ossia capace di affrontare senza tentennamenti e ambiguità i problemi drammatici che sono posti dall'emergenza in Europa del trinomio radicalismo-nichilismo-immoralismo.
Un'attenta lettura del Dizionario delle cento destre, costituisce il preambolo indispensabile alla fondazione di una vera, coerente alternativa alla perfetta sovversione della società. Superare le contraddizioni del passato è, infatti, la premessa indispensabile all'efficace presenza di una cultura di destra liberata dalle illusioni generate dal pensiero multiplo e ondivago.
Quante volte nel dibattito culturale ed in quello più attinente al pensiero filosofico, politico e letterario, si è sostenuta la mancanza di una chiara posizione dottrinale ed elaborativa di destra riconducibile a posizioni che vanno oltre i confini del quotidiano dibattito sociopolitico e alla vita di partiti che, più o meno propriamente, si sono riferiti e si riferiscono a tale area connotativa, magari aggiungendo semplicemente l' aggettivazione di centro da premettere a quella di destra.
Infatti, i riferimenti quasi monocordi a Giovanni Gentile e a Julius Evola, qualche volta a D'Annunzio e Prezzolini, non danno certamente la misura di una presenza umana, né di una produzione intellettuale, né, tantomeno, la qualità delle singole personalità e dei contesti in cui le cento destre si manifestano.
In virtù di quanto detto, per questo Atlante Biografico essenziale, abbiamo voluto allora scegliere il titolo Centodestre proprio perché vogliamo partire dall' analisi delle pluralità di scelte, orientamenti e prospettive presenti in gran numero fra i moltissimi autori esaminati in questo primo volume e facendo nostra l'affermazione di Prezzolini secondo il quale non vi è una sola destra (come sosteneva ad esempio Clemente Solaro della Margarita), ma tante destre.
Potevamo inserire utilmente un sottotitolo per questa ricerca- a prima vista quasi esclusivamente compilativa - indicando alcune identità e/o paternità di riferimento come le oggettivazioni di conservatori, liberali, scettici, monarchici, presidenzialisti, tradizionalisti e futuristi, cattolici, neopagani, agnostici, individualisti, comunitaristi, socializzatori e innovatori, anticapitalisti, insieme a neofascisti, neoborbonici, federalisti, totalitaristi, di nuova destra e di sintesi, ma abbiamo preferito non farlo.
In realtà l' arcipelago assai variegato delle posizioni (che sono pure egualmente presenti, in verità, nelle aree del pensiero progressista, liberale, cattolico-sociale, laico e azionista, radicale, socialista, comunista e anarchico, grosso modo identificanti l'area del centro e della sinistra) corrisponde, in effetti, alla inveterata aspirazione all”individualismo diffuso e spiccato che ha storicamente determinato una scarsa vocazione degli intellettuali delle centodestre (in gran parte e con qualche eccezione) al movimento e/o gruppo più o meno organico, tranne forse in Italia per la corrente del Neoidealismo, specie gentiliano e per l'evolismo e i suoi derivati plurali (anche cattolici) e, più in generale, per la partecipazione alla vita di giornali e riviste culturali d'area e/o di movimenti socio-culturali.
Le biografie essenziali che presentiamo sono, quindi, un semplice ma crediamo necessario approccio e invito alla conoscenza di singoli personaggi di oggettiva e diversa caratura, per andare oltre gli stereotipi e le definizioni di comodo, frutto a volte di mancanza di organici punti di riferimento di storia delle idee di frange minoritarie e “sequestrate”, quasi esoteriche, e di materiale biobibliografico e storico-documentario riepilogativo.
Abbiamo differenziato il lavoro redazionale grazie anche alla collaborazione di singoli eminenti studiosi curatori di alcune schede, le quali devono essere considerate senza parametri ragionieristici in quanto a estensione. Le singole voci, infatti, rispondono alla necessità informativa e non certo all' esaustività non sia pertanto giudizio di valore una stesura più o meno ampia di singole biografie, in tutte però sono presenti gli elementi almeno fondamentali di cui crediamo aver fornito almeno traccia di riconoscibilità.
In questo primo, dei tre volumi previsti per l'intera opera, i curatori e i redattori hanno così liberamente inserito i singoli profili, senza per questo volerli “ingabbiare” in una strettoia definitoria che è tanto ampia quanto oggettivamente limitante.
La gran parte delle schede biografiche inserite riguardano Autori italiani operanti soprattutto nel secondo dopoguerra, con qualche eccezione. É nostro intendimento nei prossimi volumi programmati arrivare, pertanto, ad una più ampia mappatura biografica anche di pensatori di altre nazioni, (già presenti peraltro, in numero ridotto, in questa prima compilazione), lasciando alla fine del terzo volume la pubblicazione di saggi specifici che possano inquadrare organicamente e ricondurre a una sintesi organica, quanto singolarmente segnalato per ogni Autore, contestualizzando e ponendo con ampia Bibliografia conclusiva, un quadro di riferimento che risponda quindi più eminentemente alla dottrina, al pensiero, alla dimensione politologica e più largamente all'ambito culturale e metapolitico di ogni singolo biografato.
La tentazione di iscrivere a destra ogni e qualunque fenomeno di alternatività alla sinistra, è uno schema semplificatorio che lasciamo al dibattito quotidiano più che all'essenza e alla varietà della legittima e meditata posizione della vita culturale. Non basta peraltro - noi crediamo - il solo contrapporsi riducendo all'una o all”altra parte la disputa sul bene comune.
Le categorie di destra, centro e sinistra sono comunque figlie della Rivoluzione Francese e di quel che ne è seguito – nel bene e nel male - in questi successivi secoli.
Senza demonizzare e senza obliare, questo potrebbe essere il motivo e la ragione dominante delle presenti ricerche biografiche che, continuiamo a sottolineare, non hanno pretese di esaustività e che metodologicamente si rifanno all'’ideatività propria della Scienza della Biografla e ad opere collettanee nate da una tale impostazione teorica e applicativa: Personaggi di Provincia, edizioni Provincia Regionale di Palermo, (2001); Luce del Pensiero, Filosofi, Scienziati, Musicisti e Letterati siciliani di tutti i tempi, voll. 5, Istituto “Regina Margherita”, Palermo, (2005-2012); Archivio Biograflco Comunale della Città di Palermo (2006); AA.VV., Scrivere di sé e degli altri, Fondazione Ignazio Buttitta, Palermo (2011); tutte opere vocate al formarsi di una inclusiva cosmographia.
Del resto, la fortuna delle biografie anche nel nostro tempo (a cominciare dal fenomeno planetario Wikipedia) fa certo riflettere sulla utilità di queste, convinti come siamo, ancora,che il dato della complessità marchia le singole esperienze senza i vincoli e le strettoie che sono insite nelle definizioni di appartenenze che si attribuiscono o si autoattribuiscono ai singoli personaggi.
È da sottolineare, comunque, che gli Autori inseriti si possono porre, anche radicalmente a volte, in aperto dissenso nei confronti delle dominanti aree di schieramento politico-ideologico ed anche di governi a cui un'area (la destra) nominalmente si ascrive.
In ciò mostrando quanto plurale e vasto sia l'ambito di pensiero e di elaborazioni a cui ci riferiamo partendo dalle singole esperienze e dalle elaborazioni già definite.
Va segnalata, infine, la difficoltà di reperire alcuni dati anagrafici ed altri bibliografici. Abbiamo compiuto un lavoro di squadra che riteniamo positivo, anche se, ovviamente, non immune da errori od omissioni che non mancheremo di segnalare alla fine del lavoro svolto, in modo da potere avere una visione quanto più precisa possibile, che apra ad ulteriori e più circostanziate ricerche di questa natura, con l'auspicabile concorso di ricercatori e lettori che vorranno suggerirci integrazioni e proposte.
Senza voler entrare nel merito di questioni che non attengono a queste note introduttive riteniamo, conclusivamente, che alla registrata positività del crollo degli ideologismi che ha toccato il suo apice nella simbolica caduta del Muro di Berlino, non sia corrisposta un aprioristiche), ponendo troppi limiti sul terreno delle occasioni e della pragmaticità, a volte aleatoria, populista e demagogica senza reali approfondimenti, in nome dell”apparire e coinvolgendo così - senza eccezioni - le scuole di riferimento contrapposte, specie nell”ambito del quotidiano politico, e del nuovo leviatano che ha nome di dittatura finanziaria planetaria, nel contesto di una controversia continua dettata dall'assenza di un disegno e progetto identitario, strategico e realistico, rinnovatore e riformistico, con le eccezioni libere e doverose a cui le presenti considerazioni di larga massima si riferiscono e che investono la stessa variegata ideazione e sul piano politico-partitico e su quello ben più articolato dei principii e delle elaborazioni dottrinali, patrimoni e valori che, comunque, di diritto appartengono alle tante destre presenti nel nostro Paese e non solo.
Tommaso Romano, Vito Mauro, Umberto Balistreri
DOMENICO LO IACONO,Il Fascismo clandestino in Sicilia.
L’invasione americana, le stragi in Sicilia, il Fascismo Clandestino nelle nove province, il movimento dei “Non si Parte”, con prefazione di Giuseppe Parlato,docente di Storia contemporanea dell’Università degli Studi per l’innovazione e le Organizzazioni di Roma, di cui è stato Rettore, Presidente della Fondazione Ugo Spirito, Componente del Comitato Scientifico dell’Archivio Centrale dello Stato.
Ludovico Gippetto( a cura di) , Noli me tangere. La memoria storica: il sonno degli innocenti
“Fin quando ho retto il prestigioso incarico di Comandante dei Carabinieri
addetti alla tutela del Patrimonio Culturale ho sempre sostenuto le iniziative
di Extroart, in quanto finalizzate alla formazione di una maggiore coscienza
culturale.
Grazie all’impegno, senza soluzione di continuità, del suo presidente
Ludovico Gippetto, il pregevole “cofanetto: Wanted….presi per il verso giusto“
sta assumendo una cadenza annuale, provocando vivo interesse ed unanimi consensi
a livello nazionale ed internazionale.
Con la sua veste, semplice ma densa di contenuti, sviluppa una meritevole
opera di sensibilizzazione perla salvaguardia dell’irrepetibile millenario patrimonio
culturale, che connota l’Italia, sottoponendo alla nostra attenzione le fotografie
di quei “gioielli di famiglia“ che sono stati sottratti al contesto per il quale
erano stati realizzati.
“Extroart” sollecita una nostra riflessione sulle conseguenze del fenomeno
delinquenziale più invasivo e devastante, quale è il saccheggio delle aree archeologiche
terrestri e marine, dove vere e proprie bande di tombaroli imperversano
per alimentare il mercato clandestino nazionale e, soprattutto, estero. Tutto ciò
che proviene dall’Italia muove gli interessi di agguerriti sodalizi criminosi, che,
nel tempo, hanno asportato dai nostri inesauribili giacimenti preziose testimonianze,
oggi in esposizione presso collezioni private o musei esteri. Purtroppo,
malgrado il lodevole impegno delle istituzioni ed i notevoli risultati conseguiti
dalle forze dell’ordine, mirabilmente coordinate dalla magistratura, non si riesce
a far comprendere a larghi strati dell’opinione pubblica che la ricerca compete
esclusivamente all’archeologo, unico capace di studiare l’entità materiale della
civiltà del passato, non per quello che rappresenta in sé e per sé, ma in quanto
documento di vita degli uomini che l’hanno prodotta. L’archeologo non tira
fuori scrigni d’oro ma cerca di rintracciare ciò che è utile per la ricostruzione del
passato, ascoltando quanto può dire un minimo coccio oppure esaminando le
impronte disciolte nel tempo.
Gen. CC (r) Roberto Conforti
Presidente S.I.P.B.C.
“Creare un piccolo, prezioso schedario fotografico di beni artistici di cui si è
perduta traccia, non chiuderlo nei cassetti di un ufficio di commissariato o di
dogana, ma metterlo a disposizione di un pubblico sufficientemente ampio
attraverso la realizzazione di diecimila copie, non è solo un atto che esprime
buoni sentimenti, ma è soprattutto un’operazione intelligente, utile a sensibilizzare
un’opinione pubblica sempre più vasta nelle questioni della tutela del patrimonio
storico-artistico, a coinvolgerla nel compito, perché il patrimonio storico-
artistico non è un’entità astratta, ma un tesoro materiale e ideale che ognuno
di noi deve sentire proprio. Se si fanno gli identikit del capomafia Bernardo
Provenzano, invitando la popolazione a collaborare alla sua cattura, non si vede
perché una nazione culturalmente progredita non debba fare altrettanto anche
con i capolavori dell’arte dispersi. Direi, anzi, che bisognerebbe fare in modo di
diffondere maggiormente WANTED ... presi per il verso giusto, moltiplicarne le
copie, farle arrivare nelle scuole, nelle università, nei luoghi pubblici. Il furto di
opere d’arte è certamente una piaga italiana, ma non un’esclusiva, come dimostra
il caso della Norvegia e dei famosissimi capolavori di Munch trafugati a Oslo
(L’urlo, Madonna). C’è forse una nuova componente in gioco, non più il solo
valore economico delle opere, ma anche il fanatismo: L’urlo e la Madonna sono
senza possibilità di commercio, solo qualcuno potrebbe averle rubate per avere
la soddisfazione di averlo fatto, oppure per il privilegio di vederle solo lui, nascoste
al resto del mondo.
Chissà se un fanatico sta dietro al furto dell’opera d’arte che rimane in cima
alla lista di Wanted: la Natività fra i SS. Francesco e Lorenzo (1609), straordinario
capolavoro dell’ultimo Caravaggio, realizzato per Compagnia dei Bardigli e
collocato nell’altare maggiore dell’Oratorio palermitano di S. Lorenzo, dove si
trovava fino al momento del furto (1969). Secondo il “pentito” mafioso
Mannoia l’opera sarebbe stata rubata per autonoma iniziativa di suoi “compari”,
senza alcuna commissione. La tela venne asportata con una certa facilità, visto
che in quel tempo l’Oratorio di S. Lorenzo era in condizioni di quasi totale
abbandono, e dimenticata in un nascondiglio sotterraneo dopo infruttuosi tentativi
di vendita, rovinata in modo irreparabile da un maldestro arrotolamento.
Prof. Vittorio Sgarbi
Carlo Puleo, Villa Palagonia. Un fantastico sogno barocco.
L’immaginario di Ferdinando Francesco di Gravina.Le figure dell’eccezione: come bestiario, come teatro.
Può considerarsi uno scenario del tardo barocco mediterraneo, il teatro di pietra innalzato nella ‘casena’ vera e
immaginaria di Ferdinando Francesco Gravina?
Spiegandone le ragioni, possiamo riusarlo nella pratica del nostro vivere?
Certo, per capire il significato complessivo di Villa Palagonia bisogna collocarla, come altra volta ho fatto, tra
norma ed eccezione. Tra le ultime derivazioni della parte eterodossa del Rinascimento che alla norma oppone l’antiregola, per costituirsi e farsi conoscere come eccezione, essa non poteva non aver negazione. Così s’intende pure l’“immago espressa” della Villa in uno dei suoi luoghi emblematici, il salone degli specchi, dove si afferma il gioco barocco della presenza e dell’assenza, della vita e della morte, dell’essere delle forme e del venire meno di esse:
Specchiati in quei cristalli, e nell’istessa / magnificenza singolar, contempla / di fralezza mortal l’immago espressa.
Nel pieno degli specchi e nel vuoto delle cesure di essi, la ‘magnificenza’ della immagine si accompagna alla sua
transitorietà. Tuttavia si possono qui e ora considerare solo le figure dell’eccezione che si innalzano nello spazio scenico del giardino. La cinta delle mura che lo chiudono è popolata di statue che si propongono come un bestiario.
Di esso si possono offrire due letture: una che lo addita come una congerie di exempla per conseguire la rappresentazione figurale dei vizi dei contemporanei dell’amaro ironico committente; l’altra che lo considera come una proiezione concatenata degli stati d’animo dello stesso.
Letture che possono unificarsi per interpretare la multiforme proliferazione di animali, di creature abnormi (a specchio delle poche figure regolari di dame, gentiluomini, soldati, presenti a guisa di sentinelle dell’ordine e della normalità), come la proposta di un teatro di pietra in cui sì immobilizza la vita. Un piccolo teatro personale che riduce grottescamente il gran teatro del mondo, allegoria minima ma esemplare di una ilare tristezza individuale.
Nel giardino che ospita questo teatro di figure silenziose, manca l’acqua, la linfa vitale che dalla stagione araba al
Quattrocento cristiano aveva fatto verdi i giardini palermitani, cioè vengono a mancare i segni, anche i rumori veri della natura e della vita, ma dove con i sogni dell’inesistente, e pure le epifanie dell’inconscio, cominciano, nel silenzio fisico, a brulicare i tumulti interiori. Il teatro di pietra che si apre a sud-ovest, alla sinistra di un meditabondo cavaliere, che non è tanto il primo attore, quanto il regista dello spettacolo, è un’estroversione bloccata e contraddetta, uno spettacolo interdetto pur nella molteplicità delle pose. Nella multiformità è evidente una ritualità ripetitiva del proposito originario; cioè si attua una coazione a ripetere nella diversità inesausta e pur limitata. Perciò non possiamo meravigliarci del fatto, attestato dai contemporanei, che fin nell’ultimo periodo il Principe non pose fine alla creazione di nuove statue, ma molte ne andava affastellando fra le erbacce del giardino incolto, anche questo, dunque, aspetto saliente della villa siciliana, quando non è circondata da una coltivazione ad agrumi.
Il definito del singolo oggetto pietroso accompagna con l’incompletezza volontaria dell’insieme. Anche per questa ragione le statue sono come un bosco di segni indecifrabili, come dei filari d’alberi che ti chiudono e ti proteggono, ti atterriscono e ti divertono. Solo due contemporanei afferrarono almeno alcuni aspetti del fenomeno Palagonia: il marchese di Villabianca e Giovanni Meli. Il poeta dedicò alla villa un’ottava facile ed acuta insieme:
Giovi guardu da la sua regia immensa / la bella villa di la Bagaria; / Unni l’arti impietrisci, eterna e addensa / L’abborti di bizzarra fantasia; / Viju, dissi, la mia insufficienza, / Mostri n’escogitai, quantu putia; / Ma duvi terminau la mia putensa, / Dda stissu incominciau Palagonia.
Collocando il fenomeno in una dimensione mitologica, in concorrenza non certo con l’onnipotenza del Dio cristiano, ma con il pensiero immaginoso del massimo degli dei pagani, Meli capta l’incompiutezza più che l’imperfezione del progetto deformante, ma anche la qualità del lavoro sulla pietra che lo realizza e rende eterno, “Folle”, oltre che bizzarra, ritenne questa fantasia il marchese di Villabianca; tuttavia avvertendo che a riderne, si riderebbe di noi stessi: “Il tutto in sostanza è sogno di un febbricitante; il tutto è favola, il tutto è oggetto di sganasciar dalle risa. Qui rides? De te fabula narratur. In tutto però per tali malori ha bisogno di medico la magnificenza”. Ma il medico che veniva invocato dal marchese al soccorso della pazzia dilapidatrice avrebbe dovuto essere un dottore dell’anima per capire e spiegare i cosiddetti mostri quali proiezioni dello stato d’animo del principe, che fu di condanna del mondo contemporaneo,
di esecrazione dei suoi pari, di cui fa un bestiario all’uso medioevale. E la prima cosa da capire era ed è, il
modo ilare d’esprimersi della sua tetraggine: una ‘pazzia’ quasi ridente, certo irridente. I mostri, cioè i prodigi dell’immaginario, ancestrale e quotidiano, non guardano fuori della villa per allontanare le influenze maligne che stanno all’esterno. Implacabile intanto e in primo luogo verso se stesso, il principe contempla l’assurdo che si concretizza per sua volontà e poi si gode lo spettacolo che giunge a darne. Per far quietare i suoi tremori, per sedare i suoi “malori”, egli doveva porli come altro da sé, suo tormento e sua salvezza.
Questo teatro pietrificato, appunto nello sguardo in primo luogo, e poi nel materiale adoperato, aveva insicuri
modelli iconografici nella congerie di stampe, di statuine, moderne o antiche, che la straripante passione del principe raccoglieva senza alcuna determinazione o catalogazione. E qui il barocco, già penetrato dal rococò, si ripresenta con l’uso di materiali eterogenei, ‘bassi’ ed effimeri. Però si può forse ben dire che ad un antico patrimonio culturale isolano - si pensi alle metope di Selinunte, allo stesso simbolo della Trinacria - si potrebbero al contrario far risalire le motivazione più profonde di tale modellizzazione artigianale.
Isolano, intanto, nel recupero e nella riproposta di patrimoni non siciliani, che in Sicilia si acclimatavano e trasformavano a volte assai originalmente. Mi riferisco, per esempio, alle pitturette su tavola del soffitto della Sala Magna dello Steri di Palermo con particolare riguardo alle driolerîes, anglicizzanti e ispano moresche. Potrebbe forse il repertorio di stranezze, di bizzarrie, di queste, far parte delle molteplici suggestioni che vennero al Principe di Palagonia da ogni dove, ma, con questo di più significativo, cioè con la considerazione che tale repertorio figurativo era maturato in un ambito feudale e nobiliare assai prossimo, pur nella diversità dei tempi, delle situazioni storiche e politiche, alla mentalità di casta aristocratica, dei Chiaramonte come dei Gravina.
Che il Palagonia ne abbia avuto informazione diretta o indiretta, attraverso il solito Villabianca o per mezzo di qualche ‘tavoletta erratica’ del soffitto, può essere stato possibile, se non documentabile. Rimane il fatto che la congerie di materiali, del passato come del presente, cui egli si rifaceva e indicava ai suoi artigiani, rivela l’accoglimento in concreto del carattere composito, originalmente eclettico, di tanta parte della cultura figurativa siciliana, con una predilezione in questo caso, come in casi consimili, per la deformazione. Rimane ancora il fatto che l’essersi il Principe servito di un “qualsiasi tagliapietre” e l’aver adoperato del “volgarissimo tufo”, come scrisse il Goethe, non indicano degli elementi di per se stessi negativi. Intanto, osservazioni simili dimostrano l’incomprensione per l’arte applicata e un’idea, appunto, dell’arte, fatta solo da geni invasi dal dio o dal demone, e realizzata nel marmo o nel bronzo. In realtà, solo servendosi di artigiani completamente immedesimati negli intenti di così speciale committenza, il Palagonia poteva ottenere un’obbedienza quasi completa al suo proposito d’illustrare la sua reinvenzione iconografica.
Ovviamente, lo stare alla lettera dell’indicazione principesca, senza intenderne completamente il senso riposto, il
significato concettuale, fruttò loro delle involontarie libertà esecutorie.
Anche la pietra porosa, tratta dalle cave arabe d’Aspra, a parte il relativo suo poco costo, contribuisce con la sua
qualità a pervenire a quel risultato formale di tipo surrealistico ed insieme espressionistico della statuaria palagonese.
Peraltro, gli artigiani che lavorarono al palazzo, dal tufo furono aiutati a ricondurre alla loro dimensione culturale, alla loro sensibilità e affettività, i modelli colti offerti alla trasposizione dialettale a loro più congeniale.
Gli esiti di deformazione che oggi chiamiamo espressionistica, ma prima ancora è da dirsi barocca, cui giungono
le statue più originali di Villa Palagonia, i cosiddetti mostri della spettacolare ricreazione fantastica del Principe, confermano una propensione costante dell’atteggiarsi formale della cultura siciliana. Il palazzo dei Gravina di Palagonia è una meta obbligata del Gran tour settecentesco. E si devono registrare due infortuni: quello dell’ideatore dell’ornamentazione e del decoro della costruzione che ebbe rifiutata la sua creatura dal gusto classicistico e razionalistico dei suoi contemporanei, e quello dei viaggiatori che mostrarono più o meno tutti una carenza di sensibilità, un’incapacità ad aprirsi ad una concezione estetica a loro estranea, coinvolgendo nel loro rifiuto altri esemplari dell’arte barocca, dell’arte
non classicistica nel suo insieme. Al solito è Patrick Brydone che se la cava meglio degli altri, per la sua disposizione fantastica, per cui la villa gli appare tuttavia un “castello incantato”, egli, pur incerto “se rimanere più stupito per l’assurdità dell’immaginazione che ne è stata la creatrice, o per la sua prodigiosa fertilità”, ha la sensazione “di essere capitato nel paese dell’illusione e dell’incantesimo”. Su questo innovativo piano si muoveranno le riflessioni del russo Andrej Belyj che possono anche suonare come una confutazione a distanza delle pagine di viaggio di Wolfgang Goethe.
Il Belyj nei suoi Taccuini di Sicilia del 1922, tradotti e resi noti da Giacoma Strano, individua con acume nella “terribile duplicità” di riso e pianto, di irridenza e gravità l’essenza ossimorica delle deformità palagonesi ed al tempo stesso le ragioni di una scelta architettonica: “statue di pietra porosa guardavano fisso le bocche spalancate, mugghianti nel riso, nell’aria leggera, tra farfalle variopinte: e quell’urlo è come un pianto. I ruggiti antidiluviani dei mostri dilaniavano tutt’intorno; fra le palme occhieggiava l’ottusa smorfia d’un capro; non posso dire tuttavia che quella congerie rivelasse cattivo gusto... qui il cattivo gusto rappresenta l’affinamento di un gusto peculiare”.
A rincalzo, più tardi, il tedesco K. Lohmeyer non soltanto coglie la matrice del “sublime grottesco palagonico” nel
“consapevole scherno dell’antichità” ma ne ridimensiona, altresì, l’eccentricità rispetto ad analoghe “dimore del capriccio” europee che “oltrepassano di molto, e purtroppo in certe mancanze di gusto nei costumi e nelle frivolezze, la Villa Palagonia” non possedendo di essa quella “coerenza nell’insensatezza” che è il suo tratto distintivo.
In buona parte dell’arte figurativa siciliana, c’è il senso della superficie, dell’esteriore, ma il protendersi delle forme è una disposizione materialistica a portare fuori in turgori e tortuosità gli interni coscienziali; in ultima analisi, un modo comportamentale di rendere pubblico se non sociale il privato. Nell’esteriore il privato può essere spettacolarizzato,
l’interno della coscienza esposto; la pubblicizzazione non vuol dire socializzazione.
L’occhio del visitatore guarda il teatro statuario del Principe, ma può provarsi a possederlo solo a certe condizioni.
Come il potere, la tetraggine, la morte e la bellezza, anche l’immaginario palagonese è esibito, ma non totalmente partecipato.
Con le sue opere Ferdinando Francesco Gravina si offriva senza concedersi del tutto, come il suo palazzo, tra l’altro, aperto con le sue mirabili terrazze, la leggendaria loggia e gli splendidi scaloni barocchi, chiuso con i suoi massicci bastioni tardo-rinascimentali di ascendenza militare.
Da tutto quel gran figurare, lo spettatore può essere respinto o attratto, atterrito, indifferente o divertito, ma per
non rimanerne estraneo egli deve avere consapevolezza che dell’immagine del mondo esso trasmette una particolare memoria, sia pure stravolta in una modellizzazione inusitata. Lo spettacolo visivo che fu fermato nel tempo come possibile reale, effettuale immaginario del Gravina, può tornare a proporsi come uno scenario agibile solo riconoscendolo come forma ‘altra’, pur precaria però non transeunte, del nostro vissuto. Nelle clausole del sognare a occhi aperti, la finzione del Principe, quale rinvio ad un’altra realtà, da tipico scenario del barocco mediterraneo si ripresenta come condizione permanente dell’apparenza teatrale.
Noi, oggi, che meglio stiamo scoprendo l’altra faccia del Rinascimento, il suo aspetto eversore e anticlassico, e che
nel barocco siciliano cogliamo una condizione primaria dell’isola, persistente ben al di là dell’ambito in cui si realizzò la sua cifra storica vera e propria, possiamo forse comprendere meglio l’inquietudine del principe, al di fuori dello schema abitudinario di reazione e di progresso.
I viaggiatori aristocratici del tardo Settecento inseguivano a ritroso l’antico, il passato, il certo; noi andiamo con
diversa sofferenza e consapevolezza verso il futuro, l’incerto, l’ignoto. Forse, possiamo cominciare a capire l’irrequietudine del principe di Palagonia.
Natale Tedesco
Le poesie non futuriste inedite di Giacomo Giardina, a cura di Antonino Russo, introduzione di Tommaso Romano
La raccolta di testi, che Russo ha rintracciato di Giacomo Giardina e presenti in questo volume che l’ISSPE ancora dedica al Futurismo di Sicilia, dimostra la versatilità e direi l’apparente “ingenuità bucolica” del poeta godranese. Dico apparente perché Giardina era, malgrado le poche classi elementari frequentate, nitidamente poeta sì, ma anche attento divoratore di testi e fine “antenna” della vita artistica e culturale.
dall’introduzione di Tommaso Romano
Angelo Nicosia e la Sicilia, a cura di Francesco Virga, con testi diFrancesco Virga, Lorenzo Purpari,Vittorio Lo Bianco,Filippo Parisi,Francesco Mesi, Giovanni Ciancimino (con vasta appendice fotografica).
La pubblicazione offre ai lettori un quadro sintetico, ma, riteniamo, esemplificativo dell’attività politica e parlamentare di un vero ed autentico Siciliano, che alla causa isolana e alla liberazione dalla delinquenza mafiosa dedicò le migliori energie. Angelo Nicosia, fin da giovane grande e tenace organizzatore, riuscì a conquistare l’attenzione e il rispetto delle classi giovanili del Msi e, poi, espressione delle stesse con l’elezione al Parlamento nazionale…Attraverso la sua azione quotidiana, con uno studio profondo che rassegnò alla Commissione Antimafia, fu stilata la cosiddetta relazione di minoranza sottoscritta dall’onorevole Niccolai che ha rappresentato, e rappresenta,un grande elemento di attenzione, di studio, di profonda analisi del fenomeno mafioso”.
dalla prefazione di Francesco Virga
Autonomia e rappresentanza, Atti del Convegno. Palermo, Palazzo dei Normanni 12 maggio 2011, organizzato dall’Associazione Ex Parlamentari dell’ARS.
“E’ normale che l’eletto di una maggioranza o di una squadra di governo diventi rappresentante dell’opposizione? E, parimenti,è normale che chi è stato collocato dal voto popolare all’opposizione assuma le sembianze e il ruolo di componente della maggioranza e di forza di governo? Questi quesiti sono stati declinati,nell’incontro svoltosi nella Sala Rossa di Palazzo dei Normanni, avendo sempre a riferimento il rapporto tra autonomia e rappresentanza mantenendo nello sfondo il grave deficit di credibilità della classe dirigente, le difficoltà di vita delle istituzioni democratiche e la crisi dei valori del nostro tempo.”
dalla presentazione di Rino La Placa
Domenico Lo Iacono, Economia in Sicilia. Dai Borbone al fascismo.
Il volume amplia lo sguardo della vicenda economica a tutta l’ Isola, dai Borbone – Due Sicilie a tutto il ventennio fascista, con notevoli e nuovi apporti documentari, ampi riferimenti bibliografici, sorretti da una libera lucidità interpretativa, che non si rifugia nelle formule ideologiche aprioristiche o appartenenti al “politicamente corretto”. A cominciare dal luogo comune da sfatare” della “inesistenza di imprese industriali in Sicilia al tempo dei Borbone” ed evidenziandone le eccellenze, come la Fonderia Oretea.” dall’Introduzione di Tommaso Romano
Vito Mauro, Thule l’Isola dei libri.Le Edizioni Thule e la Fondazione Thule Cultura: 1971-2011
Conversazione con Tommaso Romano, un testo di Salvo Ferlito e testimonianze critiche di Nino Aquila, Ignazio E. Buttitta, Davide Camarrone, Manlio Corselli, Salvatore Di Marco,Mario G. Giacomarra, Dino Grammatico, Mario Bernardi Guardi, Francesco Mercadante,Vincenzo Monforte. Bent Parodi di Belsito, Antonio Saccà, Giovanni Tarantino, Piero Vassallo, Marcello Veneziani.
Il gabbiano di Rocca Busambra Premio di poesia “Giacomo Giardina”. Antologia del decennale, Prefazione di Giuseppe Bagnasco, con un testo di Tommaso Romano, a cura di Giovanni Mannino e Paolo Galioto Grisanti.
L’antologia del decennale del Premio Giacomo Giardina - premio che si differenzia notevolmente dalla premiopoli inconcludente e senza valore di troppi concorsi nati e sviluppatisi esclusivamente per una sorta di autogratificazione che poco ha a che vedere con l’indicazione del merito costituisce un sigillo di libertà, il modo stesso di affrontare la manifestazione conclusiva come una sorta di rito comunitario in onore della poesia e dimostra che con la volontà e con la capacità di intrapresa e soprattutto con ‘amore verso la letteratura e l’arte, si possono realizzare anche in un centro come Bagheria, tanto caro al poeta pecoraio Giacomo Giardina, eventi di qualità.
L’antologia del decennale del Premio Giacomo Giardina - premio che si differenzia notevolmente dalla premiopoli inconcludente e senza valore di troppi concorsi nati e sviluppatisi esclusivamente per una sorta di autogratificazione che poco ha a che vedere con l’indicazione del merito costituisce un sigillo di libertà, il modo stesso di affrontare la manifestazione conclusiva come una sorta di rito comunitario in onore della poesia e dimostra che con la volontà e con la capacità di intrapresa e soprattutto con ‘amore verso la letteratura e l’arte, si possono realizzare anche in un centro come Bagheria, tanto caro al poeta pecoraio Giacomo Giardina, eventi di qualità.
Dalla presentazione di Tommaso Romano
Tommaso Romano, Sicilia 1860-1870. Una storia da riscrivere
Il Risorgimento in Sicilia fu vera gloria? Chi legge l’ultimo saggio di Tommaso Romano, “Sicilia 1860-1870, una storia da riscrivere”, se sposa le tesi dell’autore, non ha che una risposta: negativa. Il libro di Romano, edito dall’Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici, offre infatti una visione del Risorgimento lontana da quella propria della storiografia ufficiale, demolisce miti, ridisegna figure avvolte nell’alone di idealismi ed eroismi qui messi in discussione, passa in rassegna fatti taciuti nei manuali che circolano nelle scuole
Sicché, ad esempio, nel testo di Romano l’impresa garibaldina dei mille viene ridimensionata, anche attraverso testimonianze di rilievo, quale quella di Ippolito Nievo, che così scriveva alla cugina Bice Melzi Gobio: “A Marsala squallore e paura; la rivoluzione era sedata dappertutto o per meglio dire non era mai esistita: solo qualche banda di briganti, che qui chiamano squadre”. Allo stesso modo la rivolta di Bronte soffocata nel sangue viene descritta non come un evento isolato ed eccezionale, ma come l’emblema della disillusione popolare dinanzi alle promesse mancate dell’abolizione della tassa del macinato e di altre imposte e della spartizione delle terre. Scrive Romano: “In quella torrida estate del 1860 non pochi furono i tumulti in vari paesi poveri della Sicilia” Il Risorgimento, secondo Romano, condusse piuttosto che a un’ unificazione delle terre italiane, a una “piemontesizzazione” delle stesse. Se esistevano, nel progetto del nuovo “Regno d’Italia”, idee regionaliste che avrebbero rispettato le tradizioni e le identità locali, queste (si pensi ad esempio ai disegni di legge presentati da Marco Minghetti, ministro dell’Interno del neonato Regno) furono accantonate a favore di un modello accentratore di tipo francese a cui si accompagnò un sistema fiscale iniquo tale da contribuire all’impoverimento del Sud e al sorgere della questione meridionale. Visto sotto questo profilo il brigantaggio, seppure non idealizzato e ammantato di “romanticismo”, assume una connotazione diversa da quella tradizionale: è anche espressione del malcontento popolare e del moto di ribellione che quel malcontento cova. Ma ciò che Romano, cattolico fervente, più condanna nei fatti del Risorgimento sono, con le azioni contro il clero, l’affermazione di un’ideologia priva di richiami religiosi che, a suo parere, segna l’inizio di un degrado spirituale e di costumi foriero di decadenza e debolezza etica
L’analisi di Romano può piacere o non piacere, ed è, come l’autore stesso ammette, di parte. “Sicilia 1860-1870, una storia da riscrivere”, come il suo precedente pamphlet “Dal Regno delle due Sicilie al declino del Sud”, è un libro destinato a suscitare molte polemiche. Senza volere entrare nel merito delle questioni sollevate, preme però sottolineare che il testo, seppure non scritto da uno storico di professione (l’eclettico Romano, nella sua sterminata produzione, privilegia più le ricerche filosofiche e letterarie), trae spunto da una ricca documentazione ed è corredato di una vasta bibliografia. Anche questo è un segno dell’onestà del lavoro di Romano: vi è l’invito ai lettori, quale che sia la loro inclinazione ideologica, a ricercare nelle fonti, di diversa estrazione, gli spunti per l’approfondimento di un periodo cruciale per la nostra storia. Da Italiainformazioni del 7 novembre 2011 Antonino Cangemi Libri. Il Risorgimento visto da Tommaso Romano.
Il libro ripercorre come una drammatica narrazione i fatti assai reali che sconvolsero la Sicilia dopo l'impresa "garibaldina" e la conquista piemontese apertamente sostenuta dal' Inghilterra. In successione le stragi di Bronte il naufragio e la morte di Ippolito Nievo, l'ultima resistenza borbonica della Real Cittadella di Messina, i plebisciti farsa, la leva obbligatoria, il brigantaggio, le rivolte di Castellammare del Golfo, Alcamo, Fantina, nel girgentano e i primi delitti di Stato, la repressione e gli stati di assedio, la Sicilia in rivolta nel 1866 e l'insorgenza palermitana del "Sette e mezzo", la repressione, l'azione anticlericale, le leggi eversive contro la chiesa, la reazione cattolica e legittimista, la povertà, l'immigrazione tutti documentati con molte fonti inedite, moltissimi documenti di archivio riprodotti per la prima volta i manifesti del "Sette e mezzo", lettere, documenti, fotografie, incisioni d'epoca, anche a colori, oltre 250 pagine di un libro che fa già discutere e che segna la naturale continuazione del fortunato volume (4 edizioni) "Dal Regno delle Due Sicilie al declino del Sud".
Fabrizio Fonte, La “Grande “ Erice : una governance per l’agro ericino, con prefazione diTommaso Romano
Fabrizio Fonte è un giovane ricercatore valoroso, un cultore attento di storia siciliana già distintosi con una organica trattazione storiografica sul tema del Separatismo e dell’Autonomia Siciliana (in prima edizione con l’I.S.S.P.E. e poi con la prestigiosa Rubbettino di Soveria Mannelli), e come brillante operatore della buona politica forgiata nel «natio borgo». Fonte è, non secondariamente, allievo ideale di un politico e uomo di cultura di razza, quale certamente è stato Dino Grammatico, che ha dedicato nel 2000 per l’I.S.S.P.E. un bel volume proprio al tema «Erice dal dopoguerra al duemila. La nascita dei Comuni di Custonaci, Buseto Palizzolo, San Vito Lo Capo e Valderice. Il tramonto di una città mito», con prefazione di Gabriella Portalone Gentile. Rigore e passione, onestà intellettuale e concretezza, sono dati che l’indimenticabile Dino D’Erice (nom de plum letterario di Grammatico) ha come trasmesso a Fabrizio. Oggi suo primo biografo (con i Tipi del nostro Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici, altra creatura assai amata da Dino).
La nuova ricerca-proposta di Fonte si rivolge adesso a Erice, l’antico Monte San Giuliano, al suo Agro, ora largamente resosi autonomo dall’antico capoluogo nelle numerose Municipalità, e ai tanti problemi reali, che vedono la celebrata vetta carica di storia e immersa ancora nel Mito e nella Bellezza, che la connotano, a dispetto di uno spopolamento di residenti, come punto di riferimento nella stagione del tepore da amanti del genius loci, che Erice certamente continua a rappresentare. Dalla cittadella della scienza, che ha nel grande Antonino Zichichi il suo speciale araldo capace di proiettarla nel mondo, nonché anche in una pletora di turisti e viandanti, assetati più di inconsueto e di esotico, che di autentica conoscenza e sapienza estetica.
Fabrizio Fonte, come nelle Opere di cui è già autore, mostra con acribia una splendida dote, che difetta a tanti storici togati, la capacità di sintesi, senza per questo dimenticare l’essenziale, ciò che permane, rispetto al superfluo e al proprio particolare. È così che si dipana un tessuto di notizie storiche che, dai primordi fondativi che affondano nel Medio Evo isolano, giunge al Novecento e al Secondo dopoguerra delle “conquiste” municipali di antichi borghi e frazioni, che hanno come “compimento” quasi di toccare i cieli più di prima, in una condizione quasi di limite estremo sulle nebbie del surreale (fenomeno meteorologico che accompagna la memoria stessa di Erice e il suo incomparabile fascino, in terra di Sicilia, ove raro è il manifestarsi di un tale elemento).
L’intento di Fabrizio Fonte è insieme identitario e civile, senza remore incapacitanti e senza alcuna visione passatista del territorio. Ferma la diminuzione identitaria che è legata all’antropologia profonda, allo Spirito di popoli, piuttosto che a confini e paletti disegnati a volte o da interessi reali o da velleità. Fonte non sfugge al problema concreto della parcellizzazione di un territorio, alla cui valle si staglia il profilo - forse incompiuto - di una città ampia com’è Trapani, sciaguratamente e senza riscontri obbiettivi, confinata in «coda italica» di una presunta “qualità della vita”, da statistiche che somigliano tanto alle classificazioni tecnocratiche interessate delle moderne agenzie di raiting, che nulla presumono di civiltà mediterranea e di pensiero meridiano.
Attraverso il riformismo borbonico e la risoluzione unitaria fino al Fascismo, Fonte ripercorre a volo d’aquila (come d’uso nei cieli di Erice) la storia autentica di controversie, che hanno prodotto lo stato attuale, e, senza piagnistei e impossibili retromarce, indica proposte e soluzioni, riprendendo e attualizzando anche le sollecitazioni del sacerdote ericino Vito Castronovo, opportunamente riportate in naturale appendice al lavoro. Il quale già indicava strade diverse rispetto al declino annunciato di Erice, senza per questo dimenticare il «lavoro dei secoli» maturato nel cuore della vetta e tra colonie e contrade.
È così che Fabrizio Fonte riflette sull’ora presente e non si sottrae al confronto, senza peraltro obliare un lucente lascito della tradizione ericina e più ampiamente siciliana. Con estremo realismo e prospettiva alta, il nostro Autore trova, il bandolo della intricata matassa, nella prospettiva che indica come quella denominata «Grande Erice», vale a dire nel prospettare una integrazione e semplificazione di burocrazie e servizi da rendere organicamente beni comuni, per governare non tanto le differenze, quanto piuttosto le esigenze indifferibili. E tutto ciò puntualizza - anche amministrativamente, con una competenza che qui deriva non solo dalle teorie, ma dalla concretezza dell’agire nella polis - con una ideazione che non può che trovare il consenso di chi sostiene, intanto, che l’innovazione non è il contrario della Tradizione e che, anzi, l’una non può sussistere senza l’altra.
La soluzione di un «libero consorzio» fra Comuni, che veramente superi la parcellizzazione e accompagni le reali esigenze delle comunità, le loro economie da integrare, l’ambiente da proteggere, in un nuovo patto di solidarietà fra simili, che non potrà che essere foriero di un rinnovato e più incisivo modo di ideare, senza snaturare, anche in termini politico-amministrativi e senza, non ci stanchiamo di ripeterlo, annullare le peculiarità, le differenze, l’humus profondo di singoli parti di un territorio che, in un più capiente alveo, potrebbe meglio e più efficacemente determinarsi oltre le contingenze e le strettoie, anche gravi, di bilanci asfittici che pesano il più delle volte sulle spalle delle popolazioni.
Agire con coraggio e determinazione, come con chiarezza di intenti e ragionate proposizioni, fa Fabrizio Fonte nel suo testo, è compito di autentiche e lungimiranti classi dirigenti, la cui presenza qualitativa non è certo da determinarsi col “nuovo” a tutti i costi, quanto con l’esperienza coniugata con l’ardire ragionato delle scelte. Programma e fini, che Fabrizio Fonte, con sagacia e passione civile, persegue con chiarezza d’intenti, anche nelle sue notazioni, che siamo stati ben lieti presentare.
Dalla prefazione di Tommaso Romano
Federalismo fiscale, l’Autonomia al bivio. Atti del Convegno, Forza d’Agrò (ME), 15 e 16 ottobre, Associazione Ex Parlamentari ARS, a cura di Rino La Placa con testi di Rino La Placa, già Deputato regionale,Tonino Gullotta,Assessore al Turismo del Comune di Forza d’Agrò, Francesco Cascio,Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana,Raffaele Lombardo, Presidente Regione Siciliana, Salvatore Sammartino, ordinario di Diritto Tributario Università di Palermo, e componente Commissione Paritetica Stato-Regione, Giancarlo Sciuto, Dirigente del Servizio Studi e Politiche Fiscali dell’Assessorato Regionale dell’ Economia, Salvatore Di Gregorio,Vice Segretario Generale dell’Assemblea Regionale Siciliana, Angelo Rosano, Salvatore Curreri, Matteo Graziano, Lillo Pumilia, Andrea Piraino,Assessore Regionale alla famiglia, alle politiche sociali Giuseppe Lo Curzio, Paolo Piccione, Francesco Virga, Mario Mazzaglia, Saverio di Bella, Ino Vizzini, Mario D’Acquisto
“…di federalismo si è parlato e si parla anche se a molti risulta sempre più incerta la sua vicina e completa realizzazione ed altri nutrono ragionevoli dubbi sui benefici per la Sicilia. L’attuazione del federalismo fiscale è ormai una prospettiva, che attende di diventare realtà sulla quale si deve costruire il necessario e auspicato sviluppo, mala critica situazione economica,che viviamo, spinge ad esaltare le difficoltà legate alle innovazioni da attuare. Occorre prudenza e coraggio e il punto di vista della Sicilia deve trasformarsi in unn impegno generale e fattivo per non soccombere o risultare perdenti.
dalla presentazione di Rino La Placa
Antonino Palazzolo, Le torri militari del Regno di Sicilia in età moderna (fonti documentarie sulle torri di Deputazione nei secc. XVI-XIX)
Antonino Palazzolo compie un’operazione culturale di notevole rilevanza, atteso che pubblica finalmente le “fonti documentarie” sulle torri di Deputazione nei secoli XVI-XIX; con questo offrendo un significativo strumento di “corretta lettura” ed interpretazione del sistema torriero, con particolare riferimento alla progettualità avviata ed attivata sin dal viceregno spagnolo in Sicilia. Viene finalmente proposta un’esatta, esaustiva individuazione di atti d’archivio che ci aiutano a districarci tra la miriade di relazioni, che caratterizzarono il nostro sistema difensivo e le esatte distribuzioni dei compiti e dei ruoli svolti da ufficiali regi, ingegneri militari, capomastri. Ci si trova di fronte ad un’attenta ricognizione della nostra storia – grazie all’Autore , il quale ha consultato sull’ argomento una vastissima mole di documenti e di collezioni cartografiche, conservati negli Archivi di Stato e Comunale di Palermo – e ad uno strumento di ricerca al servizio degli studi storici,che hanno sull’argomento trascurato o scarsamente attenzionato, ad esempio, le “ricognizioni territoriali effettuate nel corso del XV secolo”
dalla prefazione di Umberto Balistreri
Pippo Lo Cascio , Scale, neviere trazzere. Le vie storiche di comunicazione, commerci ed economie della provincia palermitana, tra i secoli XIV-XIX. Prefazione Tommaso Romano.
Dovremmo essere grati a tutti gli studiosi e ricercatori militanti sul campo, quali cultori autentici della libera conoscenza sorretta dal rigore delle fonti e dell’approccio pluridisciplinare. E’ giusto riconoscere molto a questa schiera laboriosa anche per gli apporti che fondano la microstoria che, solo apparentemente, appare ancilla della più codificata storia maggiore. In realtà l’apporto alla storia profonda della Sicilia, intesa come popolo, dato da studiosi e personaggi, quali Lionardo Vico, Giuseppe Pitrè, Salvatore Salamone Marino, Antonino Uccello, Santi Correnti, Antonino Buttitta e Aurelio Rigoli, è molto importante per definire i contorni, il sottofondo che spesso sfuggono ad uno sguardo storico generale, magari venato in non pochi casi da una pur legittima ideologia di fondo.
Pippo Lo Cascio fa parte di quei ricercatori di qualità non accademici ma che intendono il sapere e la conoscenza come una inesausta scoperta, come un banco di prova costellato di ipotesi e rovelli da scovare nelle viscere della terra, nelle impolverate e miracolose carte d’archivio, nelle pieghe delle cronache non diventate storie per imperizia o sottovalutazione e, ancora, nelle dimensioni immateriche, spirituali che, connotando l’esistenza umana, segna la narrazione biografica di ognuno e ne determina atti e passioni, realizzazioni e costumi. Anche nello studio pregevole che Lo Cascio ci presenta col titolo fascinoso ed evocante Scale Neviere e Trazzere e che ci consegna un quadro esaustivo, tra i secoli XIV e XIX della provincia palermitana, con alcune incursioni nella Sicilia Orientale, riguardante le vie di comunicazione ed i loro riflessi nell’economia, i motivi fondanti la sua ricerca si snodano attraverso l’approccio ampio e complesso prima indicato, con il fondamentale apporto del documento inedito e di testi rari, che ne sostengono in modo organico l’architettura ideativa ed esplicativa, che si snoda fra scale, portelle, posti daziari, trazzere, montagne del nostro inconfondibile paesaggio prima degli scempi ecologici che l’hanno certamente ferito.
Dalla prefazione di Tommaso Romano
Riserva Naturale Grotta dei Puntali (dvd)
Il dvd è estremamente significativo poiché si inserisce in un ampio progetto di diffusione, nell’ambito del processo di educazione ambientale che l’Associazione ambientalista Gruppi Ricerca Ecologica, Ente gestore della Riserva Naturale Grotta dei Puntali, ha attivato con parecchie scuole di Palermo e provincia e non solo.
Grotta dei Puntali, a cura di Umberto Balistreri e Bartolo Corallo
La Riserva Naturale Integrale "Grotta dei Puntali" rappresenta una delle emergenze naturalistiche più interessanti della Sicilia occidentale, in quanto racchiude in sé testimonianze di alta valenza scientifica e storica legate a molteplici aspetti.Un vero e proprio scrigno contenente testimonianze paleontologiche ed archeologiche oltre a numerose peculiarità faunistiche (invertebrati cavernicoli e chirotteri) altrove raramente riscontrabili.Questo patrimonio di grande valenza naturalistico - scientifica e culturale è, dunque, indubbiamente da salvaguardare ma anche da valorizzare, divulgare e rendere fruibile.I reperti raccolti fin dall'800 sono oggi custoditi presso il Museo Archeologico "A. Salinas" ed il Museo di Geologia "Gaetano Giorgio Gemmellaro" dell'Università di Palermo. Inoltre Palazzo d'Aumale, sede del Museo Regionale di Storia Naturale e mostra permanente del carretto siciliano di Terrasini, conserva,tra i beni acquisiti al suo patrimonio, anche quelli relativi alla collezione geo-paleontologica del naturalista Teodosio De Stefani (1909-1978); questi contengono numerosi reperti di vertebrati fossili continentali e preistorici raccolti dall'eclettico naturalista nella cavità.E dal punto di vista più strettamente naturalistico, il sito rappresenta un importante stazione per la sopravvivenza di una colonia polispecifica di chirotteri, annoverata nella direttiva 92/43 della CEE delle specie di interesse comunitario (in pericolo di estinzione), oggi minacciata dalla mancanza di un'adeguata salvaguardia dell'ambiente. In più, la cavità ipogea ospita una fauna cavernicola costituita da specie troglofile e troglossone e può rappresentare rifugio per diverse specie di micro e macro mammiferi e di uccelli.La Riserva Naturale Integrale Grotta dei Puntali è stata istituita con Decreto dell'Assessore Regionale al Territorio ed Ambiente n. 795/44 del 9 novembre 2001 pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 8 del 15 febbraio 2002.
"Grotta dei Puntali" è iscritta nell'Elenco Ufficiale delle aree protette al n. EUAP0876 in virtù del IV Aggiornamento approvato dalla Commissione Permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, il 25 luglio 2002; l'indice sommario della pressione umana sull'area protetta (IA) è 1377,52. i confini della Riserva, ubicata nel territorio comunale di Carini, in località Villagrazia sono compresi all'interno delle linee di delimitazione segnate sulla carta topografica IGMI 249 III N.E. in scala 1:25.000. La superficie complessiva è di ha 15,3 (la parte interna della grotta ricade in zona A; in zona B, all'esterno e per un tratto dal raggio di 5 metri dalla grotta, si trovano ha 15,3).La Grotta dei Puntali si apre nella roccia calcarea mesozoica delle falde di Monte Pecoraio, in territorio di Carini a circa 90 metri s.l.m. (Long. E.O°42'13"; lat. N. 38°09'04") e a meno di un chilometro di distanza dal mare.
Si tratta di una cavità a sviluppo prevalentemente orizzontale, di circa 110 metri di lunghezza e 15 metri di larghezza, impostata su due livelli differenti collegati da pozzi non molto profondi. All'esterno della cavità sono ben visibili due solchi di battente, che testimoniano un'antica presenza del mare, mentre all'interno i segni delle ingressioni marine sono meno evidenti e prendono, invece, campo quelli dovuti ad un'intensa attività carsica.
Il piano di calpestio della grotta è costituito da un deposito grigio brunastro interessato, in alcuni punti, da fessurazioni di disseccamento contornate da efflorescenze biancastre. Le pareti e le volte sono ricoperte da una fitta rete di vermiculazioni argillose note come "pelle di leopardo". A circa 30m dall'ingresso la cavità presenta un deposito di colore bruno giallastro, contenente frammenti di zanne di elefante. Essa rappresenta quanto resta dell'originario orizzonte ossifero dopo gli scavi, rimasti inediti, effettuati dal Prof. Gaetano Giorgio Gemellaro fra il 1868 ed il 1870.
Verso l'interno la grotta si restringe, diventa più tortuosa, adorna di concrezioni carbonatiche e presenta varie forme di erosione, quali incisioni subcircolari (scallops) ed un reticolo di cunicoli raccordati da pozzetti poco profondi, a testimonianza di un antico regime freatico di notevole entità.La grotta nota come si è detto per aver restituito numerosi resti fossili appartenenti ad una fauna continentale pleistocenica è ancora oggi di grande interesse per la ricerca scientifica; inoltre la cavità è stata oggetto di studio per il contenuto paleontologico, documentato da rinvenimenti che vanno dal paleolitico superiore all'età del bronzo.
Tommaso Romano, Vincenzo Mortillaro
“Il Barone Vincenzo Mortillaro, Marchese di Villarena (1806-1888), fu uno dei più versatili ingegni siciliani dell'Ottocento. Uomo di sterminata erudizione e apprezzabile passione civile, finì per imporsi fra le personalità più in vista ed in quanto tale si mantenne in stretto contatto epistolare con una gran quantità di dotti ed eruditi di ogni paese d'Europa. Quando l'insigne storico Ferdinand Gregorovius, di passaggio a Palermo, volle nel 1886 fargli visita, nel prendere da lui congedo confidò a un amico quale fosse la sua tristezza per aver dovuto assistere al tramonto di un simile ingegno. Si trovò insieme al coetaneo e compagno di studi Michele Amari nel Parlamento Siciliano del 1848, ma in seguito le loro strade si divisero: e divennero acerrimi rivali. Laureatosi in giurisprudenza, prima ancora del diploma di laurea in quella disciplina gli giunse l'incarico di insegnare l'arabo all'Università di Palermo, succedendo al defunto Abate Morso. Dal '32 intraprese pure la carriera di giornalista, fondando e dirigendo una serie di fogli di intervento di politica economia e costume, oltre a collaborare a una lunga serie di pubblicazioni erudite e accademiche. Presto le sue molteplici competenze attrassero l'attenzione della fatiscente amministrazione borbonica, entro la quale Mortillaro accettò di spendere le proprie energie nello sforzo di ottenere, in diversi campi, una certa modernizzazione. Una svolta nella sua vita venne, com'è naturale, con il '48. Prese (dopo qualche esitazione) le parti degli insorti, entrò nel nuovo Parlamento; solo per assumervi, tuttavia, posizioni estremamente moderate. Tanto che, a Restaurazione avvenuta, il luogotenente napoletano di Re Ferdinando II, Carlo Filangeri, lo nominò Intendente della Provincia di Palermo: posto che il Mortillaro mantenne per undici anni; nell'ultimo, turbolento periodo del regno di Ferdinando, e in quello breve e disastroso di Francesco II, i suoi incarichi anzi si moltiplicarono (in particolare venne chiamato all'impopolarissima Direzione del Macino). Ma la prova che Mortillaro fosse davvero uomo per tutte le stagioni, grazie alla vastità (e all'eminenza) della sua rete di conoscenze e rapporti, si ebbe nel '60: quando il nuovo padrone dell'isola, il Dittatore Garibaldi, neppure si peritò di rimuoverlo ufficialmente dagli incarichi, i quali pure non avevano più alcuna funzione ufficiale, che il Mortillaro aveva ricoperto in epoca borbonica (non stupisce scoprire, allora, che stretto fosse il suo legame con il Segretario di Stato del Dittatore, Francesco Crispi...). Nel '61 tuttavia, in séguito a uno scandalo, il Mortillaro decise di ritirarsi per sempre dalla vita pubblica, rinchiudendosi nuovamente nei suoi studi. Prese a redigere una copiosissima serie di memorie personali e storiche dei propri decenni di vita pubblica. Nel '62 fondò e diresse il giornale "Il Presente", presto caratterizzatosi come una spina nel fianco per il nuovo governo unitario (venne chiuso d'autorità due anni dopo; e nel '65-66 i rapporti con il governo italiano si fecero tesi al punto che il Mortillaro dovette a due riprese addirittura conoscere il carcere). Ma ancora una volta il prestigio personale e la rete di conoscenze del personaggio gli valsero un nuovo, più che appagante agreement con i potenti di turno, che gli offrirono addirittura di riprendere il vecchio impiego alla Direzione del Macino. Più che le sue vicende personali (quelle narrate nei volumi memorialistici che occupano gran parte dei sedici volumi della sua raccolta di Opere, Palermo 1843-1888, qui compresa: come pure, del resto, l'accurata biografia Vincenzo Mortillaro Marchese di Villarena. La vita-Le Opere, opera di suo nipote Luigi Maria Majorca Mortillaro, Palermo 1906; e il curioso, ampio fascicolo I Mortillaro di Villarena MCCL-MDCCCXCVI. Cenni storici ed albero genealogico, opera dello stesso, Conte di Francavilla, Palermo 1896), tuttavia, attrae l'attenzione lo sterminato archivio espistolare (circa duemila missive autografe firmate, tutte provenienti da importanti personaggi della vita pubblica siciliana, da un alto, della comunità scientifica ed erudita internazionale, dall'altro) ammassato in tanti decenni di solerte attività dal nostro erudito Barone.” Sin qui una biografia “ufficiale”. Tommaso Romano, invece, con un’appassionante ricerca, riporta alcuni dati inediti e ci tratteggia un Mortillaro particolarmente singolare.
Centodestre Dizionario biografico I volume, a cura di Tommaso Romano, Umberto Balistreri e Vito Mauro
I Volume biografico "Atlante delle centro Destre - La cultura, le idee e le biografie di Conservatori, Cattolici, Rivoluzionari, Riformisti, Laici, Liberali, Legittimisti" italiani operanti a partire dal 1943., con particolare riferimento alla Sicilia. La ricerca si è avvalsa di un comitato scientifico di consulenza di qualificato livello. Da Giano Accame a Ellemire Zolla ,costituisce la prima e più ampia mappatura scientifica e senza settarismi corredata da una vasta bibliografia.
Cromatismi. Vitale il Marinese
Mimmo Vitale , nato a Marineo il 3 gennaio 1939. , scompare nel settembre 2010. La sua vocazione artistica maturata nel contesto culturale marinese degli anni ‘60 ,si è alimentata di esperienze diverse, a partire dall’incontro con il poeta Ignazio Buttitta. Quello di Vitale è stato un percorso artistico sempre in crescendo, che lo ha visto protagonista nelle più importanti gallerie italiane ed estere. I suoi ultimi quadri sono una autentica esplosione di colori e di forme, frutto della costante ricerca di un artista ben affermato nel panorama espressivo italiano, ma pronto a percorrere sempre meno itinerari conosciuti per entrare nello spessore intricato della interiorità, dell’ignoto, dell’inconsueto. Per tutta la sua vita artistica Vitale ha rifiutato certezze, regole, prassi. Anche quando il tema delle sue tele era manifesto, l’artista amava immergersi in invenzioni cromatiche stilistiche materiche che scatenavano sensazioni ed emozioni sempre nuove, sempre fresche ed esaltanti. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in Italia, U.S.A., Turchia, Città del Vaticano, Francia, Austria, Russia, Polonia, Germania, Danimarca, Spagna.
Castrense Civello, poeta per vocazione, futurista d’elezione (con poesie inedite futuriste e non),a cura di Antonino Russo
In questo libro Antonino Russo aggiunge altri elementi critici sulla produzione di Castrense Civello e completa la raccolta delle poesie inedite del poeta. Si tratta di otto componimenti: sette poemi (sei scritti tra il 1927 e il 1932 e un o nel 1954) e un sonetto del 1956. Tra i poemi , “La ballata dell’aeroporto”, che consta di centosessanta versi e il sonetto dedicato a Bendetta Marinetti.
Antonino Pisciotta La prima Leonforte. Nascita e sviluppo di una città del Seicento
Anche in questo caso, come nel pregevole “ I Branciforti dalle remote origini a Nicolò Placido. Storia, miti e leggende”.Antonino Pisciotta sul doppio binario dell'historia di Sicilia, e della storia "mediterranea",dà vita, con efficacia narrativa, capitolo dopo capitolo, ad un esauriente, validissimo progetto storiografico su Leonforte , con particolare attenzione ai Branciforti. E nel 1610 con “licentia populandi”, Nicolò Placido Branciforti pensò di sfruttare al massimo le potenzialità del fertile territorio, ricco di acque e di mulini, fondandovi una città che chiamò Leonforte in omaggio al blasone della sua casata (leone rampante che regge lo stendardo con i moncherini delle zampe ed il motto «in fortitudine bracchii tui») ed elevando il possedimento al rango di principato nel 1622 Ed il principe Nicolò Placido Branciforti apparteneva ad una delle più importanti famiglie nobiliari di Palermo. Fu uomo di molto valore e di virtù, quinto Conte di Raccuia, secondo Signore di Cassibile, settimo Barone di Tavi, Cavaliere dell'ordine di S. Giacomo sotto il re Filippo III e primo Duca di Mascalucia
-Tommaso Romano, Da Bagaria a Bagheria
-Tommaso Romano, La Colonna e il mare
-Giacomo Giardina. Il poeta bucolico-futurista (con poesie inedite in volume, immagini, documenti) a cura di Antonino Russo
-Ascuta lu cantu . Antologia di poeti del Comprensorio di Termini, Cefalù, Madonie, a cura di Alfonso Lo Cascio
-Futurismo musicale e Corporazione delle nuove musiche, a cura di Umberto Balistreri e Mario Basile
-Giovanni Davoli, Considerazioni sulla partecipazione come diritto di libertà
Francesco Virga (a cura di) Angelo Nicosia e la Sicilia
-Domenico Lo Iacono, Alfredo Cucco.L’uomo,il politico, il medico.
-Le poesie non futuriste inedite di Giacomo Giardina, a cura di Antonino Russo
-AA.VV. Atlante delle Destre
-Manifesto di Filaga
Fabrizio Fonte, Dal separatismo all’autonomia regionale. Storia dell’idea indipendentista siciliana nel XX secolo
D.Lo. Jacono, L’economia siciliana dall’Unità d’Italia al fascismo
Umberto Balistreri e Gaetano Compagno , Le torri di avvistamento del Palermitano
Elio Giunta, Antologia del pensiero scomodo
Francesco Virga (a cura di) L’Architettura religiosa a Palma di Montechiaro –Atti del Convegno dell’11 giugno 2009
Umberto Balistreri, Per una storia dell’ambientalismo. I Gruppi Ricerca Ecologica
Futurismo musicale e Corporazione delle Nuove Musiche, Catalogo della mostra documentaria a cura di Umberto Balistreri e Mario Basile
Valutazione dell’impatto della proliferazione delle alghe alloctone sull’ecosistema marino siciliano
Ciro Spataro, Garibaldi a Marineo. Con il”diario” di Antonino Salerno (1848-1892)
Fabrizio Fonte, La mia San Ferdinando Re
Il satiro danzante dal ritrovamento alla fruizione
Umberto Balistreri - Carlo Pollaci, I mercati storici del centro storico di Palermo
Antonino Palazzolo, Le torri di Deputazione nel Regno di Sicilia
Tommaso Romano, Itinerari metapolitici - Tradizione e Azione dall’Isola del Sole
AA.VV., Monitoraggio dei popolamenti ittici presenti nei caulerpeti alloctoni siciliani
Umberto Balistreri , Romanticismo legittimista. Storia del Raggruppamento Cattolico Tradizional Monarchico negli anni di piombo e della ghettizzazione (1980-1983);
-Salvo Andò, Autonomia e federalismo fiscale
-Rassegna Siciliana di Storia e Cultura n. 30